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Autore: Anna Santarello

Ghani-taliban, incontri qatarini

Enrico Campofreda – 4 maggio dal suo Blog

10AFGHANISTAN master675 300x215Sembra lontano, lontanissimo quel 2009 quando i colloqui fra talebani afghani e uomini della Cia avvenivano nei territori “neutrali” delle aree tribali oppure nella pakistana Quetta, dove il mullah Omar trovava rifugio prima che l’offensiva della locale Intelligence lo sloggiasse anche da lì.

 
Quegli incontri erano segretati o comunque discretissimi, per non far trapelare il doppiogiochismo praticato a fasi alterne da statunitensi (coadiuvati dai britannici) e uomini del governo Karzai, anche in concorrenza fra loro. Mentre le diplomazie avvicinavano i nemici, i militari dell’una e altra parte si sparavano addosso. Messi da parte gli appuntamenti criptici ora tutto avviene alla luce del sole. Del Golfo.

Nell’ufficio talebano in Qatar, che dal 2013 rappresenta una realtà e in questi giorni ospita le fazioni. Domenica scorsa l’iniziativa ha avuto un ennesimo rilancio, sotto la conduzione del presidente Ghani che definisce i dialoghi “discussione scientifica”, mentre i taliban l’etichettano come “conferenza di ricerca”. A far da ambasciatore di bendisposti diplomatici delle due parti – rivela un informato cronista del New York Times – è Nazar Mohammad Mutmaeen, uno scrittore che all’epoca del governo talebano a Kabul ha vestito i panni di funzionario. E nonostante il passato è tornato da qualche tempo a vivere nella capitale.

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Il 1 Maggio manifestazione di lavoratori a Kabul

Abasin Zaheer – Rawa News – 1 maggio 2015

Il giorno della festa dei lavoratori, un centinaio di persone hanno organizzato una manifestazione di protesta nella capitale Kabul, per domandare opportunità di lavoro.
La dimostrazione è stata organizzata dal sindacato Nazionale dei Lavoratori (NLU) con l’obiettivo di fare pressione sul governo per aumentare gli stipendi dei lavoratori.

Mohammad Maroof Qadari, il leader del NLU,ha chiesto al governo di implementare leggi sul lavoro, aumentare i salari degli impiegati governativi e facilitare i lavoratori.
I dimostranti portavano cartelli che dicevano “abbiamo bisogno di lavoro” e ” abbiamo bisogno di pane”.

Ahmed Shah, uno dei manifestanti, ha dichiarato al notiziario di Pajhwok Afghan News: “È duro per i lavoratori dare alle proprie famiglie tre pasti al giorno dal momento che non si trova lavoro ogni giorno.”
Habibiullah, un altro manifestante, ha detto ” molti lavoratori sono costretti alla sera ad elemosinare dopo che non sono riusciti a trovare un lavoro per tutto il giorno.

Il 1 Maggio si celebra in tutto il mondo la festa del lavoro o della lotta che i lavoratori fanno per avere riconosciuti i propri diritti.

Gli afghani bocciano il presidente Ghani, pace con i Talebani è priorità solo per il 12%

Adnkronos – 5 maggio 2015

ghani ashraf xin 300x185Il presidente Ashraf Ghani (foto Xinhua)

Cala in Afghanistan la popolarità di Ashraf Ghani, salito al potere dopo 13 anni di governo di Hamid Karzai. Da un sondaggio realizzato dall’afghana Atr Consulting e ToloNews emerge come il 43,5% degli afghani “non sia assolutamente soddisfatto” del nuovo presidente. A gennaio era della stessa opinione il 32% della popolazione del Paese martoriato da decenni di guerre.

E, mentre si parla di nuovi tentativi di colloqui di pace con i Talebani, l’inchiesta rivela come solo il 12,1% degli afghani ritenga che la priorità del governo di Kabul debba essere il raggiungimento di un accordo di pace con i seguaci del mullah Omar.

Per il sondaggio sono state intervistate tra il 22 e il 29 aprile 2.669 persone nelle 34 province afghane. Intanto i Talebani hanno annunciato l’avvio dell’annuale offensiva di primavera e per Ghani è essenziale riuscire a portare i Talebani al tavolo dei negoziati per porre fine al conflitto nel Paese. Ad oggi però solo il 25,5% degli intervistati si dice a favore dell’operato del presidente, che lo scorso anno – appena assunto l’incarico – incassava la fiducia del 59,9% degli afghani.

Dall’inchiesta emerge anche come solo il 23,8% delle persone intervistate promuova a pieni voti l’operato del Chief Executive Abdullah Abdullah, uscito sconfitto lo scorso anno dal ballottaggio con Ghani per le presidenziali. Il 18,7% si dice invece “moderatamente soddisfatto” e il 43,5% boccia il suo operato, mentre il 14% non ha espresso alcuna opinione.

Per il 71,3% degli afghani la priorità del governo di unità nazionale di Kabul dovrebbe essere la questione della sicurezza, mentre il 6,7% concentra l’attenzione sullo stato dell’economia e il 5,4% sulla necessità di riforma del sistema elettorale.

Il 12,1% degli afghani ritiene essenziale un accordo di pace con i Talebani e proprio ieri i seguaci del mullah Omar si sono detti favorevoli alla possibilità di colloqui di pace con il governo di Kabul, ma solo a condizione del ritiro dall’Afghanistan di tutte le truppe straniere e della cancellazione di alcuni esponenti di spicco del movimento dalla blacklist del terrorismo delle Nazioni Unite.

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Comunicato di RAWA sui crimini del 27 e 28 Aprile

Dal sito di RAWA – 28.4.2015

COMUNICATO DI RAWA – Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane – sui crimini del 27 e 28 Aprile

I CRIMINALI ASSASSINI DEL 27 E 28 APRILE SONO I RESPONSABILI DELLA SOFFERENZA DEL NOSTRO POPOLO!
Cancelliamo dalla nostra storia le vergognose macchie del 27 e 28 Aprile attraverso la nostra leale battaglia contro il fondamentalismo.

saur 8 rawa cover 2015Il 28 Aprile di 23 anni fa, le bande jihadiste presero il potere a Kabul commettendo atrocità che causarono bagni di sangue mai visti prima nel nostro paese.
Questi criminali sono stati finanziati e armati per 14 anni dai paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti, attraverso i governi reazionari del Pakistan, dell’Iran e dell’Arabia Saudita.

Questi mostri fondamentalisti, sotto la leadership di Sayyaf, Gulbuddin, Massoud, Mazari, Rabbani, Dostum, Fahim, Qanooni, Ismail Khan, Mohsini, Mohaqiq, Khalili, Mullah Izat, Bismillah Khan, Abdullah Abdullah, Atta Noor, Zalmai Toofan, e decine di altri assassini, si impossessarono di depositi di armi, fondi del tesoro e altri patrimoni nazionali. Inoltre, il governo guidato dai Mujaheddin concesse l’amnistia alla maggior parte dei capi e dei traditori del Partito Democratico del Popolo, che diede avvio alla devastazione e alla distruzione del nostro paese. A tutti questi personaggi venne garantito il visto affinché si rifugiassero in vari paesi europei.

Migliaia di nostri compatrioti indifesi furono massacrati in questa sanguinaria battaglia.
La nostra storia si vergogna di dover narrare i crimini selvaggi commessi contro la nostra gente, in particolare contro le donne, da parte delle bande jihadiste durante i quattro anni in cui sono rimaste al potere. Un numero incalcolabile di ragazze e donne vennero stuprate di fronte ai loro cari e molte altre si suicidarono per sfuggire a questo destino. I continui attacchi esterni forzarono intere famiglie a bruciare i cadaveri dei loro cari in giardino o addirittura all’interno delle loro case.

Le case e gli averi vennero saccheggiati, i nostri beni nazionali venduti nei negozi in Pakistan, le scuole, le università e gli edifici governativi si trasformarono in prigioni e luoghi di tortura.

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Kabul, inizia il processo per il linciaggio Farkhunda

Dal blog di Enco Campofreda – 3.5.2015

 81866037 81866036Per i tempi giuridici afghani è iniziato anche in tutta fretta (poco più d’un mese) il processo a 49 uomini accusati d’aver massacrato la ventottenne Farkhunda a calci, pugni, bastonate e poi d’averne bruciato il corpo.
La colpa della donna – tutta da dimostrare – sarebbe stata quella d’aver dato fuoco a una copia del Corano. Testimoni sostengono che il gesto blasfemo non è mai accaduto.

Ma già si sente dire che egualmente anche il corpo di Farkhunda non avrebbe subìto lo scempio della combustione. Il linciaggio mortale, però, c’è stato e la colpa di diciannove fra gli accusati, tutti poliziotti che vestivano la divisa, è quella di non essere intervenuti.
Di non aver frenato la furia maschile e maschilista, ammantata da presupposti di tradizionalismo religioso.

Il procuratore di Kabul ha chiesto al capo della polizia e al ministro dell’Interno del governo Ghani di presenziare al processo su cui si concentra l’attenzione di molti media, interni e stranieri, anche a seguito della significativa ondata di protesta femminile che a fine marzo scorso aveva visto mobilitarsi duemila donne in corteo nella capitale afghana.

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Afghanistan, i talebani annunciano l’offensiva di primavera

IL VELINO.IT – 22.4.2015

Si chiamerà “Perseveranza” e punterà alle forze occidentali. Obiettivo: recuperare la leadership.

Come accade di consueto da tempo in Afghanistan, i talebani annunciano la loro offensiva di primavera. Quest’anno il nome in codice dell’operazione, che vedrà tutto il paese coinvolto, è “Azm”, cioè “Perseveranza” e gli obiettivi saranno soprattutto le forze internazionali (i crociati secondo i jihadisti).

A questo proposito, i fondamentalisti hanno fatto sapere in un comunicato inviato ai media che verranno prese di mira soprattutto le sedi diplomatiche straniere, le basi militari e i centri d’intelligence. L’operazione comincerà già venerdì dopo il consueto sermone settimanale. La motivazione del target è stata definita nel testo a seguito del fatto che i partner internazionali – Stati Uniti in testa – dopo gli accordi recentemente firmati col governo afghano “continueranno a mantenere il controllo della nostra terra”, anche se con un numero di forze limitate rispetto al passato.

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Afghanistan, l’Isis mette le radici

Lettera 43 – 30.4.2015

Scissioni interne, vuoti di potere, disperazione: al Baghdadi trova terreno fertile. Nel Paese 6.500 combattenti. Usa in ritirata. E spuntano i primi campi di traning.
di Barbara Ciolli

Nelle terre di nessuno della Libia e, dopo le sconfitte in Iraq, in Afghanistan.
Dalle trincee siriane, il Califfato islamico si allarga e si ramifica dove il controllo del territorio è meno forte, come in un sistema di vasi comunicanti, regredendo dove è aggredito ma rispuntando lontano, con molte metastasi.
L’analogia del presidente americano Barack Obama tra il «cancro» e l’Isis era giusta, come dimostrano le impennate terroristiche in Kenya e Nigeria, di gruppi affiliati al cosiddetto Stato islamico come i Boko Haram o di rami dei qaedisti di al Shabab, in odore di passaggio all’Isis.

GUERRA TRA TALEBANI. Dell’Africa centrale e del Nord Africa, con le cronache dei morti (anche italiani) negli attentati in Libia e Tunisia, si parla molto.
Molto meno si parla, sottovalutando il fenomeno, dell’Afghanistan: uno Stato, come la Somalia, con scarsissima autorità statale, dove, con il ritiro americano entro il 2016, il vuoto da conquistare è in prevedibile espansione, con ampie possibilità di business criminali.
Per il capo dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi, le valli dei talebani o di gruppi ancora più fondamentalisti, in lotta intestina tra loro, sono seconde solo alla Libia per potenziale d’attrazione.

RECORD DI JIHADISTI. In fuga dal Kurdistan iracheno e da Tikrit, a Nord di Baghdad, i jihadisti si allargano verso la Siria, alle porte di Damasco, o a Est, verso Kabul.
I campi d’addestramento in Afghanistan esistono dagli Anni 90. L’ultimo rapporto dell’Onu sull’Isis e al Qaeda ha stimato 6.500 combattenti dal Paese, il numero più alto di jihadisti reclute o reduci di Siria e Iraq.
Capi locali e simpatizzanti afghani, ripresi dall’americana Cnn, hanno issato le prime bandiere nere d’affiliazione. Mentre, stando a fonti russe, dai narcotrafficanti afghani l’Isis ha entrate annuali pari a 1 miliardo di dollari.

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L’Isis alle porte di Kabul. Gara di terrore con i taleban

LA STAMPA – 19.4.2015

2015 04 18T073955Z 1128670772 GF10000063718 RTRMADP 3 AFGHANISTAN BLAST U10402938804153jaB U10402940244464vqD 384x285LaStampa NAZIONALEIl terrore nelle strade di Jalalabad subito dopo l’attentato rivendicato dall’Isis afghano

Rivendicato il primo attacco in Afghanistan: 33 morti a Jalalabad. E nelle valli tornano sharia e sequestri: “Mai stati così brutali”.

Kiran Nazish
Orovincia di Kunar (Afghanistan)

Sul fronte orientale della provincia del Kunar la tensione non fa che salire. Dall’inizio dell’anno Dangam, piccola città al confine con il Pakistan, trema per i colpi dei fucili automatici e dell’artiglieria pesante sparati negli scontri fra i taleban e l’esercito. I combattimenti stanno causando enormi perdite tra le fila dell’esercito afghano che, dopo il ritiro degli Stati Uniti, è rimasto a combattere da solo.

«Ormai non possiamo più spingerci in alcune zone di Kunar, è troppo pericoloso, perderemmo troppi uomini», dice Abdul Hadi, soldato dell’esercito che a gennaio ha combattuto a Dangam.

I miliziani anti-Stato stanno guadagnando terreno e forze e il loro numero continua ad aumentare: «Dalla fine dell’anno scorso un numero altissimo di foreign fighters è venuto in Afghanistan per unirsi ai ribelli», aggiunge Hadi. Ma non basta: ieri un attacco a Jalalabad (33 morti e 100 feriti) è stato rivendicato dall’Isis afghano, conosciuto anche come gruppo Khorasan. L’azione ha rimarcato la presenza sempre più capillare dell’Isis, che recluta miliziani nella regione sin dalla fine del 2014.

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Afghanistan, i danni collaterali dell’insorgenza

Dal blog di Enrico Campofreda – 30.4.2015

attentatoChi attenta cosa

 
I due ultimi grossi attentati in Afghanistan: l’attacco al santuario Dolakai Baba e quello a una filiale della Kabul Bank, che hanno provocato 33 vittime e oltre 100 feriti nella zona di Jalalabad, stanno facendo discutere stampa e politici locali su quale sia la matrice degli stessi.

 
La rivendicazione lanciata via Twitter dal portavoce interno dello Stato Islamico, Shahidullah Shahid, può essere autentica o simulata. Si pensa anche ai talebani del Khorasan, negli ultimi mesi avvicinatisi all’Is, oppure ai talebani di casa. L’accertamento di chi siano mente e braccio esecutivo ha una ricaduta sull’attualità politica per comprendere se nuovi attori si siano impossessati della scena dell’insorgenza terroristica.

 
L’uso di ordigni artigianali (Improvised explosive device) riporta immediatamente alla rete dei talebani interni che dal 2007 hanno introdotto, diffuso e massicciamente utilizzato questo genere di bombe.

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La Casa Bianca ammette: non sapevamo che l’attacco del drone mirava a uccidere

The Guardian –  23 Aprile 2015

Reprieve 150x150Bersagli generici di “compound di al-Qaeda” fanno intuire che il cambiamento della politica chiesta da Obama che prevedeva ‘quasi certezza dei bersagli’ non è stata attuata

La Casa Bianca ha fatto sapere che gli obiettivi degli attacchi dei droni mortali che hanno ucciso due ostaggi e due presunti membri americani di al-Qaida sono stati mirati a generici “compound di al-Qaeda”, piuttosto che a specifici sospetti terroristi.

La mancanza di specificità suggerisce che, nonostante una molto pubblicizzato cambiamento di politica da parte di Barack Obama nel 2013 che avrebbe dovuto limitare le uccisioni droni e che, tra le altre cose, avrebbe dovuto richiedere “quasi certezza che l’obiettivo terrorista fosse presente”, gli Stati Uniti continuano a lanciare operazioni letali, senza la necessità di conoscere chi in particolare si cerca di uccidere, pratica che è viene denominata come “attacco con la firma”.

Josh Earnest, il portavoce della Casa Bianca, ha riconosciuto che le morti di gennaio degli ostaggi Warren Weinstein e Giovanni Lo Porto potrebbero richiedere l’inasprimento delle norme sui bersagli dei droni letali e altri attacchi contro il terrorismo. Una revisione della Casa Bianca è in corso.

“All’indomani di una situazione come questa, che solleva legittimi interrogativi sul fatto che ulteriori modifiche debbano essere fatte a questi protocolli,” Earnest ha detto che “l’obiettivo preso di mira a gennaio al confine Afghanistan-Pakistan è stato “un compound di al-Qaida”. I due civili americani uccisi Adam Gadahn e Ahmed Farouq di al-Qaeda nel subcontinente indiano, non erano “obiettivi di alto valore” per i quali l’attacco avrebbe dovuto essere mortale.

Nel maggio 2013, Obama aveva comunicato che gli attacchi dei droni sarebbero stati consentiti solo quando l’amministrazione avesse avuto “la quasi certezza che nessun civile venisse ucciso o ferito, i più alti standard sarebbero stati applicati”.

Altri criteri erano stati svelati inclusi una minaccia reale imminente terroristica, anche se il Dipartimento di Giustizia aveva affermato che l’adesione ad al-Qaida implica necessariamente tale minaccia e l’assenza di valide alternative agli attacchi.

Jameel Jaffer, vice direttore legale della American Civil Liberties Union, ha detto che le uccisioni accidentali rivelate Giovedì fanno nascere “domande circa l’affidabilità e la profondità dell’Intelligence alla quale il governo si affida quando decide di condurre attacchi con i droni”.

” in realtà, in nessuno di questi due casi il governo ha fatto sapere in anticipo chi stava uccidendo. Ciò fa sollevare domande su quanto il governo sa – o quanto poco il governo sa – prima che prema il grilletto “, ha detto Jaffer.

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