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Autore: Anna Santarello

Ritrovati in Afghanistan i corpi di cinque operatori di Save the children

Internazionale – 11 aprile 2015

I corpi di cinque operatori umanitari dell’ong Save the children sono stati ritrovati nel sud dell’Afghanistan, alcune settimane dopo che erano stati rapiti da uomini armati. L’ha annunciato l’Onu.

afp aid workers afghanistanLe vittime facevano parte dello staff locale di Save the Children

Il gruppo di operatori era stato sequestrato a Trinkot, capoluogo della provincia di Uruzgan, il 3 marzo.

Un portavoce del governatore provinciale ha accusato i taliban per l’uccisione, dichiarando che c’era stata una richiesta di scambio di prigionieri.

Non è arrivata ancora nessuna rivendicazione ufficiale.

Afghana violentata e arrestata per adulterio costretta a sposare il suo stupratore: Gulnaz è prigioniera della società (FOTO, VIDEO)

Nick Paton Walsh 8 aprile 2015 CNN – Redazione di  L’Huffington Post – 9 aprile 2015

n AFGHANA large570Una donna afghana che è stata stuprata dal marito di sua cugina e di conseguenza è stata arrestata con l’accusa di adulterio si è sposata col suo assalitore ed ora è in attesa del terzo bambino di cui lui è il padre

(Una donna afghana è stata costretta a sposare il suo stupratore, per non cadere in disgrazia. Per saperne di più  http://t.co/VISmsXZdj3  — CNN (@CNN) April 8, 2015)

La donna, conosciuta solo con il nome di Gulnaz, ha raccontato alla CNN la sua straziante situazione insieme al suo marito-stupratore Asadullah e alla sua figlia più giovane, seduta vicino a lei a Kabul in Afghanistan.

La donna racconta di essere stata assalita da Asadullah quando aveva 16 anni e lui era già sposato, venendo in seguito arrestata per “adulterio forzato” – crimine per cui in Afghanistan è prevista una pena di reclusione pari a 12 anni – e costretta a partorire in carcere la bambina che era stata concepita durante lo stupro.

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Afghanistan, quotidiane esecuzioni alleate

Enrico Capofreda – 9 aprile 2015 – dal suo Blog

attaccantipakistani 300x168È un giovedì come un altro nella città di Mazar-e-Sharif, capoluogo della provincia settentrionale di Balkh, in Afghanistan. Un gruppo di cinque uomini rapidi, armati, determinati penetrano in un compound sede del capo procuratore regionale. Sono attentatori talebani e, come in altre occasioni, indossano divise dell’esercito locale, così non vengono fermati da nessuno. Gettano una bomba a mano all’ingresso della struttura.

La polizia beffata risponde al fuoco e chiama rinforzi, mentre due agenti e il capo della polizia restano immediatamente uccisi. A fine sparatoria si raccolgono i cadaveri di altri cinque poliziotti e quattro giudici per un totale di dodici morti e settanta i feriti fra cui molti passanti. Come in centinaia di situazioni simili, sebbene negli ultimi tempi Mazar era rimasta esente da attentati.

A Jalalabad, verso il confine pakistano, una squadra delle Forze Armate, quelle addestrate dai ‘consiglieri’ statunitensi, nel corso di un pattugliamento incrocia un reparto americano. Un soldato afghano prende la mira e fredda un collega a stellestrisce e in rapida successione ne ferisce due. Nello scambio a fuoco gli viene restituita la pariglia: ucciso anche lui.

Si trattava d’un talebano infiltrato? Non lo saprà mai il generale Fazed Ahmad Sherzad, il capo della polizia dell’area di Nangarhar, che ha svelato l’incidente alla stampa ammettendo che è avvenuto dopo un incontro fra leader politici locali e personale dell’ambasciata statunitense della città sul confine orientale. L’annuncio è seguito anche da un incrocio di dati su feriti, due da ambo le parti, non dichiarati e poi svelati con l’aggiunta d’un morto in più, anche sulla sponda americana. Lo conferma pure un dispaccio della Nato.

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Afghanistan, Amnesty: governo e comunità internazionale voltano le spalle alle donne

Amnesty International – 7 aprile 2015 – Redazione Italia

Afghan teacherIn un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha accusato il governo afgano di aver abbandonato le donne che difendono i diritti umani, nonostante gli importanti risultati che cercano di raggiungere a fronte di una crescente violenza, fatta di minacce, aggressioni sessuali e omicidi.

Il rapporto, intitolato “Le loro vite in gioco”, illustra come importanti sostenitrici dei diritti delle bambine e delle donne (dottoresse, insegnanti, avvocate, poliziotte e giornaliste) siano state prese di mira non solo dai talebani ma anche dai signori della guerra e da rappresentanti del governo. Le leggi che dovrebbero proteggerle sono mal applicate o non lo sono affatto, mentre la comunità internazionale sta facendo ben troppo poco per alleviare la loro sofferenza.

Nel suo rapporto, Amnesty International descrive casi di donne che, per aver difeso i diritti umani, hanno subito attacchi mentre erano alla guida delle loro automobili o si trovavano in casa e sono state vittime di omicidi mirati. In alcuni casi, a essere presi di mira sono stati anche i loro familiari.

Molte, nonostante i continui attacchi, continuano a portare avanti il loro lavoro, nella piena consapevolezza che non sarà fatto nulla contro i responsabili degli attacchi.

“Negli ultimi 14 anni, donne provenienti da ogni parte della società e impegnate a difendere i loro diritti umani, hanno lottato per ottenere importanti risultati. Molte hanno pagato il loro impegno con la vita. È vergognoso che le autorità afgane le abbiano abbandonate a sé stesse, in una situazione come quella attuale che è più pericolosa che mai” – ha dichiarato da Kabul, dove ha presentato il rapporto, Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

“Col ritiro delle truppe quasi completato, in troppi nella comunità internazionale sembrano felici di nascondere l’Afghanistan sotto il tappeto. Non possiamo abbandonare questo paese e coloro che mettono in gioco le loro vite per difendere i diritti umani, compresi i diritti delle donne” – ha proseguito Shetty.

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Per le donne afghane, la violenza rimane radicata.

Rahim Faiez e Lynne O’Donnell – 7 aprile 2015 – Associated Press – Rawanews

young girl abuse victim afghanistanKABUL, Afghanistan – Durante lo scorso anno, la ragazza è vissuta in un rifugio nella capitale dell’Afghanistan, sperando in una nuova vita lontano dagli abusi sessuali che hanno sconvolto la sua famiglia.

Martedì 17 febbraio 2015, una ragazza afghana di 17 anni arriva da un’intervista con AP a Kabul in Afghanistan. Nell’ultimo anno ha vissuto in una casa protetta nella capitale, dopo essere fuggita da una vita di abusi sessuali prima da parte del padre dall’età di 9 anni, poi da un uomo che le ha dato ad intendere che l’avrebbe aiutata.

La storia è terribile, ma rappresenta il problema della violenza contro le donne, che gli attivisti dicono rimane profondamente radicata nel paese nonostante gli sforzi per un cambiamento.

Suo padre ha abusato di lei da quando aveva nove anni ed ha permesso ai suoi amici di fare altrettanto. Lei non lo ha detto a nessuno, perché non capiva ciò che le stava capitando. Ma ogni pretesa di normalità è stata sconvolta quando un esame medico ha rivelato che suo fratello era sterile e che suo padre era anche il padre del figlio di suo fratello.

Allora lei è fuggita dal suo villaggio, nel nord dell’Afghanistan e si è diretta a Kabul. Li è stata accolta da un tassista e dalla sua famiglia. Ma dopo pochi giorni lui ed i suoi amici – tutti eroinomani – l’hanno rinchiusa con altre tre ragazze e tutte sono state ridotte a schiave del sesso.

“Sono finita nella stessa situazione da cui ero fuggita. Ogni giorno un uomo diverso veniva da me,”la ragazza ha dichiarato all’Associated Press. L’A.P. non rivela l’identità delle vittime di abusi sessuali. La giovane ha parlato nella speranza di prevenire abusi su altre ragazze.

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Un’altra buona ragione per destinare il 5X1000 al Cisda.

HAWCA – (Humanitarian Assistance for Women and Children o Afghanistan).

Nell’ambito delle attività del Centro Aiuto Legale di Mazar-e-Sharif, progetto sostenuto da CISDA e finanziato da Fondazione Adiuvare, è stato effettuato un corso per operatori della Polizia, 34 tra uomini e donne, sull’Eliminazione della Violenza Contro le Donne, Investigazioni e Giustizia.
Un’altra buona ragione per destinare il 5X1000 al Cisda.

A training held for Police officers in Mazar through our legal Aid project in Balkhb province. the training was for 34 men and women police officers and the topic of the training was about EVAW law. the training also covered Investigation, law enforcement and Police clashes according to Law.

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Un’attivista di RAWA ha partecipato, in Turchia, alla Prima Conferenza della Gioventù Democratica del Medio Oriente

RAWA.org – 28.03.2015

turkey trip rawa panel conference 300x189Attivista di RAWA (viso sfocato per ragioni di sicurezza) parla alla Prima Conferenza della Gioventù Democratica del Medio Oriente

La conferenza ha dato voce ai giovani impegnati nelle lotte rivoluzionarie per la libertà, la democrazia e il progresso nei loro paesi.

La Prima edizione della Conferenza della Gioventù Democratica del Medio Oriente si è tenuta a Diyarbakir, in Turchia, dal 13 al 15 marzo 2015. Alla conferenza, organizzata dal Congresso della Società Democratica (DTK) e dal Congresso Democratico Popolare (HDK) ha partecipato un’attivista di RAWA (Heela Faryal ) in rappresentanza dell’Afghanistan.

La conferenza verteva sul ruolo dei giovani nel condurre nei loro paesi le lotte rivoluzionarie per la libertà, la democrazia e il progresso. Vi hanno preso parte circa 300 giovani attivisti politici di diverse organizzazioni con sede in Tunisia, Egitto, Libano, Iraq, Palestina, Cipro, Giordania, e Armenia.

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Introdurre i diritti nella relazione tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan

Patricia Gossman 24 marzo 2015 (Pubblicato su Haffington Post)

HRW GossmanPatricia Gossmann è la ricercatrice responsabile dell’Afghanistan per Human right Watch

Quando il Presidente afghano Ashraf Ghani ha parlato al Congresso degli Stati Uniti questa settimana, il suo impegno governativo sui diritti umani è apparso come un accenno momentaneo nel suo discorso – ma date le sfide formidabili che l’Afganistan affronta per proteggere i diritti umani fondamentali, meriterebbe molto di più di ciò.

Una delle sfide più grandi di Ghani è trattare con l’eredità dei signori della guerra e degli “uomini forti” che continuano ad esercitare il potere in gran parte dell’Afghanistan. Dal 2001, la politica americana in Afghanistan è stata dettata dal fatto di dover armare alcuni di questi potenti uomini forti per un problema di sicurezza a breve termine – al costo di una stabilità a lungo termine di un buon governo. I diritti fondamentali e lo stato di diritto sono trascurati.

Questa volta gli Stati Uniti dovrebbero  appoggiare gli sforzi riformistici di Ghani, visto che , a differenza del suo predecessore, ha dato segno di una certa prontezza nel frenare alcuni dei peggiori abusi commessi in Afghanistan dalle forze di sicurezza, e nel riformare la magistratura afghana corrotta e che viola i diritti.

Ghani vuole che le truppe rimangano più a lungo e finanziamenti per pagare i salari dei soldati e della polizia per contrastare una minaccia talebana che sta aumentando. Comunque, fino a ora, una grossa parte dell’assistenza militare americana ha armato ed equipaggiato la milizia e le forze di polizia-e i loro comandanti- alcuni dei quali hanno assalito, stuprato ed estorto denaro alla gente, alienandosi perciò la popolazione ed alimentando l’insorgenza. Il governo afghano dovrebbe sciogliere tutti i gruppi armati irregolari, e ritenerli colpevoli degli abusi che hanno commesso.

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Afghanistan, presenza duratura

Enrico Campofreda – 25 marzo 2015 dal suo Blog

americansoldiersIn barba a ogni tattica diversificatrice, che nei mesi scorsi l’ha condotto al cospetto del temuto Pakistan e anche a sondare l’ipotesi d’un rilancio di trattative coi talebani interni (rete di Haqqani e alleati), il presidente afghano Ghani ha ripreso la strada maestra tracciata dal grande tutore statunitense. Nell’intervento tenuto ieri alla Casa Bianca ha avallato la dichiarazione del presidente americano che vuole mantenere sul territorio un certo numero di suoi soldati.

Novemilaottocento è stato precisato, senza chiarire se questi si sommano ai tredicimila fra marines e specialisti della preparazione antiguerriglia che, secondo il Bilateral Security Agreement, sarebbero rimasti in terra afghana sino al 2016 e oltre. Il motivo addotto sono ovviamente le ragioni di sicurezza che evidenziano l’impreparazione del pur cospicuo esercito locale, spesso infiltrato da miliziani talebani autori di agguati dall’interno, vestendo la divisa delle Forze armate.

Nelle settimane seguite all’annuncio del ritiro le vittime americane erano diminuite, rilanciando la presenza potrebbero ricrescere. Ghani ha ringraziato le Forze Armate alleate per il sacrificio di sangue passato e futuro a favore della nazione afghana (sic).

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Karim Haidari, giornalista afghano della BBC scrive una lettera dopo il linciaggio di Farkhunda: “Mi sento colpevole di essere uomo”

Silvia De Santis – 26 marzo 2015 – L’Huffington Post

slide 412160 5200106 compressed“Forse mi sento colpevole per essere un uomo. O forse mi vergogno di essere Afghano”. Karim Haidari, giornalista afghano della BBC, ha pubblicato una lettera, in seguito alla brutale uccisione di Farkhunda a Kabul, la 27 enne afghana linciata dalla folla dopo essere stata ingiustamente accusata di oltraggio al Corano.

Il corpo, dato alle fiamme, è stato gettato nel fiume che scorre vicino nei pressi del santuario di Shah-Du-Shamshaira. Il 23 marzo si sono tenuti i funerali, durante i quali, eccezionalmente, la bara è stata portata in spalla da un gruppo di donne. Una sfida alla tradizione.

“Sono quattro notti che non riesco a dormire. A tenermi sveglio, il rumore della folla inferocita e l’immagine del corpo di una donna coperto di sangue, picchiata e poi data alle fiamme. L’aggressione a Farkhunda è successa a migliaia di kilometri da qui, a Kabul, ma quelle scene violente non mi danno tregua, nemmeno a Londra.

Forse mi sento colpevole di essere un uomo. Dopotutto, sono gli uomini gli artefici di tutte le guerre. O forse mi vergogno di essere un uomo Afghano. Ho lasciato Kabul alcune settimane prima che Farkhunda si recasse nel santuario di Shah-Du-Shamshaira.

È uno splendido edificio sulle rive del fiume Kabul, in pieno centro. Ci si arriva a piedi dal bazaar principale della città e dal palazzo presidenziale. Si va lì per esprimere un desiderio, per cercare una soluzione a un problema legando un nastro attorno a una tomba piantata nel terreno.

 81899272 81899271Qualche settimana prima di andare via da Kabul ci ero stato anch’io per conto di un’amica che vive in California. Mi aveva chiesto di scattare una fotografia e inviargliela. Salite le scale, avevo notato un crocicchio di donne tutte intorno alla bara.

Era mercoledì, il giorno delle visite femminili ai santuari del paese. Mi sono fatto strada e tra le dozzine di nastri colorati già appesi, ho posato anche il mio. “Qual è il tuo desiderio?” mi ha chiesto una donna a voce alta per farsi sentire oltre il brusio della folla. “I segreti non si svelano, Khala (Zia)” le ho risposto.

Andando via, ho notato almeno due uomini anziani, con turbante e barbe bianche, seduti non distanti dalle donne, intenti a scribacchiare qualcosa su dei pezzi di carta. Anche questa è una scena comune in Afghanistan. Spesso le donne si rivolgono a loro per avere ciondoli o amuleti che le aiutino a risolvere problemi familiari – si augurano che i loro mariti stiano in salute, o che le figlie trovino buoni mariti. Insomma, sono una fonte di reddito per questi mullah non istruiti che offrono discutibili “servizi”.

Contro di loro si sono sollevate, ultimamente molte critiche, sia in televisione che sui social network. Li si accuse non solo di tradire l’Islam, ma anche di frode.

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