Skip to main content

Autore: Anna Santarello

LO PSICHIATRA DEI TALEBANI.

The Post Internazionale – 3 dicembre 2014 di Lorena Cotza.

lo psichiatra dei talebani orig mainLa storia del dottore afgano che cura i combattenti ne rivela le ferite più profonde: disturbi mentali, schizofrenia e depressione.

Quando il dottor Alemi ascolta i suoi pazienti, non si chiede mai se la persona che ha di fronte sia un terrorista, un soldato o un insegnante. Ogni paziente è semplicemente un essere umano.
Dalla fine degli anni Novanta, il dottor Alemi ha curato circa un migliaio di Talebani nella sua clinica di Mazar-i Sharif, la quarta città più grande dell’Afghanistan. Non condivideva la loro ideologia e condannava le loro azioni, ma la politica è sempre restata al di fuori del suo ambulatorio.

“Trattavo i Talebani nello stesso modo in cui avrei trattato gli altri pazienti, pur sapendo quanti problemi avessero causato alla nostra società”, racconta lo psichiatra afgano Nader Alemi in un’intervista con la Bbc.
Nel 1998, quando i Talebani conquistarono Mazar-i Sharif, la clinica del dottor Alemi cominciò a essere frequentata da alcuni combattenti.

Alemi era l’unico psichiatra del nord dell’Afghanistan a parlare pashto, la lingua usata dalla maggior parte dei Talebani, e presto la sua clinica diventò un punto di riferimento per molti di loro.

“I combattenti si presentavano con un pezzo di carta con su scritto il mio nome. Mi dicevano che avevo curato un loro amico e che anche loro volevano essere curati. Erano disgustati e stanchi della guerra: la maggior parte voleva solo tornare a casa dalle proprie famiglie”, racconta Alemi, spiegando come – involontariamente – si conquistò la fame di “psichiatra dei Talebani”.

Continua a leggere

Gentiloni: «Cambio di passo per la nostra missione in Afghanistan».

DIARIODELWEB – 2 dicembre 2014

Lo ha confermato il Ministro degli Esteri a margine della riunione della NATO a Bruxelles: «Ridurremo contingente militare aumentando cooperazione economica».

BRUXELLES – «La missione militare italiana in Afghanistan, nelle condizioni in cui l’abbiamo conosciuta finora, finirà a fine 2014 e assumerà più una funzione di sostegno alle forze di sicurezza afgane e di cooperazione economica». Lo ha confermato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a margine della riunione ministeriale della Nato, oggi a Bruxelles.

Gentiloni, che oggi ha incontrato il nuovo presidente afghano Ashraf Ghani, ha detto di essere «rimasto colpito dalla determinazione e la velocità dell’azione del nuovo governo di Kabul, frutto di un’intesa fra le due forze politiche prime arrivate alle elezioni. In passato – ha ricordato il ministro – per molto tempo eravamo rimasti senza grandi speranze per l’azione politica in questo paese; e invece oggi la situazione è incoraggiante, per le riforme, per la lotta alla corruzione, per la costruzione di un equilibrio regionale a sostegno della transizione».

MAGGIORE COOPERAZIONE ECONOMICA – Da fine anno, ha ripetuto Gentiloni, «la presenza italiana in Afghanistan cambia a livello militare, dove si limiterà ad addestrare, aiutare, rafforzare le forze di sicurezza locali, con caratteristiche che saranno discusse in Parlamento, cosa che siamo vincolati a fare; prenderanno invece prevalenza, rispetto alla presenza militare, gli aspetti di cooperazione economica. La speranza – ha sottolineato il ministro – è che emerga una leadership capace di offrire una prospettiva, in condizioni che restano difficilissime, ma che oggi autorizzano un certo ottimismo».

Continua a leggere

Apre in Afghanistan il primo ristorante per sole donne.

Dissapore – 2 dicembre 2014 – di Prisca Sacchetti

Il ristorante Scranton di Herat in AfghanistanIn Afganistan ha aperto il primo ristorante per sole donne. Si chiama Scranton perché è un progetto che unisce l’attività di Suraya Pakzaduna, 42 anni, determinata attivista di Herat, in Afghanistan occidentale, e quella di una Ong di una città della Pennsylvania, Scranton, appunto, che ha raccolto i 20.000 dollari necessari a sostenere i lavori del ristorante.
Scranton è un posto raro e speciale, dove le donne afghane di ogni età possono ritrovarsi per socializzare fuori di casa senza correre rischi.

Solidarietà e integrazione professionale non sono una novità per i ristoranti, basti ricordare locali come Locanda alla mano di Milano o Locanda I Girasoli a Roma, dove lavorano persone con disabilità. Da menzionare Ruben, trattoria solidale aperta dall’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini in via Gonin 52, a Milano, dove un pasto completo costa un euro e i coperti sono cinquecento.

Ma Scranton è qualcosa in più.
Lo ha voluto una donna coraggiosa che in Afghanistan gestisce cinque centri di accoglienza per vittime di abusi e maltrattamenti, malgrado le molte minacce di morte ricevute, con l’obiettivo di dare lavoro alle donne in un Paese che vuole tenerle a casa.

Continua a leggere

Afghanistan, attacco continuo

Blog di Enrico Campofreda – 27 novembre 2014

esercito afghano 150x150Nuovo mattino, nuovo attacco. Ancora una volta nella superprotetta Kabul, che in realtà offre il fianco come e più di altri luoghi afghani. La bomba esplode nel nono distretto cittadino, colpendo l’ennesimo gruppo di auto in movimento nella capitale.

Dall’area delle ambasciate (dov’è anche quella italiana), in particolare dalla britannica escono alcune vetture obiettivo dell’assalto suicida di un kamikaze su una moto. Accade nella controllatissima Jalalabad Road, già palcoscenico di recenti attentati, dove sorgono abitazioni per gli stranieri e molti servizi delle Forze Armate locali.

Sei le vittime, una dentro l’auto che secondo quanto dichiara la struttura britannica non è un diplomatico. Trentasette i feriti, come spesso accade quasi tutti passanti. Stavolta la rete talebana ha rivendicato l’attacco che, come altri che si susseguono ormai a ritmo quotidiano (quello dei giorni scorsi rivolto contro 45 giovani spettatori d’un incontro di volley nella provincia di Paktika), puntano a creare caos e colpire il disegno normalizzatore dell’asse Washington-Kabul.

Il governo Ghani per sostenerlo è impegnato sul piano economico e della sicurezza.

Continua a leggere

Unicef: 120 milioni ragazze hanno subito abusi sessuali

Roma – 25 novembre (askanews)

RawaMarch 150x150Nel mondo circa 120 milioni di ragazze sotto i 20 anni, vale a dire 1 su 10, sono state costrette a subire abusi sessuali; quasi il 20% delle donne ha subito abusi sessuali da bambina; più di 130 milioni di bambine e donne sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili/escissione e oltre 700 milioni di donne si sono sposate da bambine.

Quasi la metà delle adolescenti tra i 15 e i 19 anni (circa 126 milioni) giustifica il marito che picchia la moglie in alcune circostanze. La percentuale arriva all’80% o più in Afghanistan, Guinea, Giordania, Mali e Timor Est. In 28 Paesi su 60 con dati disponibili per entrambi i sessi, una maggiore percentuale di donne rispetto agli uomini ritiene che picchiare la moglie qualche volta è giustificabile.

 

In Cambogia, Mongolia, Pakistan, Ruanda e Senegal, il doppio delle ragazze rispetto ai ragazzi ritiene giustificabile che a volte il marito possa picchiare la propria moglie. I dati di 30 paesi indicano che circa 7 su 10 donne tra i 15 e i 19 anni vittime di violenza fisica o abuso sessuale non hanno mai chiesto aiuto: molte hanno detto che non credevano fosse un abuso o che non lo ritenevano un problema.

Continua a leggere

Afghanistan: prorogata di un anno la presenza americana. Inizia l’operazione Resolute Support

Di Stefano Consiglio | 24.11.2014

Afghanistan un bambino cammina in mezzo ad una truppa di sol 150x150Lo scorso maggior il Presidente Obama ha rilasciato una dichiarazione dalla Casa Bianca con la quale assicurava il popolo americano che i 9.800 soldati attualmente presenti in Afghanistan non avrebbero avuto alcun ruolo operativo, limitandosi ad addestrare e supportare l’esercito afghano.

Di recente, tuttavia, Obama ha fatto passare in sordina un provvedimento che prolunga di un anno l’operazione “Enduring Freedom”. Secondo le prime indiscrezioni rilasciate dalla stampa locale il Pentagono avrebbe avuto un ruolo determinante nel convincere il Presidente degli Stati Uniti a prolungare la missione in Afghanistan.

Questa decisione è stata presa a seguito di un lungo dibattito in cui ha pesato la recente conquista dell’Iraq settentrionale da parte dello Stato Islamico, che è stata attribuita almeno in parte alla prematura ritirata dei soldati americani dal territorio iracheno. I leader del Pentagono, infatti, avrebbero spinto Obama a riflettere sull’opportunità di completare la missione garantendo la definitiva pacificazione dell’Afghanistan.

Una posizione diametralmente opposta è stata assunta dai collaboratori civili della Casa Bianca i quali temono che questa decisione possa aumentare il numero di vittime americane generando al contempo un diffuso malcontento presso l’opinione pubblica.

Nelle prossime settimane il Pentagono rilascerà una nota in cui verranno specificate le caratteristiche di questa missione, che ha già ottenuto una nuova denominazione: “Operation Resolute Support”. Questa differisce dall’operazione “Enduring Freedom” in quanto si basa su una netta distinzione tra i Talebani e i membri di Al-Qaeda. Mentre i primi potranno essere attaccati solamente nel caso rappresentino una minaccia per l’esercito americano o forniscano supporto diretto ai terroristi, questi ultimi rappresentano il vero obiettivo dell’operazione. Pertanto regole di ingaggio decisamente più elastiche guideranno le azioni dei soldati americani. Infine è bene sottolineare che le truppe di terra godranno del supporto fornito dai jet, dai bombardieri e dai droni. Una vera e propria missione di attacco contro Al-Qaeda, sebbene mascherata dietro la qualificazione quale operazione di supporto.

La decisione di Obama di mantenere un ruolo operativo in Afghanistan è stata facilitata dall’ascesa alla Presidenza del nuovo leader Ashraf Ghani, il quale a differenza dell’ex Presidenze Karzai è più disponibile a negoziare una graduale ritirata delle truppe americane. Lo scorso settembre, infatti, l’attuale leader afghano ha sottoscritto un documento atto a prorogare il termine inizialmente fissato per il 2014, entro il quale l’esercito americano avrebbe dovuto abbandonare l’Afghanistan.

Un Rapporto denuncia il Land-Grabbing In Afghanistan

RFE/RL, November 19, 2014

farmers collecting poppy 150x150Il rapporto dice che meno del 34 per cento della terra in Afghanistan è stata registrata a norma di legge lasciando la restante parte preda di usurpatori.

Un organismo indipendente di vigilanza contro la corruzione segnala che l’usurpazione delle terre statali e private è stato “un problema significativo” per l’Afghanistan negli ultimi dieci anni.

Il Comitato indipendente per il monitoraggio e la valutazione anti-corruzione ha pubblicato un rapporto il 19 novembre affermando che quasi un quarto di milione di ettari di terreno sono state usurpate nel corso degli ultimi 10 anni.

Il rapporto dice che meno del 34 per cento della terra in Afghanistan è stato rilevato e registrato legalmente.

Denuncia una “chiara mancanza di volontà politica” per risolvere questo problema, così come la corruzione diffusa, la mancanza di un sistema unificato di gestione del territorio, fragilità delle forze dell’ordine, ampia presenza di signori della guerra e disposizioni giuridiche insufficienti per perseguire gli usurpatori.

Il rapporto dichiara che la maggior parte della terra è stata usurpata “da parte di coloro che hanno, o hanno avuto, una significativa presenza nel governo”

LE DONNE SCOMPARSE DELL’AFGHANISTAN

THE NATION – Articolo di Ann Jones

afghanistan womens rights ap imgDimostrazione di protesta a Kabul contro la violenza sulle donne

Dopo 13 anni di guerra le donne afghane stanno ancora lottando per i diritti umani basilari

Per la prima volta in 13 anni il potere in Afghanistan è passato di mano. All’Arg, il palazzo presidenziale di Kabul, Ashraf Ghani si è insediato come nuovo presidente, mentre l’uscente Hamid Karzai osservava tranquillamente in prima fila.

Washington, auto-congratulandosi per questa “pacifica transizione”, ha velocemente ottenuto la firma del nuovo presidente su un accordo di sicurezza bilaterale che assicura la presenza delle forze americane in Afghanistan per almeno un’altra decade.

La grande notizia del giorno: gli Stati Uniti hanno ottenuto ciò che volevano. (Per essere precisi, il motivo per cui gli Americani dovrebbero gioire del fatto che i loro soldati rimarranno in Afghanistan per altri dieci anni non è mai stato spiegato).

Per gli Afghani la grande notizia del giorno era piuttosto diversa: non si trattava della prevista e lunga continuazione dell’occupazione americana, ma di ciò che il nuovo presidente aveva detto su sua moglie, Rula Ghani, nel suo discorso d’inaugurazione. Fissando lo sguardo su di lei, seduta fra il pubblico, l’ha chiamata per nome e ha lodato il suo lavoro con i rifugiati, comunicando che avrebbe continuato questo lavoro anche durante la sua presidenza.

Questi brevi commenti hanno mandato in estasi le donne afghane progressiste. Hanno aspettato 13 anni per sentire queste parole – parole che potrebbero aver cambiato il corso dell’occupazione americana e il futuro dell’Afghanistan se solo fossero state pronunciate nel 2001 da Hamid Karzai.

No, non sono parole magiche. Semplicemente riflettono i valori di una considerevole minoranza delle popolazione afghana e probabilmente della maggioranza degli Afghani esiliati in occidente. Rendono anche l’idea del perché gli Stati Uniti si auto-incensino per aver sostenuto questa motivazione – anche se generalmente agiscono contro di essa – che George W. Bush ha citato come parte della sua giustificazione per aver invaso l’Afghanistan nel 2001.

Continua a leggere

Kabul: autobomba sul piano di sicurezza

Dal blog di Enrico Campofreda – 16 novembre 2014

Mentre il presidente Ghani discorre a porte chiuse e stringe la mano del premier pakistano Nawaz Sharif, discutendo sul futuro e sulla sicurezza indispensabile per stabilirlo, c’è chi dice no. Lo manifesta a suon di autobomba che esplode durante il passaggio d’un corteo di vetture parlamentari intente a raggiungere i palazzi di rappresentanza. Fra esse quella di Shukria Barakzai, onorevole e avvocato impegnata (a suo dire) a favore dei diritti delle donne, rimasta leggermente ferita.

Ferite anche altre ventidue persone, per tre non c’è stato nulla da fare. Allungano la lista dei caduti nel conflitto latente e ossessivamente presente nella quotidianità afghana. Erano kabulioti di passaggio sul luogo della deflagrazione che, fortissima, ha rimbombato in un’ampia zona della capitale.

Esistono due agende contrapposte fra chi cerca nuovi equilibri e chi conserva caos consolidati. I rappresentanti istituzionali di due nazioni contigue che a lungo si sono guardate in cagnesco, con l’accusa afghana rivolta a Islamabad d’interferire e attentare all’unità nazionale sfruttando a suo vantaggio la totale instabilità dei vicini, paiono tornare a dialogare.

Nel nuovo corso politico avviato da Ghani, che avalla i piani statunitensi di vigilanza sul territorio attraverso le basi dell’aeronautica militare, e di sfruttamento del sottosuolo con propri gruppi d’impresa e garantendolo ad altri businessmen, le ragioni di sicurezza restano centrali e irrinunciabili.

Continua a leggere

Soheila, il passero di Kabul

 Dal blog di Enrico Campofreda – 12 novembre 2014

afghanwomanQuella di Soheila è storia dolce e drammaticamente vera. La narra il documentario “To kill a sparrow” del Center Investigative Reporting che ha avvicinato la ragazza dopo la sua liberazione da due prigionìe: dal carcere di Kabul dov’era rinchiusa e dal marito da cui scappava. In realtà la fuga maggiore Soheila la compie – come tante donne afghane – dai tentacoli della tradizione e d’una faziosa e distorta interpretazione della religione islamica voluta dalle figure maschili di famiglia e della società. Nell’ascoltare le loro giustificazioni ci si sente schiacciati da un pensiero granitico che comprime gli stessi aguzzini delle donne.

 
Oppressori a loro volta oppressi da consuetudini, tribalismo, ignoranza, conformismo, opportunismo maschili e maschilisti. Soheila finisce nel vortice infernale della persecuzione giudiziaria dopo aver lasciato il consorte cui era stata promessa da quando aveva cinque anni.

Promessa paterna, diffusissima in Oriente. Quindi inseguendo l’incontro con l’uomo di cui s’innamora. Gli dice: “Portami via di qui oppure vendimi; portami via o m’uccido”.

Continua a leggere