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Autore: Anna Santarello

Il pericolo islamista in Asia centrale.

CaratteriLiberi – 1 febbraio 2015

jihad isis soldati 300x168Il confine che separa Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan dall’Afghanistan misura più di 2000 kilometri. La zona di confine tra Tagikistan e Afghanistan è in larga parte montuosa e di conseguenza scarsamente demarcata, mentre i confini tra Afghanistan e Turkmenistan e Afghanistan e Uzbekistan sono per lo più zone desertiche.

L’Afghanistan è abitato da 31 milioni di persone che appartengono a una decina di gruppi etno-linguistici differenti. I pashtun sono i più numerosi (42% della popolazione), seguiti da tagiki (27%), hazara (9%), uzbeki (9%) e turkmeni (3%). Tagiki, uzbeki e turkmeni vivono per la maggior parte nel nord del paese, al confine con Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, dove le tre etnie sono rispettivamente maggioritarie.

Storicamente i confini (nel senso moderno del termine) tra l’Afghanistan e i paesi dell’Asia Centrale non sono mai esistiti. Si trattava di un insieme di zone di frontiera, controllate dalla potenza egemone di turno, in un’area dove i conflitti non si sono mai sopiti. Il nord dell’Afghanistan e il territorio ora occupato da Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan hanno più volte fatto parte dello stesso stato o impero.

 

Le cose cambiarono quando iniziò il Grande Gioco, il conflitto − per lo più diplomatico − che opposeRegno Unito e Russia a partire dall’inizio del XIX secolo. L’impero russo si estendeva fino all’Asia Centrale, il Regno Unito rafforzava il proprio controllo sull’India: per evitare scontri fra le due potenze, si decise di creare una zona cuscinetto nel territorio che ora è lo stato dell’Afghanistan. Fu allora che vennero delineati i confini dell’Afghanistan moderno.
Con il passaggio dall’impero russo all’Unione Sovietica per la prima volta nella storia i confini tra l’Asia Centrale e l’Afghanistan vennero chiusi e i successivi 70 anni di dominio sovietico differenziarono le identità politiche e culturali dei Tagiki, Uzbeki e Turkmeni residenti in Unione Sovietica da quelli residenti in Afghanistan.

I legami tra le popolazioni appartenenti alla stessa etnia rimasero comunque forti. L’interazione tra i popoli dell’Asia Centrale e dell’Afghanistan (mappa a lato) e gli spostamenti delle persone nella regione era difficile da impedire, considerate le caratteristiche geografiche delle zone di confine. Inoltre l’invasione sovietica dell’Afghanistan tra il 1979 e il 1989 fornì l’occasione ai Tagiki, Uzbeki e Turkmeni sovietici di interagire direttamente con i loro confratelli afghani. Proprio per l’esistenza di questi legami etno-linguistici l’Unione Sovietica impiegò moltissimi soldati tagiki, uzbeki e turkmeni nelle operazioni in Afghanistan.

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Le ambizioni regionali dell’Iran passano dall’Afghanistan.

Il Caffè Geopolitico – 25 gennaio 2015, di Mattia Bovi

2568574142 c5dd0cd775 iran afghanistanLa fine della missione ISAF in Afghanistan rischia di avere ripercussioni negative a livello regionale, mettendo ulteriormente a repentaglio la sicurezza delle Repubbliche dell’Asia Centrale e sconvolgendo ulteriormente i già fragili equilibri in Medio Oriente. Tra gli attori che potrebbero contribuire a contenere queste minacce spicca sicuramente l’Iran.

VERSO “RESOLUTE SUPPORT” – Con l’inizio del nuovo anno, in Afghanistan si è assistito al passaggio dalla missione internazionale ISAF a Resolute Support, favorito dall’accordo bilaterale di sicurezza raggiunto tra Kabul e Washington lo scorso settembre.

Nello specifico, gli Stati Uniti e la NATO manterranno rispettivamente 9.800 soldati e 2.000 truppe impegnate nel ruolo di addestramento e supporto alle forze di sicurezza afgane. A ciò si aggiunga un limitato contingente di Forze Operative Speciali coinvolte in missioni di controterrorismo, il cui definitivo ritiro avverrà alla fine del 2016.

Tuttavia, è difficile prevedere se questo rinnovato impegno possa davvero promuovere un miglioramento delle condizioni di sicurezza in Afghanistan, indispensabili per una effettiva normalizzazione del paese. Dopo tutto, la coalizione internazionale non è finora riuscita a privare i Talebani della capacità di riorganizzare le loro forze, di mantenere il controllo di alcune aree del paese e, soprattutto, di continuare a ricevere il sostegno di una parte della popolazione civile.

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Condizione della donne nelle Province e nei Distretti.

opawc.org – 25 gennaio 2015

opawc women conditions.january2015.jpegI problemi psicologici, l’auto-immolazione, nessun accesso alle cure mediche, difficoltà ginecologiche, l’analfabetismo, la tossicodipendenza, la disoccupazione, la povertà e problemi finanziari hanno peggiorato le condizioni delle donne nelle province e nei distretti più remoti come Badakhshan, Nooristan, Farah, Bamyan e in altre.

Non molto tempo fa, il nuovo presidente Mr. Ashraf Ghani aveva promesso di dare quattro posti nel suo governo alle donne e di offrire maggiori opportunità alle donne in tutte le istituzioni governative. Invece di mantenere queste promesse e aumentare il numero di donne nel governo, il nuovo governo ha ridotto i posti delle donne e la partecipazione nei consigli provinciali e distrettuali dal 25% al 20%.

Sono queste le azioni che il governo ha messo in pratica per mantenere le promesse nei confronti delle donne si domanda al signor Ghani.

Al fine di accrescere la voce delle donne e lottare per i loro diritti, la Rete afghana delle donne (AWN Afghan Women’s Network) ha tenuto una conferenza a Kabul, dove sono stati invitati più di 600 membri dei consigli provinciali e distrettuali.
Una rappresentante di OPAWC ha partecipato a questa conferenza e firmato il manifesto proposto da AWN sollecitando il presidente a dare alle donne i loro diritti in quanto costituiscono la metà della popolazione.

Il Pakistan dice ai rifugiati afghani che è tempo di tornare a casa.

Repubblica.it – 26 gennaio 2015, di STEFANO PASTA

130744956 07f86e15 d6f8 4ab1 b062 165f0f240f0aDopo l’attentato dei talebani pakistani a Peshawar è cresciuta l’ostilità verso i quasi tre milioni di rifugiati afghani. Il Governo li spinge a partire ed ha firmato con l’Unhcr e l’Afghanistan un piano per il ritorno completo entro il 2015. Nel frattempo, l’operazione militare di Islamabad nel Waziristan settentrionale per colpire i gruppi vicini ai talebani, fa crescere il numero degli sfollati interni.

MILANO – Per gli afghani in Pakistan, forse il simbolo dei “rifugiati di lungo periodo” nel mondo, è tempo di tornare in patria. Non perché la situazione nel paese d’origine stia migliorando (secondo l’Onu le vittime civili nel 2014 sono aumentate del 19% rispetto l’anno precedente), ma a seguito del clima di ostilità creatosi dopo l’attentato terroristico di dicembre alla scuola di Peshawar. In ogni caso, rassicura Sartaj Aziz, consigliere per la sicurezza nazionale e la politica estera del premier Nawaz Sharif, “il rimpatrio sarà un processo volontario, non uno sgombero forzato”.

Qui il maggior numero di rifugiati al mondo. Il Pakistan, che ospita oltre 1,6 milioni afghani registrati e 1,3 milioni non registrati, è il paese che, in termini assoluti, ospita il maggior numero di rifugiati al mondo. Secondo i dati dell’Unhcr, lo seguono Libano (1,1 milioni), Iran (982mila), Turchia (824mila), Giordania (737mila), Etiopia (588mila), Kenya (537mila) e Ciad (455mila).

Se si considera però il numero in rapporto alla popolazione, sono Libano e Giordania che subiscono il peso più grande; calcolando invece gli oneri economici in proporzione al reddito pro capite, è in testa l’Etiopia e riappare il Pakistan in seconda posizione.

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Essere ginecologa in Afghanistan.

Civico20 News – 25 gennaio 2014, scritto da Marta Lovisolo

files“Mio figlio è stato ferito e mio fratello ucciso per colpa del mio lavoro, ma io non mi sono mai arresa. Non si può svolgere questa attività senza incorrere nella sofferenza. In Afghanistan, tutte le donne soffrono”.

Questo articolo vuole raccontare, seppur in breve, la storia di una donna che ha scelto di fare uno dei mestieri più difficili del mondo.
Ha scelto di sfidare i talebani per poter servire il suo paese e il suo popolo, dando assistenza alle donne e salvandole da situazioni da cui spesso non sarebbero sopravvissute.

Celandosi dietro un burka ha deciso di fare qualcosa che nel suo paese è considerato quasi sempre illegale: ha deciso di aiutare le sue compatriote ad abortire o a difendersi da gravidanze indesiderate assumendo di nascosto farmaci contraccettivi.

In questo articolo, che usa come fonte principale un articolo di Horia Mosadiq (ricercatrice di amnesty international in Afghanistan) pubblicato da newstatement.com il 24 settembre scorso, la protagonista della storia e suoi pazienti sono chiamati con uno pseudonimo, per tutelare la loro sicurezza in un paese in cui le loro azioni sono considerate illegali e immorali.

All’inizio della sua carriera, quando una donna le chiedeva di abortire, la dottoressa Lima le rispondeva di no, che non era possibile, perché doveva attenersi alle leggi del paese. Anche l’uso di contraccettivi era visto di cattivo occhio, così anche quelli rimanevano al di fuori della sua attività professionale.

Tutto cambiò un giorno del 2006 quando la dottoressa Lima entrò in contatto con una paziente che le fece cambiare idea per sempre. Si trattava di una ragazzina di appena 17 anni. Era rimasta incinta senza essere sposata e i suoi genitori, dopo averla scoperta, avevano iniziato a somministrarle di nascosto dei farmaci per indebolirla, in modo che fosse più facile soffocarla nel sonno con un cuscino.

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Afghanistan. Lo strascico della guerra si chiama instabilità.

Osservatorioiraq – di Anna Toro – 25 Gennaio 2015

Con il 2014 si è conclusa anche la missione Isaf-Nato nel paese, tuttora alle prese numerose questioni ancora irrisolte: un governo diviso, un esercito nazionale fragile e a rischio, un clima di insicurezza diffusa, tra attacchi talebani e perfino voci di infiltrazioni da parte dell’Isis.

Il 1° gennaio del 2015 è stato infatti il giorno del passaggio di consegne – accompagnato da un’ampia risonanza mediatica – di tutto il comparto militare dalla coalizione internazionale alle Forze di sicurezza afghane che da ora in poi saranno le sole responsabili della difesa e della sicurezza del paese.
Non si tratta, però, di un vero e proprio abbandono, in quanto sul territorio permarranno circa 12.000 truppe straniere, tra cui quasi 10.000 soldati americani, col compito di addestramento e supporto dell’esercito locale, come sancito dalla missione Resolute Support, approvata e firmata a settembre dello scorso anno.
“Dopo 13 anni di sanguinoso conflitto, la guerra più lunga nella storia americana è venuta a una conclusione responsabile” ha detto in una nota stampa il presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Non che ci si aspettassero altre parole, nonostante l’equilibrio del paese non sia mai stato così fragile, in tutti i settori: militare, politico, economico, sociale. Autobombe, esplosioni e scontri armati tra soldati e insorti sono infatti all’ordine del giorno, mentre le forze di sicurezza nazionale afgana, nonostante l’apparente autonomia appena acquistata, restano a corto di professionalità, fondi e attrezzature, e di fatto dipendenti dagli Stati Uniti in materia di logistica, di intelligence, di supporto aereo e molto altro ancora.

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Afghanistan, il brand della libertà

dal blog di Enrico Campofreda, 25 gennaio 2015

byeISAFjpgDa un mese a questa parte nella ‘città proibita’ di Kabul il marchio dell’Enduring Freedom è diventato Freedom’s Sentinel. Il drappo della missione resta colorato di verde come i vessilli islamici, il motto cambia passando dall’assistenza e cooperazione all’attuale: addestramento, assistenza, consigli.

Arrotolata la precedente bandiera, la forza Nato restante in Afghanistan dispiega la nuova, che ovviamente recita: ta’alimat, kumak, mashwerat tanto per avvicinare, almeno nel linguaggio, quel popolo che non ama le divise dell’occupazione.

Fra i 13.000 militari occidentali e i 300.000 uomini del ricostruito esercito locale si dovrà stabilire la massima collaborazione. Quali saranno i fini non è affatto chiaro, o meglio sospetti e indizi orientano verso una funzione diversa dalla propagandata autodeterminazione nazionale sul terreno della sicurezza e della lotta al terrorismo. Infatti il comando statunitense, oltre ad addestrare reclute e reparti speciali, avrà la supervisione e di fatto la guida sia del “Resolute support” sia delle operazioni di anti guerriglia.

Alcune valutazioni di analisti sottolineano come i vertici Isaf abbiano in varie occasioni offerto una lettura erronea dei fatti e delle previsioni considerandone, o giustificandone, i fallimenti degli ultimi anni come una questione tecnica. Insomma si cerca di svicolare dai nodi reali: il deterioramento del progetto di stato falsamente democratico, che ha visto in Karzai un artefice servile e chiaramente ripagato con l’affarismo familiare, e la nuova figura del “normalizzatore” Ghani, fidato esecutore di interessi stranieri, seppur in funzione bipolare fra l’occupazione statunitense e un’ingombrante presenza cinese.

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Il presidente afgano nomina i ministri del governo di coalizione

gennaio 2015 – Internazionale

20147910547211580 20 1 150x150Il presidente afgano Ashraf Ghani ha nominato i ministri del nuovo governo, a tre mesi dalla sua investitura. Il segretario generale di Ghani, Abdul Salam Rahimi, ha letto i nomi dei venticinque ministri, tra cui tre donne per le questioni femminili, la cultura e l’istruzione superiore.

I ministri sono stati scelti dopo diverse settimane di negoziati tra i due rivali delle presidenziali che si sono svolte tra aprile e giugno del 2014. Abdullah Abdullah, l’avversario di Ghani, è già stato nominato amministratore delegato del governo, una carica simile a quella di primo ministro.

TEMPI LUNGHI PER PORRE FINE ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE.

Misna – 19 gennaio 2015

“Per porre fine alla violenza contro le donne abbiamo bisogno sforzi instancabili e tempi lunghi; in particolare, abbiamo bisogno della cooperazione sincera dei gruppi nazionali e internazionali per i diritti”, ha detto Sayeda Mujhgan Mustafawi, ministro ad interim per gli affari delle donne. Secondo il ministero, nel 2012 sono stati registrati circa 4.505 casi di violenza contro le donne. Nel 2013, il numero dei casi ha raggiunto i 5.406. La maggior parte dei casi sono legati alla tortura e l’uccisione di donne.

Per gli osservatori, tre decenni di caos in Afghanistan, la povertà, l’ illegalità, i tabù sociali, i pregiudizi sessuali e la cultura di impunità sono i principali fattori che ostacolano la spinta a porre fine alla violenza contro le donne.

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Afghanistan: ricercato dall’Interpol uno dei ministri designati

18 Gennaio 2015 – Euronews

Yaqub HaidariParte con un nota distorta il governo di unità nazionale afghano.

Uno dei suoi ministri designati, Yaqub Haidari, assegnato all’Agricoltura è ricercato dall’Interpol per “evasione fiscale su vasta scala”.

Haidari è stato condannato con queste accuse nel 2003 in Estonia. Uno dei paesi dell’est europeo con i quali svolgeva un’intensa attività di import-export di prodotti caseari. Da allora il suo nome compare nella lista dell’organizzazione impegnata contro il crimine internazionale.

Scelto per l’incarico di ministro dell’Agricoltura dal presidente Ashraf Ghani, Haidari, di etnia tagika, deve ancora essere nominato ufficialmente dal Parlamento insieme al resto dei 24 ministri designati.

L’investitura è prevista per la prossima settimana, a tre mesi dall’insediamento del neo presidente afghano, Ghani.