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Autore: Anna Santarello

A Kabul un commando di forze speciali Isaf coinvolto in uno scontro a fuoco con guardie private afgane

di Alessandro Ingaria – Peacereporter  31.12.2010

Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre le forze speciali Isaf hanno effettuato un’incursione in un edificio dove ha sede la Afghan Tiger Group, uccidendo due guardie, ferendone altre due e terrorizzando decine di civili che stavano festeggiando un matrimonio nel palazzo adiacente.

“Si sono avvicinati al cancello undici fuoristrada con i vetri oscurati da cui sono scesi soldati con il volto coperto e in assetto da assalto”, afferma Hamid Hamedi che si trova ricoverato nel Surgical Centre for Civilian War Victims di Emergency a Kabul. “Due miei colleghi si sono avvicinati ai militari per chiedere cosa volevano e appena hanno aperto la porta sono stati colpiti mortalmente senza che ci fosse alcun preavviso o avvertimento”.

“A quel punto mi sono voltato per andare nell’ufficio del proprietario della compagnia per avvisarlo, ho visto un puntatore laser che si avvicinava al punto in cui mi trovavo e sono stato colpito alla clavicola sinistra da un colpo di fucile” racconta Hamedi. “Ci hanno tenuto lì per più di un’ora prima di autorizzare il ricovero in ospedale. Un ufficiale medico che parlava inglese mi ha medicato ed era intenzionato a farmi portare in un altro ospedale, ma io ho rifiutato e ho voluto essere trasportato all’ospedale di Emergency perché un mio parente era già stato curato lì.”

Hamedi è una guardia privata impiegata all’Afghan Tiger Group, società che si occupa della manutenzione di veicoli dell’esercito statunitense.

“Avevo il mio fucile a tracolla sulla schiena e ancora non riesco a capire perché ci abbiano sparato. Nessuno di noi ha fatto gesti che possono aver provocato una reazione”, dice Hamedi.

Secondo fonti Isaf, le forze speciali intervenute sul posto stavano cercando due automobili riempite di esplosivo per un attacco contro l’Ambasciata statunitense a Kabul. In un servizio apparso sulla televisione nazionale, le forze di sicurezza afgane negano di essere state consultate prima dell’incursione e accusano le forze Nato di uccidere civili senza ragione.

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Un messaggio di giovani afghani per la morte del soldato italiano

di Stephanie Westbrook  su reset-italia

Il primo gennaio 2011, ho partecipato ad una maratona telefonica internazionale di 24 ore del tutto eccezionale. Un gruppo di giovani afghani, impegnati nella resistenza nonviolenta, insieme ad attivisti statunitensi, hanno organizzato una giornata per parlare con, ma sopratutto ascoltare, gli afghani, per conoscere le loro condizioni di vita a seguito di quasi 10 anni di guerra NATO.

Da Kabul, l’iniziativa “Caro Afghanistan” ha visto la partecipazione via telefono, skype, sms, email, facebook e twitter da tutto il mondo, da Nord e Sud America, Australia, Asia e Europa, inclusa Italia.

Le domande rivolte agli afgani hanno riguardato in particolare le giustificazioni date dai governi dei paesi NATO per la loro presenza in Afghanistan, tra cui aiutare gli afghani e stabilizzare il paese, migliorare la situazione delle donne e sconfiggere i talebani, nonché i progressi vantati da Stati Uniti e NATO.

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Karzai paladino dei narcotrafficanti

Repubblica  27 dicembre 2010

Agli Usa non piace il presidente afgano
Secondo i documenti riservati della diplomazia americana, sarebbe intervenuto personalmente per far rilasciare funzionari condannati o accusati di traffico di droga

New York – Nuove accuse al presidente afgano arrivano da cablogrammi riservati della diplomazia americana, diffusi da Wikileaks e rilanciati dal New York Times.

Secondo i report, Karzai, che era stato definito come un uomo “ispirato dalla paranoia” 1, è più volte intervenuto personalmente per far rilasciare funzionari condannati o accusati di traffico di droga. “In numerose occasioni, abbiamo sottolineato con il ministro della Giustizia afgano la necessità di mettere fine ai suoi interventi e a quelli del presidente Karzai che autorizzavano il rilascio di detenuti prima del processo e permettevano a individui pericolosi di girare liberi o di tornare alle loro attività senza mai finire davanti a una Corte afgana”, si legge nel cablogramma diplomatico. “Nonostante le nostre lamentele e aver espresso preoccupazione al governo, proseguono le scarcerazioni prima dei processi”, prosegue il rapporto in cui vengono forniti anche i numeri.

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Il flop della missione di pace Ue in Afghanistan

Ilfattoquotidiano

L’Europarlamento boccia la strategia nel paese asiatico: “Abbiamo seguito troppo gli Usa”. Dopo 10 anni nel paese continua la corruzione e la coltivazione dell’oppio

“Nessuno crede più nell’Afghanistan. Aspetteremo fino alla fine del 2010 per vedere dei risultati. Sarà l’ultima possibilità”. Detto fatto. Dopo l’inequivocabile bocciatura della cosiddetta missione di pace in Afghanistan fatta da Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, e rivelata da Wikileaks, anche il Parlamento europeo ha riconosciuto il fallimento dell’intera strategia UE nel paese.

E’ il risultato del voto a larga maggioranza della relazione di Pino Arlacchi (ex IdV ora Pd), con il quale gli eurodeputati denunciano il deterioramento della sicurezza nell’intera regione anche per decisioni prese “senza tenere in considerazione la popolazione locale”. “Troppi errori sono stati fatti, solo perché l’Ue ha seguito gli Usa. L’Europa dovrebbe iniziare ad avere idee proprie sull’Afghanistan”, ha dichiarato Arlacchi. Insomma un grosso buco nell’acqua che non ha fatto altro che causare la perdita di innumerevoli vite umane (moltissime delle quali civili) e la quasi totale distruzione del paese. Attualmente 32mila dei circa 150mila soldati totali nel paese provengono da paesi Ue.

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Via libera al gasdotto transafgano

Peacereporter  14/12/2010

Firmato l’accordo definitivo per la realizzazione della pipeline che porterà il gas turkmeno a India e Pakistan attraverso l’Afghanistan.
Tre mesi dopo la firma dell’accordo quadro, avvenuta lo scorso 20 settembre, i presidenti di Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan e il ministro del Petrolio indiano si sono nuovamente ritrovati nella capitale turkmena, Ashgabat, per dare il via libera al progetto del gasdotto ‘Tapi’.

Il presidente afgano Hamid Karzai, quello pachistano Asif Ali Zardari, il presidente turkmeno Gurbanguly Berdimuhammedov e il ministro indiano Murli Deora hanno stabilito che la pipeline, che dovrebbe essere operativa dal 2015, avrà una portata annua di 30 miliardi di metri cubi di gas naturale, che finirà per l’84 per cento nelle condutture di Pakistan e India (in parti uguali) e per il restante 16 per cento verrà captato dalla rete afgana.

A Kabul il Tapi porterà anche 400 milioni di dollari all’anno in diritti di transito e circa dodicimila posti di lavoro. La sicurezza del tratto afgano della tubatura, che passerà per le turbolente province di Herat, Farah, Helmand e Kandahar, sarà garantita da settemila soldati dell’esercito di Kabul.
”Non sarà un progetto facile da completare”, ha ammesso ad Ashgabat il giapponese Haruhiko Kuroda, presidente della Banca per lo sviluppo dell’Asia (Adb), l’istituto finanziario che sponsorizza il progetto.

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Cosa sta succedendo in Afghanistan

Sono ancora troppe le zone d’ombra sull’Afghanistan

di Simona Cataldi (CISDA ROMA)
da il paese delle donne – 15 dicembre 2010 

Le organizzazioni non governative fondate per recepire i cospicui finanziamenti arrivati a partire dalla cacciata dei talebani (oltre 25 miliardi), sono centinaia e fanno capo a signori della guerra e fondamentalisti che purtroppo, ancora oggi, giocano un ruolo chiave all’interno del paese.

Dopo nove lunghi anni di ricostruzione delle infrastrutture economiche, delle istituzioni politiche e del tessuto sociale dell’Afghanistan, le vittime militari e soprattutto civili della “missione di pace” e gli indicatori di sviluppo, ancora da quarto mondo, del paese, hanno messo in discussione la rappresentazione mediatica dell’impegno per la pace e la democrazia della Nato, scosso l’opinione pubblica mondiale e persuaso la comunità internazionale al ritiro delle truppe.
Il processo di transizione va avanti e va promosso.
Ma per arrivare all’esito sperato entro il 2014 arriva il monito a sostenere il governo Karzai, frutto di elezioni all’insegna di brogli e inganni reiterati.

Recentemente i media mainstream hanno dato spazio alle parole di Gorbaciov, della Russia protagonista dell’occupazione degli anni ’80, sull’ipotesi di tornare nel paese a sostegno dell’intervento internazionale.
L’opinione dell’ex leader sovietico è tanto significativa quanto incisiva e determinante per la storia del paese è stata la presenza quasi decennale delle truppe sovietiche.

L’occupazione è una delle ragioni alla base dell’instabilità che dal quel momento ha caratterizzato, tristemente, lo scenario sociale e politico dell’Afghanistan.
Al ritiro della Russia, segue la guerra civile (1992-1996) tra le differenti fazioni dell’Alleanza del Nord nata in funzione antisovietica e sostenuta dagli Stati Uniti. Tra le mille anime della resistenza, fu finanziata quella più funzionale agli interessi internazionali e più lesiva dei diritti umani della società afghana.
Quella che fomentava le disperate masse di civili attraverso la propaganda del fondamentalismo religioso. Successivamente fu la volta dei talebani, anche loro foraggiati dall’estero, oggi, di nuovo i signori della guerra civile del ’92 che ha mietuto oltre 60.000 civili innocenti.

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Il nuovo decreto sulla fuga sottopone ad un rischio ancora maggiore le vulnerabili donne e ragazze afghane

Da: Medica Mondiale Afghanistan

Nota: con il termine “fuga” si intende “scappare”, ma non necessariamente dal matrimonio. Come discusso con la nostra specialista in legge, le parole “fuga” e “scappare” sono intercambiabili. Ha aggiunto anche che la fuga dal matrimonio non è un crimine. A maggior ragione, non è un crimine quando la donna o la ragazza fugge dalla violenza.

Secondo quanto dichiarato da Medica Mondiale Afghanistan, una delle più importanti organizzazioni di donne afghane, il nuovo decreto emesso dall’Amministrazione Generale della Corte Suprema il 26 ottobre 2010 rappresenta un ulteriore passo indietro per il benessere delle donne e ragazze afghane, già estremamente vulnerabili.

Nota: Medica Mondiale Afghanistan, fondata nel 2002, è un’organizzazione di donne afghane che lotta per l’eliminazione della violenza contro le donne e per dare loro più autonomia e identità attraverso un sostegno psico-sociale, un aiuto e una difesa legale a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif.

Il decreto n° 1497/1054 della Corte Suprema dichiara che le donne e le ragazze che fuggono dalla loro residenza per recarsi in un luogo estraneo e non presso la casa di un parente o presso i dipartimenti di giustizia o sicurezza, indipendentemente dal fatto che siano state sottoposte a violenza o torture da parte di un membro della famiglia, verranno condannate per aver commesso il crimine di adulterio o prostituzione.

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Continuano gli usi e le dannose pratiche tradizionali contro donne e ragazze

Da: UN NEWS CENTER

09 12 2010afghan1Georgette Gagnon, direttrice dei Diritti Umani di UNAMA, ad una conferenza a Kabul.

“Continuano a dilagare in Afghanistan abitudini e tradizioni pericolose che violano i diritti delle donne, inclusi delitti d’onore, spose bambine e ragazze ‘regalate’ come riconciliazione di dispute”, dichiara un report delle Nazioni Unite emesso in data odierna, che chiede al governo di applicare una nuova legge che ponga fine a questo flagello.

Sulla base di ricerche e interviste effettuate in quasi tutte le 34 province afghane a donne, uomini, autorità governative, capi religiosi e comunità, l’Unità per i Diritti Umani della Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha riscontrato che queste pratiche avvengono all’interno di tutti i gruppi etnici, sia nelle aree urbane che in quelle rurali, e che le più dannose violano non solo la legge afghana, ma anche la legge islamica della Sharia.

“Fino a quando le donne e le ragazze saranno sottoposte a pratiche che le danneggiano e le degradano e che negano i loro diritti umani, ci sarà ben poco progresso per i diritti delle donne in Afghanistan”,  ha affermato la direttrice dei Diritti Umani di UNAMA Georgette Gagnon durante una conferenza a Kabul, la capitale, chiedendo ai capi religiosi di agire per eliminare queste pratiche.

Il report di 56 pagine intitolato “Pericolose pratiche tradizionali e applicazione della legge sull’eliminazione della violenza contro le donne in Afghanistan” dichiara che milioni di donne e ragazze afghane sono sottoposte a sofferenze, umiliazioni ed emarginazione a causa delle visioni discriminatorie sul ruolo e la posizione delle donne, e sottolinea che i capi religiosi e gli anziani delle comunità hanno un ruolo fondamentale per la continuazione o la conclusione di questa oppressione.

Molti uomini e donne intervistati pensano che l’unico modo per porre fine a queste pratiche devastanti sia dare ai capi religiosi un’educazione appropriata in merito ai diritti delle donne, poiché la loro voce è molto influente e può convincere le comunità locali che queste pratiche non solo danneggiano e degradano le donne, ma in molti casi non sono nemmeno conformi alla legge islamica.

Inoltre, queste pratiche sono radicate nell’incapacità del governo di proteggere i diritti delle donne, aggiunge il report, e richiede una veloce applicazione della legge del 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne (EVAW), che criminalizza pratiche come l’acquisto e la vendita di donne per matrimoni e l’offerta di ragazze quale soluzione a dispute e litigi.

Questa legge criminalizza anche i matrimoni forzati e di bambine, l’isolamento forzato, l’obbligare le donne ad auto-immolarsi e il negare loro il diritto all’educazione, al lavoro, ai servizi medici e sanitari, e contiene misure preventive per la sua applicazione da parte di sette ministeri governativi.

“Ora c’è la necessità urgente di assicurare la completa applicazione della Legge EVAW”, afferma Georgette Gagnon. “Il sistema giudiziario e la polizia afghana necessitano di ulteriore supporto e supervisione da parte delle autorità nazionali su come applicare correttamente questa legge”.

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Donne che rimangono detenute

Kabul 2 dicembre 2010 – Zarghoona ha scontato i suoi  tre mesi di prigione nella provincia di Kandahar – Afghanistan del sud – ma non ha avuto l’autorizzazione a tornare a casa perché nessun parente uomo si è fatto avanti per garantire sull’eventualità di un’altra fuga.

“ Tutta la mia famiglia mi ha abbandonata. Per loro sono morta, ma le autorità penitenziarie mi hanno ribadito che mi rilasceranno solo ad un parente uomo” ha detto la donna ad IRIN nel corso di una intervista telefonica che ha avuto luogo grazie alla mediazione di un ufficiale che preferisce rimanere anonimo.

Costretta a sposare un uomo vecchio e mentalmente instabile quando aveva appena 15 anni, Zarghoona ha subito violenze sessuali e percosse finché non ha deciso di scappare di casa. I matrimoni cosiddetti “precoci” sono un luogo comune in un paese dove, secondo le agenzie d’aiuto, il 43% delle donne si sposa prima del 18° anno d’età.

“Preferisco morire piuttosto che stare accanto a quell’uomo brutale” ha detto, aggiungendo che suo marito e i suoi suoceri la picchiavano in continuazione perché non riusciva a rimanere incinta.

Attiviste per i diritti delle donne e funzionari del governo hanno confermato che in molti casi non si è potuto procedere al rilascio di detenute donne proprio a causa dell’assenza di un parente maschio che facesse da garante per loro.

“Questo è illegale ma accade abbastanza spesso in Afghanistan” ha dichiarato Suraya Subhrang, esponente per i diritti  delle donne della Commissione Indipendente per i Diritti Umani –AIHRC a Kabul, “cosa dovrebbero fare le donne senza un “maharam” (parente stretto – vale a dire un fratello, un padre, un figlio o un marito)? Dovrebbero mettere fine alle loro vite perché non hanno un uomo che si prenda cura di loro?” .

Golam Dastgheer Mayar, capo del principale carcere di Kandahar, ha dichiarato che non era a conoscenza del caso di Zarghoona ed ha aggiunto anche che alcune prigioniere donne scelgono di rimanere in galera una volta scontata la pena perché “non hanno alcun posto dove andare”.

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Dall’Australia: Malalai Joya, la ribelle dell’Afghanistan

Da: Alternative Media Group of Australia

Autrice: Liz Cush

Giovedì, 18 novembre 2010

malalai joyaMalalai Joya ad una dimostrazione contro la guerra

Malalai Joya è stata la più giovane donna afghana eletta in parlamento nel 2003 nonché la più esplicita. La sua aperta critica verso i signori della guerra sostenuti dagli Stati Uniti e che controllano il governo del suo Paese, le ha causato l’espulsione dal parlamento. È sopravvissuta a quattro tentativi di assassinio e vive ancora in Afghanistan, sotto la protezione di guardie del corpo.

Attualmente Malalai Joya si trova in Australia. Ha tenuto una conferenza presso la City Hub parlando della guerra, dell’occupazione nel suo Paese e delle lotte dei movimenti democratici, tutt’altra descrizione rispetto a quanto ci arriva dai media.

Sembra che non si debba mettere in discussione il benefico impatto delle truppe australiane sulla società afghana. Qual è invece il reale impatto delle truppe straniere nel suo Paese?

Gli Stati Uniti e la NATO hanno occupato il mio Paese all’insegna dei diritti umani e della democrazia, sostituendo terroristi con altri terroristi: i signori della guerra fondamentalisti. Attualmente il mio popolo è schiacciato fra questi due potenti nemici: in cielo ci sono i bombardamenti aerei che uccidono i civili, per la maggior parte donne e bambini, e in terra ci sono i talebani e i signori della guerra.

Nella mia provincia, a Farah, le truppe statunitensi hanno ucciso 150 civili in un solo giorno utilizzando fosforo bianco o, come a Kandahar, bombe a grappolo.

In questi nove anni sono stati uccisi piu’ di 8.000 civili innocenti e meno di 2.000 talebani. Tuttavia, ora stanno ufficialmente invitando questi terroristi talebani ad unirsi al governo fantoccio di Hamid Karzai.

Queste truppe causano sempre più problemi, miseria e vittime civili; è meglio che se ne vadano dall’Afghanistan, almeno dovremo combattere un solo nemico e non due. In questi nove anni i governi occidentali non hanno tradito solo l’Afghanistan, ma anche i loro stessi popoli.

Devono lasciare l’Afghanistan; la democrazia non si realizzerà mai attraverso l’occupazione, le bombe a grappolo, il fosforo bianco, i massacri e le vittime civili.

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