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Autore: Anna Santarello

Islam afghano: non solo Taliban.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 24 settembre 2015

youngtalibanNell’anno in cui anche l’Afghanistan e i territori delle Fata, le aree tribali confinanti col Pakistan, hanno vissuto la comparsa di talebani dissidenti (Tehreek-e Taliban) desiderosi di rapportarsi all’Isis, uno studio condotto sul campo dal ricercatore Borhan Osman mette in luce una presenza stabile e crescente di forze islamiche sunnite alternative agli storici ceppi dei turbanti neri, in crisi di guida carismatica.

Si tratta ovviamente di mondi paralleli, perché la presenza talebana è una realtà oggettiva, forte e radicata, cui guarda lo stesso governo ufficiale di Ghani, tenuto in vita dai finanziamenti statunitensi. In contrasto a quest’establishment corrotto, ma anche in alternativa al ruvido fondamentalismo talebano si pongono quattro gruppi esaminati nella ricerca. Tutti puntano a una difesa della tradizione islamica, guardando al maggior patrimonio che il Paese offre: le giovani generazioni.

Hizb ut-Tahrir è un’organizzazione che mira alla rinascita del Califfato: un’unica grande nazione per tutti gli islamici, seguendo il modello indicato dal profeta.

Il gruppo, fondato negli anni Cinquanta dal giurista palestinese Taqiuddin Nabhani, risulta radicale negli intenti sebbene segua una pratica non violenta. Solo in una fase recente alcuni membri, una minoranza, si sono espressi per un rapporto coi talebani e con la loro jihad praticata contro le truppe d’occupazione della Nato.

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UNA GUERRA MAI FINITA.

Q CODE MAG – di Antonio Marafioti – 23 SETTEMBRE 2015

imagesA DUE ANNI DAL RITIRO DEGLI STATI UNITI IL CONFLITTO IN AFGHANISTAN È VIVO PIÙ CHE MAI. UN FILM LO RACCONTA, UN’INCHIESTA DEL NYT SVELA UN NUOVO SCANDALO.

Il dato di fatto è che in Afghanistan si spara ancora, si muore ancora e la guerra non è mai finita. Il commento al dato è che nessuno ne parla più. Perché la Nato e gli Stati Uniti, si sono ritirati da due anni e ciò è molto simile alla storia dell’albero che cade nella foresta e non fa rumore perché nessuno lo sente.
Ma la guerra nel territorio della Repubblica Islamica ha un suono ancora devastante.

Tell the spring not to come this year lo racconta senza lasciare spazio al dubbio. L’opera dei registi Saeed Taji Farouky e Michael McEvoy è un’apologia della consapevolezza su un conflitto che dura da oltre dieci anni e che si alimenta di motivazioni e protagonisti sempre differenti.

La critica ha dato ragione ai due cineasti, già vincitori del premio Amnesty alla Berlinale 2015 e del premio del pubblico al Human Rights Award. In Italia, l’opera, ottantadue minuti che incollano lo spettatore allo schermo, è stata proiettata al Milano Film Festival, categoria Colpe di Stato.

È un film da vedere per almeno due buone ragioni. La prima, tecnica, è l’esclusività del materiale girato e montato. Farouki e McEvoy sono i primi filmakers ad avere ottenuto il permesso di portare la loro cinepresa dentro le azioni del nuovo Esercito nazionale afgano (ANA – Afghanistan National Army).

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L’Afghanistan ieri e oggi. Un paese in cerca di pace.

Oltremedia news – di di Giulia de Nardis – 23 settembre 2015

Afghanistan 473x300Gli episodi di feroce violenza che hanno costellato l’Afghanistan negli ultimi anni non sembrano prossimi ad una conclusione. Domenica scorsa nel distretto di Daman, nella regione di Kandahar, una macchina è stata fatta esplodere contro un checkpoint sorvegliato dalla polizia nazionale. L’attacco ha ferito una ventina di persone. Nella stessa giornata, nella provincia di Kunar, una bomba è esplosa accanto ad una stazione elettrica, ferendo almeno 16 civili.

L’annuncio della morte del leader dei Talebani Mullah Omar, nella scorsa estate, accompagnato dai nuovi orientamenti del Presidente della Repubblica Mohammad Ghani in materia di politica interna ed estera, contribuisce ad aprire nuovi scenari per il futuro del tormentato Paese. Per esaminarli, è utile ripercorrere brevemente le complesse vicende di cui Kabul è stata protagonista (e spesso, vittima) a partire dal secondo dopoguerra.

Nel 1933 l’Afghanistan è governato dalla monarchia di Zahir Shah, insediatosi al trono all’età di soli 19 anni. Coadiuvato dagli zii paterni nei primi decenni del suo regno, Zahir Shah tiene il Paese lontano dalla partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale, cercando piuttosto di rafforzarne la posizione internazionale attraverso l’ingresso nella Società delle Nazioni.

Nei primi anni Quaranta riconosce la necessità di una modernizzazione della società, accogliendo foreign advisers e rafforzando i legami commerciali e culturali con l’Europa. Sotto il suo regno Kabul gode di una certa stabilità, e nonostante le sotterranee fazioni politiche avversarie, Zahir Shah può promulgare una nuova costituzione nel 1964; essa prevede una implementazione dei diritti delle donne (vietando l’utilizzo del burqa afgano), l’introduzione del suffragio universale, l’istituzione di un Parlamento e di libere elezioni, il principio della separazione dei poteri. Sembrano passi decisivi per la trasformazione dell’Afghanistan in un Paese democratico e più attento ai diritti civili dei suoi cittadini.

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LA “GUERRA DEI CONTRACTORS” A KABUL.

AD ANALISIDIFESA – di Pietro Orizio, 23 settembre 2015

368d3b022f665a2f13e960768100547a 225x300L’Afghanistan e la sua capitale, Kabul sono state teatro della recrudescenza di un conflitto non solo bellico. Recentemente, infatti, alcune compagnie private militari e di sicurezza (PMSCs) si sono “date battaglia” per accaparrarsi lucrosi contratti per la sicurezza di ambasciate ed installazioni occidentali. La feroce concorrenza a suon di prezzi ribassati, indiscrezioni, udienze, alleanze e fusioni è sintomatica della natura di questi soggetti che, pur operando in campi sensibili come quelli di Sicurezza e Difesa, altro non restano che comunissime imprese commerciali.

Particolarmente coinvolta, sia in fase “offensiva” che “difensiva”, è la società britannica Aegis Defence Services.
Fondata nel 2002 da Tim Spicer ed acquisita recentemente dalla GardaWorld , si occupa di analisi e consulenze, addestramento e servizi di protezione in più di 60 Paesi, con una forza di oltre 3.500 dipendenti ed una flotta di più di 300 veicoli.
A fine agosto, la Aegis ha ottenuto dal Ministero degli Esteri australiano un contratto di tre anni del valore di $ 72,3 milioni per proteggere la struttura diplomatica di Kabul, scalzando la precedente società: dal 2010, Hart Security Australia addebitava a Canberra $ 36 milioni all’anno (80% in stipendi) per lo stesso servizio. Impiegava 120 operatori australiani selezionati esclusivamente tra ex appartenenti alle forze speciali e reparti di fanteria d’elite, pagandoli più di qualunque altro contractor in città.

Una scelta vincente se si considera che non sono accaduti incidenti seri in uno dei posti più pericolosi del pianeta. Dal punto di vista dei costi, l’elevata e ben referenziata qualità è risultata però eccessivamente onerosa per il committente. Per protezione ravvicinata di alto livello la Aegis paga ai suoi operatori $ 280 al giorno (lordi) contro i $ 550 (netti) della Hart. Incarichi meno qualificati come la guardia statica risultano ancora più economici e le turnazioni imposte sono di 9 settimane di servizio e 3 di riposo contro le 8 operative e 4 fuori servizio della Hart.

Nonostante molti professionisti considerino tali retribuzioni e turnazioni ridicole, la Aegis le ritiene comunque superiori a quelle dei concorrenti.
La sua offerta è risultata indubbiamente la migliore, non solo in termini di prezzo, ma anche considerando indicatori qualitativi come: esperienza ed addestramento di personale e società, possesso di licenze ed autorizzazioni, procedure d’acquisizione equipaggiamenti ed armamento, rispondenza al tender ecc. Anche la Hart Australia, dotata di un organico complessivo di 8.000 persone ed un giro d’affari annuo di A$ 640 milioni, aveva soddisfacentemente ottemperato ai requisiti imposti dal Ministero australiano per ben 5 anni. Pertanto la vicenda pare si sia esclusivamente giocata sul prezzo.

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Nato nega aver ignorato abusi su minori da parte truppe afgane.

Euronews – 22 settembre 2015

400x225 313973La Nato smentisce che la missione a guida statunitense in Afghanistan abbia chiuso un occhio sui ripetuti abusi sessuali ai danni di minori da parte delle forze afgane.

Abusi che, stando all’inchiesta pubblicata dal New York Times, sarebbero avvenuti anche nelle basi americane in Afghanistan. Episodi che risalgono agli anni 2010, 2011 e 2012.

Secondo la testata newyorkese i militari americani avevano l’ordine preciso di non intervenire in queste occasioni, nemmeno quando i fatti si erano consumati nella basi militari degli Stati Uniti.

Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca: “Lo sfruttamento sessuale viola le leggi afgane e gli obblighi internazionali dell’Afghanistan” ha detto in conferenza stampa.

“La protezione dei diritti umani e la lotta allo sfruttamento dei minori sono una delle priorità del governo Usa. Stiamo valutando con attenzione le accuse e ci siamo sempre battuti contro tali atrocità, proteggendo chi è stato sfruttato contro ogni principio di libertà”.

L’inchiesta del New York Times è basata sulle testimonianze e sulle deposizioni di diversi ex-militari Usa e del personale civile che ha servito in Afghanistan negli anni in questione.

 

Afghanistan, soldati Usa costretti al silenzio per abusi su minori. Gli ordini: “È la loro cultura”.

Repubblica.it – Esteri – 21 settembre 2015.

121527585 546c02c7 6221 487c 8ab2 f8eaffa77713Marines americani hanno l’ordine di ignorare le violenze sessuali che vengono compiute regolarmente dagli alti ufficiali della polizia del Paese, in alcuni casi anche quando avvengono nelle stesse basi militari: è quanto emerge da un’inchiesta del New York Times pubblicata oggi sull’edizione online del giornale.

KABUL ­ Sono orrori di guerra, e a rivelarne una parte oggi è il New York Times sull’edizione online del giornale. L’Inchiesta parte dal racconto di un padre che ha perso il figlio, soldato americano in Afghanistan.

Nella sua ultima telefonata a casa, Lance Cpl. Gregory Buckley Jr. gli aveva detto che alti ufficiali afgani abusavano sessualmente di ragazzi che, spesso, si portavano alla base. Aveva raccontato di sentire le urla dalla sua postazione. Era turbato, ma non poteva intervenire. Gli ordini erano quelli di voltare il viso dall’altra parte.

“Di notte siamo in grado di sentirli urlare, ma non siamo autorizzati a fare nulla”, queste le parole che ricorda il padre, Gregory Buck Sr., del soldato colpito a morte nel 2012. Ucciso proprio da uno dei ragazzi che vivono alla base con un comandante di polizia afgana, Sarwar Jan. Il padre l’aveva esortato a dirlo ai suoi superiori. “Ma ha risposto che i suoi ufficiali gli avrebbero detto di voltarsi dall’altra parte, perché è la loro cultura”.

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Cari sostenitori di AFCECO

Potete seguire la vita e le molteplici attività di AFCECO ai seguenti link:  www.afceco.org –  www.facebook.com/afcecochildrenwww.youtube.com/afcecochildren

afceco banner 300x128Cari sostenitori di AFCECO,
vorremmo ringraziare ancora una volta tutti voi, amici e finanziatori, per esserci vicini in questo momento difficile in Afghanistan. Mentre attorno a noi continuano i bombardamenti, gli attentati suicidi e tante altre cose terribili, qui da AFCECO abbiamo qualche buona notizia e diversi progressi da raccontarvi. Vi diamo qualche aggiornamento sui programmi del nostro orfanotrofio.

Dopo aver finito gli esami di metà anno, tutti i bambini sono stati in vacanza per circa tre settimane. Molti hanno trascorso la pausa estiva al loro villaggio e ora sono tutti tornati in orfanotrofio. I risultati degli esami sono stati affissi nelle loro scuole e abbiamo visto che molti hanno avuto ottimi voti: 17 di loro sono risultati primi nella loro classe, 18 sono risultati secondi e 25 sono terzi. Il loro successo si deve in gran parte agli educatori di AFCECO, che li hanno sostenuti e aiutati nella preparazione degli esami.

Ringraziamo inoltre Allyn Rosenberg e Lew Morris per avere finanziato gli studi di Shazia e Khalida nell’anno di preparazione per accedere all’università. Grazie al loro aiuto, Shazia e Khalida sono state entrambe ammesse in università pubbliche.
Gli studenti AFCECO che quest’anno prenderanno la maturità sono un po’ di meno di quelli dell’anno scorso. L’esame d’ingresso all’università, che noi chiamiamo “kankor”, è molto difficile e ogni anno molti candidati non lo passano. I nostri studenti si stanno già preparando molto seriamente.

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Afghanistan, Ghani: jihad contro la corruzione

Blog di E. Campofreda – 2 settembre 2015

ghani 02 27Bardato come usa fare quando è davanti a capi tribali e amici Warlords, il presidente afghano Ghani, in una conferenza stampa svoltasi ieri nella Amani High School di Kabul, ha annunciato di voler lanciare nientemeno che una jihad contro la corruzione amministrativa e governativa.

Cioè contro se stesso. Non ha lesinato metafore il successore di Karzai nel ruolo di Capo d’uno Stato fantoccio che non riesce, e non vuole, emanciparsi dal protettorato statunitense. Ha chiamato il fenomeno corruttivo “lesione cancerosa” che corrode la nazione e s’è rivolto al Consiglio degli Ulema, così da cercare sostegno fra i rappresentanti religiosi, che nella madrase e nelle moschee potrebbero offrire un contributo con esplicite prediche di condanna a simili tendenze.

Ghani ha rivelato che nel visionare 350 progetti in cerca di finanziamento la Procura Nazionale ne ha fermati 28, palesemente fuori dalle direttive di legge, risparmiando in tal modo ben 8.5 miliardi di moneta locale (per avere un parametro un dollaro vale 64.300 afghani).

Altre scottanti questioni affrontate: la proprietà e il furto della terra.
Fenomeno diffusissimo ai danni del demanio attuato da potentati locali che, in ogni provincia, s’impossessano di lotti di terreno, li recintano e li controllano tramite guardie armate spesso sotto gli occhi disinteressati o compiacenti degli agenti di polizia. Su quelle aree è in corso una speculazione edilizia, com’è accaduto due anni or sono nella capitale con la creazione dei due quartieri Shahrak – Aria e Tala’i – situati lungo il tragitto che dall’aeroporto conduce al centro città e nella zona orientale di Kabul. Costruzioni per la nuova élite ricca, figli e nipoti dell’establishment istituzionale dove molti Signori della guerra si sono collocati.

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Firmiamo l’ appello delle donne curde

eleonoraforenza.it  – 21 Agosto 2015

ekinvan 300x161Care Compagne,
vi giro l’appello delle donne kurde per condannare l’esecuzione di Kevser Elturk (Ekin Van), combattente delle YJA STAR torturata e uccisa dai militari turchi ed esposta nuda in modo disumano nel centro della città di Varto nel Kurdistan turco.

Firmate a nome dei vostri gruppi/organizazione/case/comitati/asamblee etc! (mandate un email a me con il nome del organizazione entro il 1 settembre!)

Condanniamo questo attacco a tutte le donne uniamoci contro la mentalità patriarcale e il femminicidio e il fascismo dello stato contro la legittima difesa delle donne. Stiamo raccogliendo le firme in tutta Europa. Non restiamo in silenzio!
jin jiyan azadi! biji yekitiya jinan!

Ciao Roj

Firmiamo l’appello delle donne curde!

La mentalità patriarcale e la complicità fra AKP e daesh è il segno più atroce del femminicidio.

Il movimento delle donne curde in Europa TJKE e la rappresentanza internazionale del movimento delle donne curde, l’ ufficio delle donne curde per la pace CENI, la fondazione internazionale delle donne libere, la casa delle donne Utamara, la fondazione Roj women, la fondazione Helin, e tutte le assemblee popolari delle donne curde in Europa conadanniamo fermamente l’ esecuzione di Kevser Elturk (Ekin Van), combattente delle YJA STAR torturata e uccisa dai militari turchi ed esposta nuda in modo disumano nel centro della città di Varto nel Kurdistan turco. L’onta e il disonore di questo gesto resterà scritto nella storia.

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COSÌ SI VIVE IN AFGHANISTAN!

Kabul, 11 agosto 2015: un messaggio da Maryam, attivista politica, sull’attentato che ha ucciso cento persone nella zona di Shah Shaheed (Kabul).

Kabul15aprile 300x185L’attentato pare sia stato provocato da un razzo o da un missile americano, mentre gli altri attentati erano attacchi suicidi taleban. Sono solo poche parole ma fanno comprendere molto bene con quale stato d’animo si viva in Afghanistan!

“Questi ultimi giorni sono stati un incubo: cinque pesanti esplosioni in 48 ore, io ne ho sentite tre. Ieri sono stata nell’area di Shashaheed, che è stata completamente distrutta. Abbiamo incontrato i feriti e i sopravvissuti. Poi siamo stati alla manifestazione anti USA. Penso che sia impossibile smettere di piangere quando ascolti le storie dolorose di questi giorni…

C’è stata anche una lunga e fortissima scossa di terremoto.

E per finire quando mio figlio è tornato da scuola ci ha detto che le telecamere di sicurezza hanno ripreso l’immagine di un uomo che ha filmato per tre ore l’ingresso dei bambini a scuola.

Abbiamo immediatamente informato Afceco (ndt: l’orfanotrofio sostenuto anche da Cisda), speriamo che non succeda nulla. Cosa possiamo fare? Possono anche chiudere la scuola per qualche giorno o qualche settimana, ma non per sempre!
Succedono cose molto dolorose ogni giorno, ma ci consideriamo abbastanza fortunate perché noi abbiamo FIDUCIA e SPERANZA nella nostra lotta…”