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Autore: Anna Santarello

Basta favole sull’Afghanistan

Gianni Cipriani, 30.3.2012 – Globalist.it

Il generale Abrate, parla dei nostri militari morti e dice che si stanno compiendo i primi passi verso lo sviluppo. Primi passi? Ma se siamo lì dal 2001…

“La condivisione e la collaborazione delle nostre forze Isaf con le truppe afghane dà sempre più fastidio agli insurgents. Questo è il vero motivo per cui ci attaccano, ma noi non dobbiamo farci piegare da queste fiammate che possono essere ben dominate soprattutto con una sempre maggiore e penetrante collaborazione con le forze locali”. E ancora: l’Afghanistan “è cresciuto sotto il profilo della sicurezza, soprattutto nella zona di nostra competenza, sotto il profilo della governance e si stanno compiendo i primi significativi passi verso lo sviluppo”.

Così il generale Biagio Abrate, capo di stato Maggiore della Difesa in visita ad Herat a chi gli domandava dei 50 morti tra i militari italiani.
Ho troppo rispetto per chi rischia la vita e rappresenta l’Italia per infilarmi in polemiche demagogiche. Né mi sfugge che i militari italiani sono in Afghanistan perché così hanno voluto i governi che si sono succeduti dal 2001 ad oggi e così ha sempre deciso il Parlamento.

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Centinaia di donne e ragazze in prigione per “crimini morali” La denuncia di Human Rights Watch

26 Marzo 2012
Circa 400 donne e ragazze sono attualmente nelle prigioni afgane accusate di “crimini contro la morale”, che di solito significa essere fuggite da un matrimonio forzato (illegale) o dalla violenza domestica.
Alcune sono state condannate per il crimine di “zina”, ovvero per avere avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio, solitamente a causa di uno stupro o per essere state costrette alla prostituzione.

Per la legge afgana lo “zina” è un crimine punibile con una pena che può arrivare a 15 anni di prigione.
Una ricerca sul campo di Human Rights Watch ha dimostrato che almeno metà delle donne in prigione e tutte le ragazze nelle carceri minorili sono state arrestate per essere fuggite a un matrimonio forzato o per essere scappate da mariti e parenti che usavano violenza contro di loro.
Alcune donne intervistate da Human Rights Watch raccontano che si erano rivolte alla polizia per chiedere disperatamente aiuto, e sono finite invece arrestate.

Le donne e le ragazze carcerate descrivono le violenze da cui sono fuggite, tra cui matrimoni precoci e forzati, percosse, frustate, bruciature con il fuoco, stupri, costrizione alla prostituzione, rapimenti e minacce di morte. Praticamente nessuno di questi casi denunciati ha mai portato neppure a una minima forma di indagine giudiziaria, per non parlare di una vera imputazione o di una pena per i responsabili.

Le donne DI KABUL

GIULIANA SGRENA da KABUL, 29.3.2012  Il Manifesto

Viaggio in uno «shelter» tra le donne afghane che hanno subìto violenza. Dopo undici anni di guerra la condizione femminile nel paese ancora occupato continua a peggiorare. Lo conferma uno studio di Human Rights Watch. Quasi tutte le ragazze detenute sono in carcere per «crimini morali»
«Quindici anni fa, quando è morto mio padre, sono andata a vivere con uno zio che mi ha fatto sposare uno dei suoi figli. Dopo un mese mio marito ha cominciato a picchiarmi; vivevamo con la sua famiglia, tutti mi trattavano male. L’anno scorso mio marito ha sposato un’altra donna e anche lei ha cominciato a picchiarmi», e mostra le cicatrici sul suo corpo. «Siccome non posso avere figli mio marito voleva buttarmi fuori di casa, allora sono andata da uno zio e quando ho capito che mio marito non mi avrebbe mai più accettata, mi sono rivolta al ministero degli interni per ottenere il divorzio», racconta Zineb. Ma non è facile ottenere il divorzio e nel frattempo è ospitata in una casa per le donne che hanno subìto violenze, perché la madre, che si è risposata dopo la morte del padre, non ha più voluto saperne di lei.
 
Lo shelter è gestito da Hawca, una ong fondata nel 1999 e impegnata nel sostegno a donne e bambini, prima tra i profughi in Pakistan e poi qui in Afghanistan. Zineb è avvolta in un abito nero decorato di fiori ricamati con filo argentato, deve essersi messa il vestito più bello per scappare da casa. E’ esile e la sua voce si sente appena, è arrivata da soli tre giorni e deve ancora ambientarsi. Anche se dice di trovarsi bene con le altre ospiti della casa, «a volte ho bisogno di stare sola, soffro di mal di testa e ho avuto anche problemi al cuore». Cosa pensa di fare in futuro? «Non lo so, per ora voglio il divorzio e poi spero di avere una nuova vita», dice Zineb, mentre le lacrime le riempiono gli occhi.
 
La casa ha 30 posti letto, ma a volte ci sono anche 40 donne, dice Hamida, la direttrice, e spesso con bambini. Le donne qui rimangono da qualche settimana a due o tre anni, dipende dai casi. Mentre sono qui seguono corsi di alfabetizzazione e di formazione per poter trovare un lavoro in futuro, in modo da diventare indipendenti economicamente. C’è chi ora fa la sarta e due sono diventate poliziotte. Alcune delle ragazze sono molto giovani, tutte sono scappate di casa per sfuggire alla violenza. Ma scappare di casa in Afghanistan, sebbene non sia un reato secondo la legge, è un «crimine morale» che ti condanna direttamente al carcere. Le detenute sono accusate in gran parte di «crimini morali». Anche le donne che denunciano uno stupro invece di veder punito lo stupratore finiscono in carcere con pesanti condanne per «adulterio».

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«Stati uniti e Inghilterra non si ritireranno mai E sono conniventi con il traffico della droga» AFGHANISTAN/ LA DENUNCIA DEL GIORNALISTA TELEVISIVO NASIR FAYAZ

INTERVISTA – GIULIANA SGRENA da KABUL,  Il manifesto
Le zone sorvegliate da inglesi e americani sono le prime produttrici di oppio al mondo: «Per la mafia locale è impossibile trasportare da sola i carichi verso l’estero e nel paese»
Nasir Fayaz, giornalista, fino a tre mesi fa moderava i dibattiti politici su Ariana tv, una emittente privata afghana. E’ stato costretto a dimettersi dopo un «incidente» diplomatico con l’ambasciata iraniana. Ora sta pensando di andare a lavorare nella Commissione per i diritti umani in Afghanistan. Un’altra idea che coltiva è quella di costituire un nuovo sindacato, indipendente, dei giornalisti.
«Lavorare in Afghanistan – racconta – è sempre stato rischioso. Sono stato minacciato dalla mafia al potere, dal governo, dai signori della guerra. E anche dall’ambasciata iraniana e per quell’incidente sono finito in prigione per due giorni».
 
Il diverbio è nato sull’occupazione dell’Afghanistan, ma l’Afghanistan è occupato.
È ovvio che l’Afghanistan è occupato e che non ha nessuna sovranità: tutto viene deciso dall’ambasciata americana. Ma anche l’Iran e il Pakistan stanno destabilizzando il nostro paese. L’Iran ha interessi politici ed economici ma soprattutto vuole fare dell’Afghanistan un fronte contro gli Usa. Mentre il Pakistan vuole mantenere qui una propria presenza e per questo sostiene i taleban.

Il Pakistan sostiene solo i taleban a anche altri?
Il Pakistan, soprattutto l’Isi (servizi segreti), sostiene i taleban ma anche i signori della guerra al potere prima dei taleban e di nuovo al potere con questo governo. Quindi il Pakistan è legato ai signori della guerra, ai taleban e al governo.

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Good morning Kabul

Giuliana Sgrena – domenica 25 marzo 2012

Dopo sette anni, Kabul è irriconoscibile: la zona delle ambasciate è tutta bunkerizzata, nel resto della città la ricostruzione è selvaggia. E i servizi mancano.

NEWS 17962 300x225Non avrei mai pensato di trovare un luogo più tremendo della Green zone di Baghdad, mi sbagliavo. A Kabul la zona delle ambasciate è diventata un luogo infernale. Girando tra i vari corridoi creati con i lastroni di cemento, che la globalizzazione ha reso familiari in tutti i luoghi di conflitto, sembra di essere sullo scenario di un film dell’orrore. Gli unici segni riconoscibili sono le targhe delle ambasciate. Alcune sono appena state costruite, come quella indiana, tutta laminato (almeno appare tale da lontano) grigio argentato con cupole di vetro, che molti ritengono non dureranno a lungo (nel senso che potrebbe essere il facile obiettivo di un attentato).
 
Del resto questa bunkerizzazione non garantisce la sicurezza, spesso ci sono scontri nelle zone limitrofe. Una zona militare con muraglioni coperti di rotoli di filo laminato si estende su due lati di una delle strade che attraversano la zona. Le macchine non possono entrare e quelle che lo possono fare devono continuamente superare sbarre controllate da militari. In gran parte la sicurezza è però affidata a agenzie private che impiegano anche afghani (come quelli che proteggono l’ambasciata italiana) oltre a contractors stranieri. Questo è un luogo ideale per il business dei contractor. Anche perché sono in pochi a fidarsi dell’esercito e della polizia afghani, alimentati dalle milizie dei signori della guerra che sono anche i trafficanti di droga oltre a esponenti del governo di Karzai.
 
Kabul è irriconoscibile dopo qualche anno di assenza e non per la coltre di polvere che si solleva dalle strade sterrate. La ricostruzione selvaggia ha trasformato la città distrutta dalle guerre in una capitale sfigurata dove ville dall’architettura discutibile che fa sfoggio di vetrate colorate e di colonne “romane” – simbolo della ricchezza accumulata con il traffico della droga e la corruzione – a catapecchie di fango e cumuli di macerie. Solo le baracche appollaiate sulle colline che circondano la città sono sempre le stesse.

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I massacri di civili nelle guerre moderne

Il massacro di Kandahar
di Jon Lee Anderson, The New Yorker

Le notizie che arrivano dall’Afghanistan mostrano sempre più come gli Stati Uniti e i loro alleati non solo non sono benvenuti in quel paese, ma che non fanno altro che danno. Anche se i dettagli del massacro non sono ancora stati chiariti, è accertato che sia stato un soldato americano quello che domenica mattina ha ucciso a sangue freddo 16 civili afgani a Kandahar, nella provincia di Panjway. Si tratta solo dell’ultimo caso di una lunga lista, che fa capire come alcuni soldati americani disprezzino, odino e non rispettino la gente che li sta ospitando. […]

Due settimane fa c’è stato l’episodio di testi sacri e copie del Corano bruciati in una base americana, fatto che ha scatenato violente proteste in tutto il paese e ha causato la morte di almeno una trentina di persone, inclusi sei soldati americani. In gennaio è stato pubblicato un video registrato da soldati americani, che mostrava quattro marines che urinavano su corpi di sospetti talebani da loro stessi uccisi. Nel 2010 nella provincia di Maiwand, nel sud dell’Afghanistan, non lontano dal distretto del Panjwai, un gruppo di soldati americani praticava lo “sport killing” di civili afghani (lo sport di uccidere civili), arrivando persino a fotografarsi in posa con le loro vittime e a prendere parti dei loro corpi come trofei.

Purtroppo questi incidenti non sono rari fra i soldati americani: ci sono stati anche in Iraq, come dimostrano le ignominie di Abu Ghraib, il massacro di Haditha e altri migliaia di casi, a volte nemmeno mai emersi, nei quali i soldati hanno umiliato, abusato o ucciso civili iracheni. Questi comportamenti non hanno niente a che fare con una supposta legittima difesa: sono dovuti all’odio e alla paura. […]

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Come si chiamavano le 16 persone massacrate in Afghanistan?

Dean Obeidallah, Huffpost World

Tutti sanno il nome del sergente Robert Bales – il soldato USA accusato di avere ucciso sedici civili in Afghanistan. Sappiamo che ha 38 anni e che è sposato con due figli. L’abbiamo sentito descrivere come persona “spensierata” e come giocatore di football quando era alle superiori, che aveva anche fatto volontariato con bambini disabili.
Sappiamo che si è arruolato poco dopo l’11 settembre e che è stato ferito in Iraq mentre prestava serivizio in quella guerra: precisamente, sappiamo che ha perso una parte del piede. Stranamente, non sappiamo che religione professi, ma possiamo tranquillamente assumere che non sia musulmano, altrimenti questa sarebbe stata una notizia da titoli di giornali.
Abbiamo perfino sentito numerosi suoi commilitoni e amici d’infanzia, come Marc Edwards, ex giocatore dei NFL che una volta ha giocato nella squadra di New England Patriots, dire che l’attacco omicida di cui Bales è accusato è del tutto inspiegabile per il carattere dell’uomo che loro conoscevano.

I media ci hanno fornito un ritratto molto dettagliato di Robert Bales. Ma c’è qualcuno che ha mai sentito il nome di una delle 16 persone che egli è accusato di avere ucciso?

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RAWA celebra la Giornata internazionale della donna

La presenza di donne nei più alti posti governativi non ha nessuna importanza se queste donne non hanno il coraggio di difendere le più sfortunate donne afgane
14 marzo 2012

La Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) ha celebrato la Giornata internazionale della donna con una cerimonia tenuta nella provincia di Nangarhar, alla quale hanno partecipato circa un centinaio di donne e ragazze. Dopo un’introduzione con recita di poesie e canzoni, una donna di nome Sharifa ha ricordato brevemente la storia dell’8 marzo e la sua importanza per le donne in Afghanistan.
Quindi, un’altra attivista, Azita, ha letto il seguente discorso che chiarisce la posizione politica di RAWA e descrive la condizione delle donne sotto l’invasione USA:

“Il mondo intero fu scosso [dopo l’11 settembre 2001, N.d.T.] e il nostro paese fu occupato con la scusa di liberare le donne afgane, ma oggi le terribili sofferenze delle donne non solo non sono diminuite, ma anzi l’oppressione delle fasce più deboli della società è aumentata. Il governo di Karzai, ultra corrotto e mafioso, e la cosiddetta comunità internazionale hanno ingannato le donne afgane e usato le loro sofferenze per la loro propaganda, buttando sabbia negli occhi del mondo. Le poche donne che fanno parte del governo Karzai hanno legami con i signori della guerra: Sima Samar, Fawzia Koofi, Nosheen Arbabzada, Shukria Barikzai, Azita Rifat, Palwasha Kakar, Manizha Bakhtari, Wazhma Forough e altre ancora sono usate come simboli della libertà delle donne nel nostro paese.

Il governo afgano e i media occidentali fanno passare la presenza di 68 donne in parlamento come un grande risultato, come se le donne avessero raggiunto il pieno rispetto dei loro diritti. Ma quasi tutte queste donne sono esse stesse tra i peggiori nemici dei diritti delle donne e della democrazia e sono come burattini nelle mani di signori della guerra. La presenza di donne nei più alti posti di governo non è rilevante, se queste donne non hanno il coraggio di difendere le sfortunate donne afgane. Quando parlano ai media delle sofferenze delle donne, molte di queste parlamentari usano toni che paiono scelti per non dare fastidio ai jehadi e i capi del governo.

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Comunicato di RAWA per l’8 marzo

La libertà delle donne afghane dalla morsa del fondamentalismo, dell’occupazione e del patriarcato è possibile solo attraverso la loro stessa lotta!

Comunicato di RAWA nella Giornata Internazionale della Donna.

Le donne afghane hanno trascorso un altro anno sotto il dominio delle forze di occupazione, del governo mafioso legato alla Jihad e sotto il terrore dei Talebani. Il risultato di tutto ciò è stato l’aumento della povertà, l’ulteriore mancanza di case e fisse dimore, gli sfollati interni, la perdita dei propri cari, la violenza domestica, gli stupri, l’auto-immolazione, l’incremento della mortalità materna e infantile e migliaia di altre sofferenze.

Secondo le statistiche fornite dalle Nazioni Unite, lo scorso anno sono stati registrati circa 5.000 casi di violenza sulle donne, ma il numero reale è molto più elevato. Gli ultimi 10 anni di occupazione USA e NATO sono stati un vero inferno per le donne e le ragazze, che hanno subito violenze di tutti i tipi, inclusi stupri di gruppo. Uno studio condotto dall’Unione Europea afferma che ci sono decine di donne in carcere vittime di stupri, imprigionate perché considerate “criminali”. Spesso i violentatori sono alti funzionari governativi o persone a loro legate e il corrotto sistema giudiziario afghano non è in grado di perseguirli.

La relazione del 2011 dello Stato delle Madri nel Mondo riporta che in Afghanistan 50 donne muoiono ogni giorno di parto, ma tutto ciò non ha la minima importanza per i membri traditori del governo afghano, per i ministri e il ministero degli affari femminili, pezzi “decorativi” in parlamento. Non è importante nemmeno per le ONG né per gli Stati Uniti e i paesi occidentali, che hanno occupato l’Afghanistan con il pretesto di liberare le donne.

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno invaso l’Afghanistan dieci anni fa con la scusa di sradicare il terrorismo, Al Qaeda e i Talebani. Secondo i dati raccolti dal Prof. Marc Herold, gli Stati Uniti si sono vendicati sulla popolazione afghana bombardando e uccidendo nei primi mesi di occupazione circa lo stesso numero di civili uccisi durante gli attacchi dell’11 settembre a New York. Sicuramente, gran parte della nostra gente voleva l’eliminazione del barbaro e criminale regime talebano, ma non a costo di perdere la propria indipendenza. Pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione statunitense, RAWA ha dichiarato in un appello: “Ciò che il nostro popolo sta affrontando ora è il risultato di quanto commesso dai Talebani e da Al Qaeda, ma la nostra gente non ha colpa e non ha contribuito alla loro crescita e al loro radicamento. La popolazione afghana desidera un governo basato su valori democratici. Di conseguenza, i nostri compatrioti devono lottare per sconfiggere i Talebani e i loro Osama…”. La richiesta che RAWA fece insieme al popolo afghano era che il dominio talebano venisse abbattuto dall’insurrezione e dalla lotta del popolo afghano e non attraverso l’invasione di aggressori stranieri.

Il governo USA e la NATO, che intendevano invadere l’Afghanistan e rimanervi per i loro scopi militari, economici e strategici, hanno solo usato i problemi e le sofferenze delle nostre donne e hanno giocato con i Talebani per tutti questi dieci anni. All’inizio li hanno divisi fra Talebani “moderati” e Talebani “estremisti” e ora si sono spinti molto oltre, al punto che Joe Biden, vice presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che “i Talebani non sono nostri nemici”! Questo è vero: i Talebani sono stati pianificati dagli Stati Uniti e cresciuti dall’ISI [i servizi segreti pakistani, N.d.T.] e non potranno mai essere loro nemici. In realtà sono nemici del nostro popolo, della libertà, delle donne, della democrazia e della giustizia.

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Il killer non così solitario

Tariq Ali 12 Marzo 2012

Da: RLB Blog

Nella maggior parte delle guerre coloniali la gente viene arrestata, torturata e uccisa. Non si considera necessaria nemmeno una facciata di legalità. Il ‘solitario’ killer americano che ha macellato degli innocenti in Afghanistan nelle prime ore di domenica mattina 11 marzo, non era assolutamente un caso eccezionale. Non si tratta dell’azione di un maniaco squilibrato che uccide studenti in una città americana. Il killer ‘solitario’ è un sergente dell’esercito americano. Non è il primo e non sarà l’ultimo ad uccidere in questo modo.

I francesi fecero lo stesso in Algeria, i belgi nel Congo, gli inglesi in Kenya e Aden, gli italiani in Libia, i tedeschi nel sud est dell’Africa, i Boeri nel Sud Africa, gli israeliani in Palestina, gli americani in Corea, Vietnam e America centrale; e i loro sostituti si sono comportati nello stesso modo contro la propria popolazione in tutto il sud America e in parte dell’Asia.

L’occupazione russa dell’Afghanistan è stata testimone di altri ‘pistoleri solitari’, che si comportavano allo stesso modo ma, più raffinati rispetto a molti loro colleghi americani, dopo il loro ritiro avrebbero riportato il come e il perché in diari angosciati. “Afgantsy” di Rodric Braithwaite cita capitoli e versi.

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