A VICENZA CENA DI SOLIDARIETÀ
Car@ amic@
Sabato 24 gennaio ci troviamo per una cena “Gran gourmet” di solidarietà
Al Bocciodromo, in Via Rossi 198 Vicenza
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2015. Nessun commento su A VICENZA CENA DI SOLIDARIETÀ
Car@ amic@
Sabato 24 gennaio ci troviamo per una cena “Gran gourmet” di solidarietà
Al Bocciodromo, in Via Rossi 198 Vicenza
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2015. Nessun commento su Ghani-talebani, un accordo per la vita politica
Dal blog di Enrico Campofreda – 15 gennaio 2015
Cercasi taliban, disperatamente. Per colloquiare, trattare, pianificare un futuro che ad Ashraf Ghani sfugge di mano. Nonostante il patrocinio statunitense della sua elezione, nonostante il superamento dei brogli e dei contrasti quasi armati con Abdullah, nonostante l’affratellamento dei due contendenti la normalizzazione del Paese è pura finzione.
Perciò, fra un attentato e l’altro, il presidente afghano s’avvicina a grandi passi al detestato Pakistan, con cui non sono mancati attriti anche recenti. Non solo per le antiche velleità annessioniste dell’ingombrante vicino, ma per l’intento di usare a proprio vantaggio le contraddizioni economiche e militari. Non ultima quella della sicurezza frutto dell’incessante via-vai talebano nella comune frontiera.
Col paradosso, da parte del premier Sharif e del suo omonimo responsabile delle forze armate (rispettivamente Nawaz e Raheel), di combattere i Tehreek interni, portatori di morte in casa e tollerare i turbanti interessati alla nazione contigua, quelli della Shura di Quetta. Forse le prospettive per entrambi i governi ora potrebbero mutare se si organizzerà il grande tavolo di trattative cui Ghani tiene moltissimo e al quale lavora di persona.
È lui a muovere le fila di possibili colloqui che lo interessano soprattutto per salvare le Forze Armate afghane da critiche dissoluzioni, com’è accaduto ad altri eserciti mediorientali, peraltro assai più strutturati e navigati. Per seguire questa via le mosse estere del “presidente diplomatico” hanno finora escluso una visita di cortesia al gigante asiatico indiano, grande avversario di Islamabad.
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2015. Nessun commento su Peshawar, il trauma, la scuola, l’incerto futuro
Dal blog di Enrico Campofreda – 13 gennaio 2015
È una vittoria perché tornano a scuola, contro chi vuole calpestare questo strumento di crescita e trasformarlo in luogo di paura. La divisa verde che li contraddistingue fa più college British che caserma sebbene il luogo, dopo l’attentato della follìa, costato la vita a centoquarantanove fra bambini scolari e giovani studenti, sia controllatissimo e cinto di filo spinato.
Un secondo muro ora si frappone fra il perimetro fortificato e gli edifici dove sorgono le aule. Accade a Peshawar, provincia Khyber Pakhtunkhwa, un’area travagliata come e più di altre del Pakistan.
Lì la mattina del 16 dicembre è diventata un incubo per centinaia di figli di militari che frequentano quell’istituto privato dove un manipolo di guerriglieri Tehreek ha fatto provare a degli innocenti quel terrore vissuto dai bambini del Waziristan sotto le granate delle forze armate di Stato. Una tesi aberrante, ma sostenuta dalle aberranti azioni repressive condotte dall’esercito pakistano in quelle zone.
Ovunque la guerra si dipana cerca giustificazioni di comodo per coprire i propri crimini e usarli a sua misura. La nemesi secondo la quale i figli dei militari devono pagare per le stragi compiute dai padri, non ha niente a che vedere con le leggi del destino, come nulla di epico c’è in certe operazioni di polizia militare che diventano pulizia etnica, razzista o politica.
“Rientrare a scuola è come sfidare i terroristi” rivela Hasan, dieci anni, all’emittente Al Jazeera che filmava la riapertura, orgoglioso di essere lì e ricordare il cugino Asad assassinato nel raid. I terribili flash che i superstiti rivivono sono studiati da medici e psicologi che i coetanei vittime sull’altro fronte non incontreranno mai. L’etnìa e la ragion di stato li rendono poveri e marginali, impossibilitati a quello che siamo abituati a definire normalità. La normalità di simili luoghi sono incertezza e paura. Chi le istilla, chi le conserva, non è una parte sola.
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2015. Nessun commento su L’Islam riflette sull’estremismo di casa
Dal blogblog di Enrico Campofreda – 11 gennaio 2015
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2015. Nessun commento su Le norme sui Droni in Afghanistan rimangono invariate, per questo e per altri motivi la guerra non è davvero finita
RollingStone – 7 gennaio 2015 di John Knefel
Anche se molti americani possono non essersene accorti, il 28 dicembre ha segnato quello che il governo degli Stati Uniti ha chiamato la fine ufficiale della guerra in Afghanistan. Quella guerra è stata la più lunga nella storia degli Stati Uniti – ma nonostante il nuovo annuncio che il conflitto sia formalmente finito, la guerra degli Stati Uniti è ben lungi dall’essere compiuta.
In realtà, l’amministrazione Obama considera ancora il teatro afgano un’area di ostilità attive, secondo una email da un alto funzionario dell’amministrazione – e quindi esente dall’applicazione delle linee guida sulle norme più severe e più mirate sull’utilizzo dei droni che sono state annunciate dal presidente in un importante discorso alla National Defense Università nel 2013.
Il funzionario comunica a RS che “L’Afghanistan continuerà ad essere considerata un ‘area di ostilità attive” nel 2015, “. “La PPG non si applica alle zone di ostilità.” (PPG sta per Presidential Policy Guidelines, il nome formale per le regole più severe per l’utilizzo dei droni.)
Questa sconcertante distinzione – che le operazioni di combattimento formali sono finite, ma che gli Stati Uniti rimangono ancora in un conflitto armato – per molti versi esemplifica l’eredità duratura della politica estera di Obama. Dallo Yemen al Pakistan, l’Iraq, la Siria e l’Afghanistan, l’amministrazione ha sempre minimizzato le sue azioni – alcune riconosciuta e alcune segrete – dicendo che le guerre sono (quasi) concluse e nello stesso tempo mantenendo praticamente tutti i poteri di un paese in guerra.
O, come riporta il giornalista e collaboratore di RS a Kabul, Matt Aikins, riferendosi all’Afghanistan: “un ‘formale’ porre fine alla guerra significa l’inizio di una guerra ‘informale’, senza scopo né fine, fondata sulla menzogna che gli Stati Uniti non siano più in guerra.”
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2015. Nessun commento su Missione Isaf, inglorioso addio alle armi
Blog di E. Campofreda, 29/12/2014
Via dall’Afghanistan, ma non del tutto. Chi torna a casa sono 40.000 militari (32.000 statunitensi) della missione Isaf che conclude il suo ciclo di tredici anni di “guerra al terrore” dagli esiti disastrosi. Ufficialmente ha lasciato sul terreno 3.500 suoi uomini, ma ci sono anche i cadaveri non conteggiati di contractors impegnati in svariate occasioni soprattutto incursioni, rappresaglie, rapimenti.
L’intervento ha seminato morte non solo sull’insorgenza talebana, che in alcune province del sud-est ha aumentato una presenza e un rapporto con le popolazioni locali proprio a seguito dei bombardamenti generalizzati responsabili di migliaia di vittime civili. Quante siano state dal dicembre 2001, data di avvio della “missione di pace” Enduring freedom, non è possibile calcolarlo per la difficoltà oggettiva nel raccogliere dati certi.
Ufficialmente le statistiche menzionate dall’United Nations Assistance Mission of Afghanistan parlano di migliaia di morti (5.000 solo nel 2002, i dispacci Nato li definiscono “danni collaterali”) di poco inferiori a quelli provocati dai quattro sanguinosissimi anni (1992-96) di guerra civile interna. Le stragi del disonore, come quella di Shinwar compiuta nel marzo 2007 dalla 120a marines che mitragliava passanti sfogando la propria rabbia per un attentato subìto, si sono ripetute nel tempo.
La missione – che attivisti democratici afghani (Malalai Joya o alcuni membri di Hambastagi Party, da noi intervistati in varie occasioni) denunciano come “odiosa occupazione straniera” – proseguirà con medesimi scopi geostrategici.
La presenza, prevalentemente americana, sarà denominata Resolute support e dislocherà ufficialmente 12.500 uomini nelle diverse basi aeree (Kabul, Bagram, Kandahar, Camp Marmal, Herat, Mazar-e-Sharif, Jalalabad, Khost) dove continueranno a partire Falcon e droni per azioni “antiterroristiche”. I militari Nato proseguiranno anche il ruolo di addestratori delle truppe dell’Afghan National Army che ammontano a 350.000 uomini.
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2014. Nessun commento su I popoli di Pakistan e Afghanistan hanno sofferenze comuni e comuni nemici
Solidarity Party of Afghanistan – 25 December 2014
“L’ingiustizia in un solo paese è una minaccia OVUNQUE” (Martin Luther King)
Tra tutti gli attentati suicidi che fanno carneficina di persone innocenti, il recente massacro dei bambini della scuola di Peshawar riempie il cuore e la coscienza di ogni essere umano di immenso dolore. L’uccisione spietata da parte dei barbari talebani di circa 150 bambini innocenti e il ferimento di altri 130 ha rivelato per l’ennesima volta la profondità della depravazione di questi mostri anacronistici.
La scuola presa di mira – nonostante fosse gestita dall’esercito pakistano – era frequentata da bambini provenienti dalle famiglia più povere del Paese.Le vittime erano bambini e ragazzi che avevano sogni d’infanzia, che non avevano certamente alcun ruolo negli eventi, che in alcun modo hanno meritato un simile orrendo destino.
È straziante pensare che altri esseri umani possano gioire di questo tragico evento. E’ una reazione disumana giustificare questo gesto compiuto dai sanguinari talebani sostenendo che quelle giovani vittime fossero figli di ufficiali dell’esercito pakistano.
Oggi i pakistani, insieme agli afghani, sono in lutto per i loro figli e noi sentiamo il peso del loro dolore. D’altro canto riteniamo che il governo pakistano, in particolare l’esercito e l’intelligence pakistana, abbiano giocato un ruolo fondamentale, sia in Afghanistan che in Pakistan, nel sostegno ai talebani, essendo stati i loro principali finanziatori e sostenitori. Ma è assurdo e stupido confondere la viltà del Governo e dei servizi segreti pachistani con il popolo del Pakistan,che per primo ha fatto le spese delle folli politiche del loro governo.
I partiti della sinistra pakistana condannano con fermezza l’attacco alla scuola di Peshawar
Il terrorismo fondamentalista non conosce confini e non è altro che uno strumento sanguinario nelle mani di dittature e governi feroci. Non hanno altro obiettivo se non quello di fermare lo sviluppo e il progresso. Il Pakistan ha funzionato come base per i terroristi con il contributo finanziario diStati Uniti, Regno Unito, Arabia Saudita. Purtroppo non è più un segreto che le organizzazioni militari e l’intelligence pachistana hanno promosso e sostenuto i gruppi fondamentalisti, nella logica di una politica neo-colonialista dell’intera regione. Per combatterli è necessaria unità e cooperazione tra i popoli e tra le forze progressiste che conoscono bene le nefandezze di questi spietati assassini.
Non sono i pakistani i nostri nemici. I nostri nemici sono Karzai e la sua cricca, l’attuale governo Abdullah-Ghani, che ugualmente sostengono in patria dei terroristi che diventano ogni giorni più spietati e feroci. Ashraf Ghani ha segretamente incontrato funzionari dell’esercito pakistano a Rawalpindi; a Kabul sono giunti inattesi il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Pakistano Raheel Sharif e il Direttore Generale del ISI (ndt: servizi segreti pakistani) Rizwan Akhtar. Questi sono segnali d’allarme che ancora una volta si stanno stabilendo relazioni nefaste lontane dai riflettori. La presenza di agenti pakistani su territorio afghano è talmente diffusa che persino il Ministro afghano degli Affari Interni e il Direttore della NDS (ndt: servizi segreti afghani) non hanno potuto ignorarla, definendola come un pericoloso fattore di insicurezza per l’Afghanistan.
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2014. Nessun commento su Campagna per una società tollerante in Pakistan
Il 16 Dicembre 2014, sette uomini armati hanno fatto irruzione nella Army Public School di Peshawar, uccidendo 132 studenti: l’attacco è stato rivendicato dai talebani pakistani in risposta alle operazioni militari del governo contro i militanti e contro il diritto all’istruzione. Tra il 2007 e il 2013, i talebani hanno colpito 122 scuole nella regione dello Swat, la maggior parte di queste frequentate esclusivamente da bambine. In uno di questi attacchi, Malala Yousufzai, una studentessa di 15 anni e attivista per i diritti delle donne, è stata colpita da un proiettile alla testa.
L’attacco ai bambini di Peshawar, il più efferato nella storia del Pakistan, ci ha inorridito e scioccato. Esprimiamo tutta la nostra vicinanza ai genitori di quei bambini rimasti uccisi nell’attentato. Ci siamo chiesti cosa fare, come reagire. Abbiamo capito che l’unica vera risposta è l’istruzione: un diritto universale, e veicolo di importanti valori quali la pace, la tolleranza e il pluralismo.
Richiamare l’attenzione su questo diritto e sulla qualità dell’insegnamento è ora più che mai necessario in Pakistan. Secondo il rapporto dell’ Annual Status of Education, in Pakistan, il 60% dei bambini in età scolastica non sa né leggere né scrivere. Nel 2011, nel rapporto del Pakistan Education Task Force, il Pakistan figurava secondo paese al mondo con il più alto numero di bambini privi di istruzione.
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2014. Nessun commento su COPERTE E BENI ALIMENTARI PER LE FAMIGLIE DEI CAMPI PROFUGHI DI KABUL.
Il progetto ha l’obiettivo di migliorare la condizione di vita dei profughi che vivono negli agglomerati di fango, legno e nylon nella città di Kabul, in Afghanistan.
Quella dei campi profughi è una popolazione che forzatamente ha dovuto abbandonare case e villaggi delle province più devastate del Paese, e che si è rifugiata, nel corso degli anni, nella “pacificata” Kabul.
I campi profughi sono caratterizzati da una gravissima precarietà abitativa, e vi sono pesanti carenze sul piano dei diritti umani più elementari. Le famiglie vivono in piccoli alloggi fatiscenti, costruiti con materiale di recupero e fango, carenti di corrente elettrica ed acqua potabile per gli usi alimentari e per l’igiene personale.
Mancano le scuole a garantire istruzione elementare e formazione a bambini e giovani. L’assistenza medico sanitaria per i profughi è di fatto inesistente, e diverse malattie facilmente prevenibili/curabili, in simili condizioni di vulnerabilità e indebolimento fisico, si aggravano irrimediabilmente (malattie broncopolmonari, malattie della pelle…).
Scritto da Anna Santarello il . Pubblicato in Notizie 2014. Nessun commento su Kabul, a teatro con la morte
Giuliano Battiston – Il Manifesto – KABUL, 12 dicembre 2014
L’ospedale di Emergency a Kabul
“Bibi Jan, che ne dice se andiamo a teatro, domani?”. Rientrato a Kabul dopo una decina di giorni di interviste, appuntamenti mancati e incontri fortuiti tra Lashkargah, nella provincia meridionale dell’Helmand, e Jalalabad, a due passi dal confine pakistano, ho subito chiamato la principessa India d’Afghanistan.
Figlia del re riformatore Amanullah Khan, capo di Stato negli anni Venti del Novecento, Bibi Jan ha passato gli “ottanta” con estrema nonchalance, la stessa con la quale affronta la vita in una città poco ordinaria come Kabul.
Sono andato a prenderla nel primo pomeriggio di oggi, giovedì 11 dicembre, al Kabul Star, tra i migliori hotel di questa caotica città, a due passi dall’ambasciata iraniana, tra la zona dei ministeri e quella delle residenze diplomatiche straniere.
Con un taxi abbiamo raggiunto il liceo Esteqlal, che al suo interno ospita il Centro culturale francese, uno dei pochissimi luoghi dove qui a Kabul sia ancora possibile seguire attività culturali vivaci, dalle mostre fotografiche ai film, dagli spettacoli teatrali agli eventi musicali.
L’ingresso è ben protetto. Una sbarra di metallo e un ampio cancello impediscono l’accesso alle automobili. Si entra da una porticina di ferro, passando per una stanzetta dove due guardiani hanno il compito di perquisire e controllare i visitatori. Questa volta sono con una ospite molto speciale. Nessun controllo. Solo un’ostentata riverenza per la principessa India.
All’interno del Centro culturale, decine di ragazzi e ragazze scambiano chiacchiere, messaggi sui telefonini, qualcuno scatta foto alle immagini appese alle pareti. È la giovane élite di Kabul, quella che guarda spesso con entusiasmo verso Occidente, che parla un discreto inglese, sfoggia Iphone e scarpe lucide, i capelli impomatati per i ragazzi, il velo accennato e i pantaloni stretti coperti da un vestito a mezza gamba per le ragazze.