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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, a rischio scioglimento l’unico partito laico e progressista

E-il mensile, 7/6/2012, Enrico Piovesana
Il governo di Karzai minaccia di sciogliere l’unico partito politico afgano laico e progressista, il Partito afgano della solidarietà (Hamabastaghì), per aver organizzato lo scorso 28 aprile una dimostrazione di protesta contro i criminali di guerra al governo in coincidenza con le celebrazioni nazionali del ‘Giorno della vittoria dei mujaheddin’.
Questa festività politica ricorda la conquista del potere a Kabul da parte dei mujaheddin islamici (Hekmatyar, Dostum, Rabbani, Mohaddedi, ecc) il 28 aprile del 1992, dopo al caduta del regime di Najibullah.

“Nella memoria collettiva del popolo afgano – spiega a E-il Mensile Said Mahmood Pahiz, portavoce di Hamabastaghì – il 28 aprile segna l’inizio dell’incubo della guerra civile tra le fazioni di mujaheddin che per anni si combatterono per contendersi il controllo di Kabul provocando centinaia di migliaia di vittime civili”.

“Per questo il 28 aprile abbiamo organizzato una protesta contro questi signori della guerra, contro questi criminali di guerra – continua Pahiz – che oggi sono al potere con il sostegno dell’Onu e della Nato. Per noi, per il popolo afgano, il 28 aprile è una giornata di lutto nazionale, non di festa”.

La reazione degli ex-mujaheddin non si è fatta attendere: hanno approvato in Senato, da essi dominato, una risoluzione per chiedere la sospensione dell’autorizzazione legale del Partito afgano della solidarietà in attesa di un’inchiesta ufficiale che giudichi l’oltraggio alla celebrazione nazionale.

La richiesta è stata subito accolta. “Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto una lettera del Ministero della Giustizia – spiega Pahiz – che ci informa che la registrazione del nostro partito è stata sospesa e che è stata aperta un’inchiesta sulla nostra protesta del 28 aprile. Ora attendiamo di venire convocati per testimoniare”.

Protesta della comunità hazara contro Mohaqiq, leader del partito dell’Hezb-e-Wahdat

Una folla di Hazara che protesta durante le commemorazioni di Khomeini. I manifesti dicono: "Questa è Kabul, non Teheran"

Haji Mohammad Mohaqiq, uno dei più spietati comandanti delle milizie di Hezb-e-Wahdat durante la guerra civile del 1992-1996, insieme a Abdul Ali Mazari e Muhammad Karim Khalili, è stato duramente contestato da centinaia di dimostranti della sua stessa comunità per aver commemorato la ricorrenza della morte di Khomeini, l’ex leader supremo iraniano.
In particolare gli intellettuali hazara rimproverano a Mohaqiq le connessioni con l’Iran denunciando l’episodio nel quale il rappresentante di Karzai venne colto in flagrante con una borsa piena dollari provenienti dall’Iran, lo stesso paese che ha dato rifugio ai criminali di guerra Hekmatyar e Ismail Khan.
Il CISDA, a sua volta, nel marzo 2012 aveva contestato la presenza in Italia di Mohaqiq che era stato invitato ad una conferenza in Campidoglio. Le proteste contro il promotore della famigerata legge di amnistia dei crimini di guerra emanata nel 2007 e di quella che autorizza lo stupro e la violenza all’interno del matrimonio, hanno fatto sì che il convegno venisse annullato.
(vedi comunicato del CISDA del 12/3/2012)

Il leader Hazara e membro del Parlamento afghano, Haji Mohammad Mohaqiq (In Iran, viene chiamato “affettuosamente” come "Haji Mohammad Mohaqiq il Barbaro"), mentre parla in commemorazione dell’Ayatollah Khomeini

I democratici afghani manifestano contro l’ingerenza Iraniana nel Paese

“Kabul non è Teheran!” Con questo slogan oggi sono scesi in piazza i giovani afghani per protestare contro la crescente influenza della teocrazia iraniana in Afghanistan che, soprattutto grazie al partito afghano Hezb-e-Wahdat (un partito direttamente finanziato dall’Iran), ha preteso che venisse celebrata la morte di Khomeini in tutto l’Afghanistan.

Le foto che pubblichiamo testimoniano dell’opposizione dei movimenti democratici e delle persone indipendenti in Afghanistan contro ogni fondamentalismo.

La foto del leader di Al-Wadhat, Mohaquiq, cancellata da una croce rossa

Commemorazioni di Khomeini contestate dai giovani afgani

Rawa News, 1 giugno 2012, di Frud Bezhan

I giovani di Kabul hanno ripulito le strade della città strappando i manifesti dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini.
Con lo scopo di commemorare l’anniversario della morte dell’ex leader supremo iraniano, i manifesti e i cartelloni di grandi dimensioni hanno offeso molti in Afghanistan, un Paese a maggioranza sunnita i cui rapporti con il suo vicino occidentale si sono recentemente inaspriti.
Le manifestazioni sono state organizzate ogni giorno nella capitale afghana in preparazione dell’anniversario del 3 giugno. Decine di giovani si sono ritrovati il 1° giugno di fronte ad un incombente cartellone di Khomeini con cartelli che portano la scritta: “Questa è Kabul, non Teheran”.
Lo studente universitario Ahmad Jan Kandahar  chiede “Perché stiamo celebrando giorni Khomeini qui in Afghanistan?” Komeini è una figura iraniana Qui abbiamo le nostre icone culturali. Dovrebbero essere questi i personaggi celebrati in Afghanistan”.
‘Attacco Diretto’
Nel corso di una manifestazione che si è svolta il 31 maggio in un liceo di Kabul, uno studente di nome Arash ha descritto gli sforzi per onorare Khomeini come una grave ingiustizia alla nazione afgana.  “Come vedete, i poster dell’Ayatollah Khomeini sono appesi nei punti nevralgici della città”, ha detto. “Questo è un attacco diretto contro la cultura afghana e propri eroi nazionali.”
Il sito di social networking Facebook è in fermento con i commenti e le foto dopo che sono stati affissi i manifesti. E mentre molti hanno criticato la mossa, alcuni hanno un po ‘difeso Khomeini come un grande leader della fede islamica.
“Khomeini è uno dei leader della fede islamica”, ha scritto Frugh Ashraf, membro della minoranza sciita hazara. “Egli non appartiene solo all’Iran, ma a tutti i paesi in cui ha seguaci.”
I favorevoli sono quelli della Shura islamica di Kabul, il consiglio sciita che ha messo i manifesti, destinato ad attirare le persone in piazza il 1 ° giugno. I manifesti, che il Consiglio ha affisso con il permesso delle autorità locali, mostrano una grande immagine di Khomenei e annunciano un “grande raduno” a grandi lettere. Tutti i partecipanti sono invitati a celebrare il 23 ° anniversario del “Grande Capo … dicendo addio a questo mondo.”
Il consiglio religioso si aspetta che centinaia di persone arrivino attraverso la moschea di Mazar in una preghiera di massa per offrire un segno di rispetto.
Un veemente dibattito politico
L’anniversario arriva in un periodo di forti tensioni tra Teheran e Kabul, con alcuni parlamentari afgani che accusano l’Iran di ingerenza negli affari interni afgani. La questione è diventata foraggio per un aspro dibattito politico.
“I leader iraniani non sono i leader dell’Afghanistan!” ha scritto uno studente universitario di Kabul in un forum afghano. “Le politiche dell’Iran non favoriscono l’Afghanistan. Il regime islamico in Iran non è il nostro governo. Quelli tra di voi che avete venduto la vostra anima, svegliatevi!”.
Ahmad Saeedi, un analista politico di Kabul, dice che la commemorazione della morte di Khomeini in Afghanistan è un indizio preoccupante di crescente influenza iraniana nel paese.
“L’influenza culturale, economica e politica dell’Iran inizia dalla carica presidenziale e si diffonde in tutto il paese”, ha detto Saeedi. “Questo garantisce che le norme e le tradizioni dell’Iran prevalgano su quelle Afghane.”
Gli osservatori dicono che la principale fonte di recenti tensioni tra Afghanistan e Iran è la firma di Kabul di un accordo a lungo termine strategico con gli Stati Uniti il 1 ° maggio, che ha sollevato timori iraniani di una prolungata presenza americana in Afghanistan.[…]

In Afghanistan uccideranno anche droni italiani

ROMA – Il quotidiano Corriere della Sera informa che molto probabilmente gli Stati Uniti permetteranno all’Italia di armare e di usare i suoi droni Reaper in Afghanistan.

Da: Iran Italian Radio – IRIB World Service

Secondo l’IRIB, il quotidiano spiega che come già accordato alla Gran Bretagna, anche l’Italia molto probabilmente avrà la possibilità di utilizzare i droni micidiali. La decisione è in linea con la politica di Obama che a partire dalla sua salita al potere ha esteso le operazioni dei droni killer in Afghanistan, Pakistan, Somalia e Yemen, uccidendo migliaia di persone, soprattutto civili innocenti. Secondo il Corriere della Sera il via libera sui droni all’Italia è anche sinonimo della permanenza degli italiani in Afghanistan oltre al 2014. Sempre sull’affare “droni killer” l’Italia sarà nefastamente coinvolta anche con la base di Sigonella, dove arriveranno i grandi «Global Hawk» della Nato. Tutti scenari inquietanti che preoccupano per quanto riguarda il futuro dell’Italia ed il suo coinvolgimento in azioni di tipo militare.

Afghanistan, donne sempre più sotto minaccia di fondamentalisti e talebani

Da: UAAR

La si­tua­zio­ne per le don­ne af­gha­ne è sem­pre più dif­fi­ci­le. Il go­ver­no di Ha­mid Kar­zai, in trat­ta­ti­va con gli isla­mi­ci più in­te­gra­li­sti e coi ta­le­ba­ni, ha re­cen­te­men­te ap­pro­va­to il co­di­ce di con­dot­ta per le don­ne sti­la­to da­gli ule­ma. Una pe­san­te at­ten­ta­to ai di­rit­ti del­le don­ne, che isti­tu­zio­na­liz­za uno sta­to di in­fe­rio­rità nei con­fron­ti de­gli uo­mi­ni su basi re­li­gio­se e tra­di­zio­na­li­ste.

Per que­sto, in vi­sta del ri­ti­ro del­le trup­pe del­la Nato dall’Af­gha­ni­stan e con l’in­ten­si­fi­car­si del­le in­ti­mi­da­zio­ni, le vio­len­ze e an­che gli stu­pri da par­te dei fon­da­men­ta­li­sti, sem­pre più don­ne e ra­gaz­ze ab­ban­do­na­no il la­vo­ro e la scuo­la. E fi­ni­sco­no sot­to la ‘tu­te­la’ de­gli uo­mi­ni, in casa. Il fe­no­me­no si fa pre­oc­cu­pan­te, come am­met­te an­che Guh­ra­maa­na Ka­kar, il con­si­glie­re del pre­si­den­te che si oc­cu­pa del­la que­stio­ne. E come ri­le­va­to dal­le ong che for­ni­sco­no sup­por­to alle don­ne.

Quin­di, le don­ne più at­ti­ve e che han­no più con­sa­pe­vo­lez­za dei pro­pri di­rit­ti scel­go­no di espa­tria­re all’este­ro, per ave­re pos­si­bi­lità di la­vo­ro e stu­dio che per­met­ta­no loro di af­fer­mar­si e tu­te­la­re dav­ve­ro i pro­pri di­rit­ti. Il ri­schio è che l’islam in­te­gra­li­sta ri­con­qui­sti di fat­to l’Af­gha­ni­stan, men­tre le don­ne ri­man­go­no schiac­cia­te dall’op­pres­sio­ne o de­ci­do­no di emi­gra­re ab­ban­do­nan­do il pae­se al suo de­sti­no. Cosa che ren­de­reb­be an­co­ra più re­mo­to l’af­fer­mar­si di una vera de­mo­cra­zia.

Afghanistan: la strategia per il post 2014 e il governo regionale

Mentre si avvicina la transizione prevista nel 2014 per il controllo della sicurezza in Afghanistan, è indispensabile adottare differenti tipologie di strategie al fine di perseguire una condizione di pace sostenibile.

Da: Geopolitica


Una soluzione di tipo regionale è spesso indicata come l’elemento fondamentale per raggiungere questo obiettivo, poiché i paesi vicini sono considerati la chiave per la stabilità dell’Afghanistan. Ma questa convizione riposta nell’importanza delle soluzioni regionali è basata su una serie di equivoci, impedendo lo sviluppo di una qualsiasi forma di piattaforma funzionale di tipo regionale.

Molti analisti e diversi attori influenti suppongono che il quadro regionale sia la causa principale della trentennale guerra afghana. Le opinioni dominanti considerano l’Afghanistan come un grande incrocio collegante varii commerci regionali e i nodi di risorse, ma descrivono anche la sicurezza dell’Afghanistan in funzione di interessi regionali competitivi, come ad esempio la rivalità indo-pakistana. Per alcuni il contesto regionale rappresenta anche la chiave per la pace futura.

Ma questi concetti sono riduttivi e difettosi, nonostante la maggior parte dei paesi della regione disponga di progetti competitivi legati al futuro dell’Afghanistan, utilizzato come un’arena di battaglie per procura. Gli elementi base del conflitto in Afghanistan si trovano all’interno dello stesso Afghanistan. Contrariamente alle opinioni largamente diffuse, le dinamiche di sicurezza interna legate all’Afghanistan stanno creando degli effetti a catena che si ripercuotono nella situazione della sicurezza interna dei paesi confinanti. Altri paesi della regione, inclusi gli Stati dell’Asia Centrale e l’Iràn, sono colpiti dalla guerra in Afghanistan in diversi modi. Gli Stati confinanti con l’Afghanistan sono comprensibilmente più vulnerabili rispetto ad altri Stati regionali con interessi geopolitici in Afghanistan – in particolare Russia, Turchia e India. Tra gli Stati che condividono il confine, il vasto deserto tra l’Iràn e il confine turkemo con l’Afghanistan li isola relativamente dalla guerra diretta. Ma il Pakistan, il Tagikistan e in misura minore l’Uzbekistan, rimangono maggiormente vulnerabili dagli effetti della guerra a causa delle loro comunità multietniche transfrontaliere, delle difficoltà del territorio e delle dinamiche politiche di frontiera. Queste variabili spiegano i differenti approcci adottati dai paesi regionali nella guerra in Afghanistan.

Il modello per il commercio e il trasporto regionale del futuro offerto dalla Rete di Trasporto Settentrionale – che include Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan come alternativa al Pakistan – sta creando crescenti divergenze fra gli Stati regionali. La risposta della Russia alla crescente influenza degli Stati Uniti è quella di rafforzare l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e la forza di dispiegamento rapido. L’Uzbekistan è contrario all’idea della forza di dispiegamento rapido poiché rimane diffidente nei confronti dell’influenza russa e preoccupato che tale forza potrebbe diventare uno strumento d’intervento straniero nei propri affari interni. L’Uzbekistan è inoltre contrario a qualsiasi meccanismo regionale che possa includere altri Stati che non siano confinanti con l’Afghanistan, come gli eventi della Conferenza Regionale di Istanbul del 2011 hanno suggerito.

E’ probabile che anche l’India svolgerà un ruolo complesso nell’Afghanistan post-2014. Gli elementi centrali della strategia statunitense per l’Afghanistan post-2014 ruotano attorno al mantenimento di una credibile forza anti-terrorista, sostenendo e supportando lo Stato afghano sorto da pochi anni. L’alleanza strategica di lungo periodo tra gli Stati Uniti e l’India supporta la proiezione dell’influenza economica e politica indiana nelle regioni dell’Asia Centrale e Meridionale. L’intervento militare statunitense in Afghanistan è stata un’occasione per l’India al fine di estendere la sua influenza politica ed economica in Afghanistan senza impiegare truppe militari. Dal momento che la strategia statunitense di transizione si trova in una nuova fase, sia gli Stati Uniti che l’India intendono favorire il consolidamento dell’influenza indiana, preferibilmente ancora senza un impiego diretto di soldati indiani in Afghanistan.

La posizione pakistana a proposito del ruolo dell’India in Afghanistan è un aspetto complesso. Negli ultimi anni i responsabili politici pakistani hanno accettato il ruolo economico dell’India nella regione come suo insieme, in particolare in Afghanistan. Il Pakistan, inoltre, non è un naturale competitore dell’India nel settore degli investimenti legati all’estrazione di risorse in Afghanistan, e spera di diventare un territorio di transito per le principali condotte energetiche che soddisferanno le crescenti richieste indiane di energia.

La guerra in Afghanistan ha devastato la stabilità macroeconomica del Pakistan e minacciato la sua futura crescita e prosperità. Oggi c’è un’opinione pressoché condivisa in Pakistan che il conflitto in Afghanistan deve terminare. Il cambiamento epocale rispetto al precedente approccio all’Afghanistan incentrato sulla propria sicurezza del Pakistan si riflette nella condizione che un Afghanistan pacifico e stabile è fondamentale per prosperità, sicurezza e stabilità di lungo termine dello stesso Pakistan. Il Pakistan ritiene che gli sforzi regionali otterrano scarsi risultati fino a quando non saranno affrontate le radici del conflitto all’interno dell’Afghanistan. Il dialogo tra i paesi regionali deve supportare il dialogo e i negoziati tra gli stessi afghani.

A tutte le parti in conflitto, inclusi il governo afghano, le forze d’opposizione, gli attori della società civile, i Talebani e altri gruppi associati, deve essere garantita la partecipazione al processo di negoziati attorno a un quadro di risoluzione del conflitto. Tutte le parti devono impegnarsi a rispettare l’integrità territoriale dell’Afghanistan, e lasciare che i problemi interni siano dibattuti e risolti dagli afghani.

Molti dei vicini dell’Afghanistan, incluso il Pakistan, sono profondamente turbati dalla continuazione della guerra in Afghanistan. Sono preoccupati che la fine dei giochi in Afghanistan stia ora dirigendosi verso l’obiettivo minore della stabilità piuttosto che della pace. Ma la stabilità in assenza di pace è probabile che rafforzi gli attori non statali e la loro abilità a plasmare gli eventi nelle regioni dell’Asia Centrale e Meridionale. Senza un rafforzamento degli sforzi verso una pace di lungo periodo attraverso dei negoziati e una risoluzione del conflitto, sia il Pakistan che l’Afghanistan rimarranno vulnerabili all’impatto corrosivo del conflitto oltre il 2014 dal punto di vista economico e politico.

Afghanistan, bombe Isaf sui civili: otto morti, sei erano bambini

Le vittime erano una coppia di genitori e i loro figli. Nel Sud del Paese quattro militari Nato uccisi dalle mine.

Da: Il Messaggero.it – 27 maggio 2012

KABUL – Quattro soldati della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) sono morti ieri nell’Afghanistan meridionale. Lo riferisce oggi la stessa Isaf a Kabul. In un comunicatoin cui non si indica la nazionalità delle vittime, si precisa solo che i decessi sono stati causati da «separati attacchi con rudimentali ordigni esplosivi» (ied). I militari stranieri morti in Afghanistan sono, secondo un calcolo non ufficiale, 33 dal primo maggio e 169 dall’inizio dell’anno.

Bombe Nato uccidono otto civili, sei dei quali erano bambini. Almeno otto civili, fra cui sei bambini, sono morti in un bombardamento aereo dell’Isaf nell’Afghanistan orientale. La denuncia del massacro è stata fatta dal un portavoce della provincia di Paktia secondo cui le vittime appartengono tutte alla stessa famiglia. Il portavoce provinciale Rohullah Samon ha indicato alla stampa che «un uomo, una donna e i loro sei figli sono morti in un bombardamento aereo da parte della Coalizione internazionale ieri sera intorno alle 20 sul villaggio di Suri Khail del distretto di Gurda Saria». Da parte sua un portavoce dell’Isaf a Kabul ha detto che la Forza «è al corrente della denuncia» e che «si stanno raccogliendo le informazioni per poter commentarla». Le vittime civili rappresentano il nodo centrale del più che decennale intervento della Nato in Afghanistan. Secondo le statistiche dell’Unama, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, l’80% di esse sono attribuibili ai talebani e agli altri oppositori armati. Tuttavia quest’anno si sono ripetuti con più frequenza del solito incidenti in cui civili inermi sono morti in azioni delle truppe straniere.

Sempre meno donne e diritti umani nell’agenda politica dell’Afghanistan

Da: Osservatorio Iraq

Temono il ritorno della legge talebana con il ritiro delle truppe internazionali previsto per il 2014. Così, le donne più brillanti e intraprendenti hanno iniziato a lasciare l’Afghanistan: una vera e propria fuga di cervelli, tutta al femminile.

di Anna Toro


Il mancato impegno da parte del governo afghano nel promuovere l’uguaglianza e nel perseguire i maltrattamenti nei confronti delle donne ha aumentato la loro paura di perdere tutti i progressi raggiunti finora.

Temono, e forse a ragione, di finire relegate in fondo all’agenda politica, soprattutto dopo la data fatidica del ritiro e della probabile perdita di interesse da parte del mondo verso il destino del paese.

Paradossalmente, nonostante la guerra vada avanti da oltre un decennio, in questi tempi il livello di sicurezza per la popolazione afghana è diminuito in modo progressivo, con conseguente aumento delle vittime, anche e soprattutto tra i civili: più di 3 mila dal 2007 ad oggi.

E le donne sono le più colpite.

Chi può scappa, ma sono sempre di più anche le donne che abbandonano scuola e lavoro per rinchiudersi nel silenzio delle proprie case (e nemmeno lì la sicurezza è garantita).

Secondo un recente report dell’ong ActionAid, l’86% delle afghane teme il ritorno della legge talebana, e una su 5 è preoccupata per l’educazione delle proprie figlie.

Certo il 72% conferma che la propria vita è migliorata rispetto a 10 anni fa, sebbene l’inversione di tendenza inizi già nel 2007.

Guhramaana Kakar, consulente del presidente afghano Hamid Karzai, sottolinea come i negoziati tra governo, talebani e altri gruppi di insorti stiano ignorando in modo sistematico i diritti delle donne.

“Certo oggi ne abbiamo molte in Parlamento – afferma in un’intervista all’Observer –, ma con ruoli molto deboli. Eppure molte sono capaci e coraggiose, in grado di negoziare meglio degli uomini, anche perchè meno coinvolte nei vecchi giochi politici”.

“Vengono regolarmente molestate, sfruttate, e i loro successi sono quasi sempre acquisiti dagli uomini – continua Kakar –. Spesso sono bersaglio degli insorti per il solo fatto di andare a scuola o di lavorare. E perfino a casa sono soggette a violenze e abusi, tacitamente tollerati dalle corti penali. Tutti gli afghani, uomini e donne, vogliono un paese senza le truppe straniere, ma la comunità internazionale dovrebbe mettere le donne in agenda e assicurarsi che siano garantite loro la sicurezza e le libertà fondamentali”.

Non solo il governo, dunque, ma anche la comunità internazionale avrebbe subito un arresto nella promozione dei diritti umani in Afghanistan.

Secondo Nader Nadery, membro dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission, dal 2007 mentre il governo di Karzai ha iniziato a mostrare sempre più ostilità riguardo ai suoi obblighi rispetto ai diritti umani, la comunità internazionale, oltre a critiche sporadiche, non ha più svolto alcuna azione concreta contro le ripetute violazioni.

Ne è un esempio la recente conferenza Nato a Chicago che, a detta degli attivisti, avrebbe totalmente ignorato la questione.

“Man mano che passa il tempo, i diritti umani sono menzionati sempre meno nelle discussioni internazionali sull’Afghanistan – afferma Nadery –. Basta vedere gli stessi documenti ufficiali: nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 22 marzo, ad esempio, i diritti umani, tutti e non solo quelli relativi alle donne, sono relegati a mera questione secondaria”.

Gli stessi parametri della strategia internazionale nel paese sono cambiati: all’inizio tutti i partner, Stati Uniti in primis, consideravano le riforme sui diritti umani come componente strategica del processo di ricostruzione dell’Afghanistan.

Poi la guerra contro gli insorti ha preso il sopravvento, seguita dalla lotta al terrorismo e dagli interessi politico-militari.

“Non vedendo un futuro, le più intelligenti e lungimiranti cercano borse di studio o lavoro all’estero” conferma Selay Ghaffar, direttore esecutivo dell’ing di Kabul Humanitarian Assistance for the Women and Children.

Che aggiunge: “I miliardi di dollari riversati in Afghanistan dalle organizzazioni internazionali sono finiti nelle tasche di politici maschi, mentre le donne continuano a sentirsi insicure nella loro stessa terra. E intanto, tutti i piani per il futuro si ostinano a ignorare questa importante metà della sua popolazione”.

29 maggio 2012

Afghanistan. La Nato lancia il divieto di scattare foto nei teatri di guerra.

Da: ArticoloTre

La Nato presente in Afghanistan nel settore sud-ovest ha preso recentemente la decisione, discutibile, di vietare in modo categorico a tutti i soldati di scattare foto “personali” durante le azioni militari. La decisione è stata presa dopo che in passato alcuni scandali erano stati scatenati proprio dalla diffusione di alcune foto di torture e sevizie pubblicate da militari americani una volta tornati a casa.


-D.C.- 28 maggio 2012- Farà discutere la decisione presa dalla Nato del settore sud-ovest in Afghanistan di rendere operativo un totale divieto per i soldati di scattare fotografie nel corso di missioni militari. La decisione, non casualmente, è stata presa dopo che una serie impressionante di scandali riguardanti le forze armate americane erano stati causati proprio dalla pubblicazione di alcune foto compromettenti, non ultima quella di alcuni marines immortalati mentre sogghignavano vicino ai corpi senza vita di un gruppo di taliban. Anche per questo motivo il comando Isaf della provincia afghana di Hellmand ha deciso di autorizzare, da questo momento in poi, solamente più le foto ufficiali.

Il divieto dovrebbe riguardare da subito almeno 36.000 soldati, inclusi ben 15.800 marines. Per questo motivo un vasto numero di fotografie amatoriali e di video dei soldati verranno censurati in modo da cercare di evitare altri imbarazzanti incidenti come quello causato dalle foto che ritraevano alcuni marines urinare sui cadaveri inerti dei nemici. Il comandante dell’Isaf, Charles Gurganus, ha fatto sapere di essere perfettamente d’accordo con la misura decisa dal comando Nato in quanto la fuga di foto che ritraggono atrocità o vittime di guerra potrebbe minare dall’interno lo sforzo belico. Mentre infatti nel XX secolo, come ad esempio in occasione della guerra al Vietnam, erano pochi coloro che sono riusciti a documentare le vergognose atrocità belliche, nel caso dell’Afghanistan grazie all’avvento delle nuove tecnologie, negli anni scorsi è stato facile rendere pubbliche le barbarie della guerra mediante video e fotografie, spesso scattate proprio dagli stessi soldati.

Il generale Gurganus ha cominciato quindi a spiegare ai suoi uomini che le foto potranno essere fatte solo più all’interno delle basi militari americane, e mai, per nessun motivo, nel corso di operazioni di guerra. L’ordine del Comando generale dell’Isaf è quindi molto chiaro nel stabilire che cosa possa essere filmato e cosa no. Ad esempio sarà strettamente probito fare una qualsiasi foto agli aerei della Nato nella base aerea di Bagram. Non sempre però i soldati americani hanno fatto fotografie e filmati a scopo di denuncia; spesso al contrario hanno deciso di realizzare filmati delle proprie “imprese” belliche da mettere sul web,un costume davvero di cattivo gusto dal quale ha preso le distanze anche il Colonnello David Bradney, il quale ha apertamnte condannato l’usanza tipicamente americana dei soldati di usare illegalmente caschetti con all’interno telecamere nascoste per immortalare in prima persona, come se fosse un videogame, le azioni di guerra.

Sostanzialmente quindi i comandi americani avrebbero ben più di un motivo per essere spaventati da una fuga di materiale video.Alcuni spezzoni di video che immortalano marines in azione infatti, potrebbero essere utilizzati dai talebani come propaganda contro le forze alleate. I talebani inoltre sarebbero i primi a cercare di mettere le mani su questo materiale in quanto da esso riuscirebbero a imparare le tattiche belliche utilizzati dalle forze armate americane. Insomma, al posto che autorizzare inchieste serie sulle atrocità commesse in Afghanistan, la Nato preferisce ricorrere al vecchio trucco della censura preventiva: nessuna foto, nessun problema. Del resto se non fossero state scattate quelle orribili foto nel carcere di Abu Grahib, a Baghdad, in molti ancora penserebbero alla “leggenda” della missione di pace.