Autore: Anna Santarello
Suona la campana per il Karzai narcotrafficante
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di Enrico Campofreda – Il Pane e le Rose
Nella macelleria afghana scocca l’ora anche per i boss del narcotraffico. E’ accaduto al Re dei Signori della droga Ahmed Wali Karzai, fratello più giovane del presidente ucciso stamane. Un “amico” va trovarlo in casa, nel suo feudo nella provincia di Kandahar, e gli ha scarica addosso alcuni colpi di pistola prima d’essere a sua volta freddato dalle guardie del corpo. Inizialmente s’era ventilata l’ipotesi di un’esecuzione diretta da parte dei guardiaspalle sospettati d’essere Taliban infiltrati. Tattica, peraltro, consolidata ed efficace che ha già mietuto vittime fra figure di spicco e militari Isaf, e che rappresenta l’ossessione della strategia del disimpegno delle Forze Nato. Perché dimostra come i costosi piani McCrystal e Patraeus di rafforzare esercito e polizia afghane siano falliti. Cosicché l’inevitabile ritirata occidentale lascerà sul terreno, oltre ai propri soldati morti (oggi l’Italia paga l’ennesimo tributo con la sua 40° salma dal 2004 mentre le vittime complessive superano ampiamente le 2.500 unità), un territorio più instabile e meno controllato di quando Bush junior diede vita all’invasione dell’Enduring Freedom. Alcune testimonianze divulgate da Al Jazeera affermano che l’uccisore di Wali Karzai, Mohammad Sardar, era effettivamente un suo amico e socio. Come accade in tutti i sodalizi del malaffare evidentemente gli interessi divaricano le strade e le tagliano. Sardar era stato capo dei posti di blocco nella zona di Zakir Sharif, a pochi chilometri da Kandahar dov’è originaria la famiglia Karzai.
Di quella zona il fratello del presidente voleva diventare governatore. Una scalata meditata perché, come la carriera familiare insegna, la politica riesce a coprire meravigliosamente qualunque illecito e crea un incremento di opportunità a ogni genere di business. Per far conservare ad Hamid la carica di presidente Wali s’era ardentemente impegnato nella campagna elettorale del 2009. L’aveva fatto alla sua maniera: con un’infinità di episodi di corruzione e brogli a favore del chiacchierato premier. Verso taluni elettori non aveva disdegnato l’uso della forza e il sodale Sandar potrebbe averlo coadiuvato. Certo il loro brodo affaristico è stato quello che la stampa internazionale (Le Monde, Times) ha eufemisticamente definito “l’opaca e lucrativa attività delle società private di sicurezza”. Gli stessi documenti di WikiLeaks parlavano di una simile lobby attiva nel far circolare dietro compenso il materiale di aiuti e cooperazione nonostante la presenza su quel territorio di truppe canadesi e inglesi. Accanto a simili azioni, Wali Karzai brillava per la fama nel controllo di traffico di oppio e derivati i cui proventi ampliavano i conti di famiglia. Hamid Karzai sapeva e nascondeva. Gli dava manforte Baaz Mohammad Ahmadi, ministro della lotta (sic) al narcotraffico del suo governo. Il lavoro di Wali era doppiamente sporco. Grazie alle personali milizie diposte nel sud del Paese riusciva a sequestrare ingenti quantità di droga che venivano immesse sul mercato internazionale con la complicità della Cia.
L’Intelligence statunitense è stata la madrina di famiglia quando, durante il governo talebano, i membri erano riparati negli Usa. Wali faceva il ristoratore a Chicago. Al rientro in patria – mentre per Hamid si aprivano ampie prospettive di sostegno che passavano per l’alta politica di Pentagono e Casa Bianca – il fratellino si dedicava al lavoro di basso profilo morale ma di altissimo lucro. Di cui si avvalevano la Cia per la chiusura degli occhi di fronte a simili commerci e affaristi statunitensi. Entrambi ricevevano una profumatissima stecca. Secondo alcuni osservatori col tempo e con la crisi economica quest’ultimi incameravano fette sempre più consistenti di proventi del narcotraffico afghano. Per lavorare in tranquillità Wali un’altra stecca la versava ai Taliban che controllano le strade verso il Pakistan e verso l’area di Marja, dove oltre un anno fa scattò la famosa offensiva dell’Isaf diventata più campagna propagandistica che vigilanza sulle vie di comunicazioni. All’epoca i talebani operarono una ritirata strategica per poi rientrare in quella e altre zone, tanto che oggi da sud a ovest Kandahar, Helmand, Nimroz e, come ben sa la missione italiana, gran parte di Farah ed Herat sono sotto il continuo tiro guerrigliero. Ma ormai l’intero Paese è solo teoricamente sotto l’occhio della Nato, assediata nelle sue stesse caserme, attaccata nei luoghi simbolo come l’hotel Intercontinental di Kabul colpito due settimane or sono.
Il canale incrociato dell’affarismo del narcotraffico legato alla politica aveva visto nelle scorse settimane un altro incidente di percorso, meno grave perché non sanguinoso ma egualmente esplicativo dei loschi interessi di personaggi presentati come democratici. Il fratello dell’onorevole Fawzia Kofi era stato arrestato con due complici mentre trasportava un cospicuo carico di oppio. Naturalmente la parentela non è sinonimo di automatica partecipazione a illegalità o crimini, però nel sistema dei clan afghani i rapporti familiari sono funzionali a ruoli ben precisi. I fratelli Karzai insegnano. Ad Hamid non è rimasto che recitare un mesto epicedio durante il discorso davanti alla delegazione francese. Forse sente anche lui suonare la campana.
Un bilancio di 10 anni di dittatura Usa-Nato
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presenza di un proprio contingente militare, una sorta di “irachenizzazione”». Come in altri teatri di occupazione, gli Stati Uniti sono riusciti ad esasperare le divisioni etnico/religiose, frammentando a tal punto il sistema istituzionale da renderlo ingovernabile a livello centrale, corrotto in maniera endemica ma assolutamente funzionale ai reali obiettivi americani: penetrazione geo-strategica attraverso l’implementazione delle basi militari; controllo delle riserve di idrocarburi fossili presenti nel sottosuolo del Paese, ma ancora non sfruttate; creazione di vie alternative per le ricchezze energetiche delle Repubbliche centro-asiatiche. «Per questo, la formazione della Consultive Peace Jirga, la commissione preposta ai colloqui di riconciliazione con i talebani, è stata incoraggiata dagli Stati Uniti. Risponde ai propri desiderata. È stata una scelta dettata da logiche che fanno parte del modus operandi degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali: mai appoggiare le forze democratiche che esistono all’interno di un Paese perché la tensione all’indipendenza non gioverebbe agli interessi perseguiti». Ma formazioni democratiche sono attive all’interno dell’Afghanistan e vitali, per quanto osteggiate e sempre a rischio di ritorsioni e repressione. «Certo è un embrione. Il processo democratico apertosi nella seconda metà degli anni Sessanta – conclude Samia Walid – è stato interrotto dalla guerra contro i sovietici, quindi è estremamente giovane. Ma opera in tutto il Paese, attraverso gli strumenti dell’informazione, la formazione, pubblicazioni, organizzando il malcontento della popolazione in manifestazioni e sit-in. Perché quello che la gente vuole, tanto per cominciare, è il ritiro di tutte le truppe straniere dal Paese. Quindi, l’interruzione di qualsiasi tipo di appoggio, militare ed economico, ai criminali che siedono nel governo Karzai. A quel punto rimarrebbero due nemici: i signori della guerra e i talebani. Non sarà facile, nessuno lo dice, ma sarà il popolo afghano ad affrontarli e a determinare il proprio percorso verso la democrazia»
La direttrice di HAWCA al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU
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Nel suo discorso, Selay Ghaffar ha spiegato come oggi le donne e le ragazze afghane siano soggette a numerose forme di violenza e discriminazione, più che in ogni epoca passata. Le donne subiscono violenza nell’accesso negato alla giustizia, a causa della scarsa capacità degli organismi preposti a fare rispettare le leggi e della cultura dell’impunità verso i colpevoli di crimini.
L’istruzione delle ragazze è violentemente ostacolata da attacchi incendiari contro le scuole e dalla chiusura delle scuole femminili; accade che le ragazze che vanno a scuola vengano aggredite da criminali che gettano loro in faccia acido ustionante e siano gravemente intossicate con gas negli edifici scolastici; ragazze e bambine sono spesso rapite e stuprate mentre si recano a scuola; e il governo compie sempre meno sforzi per promuovere l’istruzione delle ragazze. Nel suo discorso, Selay Ghaffar ha sottolineato come la mancanza di sicurezza sia un gravissimo problema, che impedisce l’accesso delle ragazze all’educazione, al servizio di assistenza sanitaria e ad altri servizi di base.
Nel corso del dibattito presso il Consiglio per i Diritti Umani, Selay Ghaffar ha sottolineato come oggi le donne e le ragazze siano esposte a diversi livelli di violenza, a cominciare dalla violenza domestica fino alla violenza di Stato. Per porre fine all’impunità di cui godono i colpevoli delle violenze, dovrebbere messo in essere un meccanismo di pronta risposta, che possa offrire assistenza legale e protezione alle donne. HAWCA è una delle ONG di donne che oggi gestisce rifugi per le donne vittime di violenze e centri di assistenza legale e psicologica in alcune province dell’Afghanistan.
L’Afghanistan ha un sistema giudiziario debole in mano a incompetenti e corrotti. Il vero volto del sistema giuridico si è visto quando è stata scritta ed approvata la Legge Sciita sulla Persona [che vieta alle donne sciite di rifiutare qualsiasi richiesta sessuale da parte del marito, N.d.R.] e recentemente la bozza della cosiddetta Regolamentazione dei Rifugi. Quest’ultima intende togliere alle ONG il diritto di gestire i propri rifugi per vittime di violenza e impone loro di passare i rifugi in gestione al Ministro degli Affari Femminili. Si tratta di una mossa che serve in realtà a nascondere le cause legali per violenza contro le donne a carico di politici e uomini di governo, inclusi i membri del Parlamento e i loro figli che sono attualmente chiamati a rispondere. Per fortuna, la forte presa di posizione da parte delle attiviste afghane e le numerose pressioni internazionali hanno costretto il governo a rivedere la bozza di legge.
Per quanto riguarda il processo di pace e di riconciliazione, Selay Ghaffar si è detta molto preoccupata che si arrivi a negoziare i diritti della donne e dei bambini nei colloqui di pace con i gruppi armati dell’opposizione, cosa che annienterà completamente le donne, di qualsiasi estrazioni sociale essi siano. Alla fine, Selay Ghaffar ha sottolineato come HAWCA lavorerà con tutti gli altri organismi simili per rendere più forti le donne afghane e assicurare che i loro diritti e quelli dei loro bambini siano protetti.
Fai clic qui per leggere la notizia (in inglese) nel sito ufficiale di HAWCA.
I costi della guerra in Afghanistan, Iraq e Pakistan
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Il recente studio pubblicato con il titolo Costs of War, scritto da più di 20 esperti tra economisti, analisti politici, giuristi, antropologi e operatori umanitari del Brown’s Watson Institute for International Studies, fornisce stime impressionanti sul costo delle operazioni militari in questi tre paesi. Oggi, a 10 anni da quando le forze armate statunitensi sono entrate in Afghanistan nel 2001, il report stima che il costo finale dei tre conflitti sarà tra i 3700 e i 4400 miliardi – molto più alto dei 1000 miliardi annunciati dal Presidente Obama all’inizio di quest’anno. Il report stima che il governo degli Stati Uniti abbia già speso tra i 2300 e i 2700 miliardi e spenderà ancora almeno 1000 miliardi nei prossimi 5 anni.
In questo video esclusivo del HuffPost, alcuni degli autori del report spiegano i motivi degli altissimi costi – sia passati sia futuri – di queste guerre. Le indennità e le pensioni dovute ai veterani di guerra continuano a fare crescere il prezzo dei conflitti ancora per decenni dopo che le truppe saranno state ritirate. Il report stima il costo dell’assistenza medica per i veterani si aggirerà tra i 600 e 950 miliardi e continuerà ad aumentare fino al 2050.
“Le guerre, possiamo dire, non finiscono mai quando finiscono”, dice nel video Catherine Lutz, antropologa della Brown University. “Vanno avanti per decenni, e il picco di questi costi sarà raggiunto solo tra 40 anni”. Poiché queste guerre non hanno propriamente prime linee di combattimento, c’è stato un enorme numero di feriti, soprattutto giovani militari. Il report sottolinea il numero particolarmente alto di morti in Pakistan. “I costi di queste guerre sono stati distribuiti in modo fortemente iniquo” afferma Lutz. “Le famiglie dei militari, le famiglie dei contractors, i civili in Iraq e in Afghanistan e in Pakistan hanno pagato un prezzo spropositato”.
Anche soltanto pagare gli interessi del debito di guerra degli Stati Uniti sarà un’impresa ardua, secondo il report, dato che il paese si sta avviando a sfondare la soglia dei 14.290 miliardi di debito. Il report spiega che il governo americano ha già pagato circa 185 milioni di interessi sulle spese di guerra, che entro il 2020 potrebbero salire di un altro miliardo – una cifra da aggiungere alla stima sopra citata dei 3700 miliardi di costo vivo delle guerre. “Virtualmente, tutto il denaro che è stato usato per pagare i conflitti in Iraq e in Afghanistan, una cifra molto alta, è stato preso in prestito, aggiungendo almeno 1500 miliardi al nostro debito esterno nazionale” aggiunge nel video Linda Bilmes, economista della Harvard University.
Ora gli Stati Uniti sono giunti alla resa dei conti, davanti all’annunciata manovra per alzare il tetto del debito entro agosto. “Siamo di fronte a una richiesta pressante da parte dei cittadini di imparare dall’esperienza dei decenni passati e di tentare di prendere misure per non fare ancora sbagli su sbagli”, dice nel video Andrew Bacevich, studioso della storia militare della Boston University e veterano di guerra.
[dal sito Huffpost World, 29/06/2011]
La cooperazione internazionale in Afghanistan. Intervista a Selay Ghaffar
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Selay Ghaffar, lei è impegnata a Kabul con l’ong Hawca, cosa pensa della cooperazione internazionale che lavora in Afghanistan?
Ci sono luci e ombre. Quando la cooperazione si rapporta alla mafia fa un gran danno. Nel nostro Paese la mafia è ovunque: s’occupa di economia gestendo il narcotraffico, è fra i Signori della Guerra, nell’Esecutivo di Karzai, si trova fra le varie etnie che determinano la vita della propria gente. Anche l’attività delle ONG risente della presenza di scelte e comportamenti dettati dal sistema mafioso. Negli ultimi anni le organizzazioni della cooperazione sono aumentate (più di 40 nazioni coinvolte, ndr) e con esse sono aumentati i finanziamenti che giungono dall’estero. Ma i risultati peggiorano di anno in anno. I programmi seguono logiche autoreferenziali che non tengono conto delle reali esigenze della popolazione. Nel parlare di donne la situazione è catastrofica: l’istruzione, la formazione, l’inserimento lavorativo vengono ignorati. Altro problema è la mancata sintonia fra le organizzazioni straniere e le ONG locali come quella che rappresento. Chi invia i fondi segue logiche politiche spesso in discordanza con le esigenze delle persone; accade anche per il lassismo delle istituzioni che si rapportano a chi realizza i progetti in maniera ambigua e corrotta. Alzando la voce noi siamo riusciti a tamponare una situazione tutt’altro che buona.
C’è differenza fra le ONG delle varie nazioni?
Le organizzazioni non governative straniere, appartengano o meno alle Nazioni Unite, sviluppano progetti specifici. Quelle locali hanno radici nel Paese ma sono prive di denaro. Quando questo arriva finisce nelle mani del governo dove siedono guerrafondai e criminali. Ciò genera contrasti perché consentire a simili personaggi la gestione di aiuti umanitari, che spesso vengono destinati ad altri scopi, è un insulto alla popolazione. Non affermo che tutte le ONG sono truffaldine, ma l’esperienza fa dire all’Hawca che purtroppo la corruzione esiste anche in questo settore.
Alcune sono state al centro di scandali per la sparizione di fondi destinati a ospedali. Sono stati presi provvedimenti in merito?
Per accusare un’ONG di frode c’è bisogno di prove senza le quali la denuncia diventa un boomerang e magari favorisce ritorsioni. Certo l’Afghanistan è la seconda nazione più corrotta al mondo e non possiamo pensare che i vertici del potere siano esenti dal vizio, anzi. I nostri dubbi provengono da situazioni che mostrano come l’80% dei finanziamenti, e anche più, è utilizzato per sostenere la stessa ONG. Viaggi, alloggi, auto di servizio, vigilanza, una marea di denaro viene usata per questo. La corruzione e gli sprechi spesso sono di casa negli organismi internazionali.
Appurato che la cooperazione non può garantire un’equa attività sociale e in assenza di una struttura statale quali vie si possono percorrere?
Molti non sanno che negli ultimi tempi per le continue azioni di guerra la cooperazione internazionale non sta operando affatto. I progetti restano sulla carta. La popolazione non ha più fiducia di soggetti che non conoscono o non tengono conto dei suoi bisogni. Le poche ONG accettate sono quelle locali com’è accaduto in Nuristan, una delle zone più pericolose dove nessuno può accedere neppure con le truppe corazzate. Quegli abitanti si sono sentiti rassicurati dal rispetto dei costumi del luogo. Purtroppo alle ONG afghane vengono concessi piccoli finanziamenti per brevi periodi e la pianificazione resta incompleta. Come Hawca poniamo una questione di rappresentatività del governo del Paese, alcuni ministri che hanno in sospeso conti con la giustizia o annoverano un passato criminale non possono ricoprire incarichi istituzionali. La Comunità Internazionale ha il dovere di non sostenerli.
Lei ha affermato: “la società civile comincia nella casa di ciascuno di noi”. Cosa può fare un popolo in molte circostanze privo anche del tetto?
Per costruirsi un tetto servono i mezzi, ma ancor più necessaria è la volontà. Con quella frase sottolineavo come ogni abitante e soprattutto ogni donna dell’Afghanistan devono conquistarsi i loro diritti, nessuno glieli regalerà. Io in famiglia ho mosso le acque, se non avessi lottato in prima persona mio fratello non l’avrebbe fatto al mio posto. Ora anche le zie fanno studiare i figli. Una conferma viene da questa vicenda che mi piace ricordare. Una scuola aperta dall’Hawca nella provincia di Parwan era diventata anche centro d’incontro di analfabeti che per la prima volta prendevano coscienza dei propri diritti. Un giorno si presentò un gruppo armato con una lettera firmata nientemeno che da Hekmatyari che ne imponeva la chiusura. Non sapevamo se la lettera fosse originale o no però parlammo con tutti gli abitanti invitandoli a confrontarsi sulla difesa di quella scuola. Gli ripetevamo ciò che già si era radicato nelle loro teste: la struttura era un servizio per la comunità, era sciocco perderla. La gente non s’è fatta intimorire, riunita in moschea coi vecchi e i mullah ha difeso il progetto. Nulla hanno potuto le armi e la lettera di Hekmatyari, i rapporti di forza si erano totalmente rovesciati.
La politica mondiale talvolta congela le contraddizioni e le rende croniche. L’Afghanistan corre questo rischio?
La popolazione è convinta che i Paesi presenti in Afghanistan, in guerra e nella cooperazione, perseguono personali interessi economici e strategici. Un esempio è il narcotraffico cresciuto nei trent’anni di conflitti e durante l’Enduring Freedom. Prima delle varie invasioni non avevamo quei debiti che continuiamo ad accumulare proprio perché viene mantenuta una situazione di emergenza fuori da qualsiasi regola e normalità di vita. Potremmo gestire diversamente il territorio, sfruttando le risorse del sottosuolo e stabilendo un rapporto paritario con chi può fornirci la tecnologia necessaria senza cadere in una condizione subalterna o essere oggetto di rapina. Sarebbe bello utilizzare anche talune professionalità che i nostri giovani hanno conseguito laureandosi. Ma l’Occidente non dovrebbe interessarsi ossessivamente solo delle sue basi militari e della cooperazione di tipo affaristico. Servirebbe un’altra classe dirigente che facesse piazza pulita di Karzai e compari. Il vero aiuto alla democrazia passa per elezioni davvero libere alle quali possano partecipare le formazioni democratiche tuttora tenute ai margini. (Enrico Campofreda, dal sito della Federazione della Sinistra di Parigi)
Leghiamo a noi i sogni delle donne afghane: progetto VITE PREZIOSE
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Attentato ad hotel di Kabul: elicotteri NATO uccidono talebani
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Elicotteri NATO intervengono uccidendo tre militanti per porre fine allo scontro durato cinque ore con attentatori suicida e uomini armati in un hotel della capitale afghana.
29 Giugno 2011 – da: BBC NEWS
Nell’attentato all’hotel Intercontinental, frequentato da occidentali, sono morti 6 attentatori, due poliziotti e 11 civili, inclusa una persona di origine spagnola.
Secondo un funzionario della sicurezza, per accedere all’hotel, di solito strettamente controllato, i militanti potrebbero aver approfittato dei lavori di ristrutturazione in corso.
Un portavoce talebano afferma che gli autori sono un gruppo di insorti.
Il parere di alcuni funzionari dei ministeri dell’interno e della difesa è che l’accaduto ha tutte le caratteristiche di un attacco tipico della rete Haqqani, gruppo strettamente legato ai Talebani ma che opera in modo indipendente.
Panico
Il Presidente Karzai ha condannato l’attentato, affermando che gli insorti gioiscono nel versare sangue innocente, ma che incidenti simili non rallenteranno il processo di transizione di responsabilità dalla Nato alle forze di sicurezza afghane.
Mentre il sole sorgeva su Kabul, fumo e fiamme provenivano dall’hotel.
I funzionari della sicurezza afghana riportano che l’edificio è stato preso d’assalto da almeno nove militanti, in seguito tutti deceduti.
Tra i morti ci sono anche un giudice provinciale, dei camerieri e alcuni musicisti che suonavano all’hotel.
Inoltre, le persone ferite sono almeno otto, inclusi due membri neozelandesi delle forze speciali Isaf con “moderate” lesioni.
L’attentato è iniziato mentre molti ospiti si trovavano nella sala da pranzo.
Secondo i funzionari afghani, un attentatore suicida si è fatto esplodere davanti all’hotel e un altro al secondo piano.
Il panico è dilagato immediatamente fra gli ospiti, inclusi coloro che stavano partecipando ad una festa di matrimonio.
Nascosto in una stanza dell’hotel
Un funzionario della provincia settentrionale di Takhar ha riferito alla BBC di aver visto correre verso l’hotel uomini armati di granate e mitragliatrici. Ha aggiunto che il suo amico Mawli Hamdullah, un giudice provinciale, è stato ucciso.
La polizia e i militari afghani hanno isolato l’hotel e staccato l’elettricità, mentre le forze di sicurezza utilizzavano apparecchi di illuminazione notturna.
Il corrispondente della BBC a Kabul, Bilal Sarwary, racconta che si potevano udire rumori di sparatorie ed esplosioni a ben 5 km di distanza.
Un militante è stato ucciso dalle forze di sicurezza che cercavano di entrare nell’hotel.
Quando tre attentatori sono saliti sul tetto, gli ufficiali afghani hanno chiesto aiuto alle forze Nato-Isaf.
Il Maggiore Tim James, portavoce dell’Isaf, ha dichiarato che le persone uccise dagli elicotteri Nato sul tetto dell’hotel, sembravano indossare indumenti “da suicidio”.
Il capo della polizia di Kabul Gen Ayub Salangi riporta che uno degli attentatori ha cercato di salvarsi nascondendosi in una stanza dell’hotel. Si è fatto esplodere alle 7.00 circa – ora locale – quando lo scontro sembrava ormai terminato, uccidendo due poliziotti e un ospite spagnolo e ferendo altre tre persone. Aggiunge che lo Spagnolo aveva cercato di ritornare nella sua stanza, incurante delle indicazioni trasmesse dalle forze di sicurezza. In seguito, il ministro degli esteri spagnolo ha confermato che un cittadino spagnolo aveva perso la vita nell’attentato: si trattava un pilota di linee aeree.
Un ufficiale afghano ha visto che gli attentatori erano muniti di granate a mano e granate a razzo.
Obiettivo dell’attentato
Gen Salangi afferma che la sua radiomobile blindata è stata colpita più di 30 volte e i finestrini sono andati in frantumi.
Secondo fonti ufficiali, l’obiettivo dell’attentato potrebbe essere stato un incontro dei governatori delle province in corso presso l’hotel. Inoltre, l’attentato è avvenuto esattamente la notte prima dell’inizio di una conferenza relativa alla transizione della sicurezza.
I corrispondenti affermano che l’Intercontinental, che non fa parte della catena di hotel internazionali che porta lo stesso nome, era uno degli hotel più presidiati e controllati di Kabul, ma i militanti potrebbero aver approfittato di eventuali lacune nella sicurezza causate dai lavori di ristrutturazione in corso presso l’edificio.
Sembra che i ribelli utilizzino ogni mezzo possibile per infiltrarsi nelle aree sotto stretta sorveglianza. In questo caso potrebbero essersi travestiti da operai o da tecnici.
Il dipartimento di stato degli Stati Uniti ha condannato questo attacco affermando che dimostra “il completo disprezzo per la vita umana da parte dei terroristi”.
La città di Kabul – che ha visto molti attentati negli ultimi anni – durante quest’anno non aveva ancora segnalato attacchi rilevanti. Tuttavia, dopo l’uccisione di Osama Bin Laden avvenuta in Pakistan il 2 maggio e con il sorgere dell’ “offensiva talebana di primavera”, la violenza sta ora aumentando nell’intero Paese.
Nel gennaio 2008 i militanti avevano preso d’assalto il Serena, il più lussuoso hotel della capitale, uccidendo otto persone tra cui un Americano, un Norvegese e una donna filippina.
ANALISI
di Jonathan Marcus – Corrispondente diplomatico della BBC
Ancora una volta emergono dubbi sulla reale efficienza delle forze di sicurezza afghane. Il fatto che ad un elicottero della NATO sia stato richiesto di uccidere gli attentatori che si trovavano sul tetto dell’hotel, rafforza la supposizione che la polizia e le forze militari afghane non siano in grado di operare da sole in modo efficace.
Per meglio comprendere la situazione è comunque necessario effettuare un’analisi più dettagliata dell’accaduto.
Tuttavia, al di là dell’immediato impatto psicologico legato all’attentato, si evidenziano alcuni segnali curiosi.
La NATO continua a mantenere una certa pressione militare sulle forze talebane, uccidendo un gran numero di comandanti, nello sforzo di convincere la loro leadership che l’unica soluzione è la negoziazione. Dall’altra parte, i Talebani organizzano attentati simili a questo allo scopo di sottolineare che non si sentono e non sono assolutamente sconfitti e che i loro obiettivi si estendono fino a raggiungere la stessa capitale.
Mentre Stati Uniti dicono di voler ritirare le truppe, la corruzione afgana aumenta.
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I bambini di AFCECO imparano a suonare
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