Skip to main content

Autore: Anna Santarello

AFGHANISTAN, BONINO A RASMUSSEN: IMPEGNO ITALIANO ANCHE DOPO 2014

9 Colonne – Agenzia Giornalistica – 25 luglio 2013

adonAfghanistan, rapporti Nato-Ue, Libia e Russia sono state, insieme con uno scambio di vedute sulle future sfide dell’ allargamento della Nato, le questioni sul tavolo del colloquio che il Ministro degli Esteri Emma Bonino ha avuto oggi alla Farnesina con il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen.

Il ministro Bonino ha anzitutto ribadito a Rasmussen l’impegno dell’Italia anche dopo il 2014 a sostegno della sicurezza dell’ Afghanistan entro un quadro di coesione con gli alleati, chiedendo di adoperarsi per promuovere un ampio coinvolgimento di Paesi membri e partners Nato.

La titolare della Farnesina ha posto l’accento sull’ esigenza che, oltre che sulla sicurezza, la comunità internazionale si impegni per migliorare le condizioni civili ed economiche del Paese, fermo restando il necessario rispetto da parte afgana degli impegni in termini di riforme democratiche, governance, inclusività e tutela dei diritti umani. In questo senso – ha concluso il ministro – le elezioni presidenziali che si terranno nel 2014 saranno un importante test per le Autorità afgane.

Nel corso del colloquio con il segretario generale della Nato, la titolare della Farnesina ha altresì sottolineato l’ importanza che l’ Unione Europea e la Nato sviluppino e approfondiscano ulteriormente la loro collaborazione, tanto a livello politico quanto promuovendo sinergie e progetti comuni, al fine di ottimizzare le spese per la difesa e la sicurezza: un’esigenza tanto più pressante alla luce dei sempre maggiori vincoli di bilancio degli Stati membri.

Continua a leggere

Afghanistan. Ordigni inesplosi e vittime civili: scoppia la polemica Onu-Isaf

OsservatorioIraq – 24 luglio 2013.

Alle mine lasciate dai sovietici e alle bombe artigianali dei talebani si aggiunge un altro pericolo davvero letale per la popolazione afghana: gli ordigni inesplosi abbandonati dalle truppe Nato, man mano che il ritiro avanza. A farne le spese sono come al solito i civili innocenti.
Si aggirano per le basi ormai deserte alla ricerca di rottami da rivendere a poco prezzo. Spesso sono bambini, ignari che quel pezzo di metallo all’apparenza buono da riciclare non aveva bisogno che di una piccola smossa per completare il proprio scopo originario, ovvero esplodere e seminare morte e distruzione.

Le statistiche, in questo senso, mostrano un allarmante aumento di questi incidenti di cui, secondo l’agenzia patrocinata dall’Onu, Mine Action Coordination Center of Afghanistan (Macca), buona parte di responsabilità starebbe nell’incuria da parte della coalizione militare occidentale guidata dagli Usa.
“L’Isaf deve ripulire completamente le basi militari e liberare i poligoni prima del ritiro definitivo del prossimo anno – ha detto all’Afp il direttore del Macca Mohammad Sediq Rashid – L’evidenza suggerisce che questo lavoro non è stato fatto correttamente”.

Se infatti dal 2008 sono 53 i civili uccisi da ordigni inesplosi trovati dentro o intorno alle basi Isaf disseminate nel paese, per il Macca la maggior parte di queste morti risalirebbe agli ultimi due anni, aggiungendosi alle già allarmanti cifre prodotte dalle vittime civili delle mine antiuomo e degli Ied (Improvised explosive device): 363 solo nel 2012 e più di 240 tra gennaio e giugno 2013.
“In un anno, un aumento da una media di 30 al mese a 40”.

Per Rashid, il tasso di mortalità tra i civili sarebbe addirittura destinato a crescere ancora dato che, man mano che le truppe lasciano le basi, la ricerca di un piccolo profitto porta sempre più persone a rovistare incautamente nei poligoni abbandonati, con altissime probabilità di imbattersi nei cosiddetti “residuati bellici”, che in teoria sarebbero dovuti essere eliminati prima della chiusura delle strutture.

Continua a leggere

Sotto i progressi educativi dell’Afghanistan, una serie di problemi scolastici

RAWA News – July 21, 2013, The New York Times, Rod Nordland

schools in badakhshan bad conditionSecondo le statistiche compilate da UNICEF solo il 24 per cento degli insegnanti afghani sono qualificati secondo la legge afghana, cioè hanno completato un corso di formazione di due anni dopo il liceo.

Salang: Non c’è un grammo di grasso sul corpo nerboruto di Abdul Wahid, e non c’è da stupirsi.

La mattina dopo aver finito il suo turno di lavoro, cammina per 10 miglia lungo sentieri di montagna nel nord dell’Afghanistan, dove prende un autobus per l’ultimo paio di chilometri fino all”istituto di formazione degli insegnanti di Salang. Il ritorno sullo stesso percorso di montagna altre 10 miglia per arrivare a casa ben dopo il tramonto, giusto in tempo per riposare per riprendere il suo lavoro il giorno dopo.

Nella sua determinazione a qualificarsi formalmente come insegnante, Wahid, 33, rappresnta l’esempio dei molti vantaggi dell’istruzione afghana negli ultimi anni. “Ne vale la pena, perché questo è il mio futuro”, ha detto.

Ma egli personifica anche quanti siano gli sforzi che si devono ancora fare. Wahid è il preside della scuola nel suo villaggio, Unamak. Anche se ha solo un diploma di scuola superiore, è il miglior insegnante che i suoi 800 studenti abbiano.

È ampiamente accettato che la richiesta tra gli afghani per una migliore istruzione e l’effettiva possibilità di frequentare, in particolare per le ragazze – è molta altra negli ultimi decenni. Per i funzionari occidentali che cercano di mostrare il lato positivo dopo una dozzina di anni di guerra e di forti investimenti in Afghanistan, il miglioramento dell’istruzione è una notizia positiva.

Continua a leggere

Per una “controstoria” dell’invasione in Afghanistan. Intervista ad Enrico Piovesana

Agoravox – 20 luglio 2013, di Andrea Intonti

arton49339 c888eLa Guerra in Afghanistan non è finita, ma la sua storia già provoca più di un dubbio. Dalle piantagioni di oppio tollerate dalle forze americane “per motivi umanitari”, alla ricaduta di ogni colpevolezza del loro smercio esclusivamente sui talebani. Fino alle alleanze strategiche con signori della droga intoccabili nel contrasto al commercio internazionale degli stupefacenti.

Kabul (Afghanistan) – La guerra in Afghanistan ha avuto – e continuerà ad avere con la nuova missione Resort Support – cause ben diverse da quelle che le “diplomazie mediatico-militari” hanno raccontato in questi dodici anni. Fronteggiare i talebani non significava democratizzare il Paese né combattere il terrorismo. La guerra in Afghanistan è stata, in buona sostanza, una gigantesca “guerra di mercato”: quella per il controllo dell’oppio. Ne abbiamo parlato con Enrico Piovesana, (nella foto) giornalista professionista e reporter di guerra specializzato in armi e conflitti.

Partiamo da quello che ormai sembra essere un dato di fatto: per il contingente occidentale in Afghanistan il problema dell’oppio non è eradicarlo.
In Afghanistan, americani e alleati hanno scelto fin dal 2001 di non immischiarsi nelle campagne di eradicazione delle coltivazioni di papavero, lasciando che se ne occupasse la polizia afgana.
“Non distruggeremo le piantagioni di papavero – spiegherà alla stampa internazionale l’assistente strategico del generale americano Stanley McChrystal – perché non possiamo colpire la fonte di sussistenza della popolazione di cui vogliamo conquistare la fiducia”. Questa semplice verità verrà pubblicamente affermata più volte nel corso degli anni dai vertici militari e politici di Washington. Questo “non interventismo” – ben rappresentato dalle tante immagini dei soldati occidentali in pattuglia tra i campi di papavero, magari fermi a chiacchiere con i contadini intenti a raccogliere oppio – è stato criticato per la sua ovvia ricaduta negativa sul contrasto alla produzione di oppio ed eroina. A smorzare queste le critiche, però, c’è sempre stata l’attenuante dall’aspetto ‘umanitario’ di tale decisione, vale a dire il riguardo – per quanto strumentale – nei confronti delle condizioni di vita della popolazione.

Continua a leggere

Afghanistan: dove vanno i soldi della cooperazione. Intervista ad Augusto Di Stanislao

Agoravox -18 luglio 2012, di Andrea Intonti

usaarmy 3d97f«Tra le mani dei “signori della guerra” afghani passano i miliardi di dollari che l’Occidente riversa da dieci anni a questa parte nel Paese per la cosiddetta ricostruzione». A parlare in questo modo, il 3 agosto 2011 alla Camera dei Deputati, è Augusto Di Stanislao, all’epoca Capogruppo dell’Italia dei Valori in Commissione Difesa.

Intervista.

Lei ha fatto visita al nostro contingente. Come vivono i militari la quotidianità? Quali sono state le sue sensazioni in quei giorni, da civile accolto nel mondo militare?
Sono stato nella zona ovest dell’Afghanistan, ad Herat, per visitare il contingente italiano Isaf presente nell’area. La conoscenza diretta e sul campo della realtà afghana e delle importanti iniziative in ordine alla ricostruzione e all’addestramento messe in campo dal nostro contingente hanno consentito di toccare con mano gli interventi che per qualità e quantità hanno “colpito il cuore e le menti della popolazione”.

È stata una missione breve per ragioni legate alla sicurezza e all’attività dei nostri soldati, ma molto istruttiva e che dà la cifra del valore delle attività promosse sul campo e della fiducia conquistata tra le istituzioni e le popolazioni locali da parte dei nostri soldati. Mi sento di ringraziare ancora l’intero contingente per quanto ha fatto e continua a fare ad Herat e nell’intero Afghanistan per garantire la stabilizzazione, la ricostruzione e l’addestramento.

La mia battaglia in Commissione Difesa, nell’Aula del Parlamento e fuori le mura di Montecitorio per uscire dalla missione Isaf e riportare i nostri militari [a casa, ndr] si incentrava sulla sicurezza del nostro contingente e della popolazione afghana a dispetto degli interessi politici ed economici. La missione in Afghanistan, così come è stata concepita ed avviata, si è trasformata con il tempo in una vera e propria guerra dove a pagare sono sempre e solo i più deboli e coloro che rischiano la vita e i tanti che l’hanno persa per sostenere scelte di Governo che devono essere riconsiderate e rivalutate all’interno del Parlamento.

I militari vivono e subiscono le scelte e le decisioni di un Governo che è stato sempre subalterno alle scelte degli alleati, fanno il loro dovere orgogliosi di rappresentare il Paese e di portare pace e ricostruzione là dove vi sono popolazioni martoriate. Ma in Afghanistan le cose sono cambiate da diversi anni, l’alto senso del dovere, la vocazione per la missione e il giuramento alla Patria vivono a braccetto con il terrore di essere il prossimo militare caduto in missione.

La cooperazione così come da lei denunciata, dove “tra il quaranta e il sessanta per cento dei fondi torna in tasca ai Paesi donatori, tra stipendi e profitto d’impresa” serve davvero alle popolazioni civili? O è forse solo un modo per “lavare la coscienza” dei paesi donatori e permettergli, ad esempio, di sviluppare reti di traffici illegali?
Il principale obiettivo della missioni internazionali che vedono impegnato in prima linea il nostro Paese è la cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. È questa la linea da seguire e da sostenere, non si riabilita un paese e il suo popolo solo con le armi, se non puntiamo sulla cooperazione allo sviluppo.

In Afganistan c’è bisogno di azioni civili, non militari. C’è bisogno di aiutare le Ong e sostenere quanto più possibile il loro operato, non portare nuovi caccia o armi. La cooperazione e l’operato delle Ong è di fondamentale e di primaria importanza, sono necessarie però forme di controllo più rigorose e un’indagine accurata sul miliardo di euro di aiuti civili che l’Unione europea e i Paesi membri destinano ogni anno all’Afghanistan. Nessuna pace duratura è possibile in Afghanistan senza una sostanziale riduzione della povertà e una lungimirante politica di sviluppo sostenibile.

Continua a leggere

La cooperazione in Afghanistan? Oppio e aiuti internazionali

Agoravox – 17 luglio 2013, di Andrea Intonti

arton49281 2d51fOppio e aiuti internazionali. Sono queste le basi dell’Afghanistan liberato, dove la cooperazione occidentale ha portato con sé, oltre agli immancabili interessi delle grandi società, anche un ben avviato traffico di droga dei contingenti occidentali, come scrivevamo qui.
La domanda da cui partire oggi è quella che, dopo 53 morti, in Italia ancora pochi si fanno: che ci siamo andati a fare in Afghanistan? Esportiamo democrazia? No, mazzette.

Stando alle cifre presentate nel 2011 alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per la nostra missione umanitaria dal 2001 al primo semestre 2011 l’Italia ha speso circa 4,07 miliardi di euro, per la maggior parte (87%) in spese militari, confermando ancora una volta come il nostro sia diventato ormai un vero e proprio Warfare State. Non è dato sapere, però, se in tutto quel denaro sia compreso anche quello utilizzato per comprare – letteralmente – i talebani, come riporta un dispaccio dell’ambasciata statunitense.

Nonostante le smentite ufficiali e la reprimenda di George W. Bush, guarda caso i grandi attentati si sono registrati proprio quando il flusso di denaro veniva meno. Ne sa qualcosa il contingente francese che, sostituendoci nell’agosto 2008 al comando del distretto di Sarobi, vicino Kabul, non era stato messo al corrente di questa pratica. Dieci legionari morti e 21 feriti il salato conto di questa dimenticanza.

Grazie alla partnership tra Wikileaks e L’Espresso è, inoltre, possibile smontare l’ipocrisia della nostra “missione di pace”, trasformandola in una meno costituzionale e meno etica missione di guerra, dove ruolo di primo piano lo hanno avuto i “veicoli neri” della Folgore, che tra maggio e dicembre 2009 ha «cambiato il volto della presenza italiana in Afghanistan». Tra i 14.000 file – scrivevano nel 2010 Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi – si può leggere «un diario impressionante in cui sono elencate diverse centinaia di combattimenti, con decine di italiani feriti in modo più o meno grave di cui non si è mai saputo nulla» che registra anche l’uso di razzi al fosforo bianco e le “Bunkerbuster”, capaci di penetrare anche i bunker sotterranei. Così come nulla si sa di un prigioniero custodito dagli americani consegnato al governo di Roma il 20 dicembre 2009 all’aeroporto di Bagram. Perché quest’uomo, identificato solo come un “terrorista straniero” interessava così tanto le nostre autorità? È ancora sotto consegna o è stato liberato?

Approfondimento: “Afghanistan, ecco la verità”, di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi, L’Espresso, 15 ottobre 2010.

Continua a leggere

Afghanistan storia di una sposa bambina

Osservatorioiraq – 15 Luglio 2013, di Anna Toro

sahar gul victim in baghlanLa liberazione anticipata degli aguzzini di Sahar Gul, sposa bambina sottoposta a indicibili torture da parte dei suoi suoceri, è solo l’ultima di una serie di attacchi legislativi e istituzionali alle conquiste femminili in fatto di diritti umani, civili e politici.

Un anno e mezzo fa le immagini di quella bambina afghana martoriata, piena di lividi e con i capelli strappati, avevano fatto il giro del mondo. Sahar Gul è stata venduta come sposa da suo fratello per 5000 dollari, quando aveva poco più di 12 anni.

L’idea dei suoi suoceri era di farla prostituire, ma al suo netto rifiuto è cominciata la tortura: i parenti acquisiti l’hanno incatenata in un bagno nel seminterrato, ridotta alla fame, picchiata, bruciata con tubi di metallo rovente. Succedeva nella provincia di Baghlan, nel nordest del paese.

Quando le autorità l’hanno finalmente trovata, era ridotta così male che l’hanno dovuta portar via dalla sua “prigione” con una carriola.
Il tribunale ha così condannato in primo grado i parenti acquisiti e la cognata a 10 anni di prigione. Da allora Sahar ha potuto ricominciare a vivere, recuperando salute fisica e psicologica grazie anche al lavoro delle associazioni umanitarie come Women for Afghan Women (WAW), che continua tutt’oggi a prendersi cura di lei.

Tutti in Afghanistan e all’estero avevano salutato le condanne dei tre aguzzini come un importante successo in fatto di diritti delle donne, dato che in passato questi casi non venivano trattati dai tribunali, o al massimo era la vittima a subirne le conseguenze.

Pochi giorni fa, però, per Sahar l’incubo si è nuovamente materializzato: i giudici, infatti, hanno ordinato il rilascio dei tre imputati, sostenendo che non vi sarebbe alcuna prova di abuso.
“Peccato che le persone che dovevano testimoniare contro di loro non avevano idea che l’udienza fosse in corso”, ha dichiarato al Guardian Kimberley Motley, avvocato americano che lavora a Kabul e che ha immediatamente preso in carico il caso.

Continua a leggere

C’era una volta… dall’Afghanistan. Nasce a Kabul l’Accademia delle Storie.

L’Unità – 12 luglio 2013 – di Cristiana Cella

Un’idea dell’imprenditrice Selene Biffi. La Qessa Academy è una scuola unica, nata tre mesi fa e rivolta ai giovani disoccupati che imparano dai cantastorie più anziani l’arte di raccontare.

Inventare e raccontare storie, conoscere quelle tradizionali, legare passato e futuro in una nuova narrativa. È questo che imparano, ogni pomeriggio, insieme all’inglese e all’uso del computer, 13 ragazze e ragazzi disoccupati, dai 18 ai 25 anni, sui banchi della Qessa Academy, Accademia delle Storie.

Una scuola unica, aperta tre mesi fa, in un quartiere popolare di Kabul, da una giovane imprenditrice sociale italiana, Selene Biffi. Selene ha fatto tutto da sola, compresa la pulizia e la pittura dei locali, con il finanziamento del primo premio del Rolex Award for Enterprise. Un’idea originale, forse strana per noi occidentali, ma non in Afghanistan. Qui, le storie sono pane quotidiano. Agli afghani piacciono le parole, d’amore e rabbia, tenerezza e dolore, battaglia e orgoglio. Intrecciate in racconti o in poesie, sono la forma d’arte più amata e popolare da millenni, in ogni etnia e ceto sociale, tra istruiti e analfabeti.

Versi e storie non sono di nessuno, appartengono a tutti, composti, raccolti e diffusi da mille voci. «Ho costruito un grandioso palazzo di versi, Inattaccabile dal vento e dalla pioggia, Così non morirò, perché sono come l’Eterno, Perché ho sparso semi di parole». Così scriveva il grande poeta Firdusi, nell’anno mille. Un modo di comunicare, ancora vitale, che, oggi, utilizza anche cellulari e web. Nella millenaria cultura afghana, accanto ai versi dei grandi poemi mistici dei maestri Sufi, ci sono quelli, rapidi come lampi, dei «Landai», ossia «serpentelli velenosi».

Sono composti oggi, come secoli fa, dalle donne pashtun, per esprimere sentimenti soffocati, ribellione alla violenza dei mariti. Sferzati con sarcasmo fulminante, e protesta politica. Le donne poetesse continuano a lanciare i loro «semi di parole» segreti, nonostante molte di loro abbiano pagato con la vita la loro arte. Come Nadia Anjuman, uccisa dal marito perché declamava in pubblico le sue poesie, o Zarmina, morta suicida, sorpresa dai fratelli e massacrata di botte, mentre affidava al cellulare i suoi versi.

Continua a leggere

Afghanistan: il “misterioso” caso di Mr. Kandahari

www.contropiano.org – di Enrico Campofreda

262f28ab452229333f5dea1cf044bb6e 614x300C’è di nuovo maretta fra il governo di Kabul e l’alleato statunitense che si rinfacciano operazioni e protagonisti delle stesse dai contorni quantomeno inquietanti. L’ultimo caso riguarda tal Zakaria Kandahari, un nome forse di copertura, del cui arresto hanno parlato taluni ufficiali dell’esercito afghano.

La notizia è confermata da fonte autorevole: il generale Manan Farahi, capo dell’Intelligence che dipende dal locale Ministero della Difesa. L’uomo ufficialmente è un interprete di cittadinanza afghano-americana, secondo altre fonti solo statunitense, addetto a collaborare con reparti speciali dell’esercito d’occupazione. Di fatto si tratterebbe di un agente addestrato dalla Cia per svolgere lavoro sporco: interrogare con ogni mezzo, immaginate voi quelli più in uso, i prigionieri politici.

Operazioni svolte nel quartier generale statunitense di Kabul, la cittadella proibita spesso oggetto di attentati da parte talebana. Unit 124 viene definito in codice il luogo operativo, probabilmente tuttora in funzione.

Di questo particolare soggetto Hamid Karzai chiese tempo fa l’arresto, ma nel gennaio scorso mister Kandahari si dileguò dalla base Usa facendo perdere le tracce. L’opera dell’agente torturatore era connessa con le missioni speciali compiute dalle Task Force della Nato, basate su blitz con cui vengono catturati civili sospettati di collaborare coi Taliban.

Continua a leggere

Afghanistan. Nella scrittura, la nuova libertà femminile

Osservatorioiraq – 5.7.2013

Zahra si è scoperta femminista, Roya ha trovato il suo antidoto alla paura, mentre Fatima ha potuto raccontare la verità sul suo paese. Sono le donne dell’universo (creativo) dell’Afghan Women’s Writing Project.

“Era difficile per me essere una brava ragazza afghana. Non riuscivo a seguire le regole, come indossare un burqa, stare a casa e fare i lavori domestici, o saltare la scuola a causa di una festa o per ricevere gli ospiti. In famiglia sono sempre stata incoraggiata a essere schietta, ma non in pubblico…”.

Inizia così uno dei numerosi racconti di Zahra A., una delle tante partecipanti al progetto di scrittura creativa Afghan Women’s Writing Project (Awwp). Accanto a lei Sitara, che spiega come sia lunga e in salita la strada per l’affermazione dei diritti delle donne, anche da un punto di vista legislativo.

O Gharsanay, che racconta la storia di una donna che scappa da un matrimonio forzato, fino al suo tragico epilogo.

Perché sono ormai moltissime le autrici-narratrici che affollano l’universo dell’Awwp, il cui scopo è quello di far sentire la voce delle donne afghane attraverso la loro voglia di raccontare e di raccontarsi senza paura.

Un turbinio di storie in cui la realtà del vissuto di ognuna s’intreccia con la fantasia, con quello che potrebbe essere stato o che loro vorrebbero che fosse, con i loro sogni, desideri, rimpianti.

Continua a leggere