Reset – 31 luglio 2014, di Raffaella Angelino e Ilaria Romano.
Aspettare un presidente, 8 milioni di schede al vaglio (Ilaria Romano).
In Afghanistan si continuano a passare in rassegna, una scheda dopo l’altra, i voti del ballottaggio del 14 giugno. Un’operazione complicata, che vede impegnati osservatori internazionali delle Nazioni Unite e le squadre dei due candidati alla presidenza, Abdullah Abdullah, ex ministro degli Esteri ed ex sfidante di Karzai che rinunciò al ballottaggio nel 2009, e Ashraf Ghani, ministro delle Finanze nel governo uscente e responsabile del processo di transizione che oggi preoccupa particolarmente.
Il 5 aprile Abdullah era quasi riuscito a passare al primo turno, e comunque con il suo 45% aveva staccato Ghani di tredici punti percentuali. Al secondo turno però la situazione è completamente cambiata e lo sfidante, stando ai risultati parziali secondo l’Afghanistan’s Independent Election Commission, ha ottenuto il 56,44%. Le accuse di brogli sono state immediate. Abdullah ha parlato di corruzione dei funzionari elettorali e ha accusato Ghani di aver vinto con almeno due milioni di schede false, e un’affluenza “sospetta” alle urne, più alta che al primo turno.
Così otto milioni di schede sono finite sotto indagine, a partire dal 17 luglio, giorno in cui sono cominciate le verifiche a seguito di un accordo raggiunto con la mediazione del segretario di stato Usa, John Kerry. Da allora sono state analizzate solo 22 mila schede, circa il 4,5% del totale. Numeri che rendono l’idea di quale sia la mole di lavoro ancora tutta da affrontare, soprattutto se per ogni singola preferenza espressa si può aprire un dibattito di legittimità fra le squadre di esperti delle due parti in causa, dato che nessuno ha stabilito preliminarmente dei criteri univoci per dichiarare valido o meno ogni voto.
Come ha raccontato il corrispondente del New York Times Mattew Rosenberg, la scritta Insh’allah accanto al nome del candidato ha aperto un dibattito sull’opportunità di dichiarare nullo quel voto. E tutto questo deve essere moltiplicato per otto milioni per avere un’idea di quali potranno essere i tempi di verifica, sempre che non si giunga ad un compromesso politico.
Se Abdullah riconoscesse la vittoria a Ghani potrebbe negoziare un ruolo nel nuovo esecutivo, e d’altra parte, in base a quanto definito con gli Stati Uniti, la soluzione dovrebbe essere un governo di coalizione che includa entrambe le parti. Già nel 2009 aveva chiesto un ballottaggio equo con Karzai, tacciando la Commissione elettorale di brogli al primo turno, e poi si era di fatto sfilato dalla competizione lasciando da solo il presidente uscente e riconfermandolo come l’unico eleggibile rimasto in lizza.
Nel frattempo resta in stallo anche il futuro della presenza internazionale nel paese. Karzai ha rifiutato di firmare un accordo con Washington per il “dopo 2014”, ma il suo successore potrebbe non avere ancora un nome quando ai primi di settembre i paesi Nato coinvolti in Isaf dovrebbero riunirsi per discutere la fine della missione.
Ad Ovest della missione: gli italiani di Isaf (Raffaella Angelino, Herat)
Lo stallo politico ha contribuito non poco alla difficile gestione della sicurezza all’interno del paese, proprio nel momento di massimo rischio di attacchi da parte della cosiddetta “insurgency”, ideologizzata e non. Il paese si trova in piena “fighting season”, il periodo estivo durante il quale si concentra l’azione offensiva, solo in parte fiaccata dal mese di ramadan (ramazan in Afghanistan). Nel settore Ovest del paese, in particolare, che a livello Isaf-Nato si trova sotto il comando militare italiano, gli episodi di violenza direttamente legati al processo elettorale sono stati abbastanza circoscritti e le forze di sicurezza afghane hanno avuto una maggiore capacità di controllo del territorio rispetto a quanto è accaduto (e accade) nelle zone più “calde”, a est e a sud del paese.