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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: talebani frustano una ragazza per essersi opposta a un matrimonio forzato

Da: WUNRN

talibanÈ accaduto un mese fa nel distretto di Bala Murghab nella provincia di Badghis.

La ragazza è stata pubblicamente frustata per essersi rifiutata di sposare un uomo anziano. L’ordine è stato dato da un comandante talebano pachistano della provincia.

Il capo del consiglio ecclesiastico della regione occidentale, Maulawi Khudadad Saleh, ha descritto questo atto come disumano, aggiungendo che tali azioni vengono deliberatamente commesse per danneggiare l’Islam.

“È inaccettabile e totalmente contrario all’Islam”, ha affermato Maulawi Khudadad Saleh.

Sembra che la ragazza sia stata frustata un mese fa nel villaggio di Mungan, nel distretto di Bala Murghab.

Un video di Tolo News mostra un talebano che frusta una ragazza distesa a terra con le mani e i piedi immobilizzati da altri due talebani. E’ stata violentemente frustata nonostante urlasse dal dolore di fronte alla popolazione locale. Alcuni abitanti del villaggio hanno riferito che un comandante talebano pakistano aveva ordinato questa sommaria punizione. Nessuno è stato incarcerato per l’accaduto. Il governatore di Baghdis ha dichiarato che non era al corrente di quanto stava avvenendo.

Purtroppo, fatti simili accadono spesso nelle aree remote controllate dai talebani.

Solo poco tempo prima, i talebani avevano lapidato a morte una coppia che intendeva sposarsi senza il consenso della famiglia.

Afghanistan: guerra ai rifugi delle donne – Da L’Unità del 5 marzo 2011

Per molte donne in fuga da stupri e violenza, le case protette sono state l’unica chance di salvezza.

Ora Karzai vuole cancellarle. Con un decreto le strutture passeranno sotto lo stretto controllo del governo. 

Di Cristiana Cella – L’Unità – 5 marzo 2011

Sono gli “shelters”, le case protette, l’unica possibilità di salvezza per le donne afghane che riescono a fuggire dall’inferno di una famiglia violenta. Spesso, l’unica opportunità di salvarsi la vita. O meglio lo erano.

A gennaio, il Presidente Karzai e il Consiglio dei Ministri afghano hanno varato un decreto secondo il quale, entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore, le «case rifugio» passeranno sotto il controllo del Ministero degli Affari Femminili. Le Ong di donne afghane che, con competenza e coraggio le hanno gestite fino ad ora, rischiano

di essere tagliate fuori. Per decidere la sorte delle vittime che cercano rifugio sono state nominate due Commissioni che non hanno né la libertà di pensiero, né la volontà, né la competenza per occuparsene.

La prima, composta da membri nominati dal governo, dovrà «monitorare» gli shelters, e un’altra discutere i «casi», sotto la guida della Corte Suprema di Giustizia, l’organo più oscurantista del Paese, che aveva già provveduto a preparare il terreno con una legge ad hoc: la donna che si allontana da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza commette reato. Che sia stata sottoposta a torture e abusi o sia in pericolo di vita non ha nessuna rilevanza, nonostante la Costituzione imponga allo Stato di tutelare l’integrità fisica e psichica delle donne all’interno della famiglia.

Le regole governative per l’accesso ai rifugi sono paradossali. La donna dovrà essere accompagnata da un mahram (parente maschio o marito) per evitare le imputazioni della Corte. È evidente che nessun marito lo farà mai, essendo, nella maggior parte dei casi, il responsabile delle violenze. Per le donne accolte ci sarà l’obbligo di sottoporsi a costanti «perizie mediche» per il controllo della loro attività sessuale. Esami traumatici per chi ha già subito violenza, che violano la dignità e l’integrità fisica. Una logica in cui la vittima è già imputata euno stupro equivale all’adulterio. Se poi venisse rimandata a casa, cosa che spesso viene pretesa dalla famiglia e rifiutata dalle Ong afghane, vivrebbe nella vergogna, sconterebbe punizioni pesanti e potrebbe essere giustiziata.

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Diritti delle donne: il fallimento della giustizia afghana – Da L’Unità del 6 marzo 2011

L’Occidente aveva promesso di cancellare l’inferno talebano, ma a 10 anni dall’intervento militare, la violenza, gli stupri e i matrimoni forzati delle bambine sono una realtà diffusa

 Di Cristiana Cella – L’Unità – 6 marzo 2011

L’ANALISI 

L’Afghanistan, nel 2003, è il primo Paese musulmano a ratificare il Cedaw, (Convenzione per l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne) con il relativo obbligo di adottare tutte le misure legali necessarie.

Del resto l’Occidente aveva promesso di liberare le donne dalla prigione talebana e dal burka, con altisonanti dichiarazioni. Il principio di eguaglianza tra uomini e donne di fronte alla legge viene sancito dalla Costituzione, articolo 22, varata, nel 2004, da un parlamento composto per il 25% di donne. Nel Piano d’Azione Nazionale per le Donne Afgane, il Ministero degli Affari Femminili sottolinea la necessità di riformare le leggi tradizionali sulla famiglia che penalizzano le donne. La violenza e i matrimoni di bambine sono criminalizzati. Se la Costituzione fosse applicata, assistita datante buone intenzioni, sarebbe un passo avanti, e diventa la bandiera della «democrazia» portata con le bombe.

A 10 anni dall’occupazione e a 7 dall’entrata in vigore della Costituzione, le condizioni di vita di donne e bambini sono allarmanti e la necessità di rifugi enorme. La violenza domestica, le molestie sessuali e lo stupro, quasi sempre impuniti, sono endemici. I matrimoni forzati anche di bambine, sono pratica diffusa, fino all’80%. Le donne sono merce di scambio, senza diritti.

La maggioranza delle carcerate scontano pene per «delitti morali», 2 milioni di donne soffrono di depressione e 2300, ogni anno, si suicidano. Perché questo disastroso fallimento della giustizia? Prima di tutto perché ad applicarla è un governo, instaurato e difeso da Usa e Nato, formato, in maggioranza, da potenti fondamentalisti che condividono lo stesso credo dei talebani, spadroneggiano in tutte le province con le loro armi e fanno pressioni continue, denunciano i difensori dei diritti umani, per trasformare in legge il sistema di «giustizia informale», cioè tribale, feroce contro le donne.

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Afghanistan: le case per donne maltrattate finiscono sotto il controllo del governo

elle.it

Le case per le donne maltrattate in Afghanistan passeranno sotto il controllo del governo. La notizia sta girando in questi giorni sul web, ma le cronache dall’Egitto e dalla Libia l’hanno relegata in secondo piano. È un passo indietro gravissimo per i diritti delle donne. In base a un decreto passato a gennaio, entro 45 giorni questi rifugi – gestiti da associazioni – che accolgono donne stuprate, picchiate e maltrattate saranno controllati dal ministero degli Affari femminili.
Strizzando l’occhio ai talebani e alle forze politiche più retrograde, Karzai ha di fatto riconosciuto le istanze della Corte suprema, un organo oscurantista che controlla che tutte le leggi siano in linea con la sharia islamica. Secondo la quale qualsiasi donna che abbandona il tetto coniugale è ritenuta criminale, indipendentemente dalle ragioni che l’hanno spinta a farlo.
 
Abbiamo sentito Cristina Cattafesta del Coordinamento italiano sostegno donne afgane onlus (Cisda), che aiuta concretamente due case per donne maltrattate – a Kabul e a Herat – attraverso un’associazione afgana.
 
«È paradossale: con questa nuova legge, nessuna donna potrà presentarsi a una casa rifugio se non accompagnata da un parente maschio. Qualunque familiare potrà chiedere che la donna ospitata venga restituita alla famiglia, anche senza il suo consenso. E le donne ospiti dovranno essere sottoposte a visite mediche: se è provato che c’è stata violenza sessuale, in Afghanistan la vittima è colpevolizzata e ripudiata».

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Lettera dall’Australia sulle Case per Donne Maltrattate (Shelters)

Apprendiamo con sgomento che il Ministero degli Affari Femminili (MoWA) del governo afghano propone di gestire direttamente tutti gli shelters del paese entro 45 giorni e che la Suprema Corte Afghana ha decretato che cercare rifugio negli shelters gestiti dalle ONG viene ora considerato un crimine per il quale le donne possono essere perseguite.

Tutto ciò rappresenta una sconfitta enorme nella lotta per i diritti delle donne in Afghanistan.

Lei si trova in una posizione unica per aiutare le donne piu’ fragili dell’Afghanistan. Per favore, faccia qualcosa per sostenerle.

In Afghanistan, sia il sistema legale che le intese informali sono sempre stati utilizzati in modo distorto contro le donne. Gestiti in modo indipendente, gli shelters costituiscono spesso l’unica protezione per le donne dalla violenza e, a volte, anche dalla morte. Meno della metà delle 34 province dell’Afghanistan possono usufruire di uno shelter per le donne, ma quei pochi che esistono salvano comunque la loro vita. Il piano del governo di rilevare questi shelters mette a repentaglio quei pochi luoghi in cui le donne possono trovare protezione da famiglie violente e da matrimoni forzati.

Con questo nuovo sistema, le donne e le ragazze che cerano rifugio dovranno prostrarsi davanti ad una commissione composta da funzionari governativi e sottoporsi a dubbiosi “test clinici” che accertino che non siano colpevoli di adulterio o prostituzione. Se, dopo aver superato entrambi questi “esami”, una donna viene ammessa, non potrà tuttavia lasciare lo shelter senza un permesso ufficiale. La realtà è che queste poche case-rifugio stanno per diventare delle vere prigioni.

Il nuovo regolamento prevede inoltre che la donna venga “riconsegnata” alla famiglia, se quest’ultima ne richiede il rientro. Se messa in atto, questa legge costerà la vita a molte donne. Quasi tutte le donne che attualmente si trovano negli shelters sono fuggite da abusi e violenze inflitte da membri della loro stessa famiglia.

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Udine, Honsell per bambini afghani

La Prima Pagina

Il sindaco di Udine Furio Honsell, insieme con l’assessore ai Diritti di cittadinanza Kristian Franzil ed il consigliere comunale Federico Pirone, hanno incontrato oggi a palazzo D’Aronco, una delegazione del Cisda Fvg, il coordinamento italiano per il sostegno delle donne afghane che ha finanziato, in collaborazione con l’associazione Afceco, un progetto di cooperazione internazionale per la costruzione di una clinica all’interno di una casa famiglia a Kabul.

Ad accompagnare la coordinatrice di Cisda e di Afceco (Afghan Child Education and Care Organization), anche quattro bambine tra i dodici e i tredici anni ospiti di un orfanotrofio della capitale dell’Afghanistan. Il motivo della visita in regione, e quindi anche nel capoluogo friulano, la presentazione nei giorni scorsi a Trieste del progetto di Afceco, in modo tale da promuovere le iniziative dell’associazione con sede a Kabul e che lavora per l’abbattimento dei conflitti etnici e delle frontiere di genere in Afghanistan. “Un’occasione di visitare Paesi europei – ha commentato Honsell – e per offrire a questi bambini una speranza per il futuro”.

Afceco  (Afghan Child Education and Care Organization) è una Ong afghana senza scopo di lucro con sedi a  Kabul, Herat e Jalalabad. Nata nel 2004 da un’esperienza informale di una casa famiglia per profughi afghani in Pakistan, diverrà nel 2008 un’associazione registrata e riconosciuta come uno dei punti di riferimento in Afghanistan per la lotta all’emergenza orfani (attualmente 1.6 milioni). Gli orfanotrofi di Afceco si basano su tre principi fondamentali: creare un ambiente sicuro, pulito e bello; incoraggiare la forza attraverso il riconoscimento della diversità, e fornire una formazione eterogenea e dinamica.

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Versione Petraeus

Peacereporter 24 febbraio 2011

“Una messa in scena la strage di civili a Kunar: bambini bruciati dai genitori per spacciarli come vittime dei nostri bombardamenti”
 
44897Il comandante delle truppe Nato in Afghanistan, il generale americano David Petraeus, è stato convocato dal presidente Hamid Karzai per riferire sull’ultima strage di civili causata da un bombardamento aereo: quella che sarebbe avvenuta venerdì scorso nella provincia orientale di Kunar e nella quale avrebbero perso la vita cinquanta civili, tra cui ventinove tra donne e bambini.
L’immagine simbolo di questa ennesima tragedia è diventata la foto di un bambino con la testa, un braccio e una gamba fasciati, che giace in un letto dell’ospedale di Asadabad, capoluogo della provincia.
 
Secondo il Washington Post, durante il colloquio con Karzai e i suoi collaboratori, il generale Petraeus ha scioccato i suoi interlocutori affermando che le famiglie di quel villaggio, d’accordo con i talebani, hanno bruciato gli arti dei loro bambini spacciandoli per vittime di una strage che in realtà è stata solo una messa in scena.
”Sono rimasto frastornato dalle parole del generale, mi girava la testa”, ha dichiarato al quotidiano statunitense uno dei partecipanti all’incontro. ”Ma come si può pensare che un padre faccia una cosa del genere a suo figlio! Ha detto che genitori filo-talebani hanno contattato le autorità locali inventandosi una strage di civili e poi hanno bruciato gli arti dei loro figli e li hanno mandati all’ospedale.

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Afghanistan: esercito e polizia torturano i prigionieri… l’occidente sa e lascia fare

Ansa,  22 febbraio 2011
 
Il ricorso alla tortura è in larga parte diffuso nell’esercito e nella polizia in Afghanistan, ma i loro istruttori della Nato – benché informati – chiudono spesso gli occhi quando non sono accusati di ricorrere a questa pratica. È quanto emerge da varie testimonianze dei militari.

In undici basi militari americano – afgane della provincia meridionale di Kandahar, un giornalista della France Presse ha raccolto 23 dichiarazioni di soldati afgani e statunitensi, semplici soldati o ufficiali, che hanno mostrato di essere a conoscenza dell’uso diffuso, se non sistematico, della tortura sui loro detenuti da parte delle forze di sicurezza afgane. “Ho visto come l’Ana (esercito nazionale afgano) tratta i talebani”, ha raccontato un sergente statunitense della forza Nato (Isaf).

Un ufficiale afgano ha detto ridendo di avere catturato due talebani che ha torturato, portato davanti alle loro case e assassinato sotto gli occhi dei loro familiari. Nell’Arghandab, un distretto di Kandahar, i tenenti colonnelli americani David Flynn e Rodger Lemons hanno invece assicurato di non avere informazioni sulla tortura nella loro zona. Ma hanno un parere sull’argomento.

Le forze afgane non sono d’altronde le uniche sul banco degli imputati. Come in Iraq, esercito americano e Cia sono accusati di torture, che alimentano la rabbia dell’opinione pubblica contro il loro intervento militare. Secondo la norma in vigore all’Isaf i detenuti sono trattenuti per 96 ore, quindi trasferiti alle forze di sicurezza afgane o rilasciati. Ma i soldati interrogati sanno che i prigionieri trasferiti alle forze afgane rischiano la tortura o l’esecuzione sommaria: il loro trasferimento rappresenta in questo caso una violazione della convenzione di Ginevra.

Discorso a sostegno delle case per donne maltrattate in Afghanistan in occasione dell’incontro delle organizzazioni coinvolte organizzato da AIHRC, 21 febbraio 2011

Prima di tutto vorremmo ringraziare la Commissione Afghana Indipendente per i diritti umani per aver organizzato questo incontro fra il governo, la comunità internazionale e la società civile afghana.

Come sapete, l’incontro di oggi è stato organizzato in seguito alle contraddittorie dichiarazioni del governo afghano riguardo al controllo del lavoro delle case per donne maltrattate, alle organizzazioni femminili e in sostanza alla libertà delle organizzazioni della società civile in generale.

Le ultime dichiarazioni della ministra afghana per gli affari femminili e del Presidente, intenzionalmente o meno, sono una minaccia nei confronti delle organizzazioni della società civile che hanno assunto rischi enormi nella conduzione delle case per donne maltrattate e nell’aiuto alle donne afghane indigenti.

Ci sono voluti più di 30 anni della nostra storia recente, compreso il drammatico regime dei talebani, perché i cittadini avessero fiducia in noi; ci siamo fatti strada socialmente e politicamente in una società patriarcale. Il Governo afghano si è basato su rapporti infondati prodotti da mezzi di comunicazione irresponsabili che hanno travisato il lavoro dei gruppi femminili e li hanno usati per vanificare i nostri sforzi e la nostra etica.

A causa della decisione del governo il lavoro portato avanti nelle case per donne maltrattate subirà perdite incommensurabili. Inoltre, invece di apprezzare il lavoro di donne che si assumono grossi rischi per proteggere altre donne, le si accusa di sperperare milioni di dollari. E tutto questo accade quando sappiamo che nella maggior parte delle case per donne maltrattate si continua a lavorare, nonostante non sia arrivato alcun finanziamento esterno per quasi otto mesi.

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