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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, il posto peggiore al mondo per nascere donna.

La Repubblica – Diritti umani – 8 giugno 2015

180826692 1bfb9d72 226e 486c a78f 99f43113c1d1Il Cisda (Coordinamento italiano sostegno donne afghane): la situazione della donna rimane catastrofica sia per l’istruzione, che dal punto di vista delle violenze quotidiane che le donne devono ancora subire.

ROMA – L’Afghanistan è stato definito il posto peggiore al mondo per essere una donna. I dati più recenti forniti da Human Rights Watch sono a dir poco sconfortanti: l’85% delle donne è senza istruzione, la metà si sposa prima dei sedici anni, ogni due ore una donna muore nel Paese dando alla luce un figlio, i casi di violenza sono cresciuti del 25% nell’ultimo anno e, sempre l’anno scorso, 120 donne si sono date fuoco.

Il monitoraggio. A monitorare la situazione e a fornire notizie sempre aggiornate sulla violazione dei diritti femminili è, dall’Italia, l’Osservatorio Afghanistan del Cisda (Coordinamento italiano sostegno donne afghane) un’associazione che dal 1999 lavora sul tema dei diritti della donna contro i fondamentalismi e le guerre. Non è il solito “progettificio” occidentale, ma un gruppo di volontarie che negli anni si sono recate sul territorio, hanno incontrato esponenti di associazioni femminili locali ed hanno iniziato ad appoggiarle, sostenerle, anche politicamente, nello loro scelte forti.

L’educazione, strumento di liberazione. “L’obiettivo spiega una delle componenti, Cristina Cattafesta è quello di contribuire a costruire una cultura di pace e dei diritti, in particolare attraverso un lavoro capillare di alfabetizzazione di donne e bambini per far nascere una coscienza civica che parta dalle donne. Il primo strumento da dare loro in mano è quello dell’istruzione, cioè la possibilità di frequentare la scuola per poi provare ad inserirsi nel mondo del lavoro, ma anche per acquistare una maggiore coscienza di sé e comprendere l’importanza di unirsi, condividere i problemi”.

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Attacco contro la principale agenzia di stampa afgana a Jalalabad

Internazionale – 11 giugno 2015

CHMLXAWW0AASqF0 300x225Una bomba è esplosa nell’ufficio di corrispondenza dell’agenzia di stampa afgana Pajhwok Jalalabad, nella provincia orientale di Nangarhar.. L’attentato ha causato molti danni ma solo due feriti. L’attentato, avvenuto nella serata del 10 giugno, non è ancora stato rivendicato ma il capo redattore, Danish Karokhil ha raccontato che negli ultimi tempi aveva ricevuto diverse minacce. “Spesso abbiamo ricevuto minacce e lettere dai miliziani che non erano contenti con la nostra copertura degli eventi” ha dichiarato alla Reuters. Karokhil ha invitato il governo a “fare di più per proteggere i giornalisti” nel paese.

Un portavoce del governatore provinciale, Ahmad Zia Abdulzai, ha assicurato che la polizia sta indagando sull’accaduto. Dopo la caduta del regime taliban nel 2001 la stampa in Afghanistan ha vissuto una stagione di ritrovata libertà ma i timori sulle nuove forme di controllo politico sui media e gli attentati delle milizie armate sono aumentati dopo il ritiro, nel 2014, della maggior parte dei militari stranieri. L’anno scorso sono morti almeno tre giornalisti.

GUERRA IN AFGHANISTAN: 100.000 PERSONE UCCISE DAL 2001 – REPORT

Dal sito di RAWA – 2.6.2015

scores dead bodies lying sL’indagine – denominata Costi della Guerra – riguarda i morti, i feriti e i profughi in Afghanistan e Pakistan dal 2001 all’anno scorso.

Secondo una recente ricerca della Brown University, la guerra in Afghanistan iniziata nel 2001 con l’invasione statunitense che ha rovesciato il regime talebano e dato avvio ad un’insurrezione interna, ha ucciso circa 100.000 persone e ne ha ferite altrettante.

L’indagine, denominata Costi della Guerra ed effettuata dall’Istituto Watson per gli Studi Internazionali della Brown University, si riferisce ai morti, ai feriti e ai profughi in Afghanistan e Pakistan dal 2001 all’anno scorso, quando le truppe internazionali hanno iniziato a lasciare il paese.

Neta Crawford, autrice di questa ricerca, ha riscontrato che le morti civili e militari in entrambi i paesi ammontano a circa 149.000 persone uccise e 162.000 gravemente ferite.

Le Nazioni Unite affermano che le vittime civili sono aumentate del 16% nei primi quattro mesi del 2015 con 974 persone uccise e altre 1.963 ferite.

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MESSAGGIO DEL SOLIDARITY PARTY OF AFHANISTAN (Partito Afghano della Solidarietà) AL PARTITO TURCO HDP (Partito Democratico dei Popoli) IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI DEL 7 GIUGNO 2015

Cari compagni dell’HDP

La storia rivoluzionaria della Turchia è intrisa di sacrifici e lotte per un mondo migliore, libero dall’oppressione, dall’avidità e dal fondamentalismo, condotte dagli indomiti figli e figlie di questa terra meravigliosa. La vostra epica battaglia è stata d’ispirazione e orgoglio per le forze progressiste del mondo intero.

La propaganda fatta dall’attuale governo turco per “la pace e la democrazia” ha rivelato la sua vera natura durante l’assedio di Kobane, quando ha chiuso la frontiera impedendo così a cittadini innocenti di fuggire dalla guerra e fornendo un sicuro passaggio all’ISIS – la bastarda procreazione di Erdogan, dei suoi fratelli fondamentalisti e dei governi imperialisti della NATO. Siamo convinti che senza il vostro sostegno, la vita dei guerrieri di Kobane sarebbe stata molto più dura. A nome delle forze rivoluzionarie e del popolo dell’Afghanistan esprimiamo la nostra gratitudine per il vostro sostegno agli abitanti di Kobane.

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TURCHIA, TORNA LO STATO DELLA PAURA – Il Cisda in delegazione fra gli osservatori internazionali

Dal blog di Enrico Campofreda – 6.6.2015

feritiaDiyarbakirLe bombe, i morti – Le bombe, il sangue, i morti, addirittura quattro, rendono l’aria pesante non solo nelle ore che separano dal voto, ma dopo quello che le urne determineranno.

Perché il risultato più gettonato dai sondaggisti prevede una tenuta, dunque non un successo assoluto, per il partito islamico e un’avanzata della coalizione dei kurdi e della sinistra democratica, quell’Hdp sul cui corpo militante sono stati collocati gli ordigni.

 
Uomini da lacerare, a vantaggio di chi? Erdoğan ha parlato di provocazione, ma ha colto l’occasione per riaprire polemiche, con Demirtaş inanzitutto che non avrebbe risposto alla sua chiamata di solidarietà e condoglianze per le vittime.

 
Quest’ultimo, pur invitando gli elettori (l’aveva fatto anche a caldo nella Diyarbakır insanguinata) a non farsi travolgere dagli eventi, volti a seminare terrore e innescare una conflittualità che il governo può gestire in funzione antidemocratica, ha risposto sostenendo come il compito d’un presidente sia scusarsi col popolo.

Al suo popolo Demirtaş ha detto di votare per conquistare l’agognato 10% e forse anche di più.

A chi giova? – Ma chi ha programmato un attentato, che allungherà la sua ombra, oltre la scia di sangue che si lascia alle spalle? L’analisi degli ordigni li scopre artigianali: piccole bombole di gas imbottite di sfere e chiodi, comunque mortali. Se non lo fossero state la strage avrebbe assunto proporzioni catastrofiche. Chi le ha collocate? quei Servizi che scoperti dal  Cumhuriyet smistare armi e munizioni verso i più fondamentalisti fra i combattenti di Siria?

È presto per dirlo, sebbene un passo simile andrebbe a colpire il governo in carica. Sevizi deviati? E quali? Gli agenti amici di Fethullah Gülen e perciò nemici del presidente o i residuati di quello ‘Stato profondo’ del ‘partito dei militari’ in odore di golpismo contro cui proprio Erdoğan ha condotto una dura lotta otto anni or sono? Certo, dal riflesso emotivo il partito islamico non guadagna; quei kurdi, di cui taluni sondaggi dei giorni scorsi evidenziavano un’incertezza nella scelta di lista, restano attoniti. Come loro tanti cittadini, che oggi toccano con mano insicurezza fisica e progettuale nella società, potrebbero abbandonare le certezze dell’erdoğanismo.

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IL CISDA IN TURCHIA NELLA DELEGAZIONE ITALIANA DEGLI OSSERVATORI INTERNAZIONALI

ESPLODE BOMBA A DIYARBAKIR ALL’INTERNO DELLA MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA DALL’HDP: 4 MORTI E 350 FERITI DI CUI 30 MOLTO GRAVI

Il CISDA prende parte alla missione di osservatori internazionali che seguono le elezioni turche del 7 giugno.

Qui di seguito i messaggi ricevuti dopo l’esplosione della bomba all’interno della manifestazione a cui partecipavano anche i componenti della nostra delegazione:

1° MESSAGGIO – 5.6.2015
Eravamo tutti alla manifestazione. Una marea umana di persone. Fortunatamente ci siamo spostati dal centro. Poco prima del discorso del candidato abbiamo sentito due botti. Abbiamo cercato di lasciare il posto e ci siamo riusciti. Ci siamo messi in un piccolo giardino e poco lontano la polizia sparava.

2° MESSAGGIO – 6.6.2015
Dopo il dolore per la giornata di ieri (i morti sono saliti a 4 e i feriti sono 350 di cui 30 molto gravi) oggi abbiamo partecipato a un meeting con tutte le delegazioni di osservatori.
Eravamo un centinaio e il meeting si è tenuto nella sede del partito, un bellissino edificio con grande auditorium, dedicato ad un famoso poeta Cegerxwin Genclik, che ospita un centro culturale.
Due avvocati ci hanno illustrato quale sarà il nostro compito di osservatori indipendenti e come si svolgeranno le elezioni.
Nel tardo pomeriggio abbiamo raggiunto la città di Bingol dove siamo arrivati alle 20.00. Con noi c’è la delegazione svedese composta di 8 persone. Incontro durante la cena col candidato della città e briefing sulla  giornata di domani.
Saremo destinati a coppie ad uno dei 7 distretti della città e accompagnati da un traduttore gireremo i vari seggi del distretto assegnatoci. Se sorgeranno problemi contatteremo uno degli avvocati che saranno a disposizione di noi osservatori.

Fotografie di donne condannate per “reati contro la morale” in Afghanistan

ilPost.it – 27/5/2015

Maj Daylight AlmondGarden 062 721La foto di una donna detenuta con la sua bambina in un carcere dell’Afghanistan (dal libro Almond Garden di ©Gabriela Maj)

Un reportage su donne incarcerate per aver violato “la legge di Dio”, spesso destinate a essere uccise una volta rilasciate.

Gabriela Maj è una fotogiornalista polacco-canadese che ha collaborato con diverse testate internazionali e televisioni. Il suo ultimo lavoro è stato raccolto in un libro intitolato Almond Garden e racconta per immagini e attraverso una serie di interviste la vita delle donne afghane detenute in carcere per “reati contro la morale”.

“Reato contro la morale” è un termine molto vago applicato per qualsiasi violazione della legge islamica, la shari’a: in alcuni casi queste donne sono fuggite da matrimoni in cui venivano abusate o ridotte a condizioni di schiavitù domestica, in altri sono colpevoli di aver fatto sesso prima o fuori del matrimonio (nel diritto islamico, si tratta del reato di zina), in altri casi ancora si tratta di donne che sono state stuprate o costrette a prostituirsi. Mentre i responsabili di queste violenze restano liberi, le loro vittime sono condannate a vivere in carcere, a volte incinte e con poche speranze di un futuro per sé e per i propri figli.

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Attività dell’associazione OPAWC

OPAWC – 5 Aprile 2015

untitled 1Si è tenuto un Workshop sulla condizione degli uomini e delle donne nella società.
I membri di OPAWC hanno partecipato a un seminario di due giorni organizzato da Afghan Women Network (AWN) a Kabul.

L’obiettivo di questo workshop è stato quello di migliorare la comprensione del ruolo di genere tra i partecipanti al fine di riconoscere il ruolo degli uomini e delle donne della comunità per quanto riguarda la parità dei diritti.
I partecipanti hanno posto molte utili domande: qual’è il ruolo appropriato del genere? Come distingure tra la responsabilità di uomini e donne? Come e in che modo le donne possono arrivare a comprendere i propri diritti, come si lotta per l’empowerment delle donne e per eliminare l’ingiustizia e la disuguaglianza esistente nel paese.
Presto queste informazioni saranno condivise con le donne al centro.

Il conflitto Afghano entra in una nuova fase

Internazionale – 24 maggio 2015 – di G. Crescente

thediplomat 2014 10 30 15 20 57 386x257All’inizio di maggio i rappresentanti dei taliban e del governo di Kabul si sono incontrati in Qatar per due giorni di trattative informali, alimentando le speranze di una svolta nel processo di pace. Anche se la recente ondata di attentati e violenze ha smentito le aspettative più ottimistiche, effettivamente negli ultimi mesi in Afghanistan sono cambiate molte cose.

Innanzitutto Hamid Karzai, l’uomo che aveva governato il paese dall’invasione statunitense del 2001 e la cui amministrazione era accusata da più parti di corruzione, settarismo e incompetenza, ha dovuto lasciare il potere al governo di unità nazionale formato da Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah dopo le contestate elezioni del giugno 2014.

Alla fine del 2014 è scaduto il mandato delle Nazioni Unite per la missione Isaf ed è stato formalmente completato il ritiro del contingente militare internazionale. Il nuovo governo ha firmato l’accordo che permetterà agli Stati Uniti di mantenere nel paese circa diecimila soldati fino al 2016, che Karzai aveva sempre rifiutato.

Infine, la Cina sembra essersi decisa a fare il passo che tutti gli analisti attendevano con impazienza, ovvero aumentare quantitativamente e qualitativamente il suo impegno nella stabilizzazione dell’Afghanistan per colmare il vuoto lasciato dal ritiro statunitense. Ad aprile Pechino ha annunciato che investirà 46 miliardi di dollari nel vicino Pakistan per realizzare un corridoio infrastrutturale che dovrebbe collegare la provincia occidentale cinese dello Xinjiang con il porto pachistano di Gwadar.

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Il 60% dei lavoratori afghani è disoccupato

The Killid Group – 21 Maggio 2015 (dal sito RAWA News)

afghan workers wait for workIl salario medio mensile è un misero 5.000 Afs (83 USD), che è ben al di sotto i livelli di sostentamento.

Il sessanta per cento degli operai afghani sono senza lavoro, e coloro che sono impiegati raramente hanno la certezza di un normale orario di lavoro in un ambiente sicuro.

Maroof Qaderi, il responsabile del sindacato dell’Afghanistan dice che i numeri dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e CSO (Ufficio Centrale di Statistica) mostrano 12 milioni di persone che si qualificano come lavoratori nel paese. Ci sono leggi sul lavoro, ma la maggior parte delle persone non sono consapevoli dei loro diritti. Il salario medio mensile è un misero 5.000 AFS (83 USD), che è ben al di sotto i livelli di sostentamento.

Il Ministero del Lavoro e degli affari sociali ha nuovi dati che mostrano 7 milioni di persone che hanno bisogno di trovare un lavoro a tempo pieno – 2,5 milioni non hanno lavoro del tutto. L’incertezza politica ha paralizzato l’economia. Le speranze di una rinascita connesse all’installazione di un nuovo presidente sono state deluse dalle differenze tra i leader del governo di unità nazionale. Eppure, 500 permessi di lavoro sono stati rilasciati alle donne l’anno scorso, dice Ali Eftekhari, il portavoce del ministero del lavoro.

Maryam Yusufi a capo di una azienda artigianale che è stata lanciata nel 2005, senza alcuna sovvenzione, né governativa, né non governativa spiega che più di 400 donne sono state impiegate nella sola unità di sartoria ma, il rallentamento dell’economia che ha avuto inizio lo scorso anno ha colpito duramente la sua attività. Yusufi dice che ha scritto a numerose organizzazioni non governative per chiedere aiuto, ma niente è successo.

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