Obama ha mentito: la NATO non se ne andrà dall’Afganistan.
Tlaxcala – 13 aprile 2014 – Nazanín Armanian, Tradotto da Daniela Trollio.
Doveva essere “l’ultimo atto di redenzione” della guerra contro il terrore degli USA, la promessa elettorale di un Barak Obama che nel 2012 accusava Mitt Romney di non avere un calendario per portare a casa le truppe dall’Afganistan. Ora il presidente statunitense vuole mantenere in quel paese circa 16.000 soldati in forma ufficiale, e non si sa quante altre migliaia sotto quali nomi e quali incarichi, e prolungare ancor più quella che è stata la guerra più lunga del paese. Alla fine, Obama soffre di quello che i greci chiamavano akrasia, debolezza della volontà.
Il nuovo presidente del paese invaso e occupato dovrà legalizzare lo status di colonia che Washington gli ha preparato. Né il presunto assassinio di Bin Laden in Pakistan, né la rivelazione (del segreto di cui tutti parlavano) del presidente Hamid Karzai, quest’uomo della CIA, del fatto che “Al Qaeda è un mito”, hanno fatto sì che gli USA smettessero di sottostimare l’intelligenza di chi li ascolta.
“Non possiamo lasciare adesso l’Afganistan. Ha bilioni di dollari in minerali” disse il generale David Petraeus, smontando i motivi umanitari (salvare gli afgani dagli integralisti talebani) o di sicurezza (salvare l’umanità dai terroristi di Al Qaeda) dell’invasione. Alla tentazione delle risorse naturali dell’Asia Centrale si aggiungono la posizione strategica del paese, che per secoli ha fatto da cerniera tra Cina, Russia, Iran e India. Oltretutto, ora che gli USA stanno perdendo il Pakistan, l’Afganistan è il territorio ideale per diventare il punto di appoggio delle loro forze armate in questa zona. Non ci metteranno molto a cambiare idea e a pentirsi!
Postilla del Patto Strategico
La notte del 2 maggio 2012, nel mezzo della campagna elettorale statunitense, Barak Obama fece un viaggio a sorpresa in Afganistan, per ottenere la firma di Karzai su un documento e ufficializzare il dominio USA su questa nazione oltre il 2014, data annunciata per la ritirata delle truppe, e così guadagnare punti nelle inchieste.
La bozza del testo, di 9 fogli, diceva quanto segue:
– gli USA manterranno le loro basi militari indefinitamente e potranno ampliarle, utilizzare le installazioni afgane, il suo spazio aereo e gestiranno aree “di uso esclusivo” statunitense;
- le Forze Speciali USA potranno continuare i loro assalti notturni alle case dei civili afgani (Obama si è opposto a che queste operazioni fossero realizzate insieme alle forze militari afgane);
- gli USA hanno cassato dal testo finale l’articolo che rinviava ai tribunali afgani il personale militare statunitense accusato di reati; i delinquenti avranno l’immunità giudiziaria;
- gli USA possono intervenire nei conflitti dell’Afganistan (con i suoi vicini), supervisionare gli investimenti stranieri nel paese, i suoi accordi di transito e la gestione delle frontiere; in più si obbliga Kabul ad appoggiare le cosiddette “operazioni antiterroristiche”;
- l’Afganistan non potrà sospendere unilateralmente questo patto che, anche con il consenso mutuo, avrebbe comunque efficacia per un altro anno.
Questo documento, che entrerebbe in vigore il 1° gennaio 2015, è rimasto in attesa della firma del nuovo presidente. Tutti i candidati sono d’accordo. Sulla sicurezza degli afgani neppure una parola, e nemmeno un piano per farla finita con i talebani.
Tutti i vicini dell’Afganistan si sono opposti al pericoloso accordo. Le basi statunitensi nel paese centroasiatico andranno ad unirsi a quelle che già possiedono in Iraq, Kuwait, Emirati Arabi, Oman, Qatar, Bahrein, Arabia Saudita, Turchia, Azerbaigian e Georgia (ai quattro lati dell’Iran). Solo la costruzione delle basi di Hilmand e Mazar Sharif costerà agli USA circa 300 milioni di dollari.