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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: si impenna produzione oppio

Da: Agenzia ASCA

(ASCA-AFP) – Roma, 11 ott – La produzione di oppio in Afghanistan è destinata a salire di quasi due terzi quest’anno, con ricavi per gli agricoltori decisamente più alti rispetto alla raccolta dello scorso anno. È quanto rileva un rapporto dell’Onu diffuso oggi nel quale si ricorda che l’Afghanistan produce piu’ del 90% degli oppiacei illeciti del mondo e che le coltivazioni proseguono nonostante gli sforzi e i fondi stanziati a livello internazionale per l’eradicazione.

L’indagine annuale, curata dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), precisa che la coltivazione delle colture di papavero ha raggiunto i 131mila ettari nel 2011, 7%in piu’ rispetto al 2010. E la resa delle colture per ettaro ha evidenziato una netta accelerazione rispetto all’anno scorso, tanto che la produzione complessiva potrebbe potenzialmente aumentare del 61% rispetto allo scorso anno.

Il prezzo dell’oppio secco e’ aumentato del 43% rispetto al 2010 e il reddito totale di una azienda agricola e’ destinato ad aumentare del 133% per raggiungere i 1.407 milioni di dollari nel 2011, aggiunge il rapporto.

Circa il 78% delle coltivazioni e’ concentrato nelle province afghane del sud, il cuore della rivolta guidata dai talebani. Un altro 17% e’ prodotto nelle regioni senza legge e remote a sud-ovest, sotto l’influenza della rivolta e fuori dalla portata del governo centrale. ‘Cio’ – evidenzia il rapporto -conferma il legame tra l’insicurezza e la coltivazione di oppio osservati gia’ dal 2007”.

Iniziative per l’Afghanistan: presidi e eventi nel decennale dei bombardamenti USA/NATO

8 ottobre 2001 – 8 ottobre 2011
Nel decimo anniversario dei bombardamenti USA/NATO sull´Afghanistan, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia il bilancio fallimentare della missione internazionale in Afghanistan.
Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese, lo stesso governo rifinanzia la missione italiana in Afghanistan (con il solo voto contrario dell´IDV) che nel primo semestre 2011 ha previsto una spesa di 410 milioni di euro e una presenza di 4.350 truppe.
Il CISDA, raccogliendo la voce delle forze democratiche dell’Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall’Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento Afghano.

A Milano, sabato 8 ottobre alle h. 16.00 si svolgerà un presidio in Via Mercanti angolo Piazza Cordusio

Ecco le altre iniziative che si svolgeranno in diverse città italiane:

PADOVA 5 OTTOBRE ore 17
10 anni di inutile guerra in Afghanistan. Ora Basta!
Piazzetta Garzeria
Organizzato dalle Donne in Nero
Altre iniziative della stessa associazione a: Bergamo 7 ottobre, Ravenna 8 ottobre ore 16, Bologna 8 ottobre ore 16

FIRENZE 7 OTTOBRE ore 21.15
presso il Circolo ARCI Isolotto
via Maccari 104, Firenze
Afghanistan: 10 anni di guerra
introduce Cristiana Cella Cisda Firenze

ROMA 8 OTTOBRE ore 9,30
Casa Internazionale delle Donne
“Il nuovo secolo americano al tempo di Ground Zero”
Organizzato dalla Casa Internazionale delle Donne e Associazione per il rinnovamento delle Sinistre
interviene per il Cisda Simona Cataldi

TORINO 8 OTTOBRE ore 10
8 Ottobre 2001 – 8 Ottobre 2011
10 anni di guerra in Afghanistan
P. Carignano
Organizzato dal Comitato Difesa e Sostegno Dei Diritti delle Donne Afgane

Milano 10 OTTOBRE ore 17,30
Biblioteca Sormani (fino al 20 ottobre)
inaugurazione mostra di Carla Dazzi (Cisda Belluno)
“Afghanistan per dove….”

C.I.S.D.A Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane

Afghanistan, 10 anni di occupazione

Peacereporter 07/10/2011 – Enrico Piovesana
Manifestazioni di piazza a Kabul contro gli Stati Uniti e la Nato e contro il “governo fantoccio” di Karzai. A organizzare la protesta il movimento extraparlamentare di sinistra Partito Afgano della Solidarietà (Hambastaghì)
Centinaia di manifestanti, uomini e donne, sono scesi in strada a Kabul per protestare contro l’occupazione militare straniera dell’Afghanistan nel decennale dell’invasione del Paese.

I dimostranti, sostenitori del movimento extraparlamentare di sinistra Partito Afgano della Solidarietà (Hambastaghì), hanno bruciato bandiere stelle e strisce, scandito slogan antiamericani e mostrato striscioni e cartelli che accusavano gli Stati Uniti e la Nato di massacri contro i civili e denunciavano il presidente Hamid Karzai come un fantoccio asservito a Washington.

“Occupazione=atrocità e brutalità” e “Occupazione=morte e distruzione” si leggeva su cartelli con le immagini di donne e bambini uccisi dai bombardamenti alleati. “No all’occupazione”, recitava un altro. Uno striscione recava una caricatura di Karzai come un burattino con in mano una penna mentre firma un documento intitolato “Prometto agli Stati Uniti”.

Un altro mostrava il simbolo della Nato con un teschio al centro e la scritta “Nato fuori dall’Afghanistan”. Un cartello riproduceva la foto del soldato americano Andrew Holmes in posa sorridente accanto al cadavere di un adolescente afgano che aveva appena ucciso, e la scritta “Il vero volto dell’occupazione”.

“Lo spargimento di sangue, il sangue dei civili vittime della Nato ma anche di quelli uccisi dai talebani, è il risultato dell’invasione statunitense dell’Afghanistan. Gli invasori se ne devono andare subito!”, ha gridato un manifestante dal suo megafono.
“In questi dieci anni di occupazione il nostro Paese ha vissuto solo sofferenza, povertà e insicurezza”, ha dichiarato uno degli organizzatori della protesta, Hafizullah Rasekh.

Il Partito Afgano della Solidarietà, ideatore della manifestazione, è nato nel 2004 su una piattaforma politica democratica, laica e progressista, fautrice di una ‘terza via’ afgana (né con gli occupanti stranieri né con i fondamentalsiti) che affonda le radici nella tradizione degli Shòlai: i maoisti afgani che negli anni ’80 combatterono sia i sovietici che gli integralisti, e che ancora oggi sono attivi in clandestinità.

Hambastaghì  – che intrattiene contatti con Sel e Rifondazione in Italia, con Die Linke in Germania e con altri partiti della sinistra radicale europea – è l’unico partito afgano a non essere legato ai signori della guerra del passato, a non essere espressione di minoranze etniche, a riconoscere pari dignità a uomini e donne al suo interno e soprattutto l’unico a essere composto da soli giovani. A partire dal segretario Daud Razmak, 35 anni, ex studente di Medicina originario di Farah. Lo abbiamo incontrato poche settimane fa nella sede nazionale del partito, un piccolo e anonimo edificio alla periferia di Kabul, frequentato da giovani militanti: uno di loro, incrociato all’ingresso, indossava una maglietta di Che Guevara.

“Il Partito della Solidarietà – ci aveva detto Razmak – ha oltre trentamila iscritti, in continua crescita. Non facciamo politica in parlamento: abbiamo deciso di boicottare le farse elettorali messe in scena dal regime di Karzai e di lavorare tra la gente. Lo facciamo nei villaggi, con attività di alfabetizzazione e sensibilizzazione politica, e nelle città, organizzando grandi manifestazioni di piazza. Negli ultimi due anni le strade di Kabul, Jalalabad, Mazar, Herat sono state attraversate da cortei di protesta sempre più numerosi e con una crescente partecipazione delle donne”.

“Manifestiamo contro le stragi di civili commesse dalla Nato, contro le basi permanenti che gli Stati Uniti vogliono mantenere nel Paese dopo il 2014, contro il terrorismo dei talebani e le ingerenze del Pakistan e dell’Iran, contro il regime mafioso di Karzai e contro il fondamentalismo religioso. Sono nemici molto potenti che possiamo sconfiggere non certo attraverso le elezioni, ma solo con una spinta al cambiamento dal basso, una sorta di pacifica insurrezione generale del nostro popolo”.

Vite preziose: il successo del progetto dell’Unità e di HAWCA

L’Unità, 4 Ottobre 2011 di Cristiana Cella
Tutte le 12 donne afghane di cui abbiamo raccontato le storie sono state sponsorizzate dai nostri lettori. Un risultato che ci rende fieri della sensibilità e della solidarietà di chi ci legge. Anche Homa ha trovato l’aiuto di Giovanna e potrà prima di tutto curarsi e ritrovare un po’ di speranza per il suo futuro e quello di sua figlia. I programmi di sostegno sono cominciati durante l’estate e le donne, adesso, sanno che possono contare su persone lontane, pronte a dar loro una mano. Non credo che se lo sarebbero mai aspettato e già questa è per loro una sorpresa straordinaria. Le operatrici di Hawca, quotidianamente impegnate nel lavoro sul campo, ci manderanno un report sugli interventi avviati per ogni donna sponsorizzata. Per quelle che risiedono fuori Kabul, i tempi sono un po’ più lunghi, non ci si muove facilmente. Soprattutto sono iniziate le cure mediche per i casi più urgenti. Poi, pian piano, cercheranno di districare il complesso intreccio di abusi cui queste donne sono sottoposte. Per chi vive ancora nella famiglia del marito, il denaro verrà convertito da Hawca in medicine, visite, cure, strumenti di lavoro. Questo per evitare che mariti, cognati e suoceri ne approfittino.
Gli sponsor continuano a scriverci, ecco, dunque, le storie di altre donne che hanno bisogno di sostegno. 

Leghiamo a noi i sogni delle donne afghane: progetto VITE PREZIOSE

HAWCA: chi sono e cosa fanno

Come contribuire al progetto nato dall’idea dei lettori dell’Unità

I PROGETTI A CUI ADERIRE

LE NUOVE STORIE
La tossicodipendenza è un ulteriore disastro che si è abbattuto sulle donne afghane. Un disastro insidioso, inarrestabile, che uccide il futuro del Paese, che rende devastanti situazioni familiari già insostenibili. Che coinvolge uomini, donne e bambini. Che si porta dietro la diffusione di malattie collaterali: epatite e HIV. I tossicodipendenti sono ormai più di un milione, in continua crescita. Difficile avere dati certi: la droga è socialmente stigmatizzata, vietata dalla religione, una piaga nascosta. Una sfida quindi, anche convincere le persone a curarsi nei pochi centri istituiti a questo scopo. Una lotta titanica. La produzione di oppio è cresciuta negli ultimi dieci anni, dal 2001 quando era stata quasi debellata, di 40 volte. Un vero record produttivo: il 93% della produzione mondiale. I trafficanti si sono organizzati con numerose raffinerie per produrre direttamente eroina, destinata soprattutto all’Europa e alla Russia. Un traffico con un fatturato di 65 miliardi di dollari che si alimenta di complicità e corruzione, che coinvolge talebani, signori della guerra e altri personaggi al potere, come il defunto fratello di Karzai. Difficile quindi da debellare per chi ci prova onestamente.
Negli anni in cui la produzione è stata eccessiva, l’eroina si è riversata a basso costo sul mercato interno. Facilmente conquistato, nel degrado sempre in aumento del paese. Di questo ci parlano le nuove storie che raccontiamo. Un problema contro il quale tutte e quattro queste donne sono costrette quotidianamente a lottare. Anche in questi casi, come negli altri, il sostegno economico è fondamentale: per spezzare la dipendenza e il ricatto dei familiari, per avere un lavoro, per vivere e mandare a scuola i figli, per lasciare la casa-prigione, per avere diritto a tenere i figli con sé.

IL RITORNO, STORIA DI MALEYA
Ho 28 anni, sono di Kabul, la mia famiglia è povera ma a casa ci stavo bene. Come tutte le bambine, ero promessa a un uomo, da quando ero piccola. Un cugino di mio padre, non lo avevo mai visto. Stava in Iran, lavorava. Sta facendo soldi, diceva mia madre, avrai una buona vita. Lo pensavo spesso, ne parlavamo tra ragazze. Lo immaginavo bello, ricco, con la macchina, gentile e con una casa vera. In Iran. Lontano. Questo mi preoccupava. E la scuola?
Come sarà la scuola in Iran? La scuola era la cosa più bella della mia vita. Eravamo tutte insieme, ero la più brava. Ho finito le prime sei classi. Non vedevo l’ora di continuare. Ma quell’inverno, durante le vacanze, tutto è cambiato. Mio cugino sarebbe venuto a prendermi, era il momento di sposarsi. Improvvisamente il marito immaginato con le amiche, che poteva essere quello che volevo, non c’era più. Stava per arrivare quello vero e avevo paura. Avevo 12 anni. Lasciare tutto, sola con il cugino sconosciuto. Ma le cose, per noi donne, vanno così. Non era bello, no. Giallo, magro, sporco, gli occhi che non guardavano niente. Non mi piaceva. Niente Iran, meno male, adesso aveva un lavoro a Kabul, saremmo rimasti lì, con la sua famiglia. Non era vero, non lavorava.
Si drogava. A volte delle iniezioni, credevo fosse malato, a volte quel fumo dolciastro che rimaneva in casa. Della scuola nemmeno a parlarne.
Stava sul letto quasi tutto il giorno, come un animale malato. A volte gridava, stava male. Suo fratello si occupava di lui, litigavano spesso. Un giorno, dopo un anno di matrimonio, è sparito. Il fratello lo cercava. Tornava alla sera, lo spiavo dalla finestra, era solo. Scuoteva la testa e io respiravo di sollievo. Speravo con tutto il cuore che non tornasse più. Avrei potuto essere libera, divorziare. Volevo che mio cognato smettesse di cercarlo. Ma non mi dava retta. Sono passati tre anni e mio cognato ha vinto. Una mattina lo ha riportato a casa. Lo aveva trovato in mezzo a centinaia di altri drogati, in un edificio abbandonato, come una discarica di uomini. Suo fratello ha detto che ero obbligata a vivere con lui, a obbedirgli, era mio marito. Non sembrava più nemmeno un uomo, figuriamoci un marito. La vita spremuta via, solo la cattiveria era rimasta. Adesso ho tre figlie, femmine. Lui non vuole che esca di casa ma, per fortuna, dorme con gli occhi aperti per molte ore. Io vado a lavorare di nascosto per dare da mangiare alle mie figlie.
Faccio la cuoca, lo faccio bene. Sono riuscita a farle crescere, a mandarle a scuola. Da sei mesi le cose sono peggiorate. Ci ha chiuso in casa. Niente scuola per le ragazze, basta. Solo botte, anche per loro. Le sue botte sono la mia sveglia, ogni mattina. E ogni mattina maledico il giorno del suo ritorno. Andare a lavorare di nascosto è sempre più difficile. Se scopre che sono uscita mi picchia e ho paura che, mentre non ci sono, se la prenda con le bambine. Intanto si prende i miei soldi, i miei guadagni. E forse è questo che gli ha dato l’idea. Il lavoro onesto fuori, no, sarebbe una vergogna. Ma posso fare altro, guadagnare per lui, senza uscire di casa. Sono già tre volte. Ha portato a casa degli uomini, per me e per la mia figlia maggiore. Vorrei combattere, scappare con le mie figlie. Ma ho paura. Di tutto. Non so dove andare, cosa fare. Vorrei il divorzio, lavorare perché le bambine vadano a scuola, per il futuro brillante che sognano, ma che diventi vero.

PROGETTO PER MALEYA (sostegno mensile)
Maleya vive ancora col marito. Ha chiesto aiuto al centro legale di Hawca. Le avvocatesse stanno cercando di ottenere il divorzio. Le serve aiuto per potersene andare da quella casa con le sue figlie, per poterle mantenere e mandarle a scuola. Per avviare il passaggio alla nuova vita nella quale potrà lavorare come cuoca per un futuro diverso.

PULIZIE. STORIA DI SEEMA.
Mi chiamo Seema e sono di Bamyan. Ho 35 anni. Sono sposata da 20 anni con mio cugino, tossicodipendente. Dal primo giorno mi ha picchiata, è un’abitudine, sembra non possa farne a meno. Ha sempre bisogno di soldi per la droga. Sa che ne ho e li vuole. Per questo mi picchia. Lavoro, di nascosto, per far crescere le mie figlie e mandarle a scuola. Mi metto il burka e vado a pulire le case degli altri. Pulire tutta la sporcizia che ho intorno. Quando esce, l’aria della casa diventa più leggera. Possiamo respirare e immaginare una vita senza di lui. Ma poi torna sempre. Da un anno le cose sono peggiorate. Esce poco e io non posso lavorare. Niente più scuola per le mie figlie, i soldi non bastano. Le ragazze sono cresciute e lui se n’è accorto. Ha cominciato a picchiare anche loro. Non posso proteggerle e ho paura del futuro. Ho paura perché adesso lui ha un lavoro: fa prostituire delle ragazze, le vende agli amici drogati come lui. Ho paura che faccia quello che ha minacciato, vendere anche le bambine, le sue. Devo portarle via di qui e farle studiare.

PROGETTO PER SEEMA (sostegno mensile)
Hawca sta cercando di ottenere il divorzio per Seema. Ha bisogno di sostegno economico per poter lasciare la casa del marito e vivere da sola con le figlie, per la loro educazione e per avviare il suo lavoro in modo da potersi mantenere.

LA MADRE DI GOLAM . STORIA DI NELOFAR
Sono vedova, ho 38 anni e vivo a Novabad. Mio marito è morto di cancro 5 anni fa. Ho quattro figli, di 12, 14, 16 e 18 anni. Viviamo tutti con mio cognato, un uomo crudele. Non mi permette di lavorare. Mi minaccia continuamente: se trovo un lavoro, anche solo se lo cerco, mi caccerà per sempre da casa sua e non potrò rivedere mai più i miei figli. Fuori dalla loro vita per sempre. Non posso vivere senza di loro, lui lo sa, il ricatto funziona. Quel poco che ci serve per sopravvivere lo dobbiamo chiedere sempre a lui, è questo che lo fa sentire forte e padrone della nostra vita, se così si può chiamare. Il mio figlio maggiore soffre più degli altri per questa situazione. Non lo sopporta. Ha trovato amici cattivi. Golam Azrat si sta perdendo, ha cominciato a drogarsi e a picchiarmi, picchia sua madre, a 18 anni. Non è un bel modo per cominciare la vita. In genere lo fa perché non voglio dargli i soldi per la droga. Sono due anni ormai che i bambini non vanno a scuola, non ce lo possiamo permettere. Vanno a mendicare, questo mio cognato non lo proibisce. Mi serve aiuto per lasciare la casa di mio cognato, riprendermi i miei figli, trovare un lavoro per vivere insieme e liberi. E per poter curare Golam, perché smetta di drogarsi.

PROGETTO PER NELOFAR (sostegno mensile) Nelofar si è rivolta al Centro Legale di Herat. Hawca sta seguendo il suo caso per fare in modo che possa lasciare la casa del cognato. Ma il problema principale è quello economico. Nelofar ha diritto ad avere con sé i figli ma solo se è in grado di mantenerli. Ha bisogno di sostegno per avviare un lavoro, vivere da sola con i suoi figli, farli studiare e curare il maggiore per la tossicodipendenza, prima che sia troppo tardi.

GLI AMICI SBAGLIATI. STORIA DI SHAFEYA. Ho 27 anni e sono di Shendand. 4 anni di matrimonio. Difficili i primi due ma niente a confronto degli ultimi. Mio marito aveva una bancarella con la quale riuscivamo a sopravvivere a stento ma non a curare i miei problemi ginecologici. Ogni giorno cercava un altro lavoro per vivere un po’ meglio, ogni giorno la stessa delusione cattiva. Da solo non riusciva a trovarlo questo benedetto lavoro, così si è rivolto agli amici. La disperazione fa così, ci si fida delle persone sbagliate. Non mi sono mai piaciuti quegli uomini ma lui non mi dava retta. Invece del lavoro gli hanno procurato la droga. Per loro era solo un pollo da spennare. Non è più riuscito a smettere. E’ diventato brutale e violento. Ha cominciato a picchiarmi spesso, soprattutto per strapparmi quei pochi soldi che riesco a portare a casa di nascosto, con piccoli lavori. Vivevamo con suo fratello che non mi ha mai lasciato lavorare. Ho un figlio di due anni, per lui ho resistito finché ho potuto. Poi mi sono fatta coraggio, ho detto a mio cognato che volevo divorziare. Non ha nemmeno risposto mi ha solo picchiato con più furia del solito. Così sono scappata. Vivo adesso a casa di mio padre che non è in condizioni di mantenermi. Vorrei avere il divorzio, vorrei che mio cognato, se tornassi a casa, mi desse il permesso di lavorare, per mantenerci e per poter curare mio marito. Non so davvero cosa potrà succedere nel mio futuro…

PROGETTO PER SHAFEYA (sostegno mensile) Shafeya si è rivolta al Centro Legale di Herat. Hawca ha discusso molto con il cognato di Shafeya per convincerlo a lasciarla lavorare. Ma non c’è stato niente da fare, la famiglia non ha accettato. Ha parlato anche con il marito. Ma non ha nessuna intenzione di smettere con la droga e con la violenza, tantomeno di farsi curare. Così stanno cercando di ottenere il divorzio per lei. Ha bisogno di sostegno per avviare un’attività che le permetta di vivere con il figlio a casa di suo padre e magari di poter curare il marito. Shafeya non ha rinunciato a strapparlo alla dipendenza dalla droga.

CRONACHE DA KABUL: storia di ordinaria follia.
La vita e il lavoro delle persone che cercano di arginare l’emergenza dei più deboli e di preparare un futuro diverso per il loro paese, è difficile e piena di ostacoli. Il Governo afghano decisamente non collabora. Anzi. Lo abbiamo raccontato. La Corte Suprema ha criminalizzato la fuga delle donne dall’inferno delle loro case, il Governo e i media afghani hanno attaccato le ‘case protette’ e chi ci lavora, cercando di prenderne il controllo. Pochi giorni fa, se la sono presa anche con gli orfanotrofi. Il 20 settembre, un drappello armato, con alla testa la parlamentare Razia Sadat Mangal e altri due colleghi, hanno fatto irruzione nel nuovo Centro Scolastico di Afceco, (Ong afghana che gestisce, in modo impeccabile, orfanotrofi in tutto il paese) terrorizzando il personale, formato da giovani donne. Con il supporto dei fucili spianati hanno dichiarato di voler smascherare “un bordello frequentato da occidentali” o “una missione attiva nella conversione al Cristianesimo”, magari entrambe, chissà. Questo perché la parlamentare, che abita nelle vicinanze, aveva notato “occidentali sospetti che vanno e vengono”. “Gli unici “criminali occidentali” che frequentano il nostro centro” dice Andeisha Farid, direttrice di Afceco,” sono in realtà i pochi volontari che insegnano la lingua inglese, giornalisti e rappresentanti di USAID, dell’ong Asia Foundation e alcuni funzionari delle Ambasciate statunitense e britannica.” Hanno perquisito accuratamente: cercavano armi, prostitute, bibbie e chissà cos’altro. Hanno trovato computer, libri, quaderni, strumenti musicali. Gridavano insulti e domande: “ Perché insegnate la musica ai bambini?” “Perché spendete per loro tanti soldi?”. Non contenti, hanno ripetuto l’operazione all’orfanotrofio femminile, Mehan, di Kabul, interrogando con brutalità, fino alle lacrime, le bambine ospitate. Hanno minacciato la presidente di Afceco di convocarla in Parlamento a dar conto delle sospette attività dei suoi orfani. Per lei, non è la prima intimidazione: un anno fa la sua casa era stata sconvolta da un’irruzione armata, in cui l’anziano padre e il fratello erano stati arrestati e poi rilasciati. Gli orfanotrofi di Afceco sono uno dei pochi luoghi in Afghanistan, dove i bambini, traumatizzati dalla guerra, possono crescere in pace e in sicurezza, nell’affetto di insegnanti e amici e prepararsi per un futuro migliore. Dove imparano la tolleranza reciproca e l’eguaglianza tra uomini e donne. Dove studiano inglese, informatica, pronto soccorso, educazione alla pace, teatro, musica, arte. Hanno perfino una squadra di calcio femminile che si è fatta onore nell’ultimo campionato. L’organizzazione è sostenuta da molti donatori internazionali, tra i quali USAID, Asia Foundation, Afghan Women’s Misson, e italiani, istituzionali e privati. Come mai, con tanti problemi insoluti del paese, membri del Parlamento occupano il loro tempo ad aggredire gli orfanotrofi? Questi, in particolare. Forse per acquisire consensi presso il Governo, o per controllare fondi che non possono gestire o forse per contrastare un cammino che fatica a farsi strada:” Siamo convinti che la prima battaglia sociale da portare avanti in Afghanistan” dice Andeisha “sia quella di far accettare l’idea che ragazze e bambine abbiano diritto a istruirsi come i maschi, e che sia consentito loro di imparare qualcosa di universale come la musica o suonare un pianoforte.” Questo episodio ha suscitato l’indignazione di molti, anche dell’europarlamentare del PD Delia Murer che è intervenuta presso l’Ambasciata di Kabul e il nostro Governo perché indaghi su quanto accaduto.
4 ottobre 2011

Afghanistan: parlamentari e uomini armati fanno irruzione in un orfanotrofio

Agoravox, 6/10/2011 – Enrico Campofreda
La Kabul 2011 che s’approssima a ricordare dieci anni di Enduring Freedom – la missione che esportava democrazia e normalizzazione – vede gli uomini delle istituzioni temere l’istruzione e l’emancipazione del popolo proprio come i talebani nel quinquennio del loro regime.
Nei giorni scorsi a Kabul un noto organismo della società civile – Afghan Child Education Care Organization – ha subìto l’ennesimo violento attacco. Senza sangue ma con un terrore che non si cancella. Lo narra la responsabile Andeisha Farid: “Siamo tornati a essere bersaglio di un’inspiegabile ostilità. L’assurdo è che essa proviene da figure istituzionali, da membri del Parlamento”.
Scortati da guardie armate, Razia Sadat Mangal, Najia Orgonwal, Kamal Nasir Osuli, che siedono nella Wolesi Jirga hanno fatto irruzione nella struttura per orfani Mehan di Kabul.
“Sono arrivati senza avvisare, accusavano, minacciavano, erano contornati da agenti che brandivano fucili. Sembrava un’operazione militare contro un covo di Al Qaeda ma noi siamo un orfanotrofio. Ancora più assurdo quello che con voce aggressiva reclamavano i parlamentari. Ci accusavano di tenere ‘un bordello per occidentali’ dicevano che volevamo ‘convertire i bambini al cristianesimo’. La Mangal era la più ostile, sosteneva di aver visto il via vai di uomini. Noi spiegavamo che si trattava dei volontari che insegnano lingua inglese, operatori dell’Ong Asia Foundation, funzionari delle ambasciate inglese e statunitense”.
Razia Sadat Mangal eletta nella Wolesi Jirga, aveva già tentato in precedenza d’introdursi nel centro in compagnìa di armati. Le era stato impedito perché la legge prescrive l’obbligo di un’autorizzazione per entrare in questi luoghi protetti che ospitano bambini o donne abusate.
All’Afceco hanno il sospetto che la parlamentare indispettita per il precedente rifiuto abbia cercato appoggio in altri rappresentanti della Camera agitando le congetture criminose. Prosegue Farid:
“La perquisizione in stile poliziesco ha raccolto qualche piccolo strumento musicale, più libri e computer usati per la didattica così il livore mostrato dal trio è cresciuto. Urlavano: ‘Perché insegnate musica? Perché spendete soldi per questi bambini?’. Hanno girato armati nei corridoi e per le stanze dando la caccia a minori terrorizzati. Qualche ragazzina aveva la voce soffocata dall’ansia e dalle lacrime mentre era costretta a rispondere alle domande. Insieme ad altri dello staff ci siamo opposti alla barbarie, siamo stati minacciati dal sedicente “Comitato d’esame” di dover rispondere dell’attività di Afceco in Parlamento. Noi non temiamo nulla, agiamo in piena autonomia e correttezze seguendo princìpi umanitari riconosciuti dalla Comunità Internazionale e siamo in regola con tutte le norme richieste dal governo. A cui chiediamo: con tutti i problemi che deve risolvere l’Afghanistan perché membri della vita pubblica usano energie per accanirsi contro orfani e una Ong del tutto regolare?”.
Già perché? Le Ong fuori da collusioni e intrighi con l’attuale governo afghano sono oggetto di attacchi e ostacoli, com’è accaduto nei mesi scorsi a chi organizza gli shelter usati per proteggere le donne fuggite dall’oppressione maschile, contro cui si scagliano allo stesso modo talebani, signori della guerra e tutto il pastunwali governativo e istituzionale.
Sul tanto celebrato Parlamento afghano, che nelle ultime inaffidabili elezioni infarcite di brogli s’è riempito di uomini (e qualche donna) prossimi al potere, il balletto della democrazia di facciata è giunto al capolinea. È difficile credere alla favola d’un Paese moderno che i politici di cui si contorna Karzai starebbero costruendo.

Afghanistan 10 anni dopo, le promesse mancate di Stati Uniti e alleati

Agenzia Radicale 06/10/2011 – Simona Martini
A 10 anni dall’inizio della guerra in Afghanistan, Stati Uniti ed alleati non hanno mantenuto molte delle promesse fatte alla popolazione. Questa la denuncia di Amnesty International e di Sam Zarifi, direttore per l’Asia e il Pacifico, secondo il quale “i passi avanti verso il rispetto dei diritti umani sono stati pregiudicati dalla corruzione, dalla cattiva gestione e dagli attacchi degli insorti, i quali mostrano un disprezzo sistematico per i diritti umani e le leggi”.

Nonostante miglioramenti nella riduzione delle discriminazioni nei confronti delle donne e dell’accesso all’istruzione e alle cure mediche – in una situazione di partenza in cui però difficilmente si poteva immaginare una situazione peggiore – al contrario, nei settori della giustizia, delle operazioni di polizia, della sicurezza la situazione è rimasta invariata e in alcuni casi è persino deteriorata. Peggiorate anche le condizioni di vita della popolazione che vive nelle zone maggiormente colpite dalle azioni degli insorti.

La violenza contro i giornalisti e gli operatori dell’informazione è aumentata e nelle aree controllate dai talebani le libertà di parola e di opinione sono fortemente limitate. L’accesso all’istruzione è costantemente messo sotto attacco: nei nove mesi che hanno preceduto il dicembre 2010, almeno 74 scuole (26 femminili, 13 maschili e 35 miste) sono state distrutte o chiuse a causa degli attentati, incendi e minacce degli insorti.

Inoltre, all’inizio del 2010 il governo afgano ha avviato un processo di riconciliazione coi talebani e con altri gruppi di insorti ma si teme che i modesti risultati ottenuti nel miglioramento della condizione femminile possano essere barattati in cambio di un cessate il fuoco.

Incursione armata nell’orfanotrofio di AFCECO, Kabul

COMUNICATO STAMPA

Incursione armata nell’orfanotrofio di AFCECO, Kabul

Martedì 20 settembre alcuni parlamentari afghani accompagnati da diverse guardie del corpo armate hanno organizzato un’incursione nei locali dell’orfanotrofio Mehan di AFCECO (www.afceco.org), a Kabul, uno dei pochi luoghi in cui i bambini ospitati vivono dignitosamente, in un ambiente pulito e accogliente, andando a scuola, studiando musica e danza, imparando inglese, organizzando addirittura una squadra di calcio femminile.

Queste persone hanno minacciato e interrogato armi in pugno i bambini sino a farli piangere, terrorizzando il personale femminile presente in quel momento.

Le ridicole accuse, mosse con violenza in primo luogo dalla parlamentare Razia Sadat Mangal, ma anche dai parlamentari Najia Orgonwal e Kamal Nasir Osuli, muovevano il sospetto che il centro fosse “un bordello frequentato da occidentali”, “una missione attiva nella conversione dei bambini al cristianesimo”. Venivano anche poste domande sulle ragioni per cui viene insegnata musica e sulla cifra “molto alta” spesa per i bambini.

“Purtroppo”, denuncia AFCECO, “l’attacco è arrivato non dai talebani ma direttamente dalle istituzioni afghane”. “Perché”, prosegue il comunicato di AFCECO, “con tutti i problemi che ha il paese si spendono soldi ed energie per dare battaglia a degli orfani il cui solo crimine è il fatto di poter vivere in un luogo sicuro dove ricevono, cure, istruzione e affetto?”.

 AFCECO, che gestisce diversi altri orfanotrofi sia a Kabul che in altre città afghane, è una ong sostenuta anche da diverse organizzazioni e istituzioni italiane (Liberi Pensieri di San Giuliano Milanese, CISDA, Insieme si Può di Belluno, la Provincia di Trento ecc.) e statunitensi (USAID, Asia Foundation, Afghan Women’s Misson ecc.), conosciuta e apprezzata anche dai responsabili della cooperazione italiana in Afghanistan.

Comunicato di AFCECO: irruzione negli orfanotrofi

Cari amici e sostenitori di AFCECO, 


è nostro dovere informarvi di un episodio che merita tutta la nostra attenzione; dovremmo forse lavorare insieme per fare tutto il possibile affinché incidenti di questo tipo non si ripetano più.

Martedì 20 settembre, AFCECO è stata ancora una volta il bersaglio di un’ostilità inspiegabile, che arriva non da insorgenti o taleban ma da autorità istituzionali interne alla nostra società civile. Alcuni membri del Parlamento afghano, accompagnati da guardie armate, hanno fatto irruzione nel nostro New Learning Center, approfittando di un’auto che stava uscendo dal cancello. Questi individui sono arrivati senza preavviso, minacciando, accusando e brandendo fucili. Il livello d’intimidazione era tale da sembrare quasi un’operazione militare contro una centrale di Al Qaeda nel cuore della notte. Le sole a fronteggiare questa violenta intrusione sono state le responsabili dell’accoglienza e della biblioteca del centro. 


I parlamentari sono entrati immaginando di vedere (così si sono espressi) “un bordello frequentato da occidentali che volevano approfittare dei bambini, oppure una missione attiva nella conversione dei bambini al cristianesimo”. Questo attacco è nato soprattutto dalle accuse di una parlamentare, Razia Sadat Mangal, che abita nei pressi del New Learning Center e che ha basato le sue accuse esclusivamente su avvistamenti di occidentali che vanno e vengono”.

Gli unici “criminali occidentali” che frequentano il nostro centro sono in realtà i pochi volontari che insegnano la lingua inglese, giornalisti e rappresentanti di USAID, dell’ong Asia Foundation e alcuni funzionari delle Ambasciate statunitense e britannica. Va ricordato che la signora Mangal aveva tentato di entrare a sorpresa nel centro la settimana precedente, sempre accompagnata da guardie armate, ma non le è stato consentito perché nessuno può entrare nel nostro centro senza autorizzazione. Alla signora Mangal è stato detto che nel centro non c’era nulla da nascondere ed è stata invitata a prendere accordi per organizzare una visita di tutte le attività che AFCECO porta avanti.

Infastidita dalla risposta e senza prendere nemmeno in considerazione l’idea di richiedere un’autorizzazione per entrare, la signora Mangal ha costruito queste accuse ridicole, reclutando altri parlamentari e decidendo di entrare nel centro con le sue modalità.

È difficile spiegare il livello d’intimidazione che questi malfattori hanno rivolto al nostro staff! Altri parlamentari che facevano parte del gruppo erano Najia Orgonwal e Kamal Nasir Osuli che si è distinto per livore e aggressività. Sebbene alla fine della loro minuziosa indagine (fatta come se avessero un mandato d’arresto nei confronti del nostro direttore operativo) siano stati trovati soltanto libri scolastici, computer, strumenti musicali e lavagne le accuse rivolte erano di questo tenore: “Perché insegnate musica?”, “Perché spendete tanti soldi per questi bambini?”.

Alla fine queste persone hanno preteso di vedere uno degli orfanotrofi e hanno fatto il loro ingresso nell’orfanotrofio Mehan armati, questa volta terrorizzando i bambini. Una delle nostre bambine è stata interrogata fino alle lacrime. È importante che immaginiate il modo in cui questo sedicente “comitato di esame” abbia eseguito “il suo dovere”. Pensate a un’irruzione di guardie armate che urlavano ordini e insulti. Alla fine, questi assalitori hanno potuto soltanto minacciare di trascinarmi in Parlamento per rispondere delle attività di AFCECO. Il nostro staff ha riferito che alcuni di coloro che hanno svolto gli interrogatori (che non sono i parlamentari citati sopra) erano visibilmente imbarazzati. 


Molte sono le questioni che pone un’azione di questo genere, ma la domanda principale è perché, con tutti problemi che deve affrontare l’Afghanistan, ci sono membri del Parlamento che usano tempo, energie e risorse per accanirsi contro degli orfani il cui unico crimine è quello di vivere in un posto sicuro, dove possono avere cure, istruzione e l’affetto dei loro compagni? Immaginiamo che, in parte, alcune persone vogliano cercare di creare l’“evento scandaloso” per mettersi in mostra e salire qualche gradino nel gradimento del governo. Ma pensiamo soprattutto che la prima battaglia sociale da portare avanti in Afghanistan sia quella di far accettare l’idea che ragazze e bambine abbiano diritto a istruirsi come i maschi, e che sia consentito loro di imparare qualcosa di universale come la musica o suonare un pianoforte. 


AFCECO è una ong afghana legalmente registrata e ha le carte in regola per gestire i suoi orfanotrofi, per sorvegliare i bambini e per raccogliere i fondi necessari per le sue attività, senza aver bisogno di battersi per avere legittimazione. Quello che facciamo è semplice, limpido e non ideologico: le parole migliori per definire il nostro lavoro sono quelle di Brian Williams, di NBC News, che ha detto che l’orfanotrofio di AFCECO è un “porto sicuro” per i bambini più bisognosi.

I bambini sono stanchi di ricevere attacchi di questo genere. In altre occasioni, negli anni passati, abbiamo dovuto far fronte a casi simili: interrogatori offensivi e brutali da parte di agenti dell’intelligence e campagne diffamatorie da parte di media privati. Ma questa volta i malfattori si sono introdotti nella nostra casa e hanno spaventato i nostri bambini direttamente. Non abbiamo intenzione di accettare questa situazione e chiediamo, in nome della decenza e della democrazia, che i responsabili di tutto questo siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Sarebbe un passo importante che queste persone chiedessero scusa direttamente ai bambini e facessero ammenda. 


Vi informiamo di questo incidente perché siamo una grande famiglia. Sappiamo che non avete grandi poteri, ma apprezzeremo le azioni di tutti coloro che saranno in grado di esercitare pressioni in modo costruttivo. 


 Grazie fin d’ora per il vostro sostegno e la vostra solidarietà.

DIECI ANNI DI BOMBARDAMENTI, OCCUPAZIONE E MISERIA IN AFGHANISTAN

L’8 ottobre 2001, a seguito del tragico evento dell’11 settembre, gli USA e i loro alleati iniziano l’occupazione dell’Afghanistan con pesanti bombardamenti con il pretesto di “sconfiggere il terrorismo”, abbattere il regime dei talebani responsabili di aver sostenuto Bin Laden, riportare la democrazia, liberare le donne, ricostruire un paese già devastato da 20 anni di guerra.
Gli USA scelgono di sfruttare sul terreno le milizie dell’Alleanza del Nord, gruppi di fondamentalisti islamici responsabili della guerra civile del 1992-1996 che ha devastato l’Afghanistan, facendo perdere la vita a 70.000 persone nella sola Kabul; gli stessi criminali di guerra già sostenuti, con grossi finanziamenti e forniture di armi, per cacciare le armate sovietiche che avevano occupato il paese nel 1979.
Quando cade il regime talebano, la comunità internazionale consente a questi criminali di guerra (tra i quali Sayyaf, Fahim, Rabbani – appena ucciso in un attentato dei talebani, con i quali stava avviando trattative “di pace” – Qanuni, Abdullah, Ismail Khan, Khalili, Mohaqiq) di occupare governo e Parlamento afgani e di riprendere il controllo del paese, negando invece sostegno e appoggio alle forze democratiche e laiche. Nel marzo 2007 il governo Karzai vara una legge che garantisce l’amnistia per tutti i crimini di guerra commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.

Inoltre, il via libera dato ai signori della guerra ha fatto sì che dal 2001, in tutto il paese, si siano formati e abbiano spadroneggiato nelle aree sotto il loro controllo centinaia di nuove milizie e gruppi para-militari. In Just don’t call it a milita, un recente rapporto di Human Rights Watch uscito nel settembre 2011, si dice che “gruppi militari di vari tipo hanno partecipato a rappresaglie tribali, omicidi, traffici illeciti ed estorsioni. Stupri di donne, ragazze e ragazzi sono frequenti. Le milizie sono solitamente controllate da capi locali o signori della guerra”.

La situazione delle donne afgane rimane drammatica. Nel 2009, cercando di garantirsi sostegno elettorale dalla comunità shiita, il governo Karzai vara una legge che prevede l’impossibilità per le donne shiite di rifiutare rapporti sessuali con il marito, di recarsi liberamente dal medico, a scuola o al lavoro senza il permesso del coniuge, pena il ritiro di qualsiasi sostegno finanziario. Tutt’ora ci sono donne che si suicidano dandosi fuoco, donne costrette a matrimoni forzati, donne ripudiate dalla famiglia se vittime di stupro perché motivo di vergogna.
Nel gennaio 2011 il Consiglio dei Ministri afghano approva una legge secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passano dalla gestione delle ONG al Ministero degli Affari Femminili. La legge accoglie una decisione della corte suprema afghana, secondo cui le donne che scappano di casa per maltrattamenti commettono reato. Le donne dovrebbero essere accompagnate al rifugio da un parente maschio (di solito l’artefice dei maltrattamenti) e sottoposte a umilianti visite per verificare la loro attività sessuale.

Dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010 sono stati deliberati dal nostro governo circa 516 milioni di Euro per la cooperazione civile (che costituiscono però solo circa il 2% del totale delle spese sostenute per le truppe) ma l’importo totale stanziato alla fine del 2010 è di circa 208,4 milioni di euro. Di questi, circa 81 milioni di euro sono stati impiegati per la riforma della giustizia in Afghanistan.

In Afghanistan mancano case, scuole, ospedali e lavoro; la produzione di oppio è arrivata a circa il 96% del totale mondiale. Sono questi i risultati dell’intervento internazionale in Afghanistan?
In dieci anni di intervento militare i soli USA hanno speso più di 487 miliardi di dollari.
La guerra in Afghanistan ha provocato la morte di 44 soldati italiani, circa 1.400 soldati alleati, 6 mila soldati e poliziotti afgani, circa 25 mila guerriglieri talebani e quasi 11 mila civili afgani (di cui oltre 3 mila vittime degli attacchi talebani e almeno 7 mila uccisi dalle truppe alleate – più di 3 mila civili morirono nei soli bombardamenti aerei del 2001-2002). In totale, quindi, otto anni di guerra hanno stroncato circa 43 mila vite umane (fonte “Peace Reporter”).

Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese, lo stesso governo rifinanzia la missione italiana in Afghanistan (con il solo voto contrario dell’IDV) che nel primo semestre 2011 ha previsto una spesa di 410 milioni di euro e una presenza di 4.350 truppe. (fonte: Peace Reporter).

Il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), raccogliendo la voce delle forze democratiche dell’Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall’Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento afghano.

CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane)

Per il calendario delle iniziative in Italia consultare:
https://www.osservatorioafghanistan.org
Pagina CISDA in Facebook

La pace difficile di Rabbani

Giuliana Sgrena – Il Manifesto
I taleban puntano sempre più in alto: l’assassinio di Burhanuddin Rabbani lo dimostra. Si tratta senza dubbio della vittima più «eccellente» dalla loro caduta nel 2001. Con un’escalation di violenza, iniziata da qualche settimana nel cuore di Kabul, hanno dimostrato il fallimento della strategia americana. Che puntava su un accordo con i taleban “buoni”, prima del ritiro previsto entro la fine del 2014. L’errore di analisi della situazione sta anche alla base della facilità con cui un kamikaze è potuto arrivare dentro la casa di Rabbani, dove si doveva tenere una riunione, con il solo pretesto di consegnare un messaggio dei taleban. La casa di Rabbani si trova nel quartiere di Wazir Akbar Khan, una sorta di “zona verde” di Kabul, dove si trovano il comando Nato e le ambasciate, compresa quella americana. Una green zone che non è più inaccessibile dopo gli attacchi taleban di alcuni giorni fa. Allora perché tanta ingenuità? Rabbani non era certo un pacifista, un militante non violento, la sua biografia lo dimostra.
Tagiko, nato nella provincia settentrionale di Badakhshan nel 1940, si era laureato in legge islamica e teologia all’università di Kabul, studi che avrebbe poi approfondito all’università di al Azhar al Cairo, dove è entrato in contatto con i Fratelli musulmani.
Sarebbero stati i testi di leader islamisti radicali come al Banna e Mawdudi ad ispirarlo quando decise di creare il suo movimento Jamiat-e islami, il primo partito religioso afghano. L’organizzazione sarebbe diventata punto di riferimento dei mujahidin durante la guerra combattuta contro gli occupanti sovietici dal Pakistan. Un ruolo che è valso a Rabbani la presidenza nel primo governo dei mujahidin, dal 1992 al 1996. Anni in cui i mujahidin si combattevano tra di loro distruggendo Kabul.
Alla caduta dei taleban – combattuti insieme al più famoso leader tagiko Massud, assassinato alla vigilia dell’11 settembre – a giocare un ruolo politico nel governo sono stati i delfini di Rabbani, mentre lui si dedicava al partito.
Non è mai stato un alleato di Karzai, per questo ha sorpreso la sua nomina, nell’ottobre del 2010, a presidente dell’Alto consiglio della pace incaricato di trattare con i taleban. Probabilmente si è trattato di un suggerimento di Washington. Tuttavia, finora il negoziato non è partito. Probabilmente perché i taleban preferiscono trattare direttamente con gli americani e per questo alzano il tiro. Quale può essere l’obiettivo raggiungibile? Una tregua, non certo la pace, in cambio di un ritorno al potere dei taleban che, del resto, in questi anni se lo sono ripreso in gran parte del paese. Rabbani poteva essere l’uomo della mediazione? Difficile immaginare un signore della guerra che diventa una colomba per promuovere la pace, probabilmente voleva solo guadagnare posizioni in vista del ritiro degli americani. Dopo il suo assassinio i tagiki si stanno già riarmando e promettono vendetta.
La pace sarà difficilmente raggiungibile finché a “promuoverla” saranno i signori che hanno insanguinato il paese, mentre i giovani, le donne, coloro che vogliono giustizia e democrazia restano ai margini della società e continuano a subire violenze.

Giuliana Sgrena – Il Manifesto I taleban puntano sempre più in alto: l’assassinio di Burhanuddin Rabbani lo dimostra. Si tratta senza dubbio della vittima più «eccellente» dalla loro caduta nel 2001. Con un’escalation di violenza, iniziata da qualche settimana nel cuore di Kabul, hanno dimostrato il fallimento della strategia americana. Che puntava su un accordo con i taleban “buoni”, prima del ritiro previsto entro la fine del 2014. L’errore di analisi della situazione sta anche alla base della facilità con cui un kamikaze è potuto arrivare dentro la casa di Rabbani, dove si doveva tenere una riunione, con il solo pretesto di consegnare un messaggio dei taleban. La casa di Rabbani si trova nel quartiere di Wazir Akbar Khan, una sorta di “zona verde” di Kabul, dove si trovano il comando Nato e le ambasciate, compresa quella americana. Una green zone che non è più inaccessibile dopo gli attacchi taleban di alcuni giorni fa. Allora perché tanta ingenuità? Rabbani non era certo un pacifista, un militante non violento, la sua biografia lo dimostra.Tagiko, nato nella provincia settentrionale di Badakhshan nel 1940, si era laureato in legge islamica e teologia all’università di Kabul, studi che avrebbe poi approfondito all’università di al Azhar al Cairo, dove è entrato in contatto con i Fratelli musulmani. Sarebbero stati i testi di leader islamisti radicali come al Banna e Mawdudi ad ispirarlo quando decise di creare il suo movimento Jamiat-e islami, il primo partito religioso afghano. L’organizzazione sarebbe diventata punto di riferimento dei mujahidin durante la guerra combattuta contro gli occupanti sovietici dal Pakistan. Un ruolo che è valso a Rabbani la presidenza nel primo governo dei mujahidin, dal 1992 al 1996. Anni in cui i mujahidin si combattevano tra di loro distruggendo Kabul. Alla caduta dei taleban – combattuti insieme al più famoso leader tagiko Massud, assassinato alla vigilia dell’11 settembre – a giocare un ruolo politico nel governo sono stati i delfini di Rabbani, mentre lui si dedicava al partito. Non è mai stato un alleato di Karzai, per questo ha sorpreso la sua nomina, nell’ottobre del 2010, a presidente dell’Alto consiglio della pace incaricato di trattare con i taleban. Probabilmente si è trattato di un suggerimento di Washington. Tuttavia, finora il negoziato non è partito. Probabilmente perché i taleban preferiscono trattare direttamente con gli americani e per questo alzano il tiro. Quale può essere l’obiettivo raggiungibile? Una tregua, non certo la pace, in cambio di un ritorno al potere dei taleban che, del resto, in questi anni se lo sono ripreso in gran parte del paese. Rabbani poteva essere l’uomo della mediazione? Difficile immaginare un signore della guerra che diventa una colomba per promuovere la pace, probabilmente voleva solo guadagnare posizioni in vista del ritiro degli americani. Dopo il suo assassinio i tagiki si stanno già riarmando e promettono vendetta.La pace sarà difficilmente raggiungibile finché a “promuoverla” saranno i signori che hanno insanguinato il paese, mentre i giovani, le donne, coloro che vogliono giustizia e democrazia restano ai margini della società e continuano a subire violenze.