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Autore: Anna Santarello

Media scorretti sull’oppio afgano

Peacereporter – 4 ottobre 2010

L’ultimo rapporto Onu mostra che la coltivazioni del papavero rimane stabile dopo anni di calo. Ma l’informazione mainstream sorvola su questo, parlando solo della ‘buona notizia’ dei raccolti rovinati da un parassita
Il modo in cui giornali e telegiornali hanno riferito nei giorni scorsi i risultati dell’annuale rapporto dell’Onu sulla produzione di oppio in Afghanistan è un classico esempio di manipolazione e distorsione dell’informazione.

Tutti, senza eccezioni, hanno messo in risalto la ‘buona notizia’ riferita al fatto che il raccolto di quest’anno si è dimezzato rispetto al 2009 (da 6.900 a 3.600 tonnellate) ‘grazie’ a una malattia dei papaveri che ha colpito le province meridionali di Helmand e Kandahar, quindi per imprevedibili cause naturali.

Nessuno, invece, ha dato la vera notizia, tutt’altro che buona: ovvero che l’estensione delle piantagioni di papavero da oppio, che dal 2007 era progressivamente diminuita, quest’anno è invece rimasta stabile (23,000 ettari).

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Stop mercenari. Al via il piano Karzai

Peacereporter  4 ottobre 2010

È iniziata l’esecuzione del provvedimento che porterà tutti i contractors via dall’Afghanistan entro il 2011. E intanto la Blackwater riesce ad assicurarsi una parte dei 10 miliardi di dollari del contratto fra il Dipartimento di Stato Usa e le aziende private.
“Via dall’Afghanistan”. Il presidente della Repubblica Islamica, Hamid Karzai, è passato dalle parole ai fatti e ha disposto la messa al bando per otto compagnie private di sicurezza. Fra di esse, manco a dirlo, c’è la Xe Service, ex Blackwater, tristemente nota per i fatti del 16 settembre del 2007 quando i contractor dell’azienda privata di Moyock, North Carolina, uccisero deliberatamente 17 civili iracheni nella piazza Nisour di Baghdad.

La guerra privata di Karzai contro le società di sicurezza private è iniziata il 16 agosto scorso, dopo che il presidente ha annunciato il provvedimento per sciogliere, con decorrenza dal 1 gennaio del 2001, tutti i contractors operanti all’interno dei confini afgani. “Ladri di giorno, terroristi di notte” li aveva definiti in quell’occasione Karzai che aveva aggiunto: “Non solo provocano tanto disagio al popolo afgano, ma sono in realtà in contatto con gruppi di stampo mafioso e, forse, anche dietro il finanziamento di militanti, ribelli e terroristi”.

Oggi, a meno di due mesi da quel proclama, il numero uno del governo di Kabul è tornato sulla questione e, per mezzo del suo portavoce Waheed Omar, ha fatto sapere che è iniziata ufficialmente l’operazione anti-mercenari. “Abbiamo notizie molto buone per il popolo afgano oggi – ha chiosato Omar davanti ai giornalisti – Lo scioglimento di otto società di sicurezza privata è iniziata”.Oltre la Xe Service, il provvedimento colpisce le statunitensi NCL Holdings e Four Horsemen International, l’inglese Compass International, le afgane White Eagle Security Services e Abdul Khaliq Achakza. Delle due rimanenti compagnie, con meno di 100 agenti in servizio, non è stato reso noto il nome.

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Negoziati Afghanistan, avviate trattative tra governo Karzai e talebani

Repubblica – 6 ottobre 2010

Il Washington Post rivela che sarebbe in corso una accelerazione ad alto livello per giungere a una fine negoziata del conflitto. “Sono molto seri nel voler trovare una via d’uscita”

WASHINGTON – Rappresentanti dei talebani e del governo del presidente Hamid Karzai hanno avviato colloqui segreti ad alto livello per giungere a una fine negoziata del conflitto in Afghanistan. Lo riferisce il Washington Post nella sua edizione online, citando fonti afgane e arabe. I talebani, ha detto una fonte vicina ai negoziati, “sono molto, molto seri nel voler trovare una via di uscita”.

Le fonti del giornale, pur sottolineando il carattere preliminare dei contatti in corso, ritengono che per la prima volta i rappresentanti dei miliziani islamici abbiano un pieno mandato a parlare a nome della Shura (Consiglio) di Quetta e del suo leader, il mullah Mohammad Omar. La Shura di Quetta è quanto resta del governo dei talebani rovesciato dagli americani con l’operazione Enduring Freedom, cominciata il 7 ottobre 2001.

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Chi comanda a Kabul

di Yaqub Ibrahimi

Yaqub Ibrahimi ha trent’anni e dal 2007 racconta cosa succede in Afghanistan. A Ferrara ha ricevuto il premio Politovskaja

La conferenza di Kabul che si è svolta a luglio è stata il più importante vertice internazionale organizzato in Afghanistan. Ma, come tutti gli altri incontri che l’hanno preceduta, non è stata in grado di delineare in modo chiaro il futuro del paese.
Dopo la partenza delle truppe Nato, cosa sarà l’Afghanistan? Sarà un paese democratico o uno stato tribale, dominato dai signori della guerra e dai trafficanti di droga? Oppure sarà una teocrazia guidata dai taleban? La conferenza non ha saputo rispondere a questa domanda fondamentale.
L’unica cosa che abbiamo capito è che sia i leader afghani sia quelli internazionali hanno una visione della crisi in Afghanistan molto stereotipata. E piuttosto limitata.
Dall’incontro di Kabul è emerso chiaramente che i leader stranieri non sono più interessati a questo paese, quindi sono impazienti di trovare un modo qualsiasi di liberarsene. Il vertice ha anche dimostrato che, invece di formulare un progetto a lungo termine, i leader afghani stanno solo cercando un sistema per far arrivare i finanziamenti internazionali direttamente nelle casse della burocrazia di governo corrotta, cioè nelle loro tasche.
Oggi i principali pericoli per la stabilità dell’Afghanistan sono il terrorismo, il potere dei signori della guerra, la corruzione, l’ingiustizia, la povertà la droga e un’organizzazione tribale non democratica. Erano i problemi che andavano affrontati in un grande summit. Ma dato che l’ordine del giorno aveva una scaletta poco realistica, la conferenza si è concentrata su due questioni meno importanti: il passaggio di responsabilità al governo afghano e i tempi del ritiro delle truppe internazionali dal paese.
Nel suo discorso di chiusura, il presidente Hamid Karzai ha affermato che tutti i partecipanti alla conferenza hanno trovato accordo su questi temi. Ha dichiarato che la comunità internazionale si è impegnata a spendere il 50 per cento suoi fondi attraverso i canali del governo e a completare il passaggio di responsabilità sulla sicurezza entro il 2014, per facilitare il ritiro delle forze Nato.
I partecipanti al vertice sono stati tutti d’accordo su questi due punti, anche se non c’è nessuna possibilità di metterli in pratica con successo. In primo luogo, è impossibile spendere in modo trasparente il 50 per cento dei finanziamenti internazionali passando per i canali governativi. Dopo dieci anni di presenza e di diretta collaborazione di funzionari stranieri, il governo afghano non è ancora in grado di programmare la spesa del suo budget annuale. Le statistiche interne indicano che nel 2009 la maggior parte dei ministeri non è stata capace di usare i fondi disponibili. D’altra parte, secondo le statistiche internazionali, il governo afghano è secondo nella classifica dei paesi più corrotti al mondo, dopo quello somalo. In Afghanistan non si riesce neanche a ottenere una firma da un impiegato statale senza pagare. Con questo sistema non è possibile spendere gli aiuti in modo trasparente.

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Giornalista afgano Sayed: lavoro in un paese con storia buia

FRATELLO RITIRA PER LUI PREMIO INTERNAZIONALE ANNA POLITOVSKAYA
 
ANSA – FERRARA, 1 OTTOBRE

“Quella del mio Paese e’ una storia buia, l’Afghanistan e’ dilaniato dai conflitti tra i signori della guerra e molti criminali di guerra siedono al governo”.
Lo ha detto, in collegamento video tramite Skype, il giornalista afgano Sayed Yacub Ibrahimi, che oggi ha ricevuto il premio Anna Politovskaia conferitogli dalla rivista Internazionale per il suo lavoro di denuncia, in un Paese in guerra e dove resta forte la presa fondamentalisti islamici.
“Se ci fosse liberta’ di informazione – ha proseguito – verrebbero condannati”. Il governo ha invece approvato, ha aggiunto, ” linee rigorosissime entro cui devono muoversi i
giornalisti un circolo rosso che non si puo’ varcare. Ci sono stati processi e condanne ai giornalisti, anche alle pene capitali, e questo e’ il clima in cui lavoriamo”.

Ma ”un giornalista in Afghanistan, a differenza che in Italia – ha aggiunto – oltre che trovare informazioni, deve proteggere la propria vita”. Un riferimento alla catena di omicidi di giornalisti avvenuti nell’ultimo decennio nel Paese, e che nelle scorse settimane Sayed Yaqub Ibrahimi aveva gia’ denunciato parlando con l’Ansa, sottolineando che si trattava per la maggior parte di assassini politici e non criminali. E che e’ giunto proprio nel giorno in cui l’agguato al direttore di Libero Belpietro e’ in prima pagina sui media italiani.

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Afghanistan: 5 milioni di bimbi senza scuola

Lo ha detto ministro Istruzione. 10 milioni di analfabeti nel Paese

ANSA  29 SETTEMBRE

KABUL – Almeno 5 milioni di bambini non possono frequentare le scuole in Afghanistan per problemi di sicurezza.
Lo ha detto il ministro Wardak. Per il titolare della pubblica istruzione, molte scuole sono chiuse trovandosi in zone dove la presenza di talebani e di truppe della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) genera pericolose tensioni. Nel complesso, ha detto, ‘in Afghanistan gli analfabeti sono almeno dieci milioni’.

Iniziata l’offensiva di Kandahar

Peacereporter

In Afghanistan, dopo mesi di rinvii, le truppe americane hanno lanciato nel fine settimana l’operazione ‘Dragon Strike’. Dopo la tregua elettorale la Nato è passata all’offensiva in tutto il paese, con raid aerei anche oltre il confine pachistano
Terminata la tregua elettorale, le forze d’occupazione della Nato sono passate all’attacco in tutto il territorio afgano. In particolare a Kandahar, dove è scattata la grande offensiva militare annunciata e rimandata per mesi, e nelle province orientali, da Laghman a Khost, dove l’aviazione alleata ha condotto negli ultimi giorni pesanti bombardamenti, provocando vittime civili e sconfinando anche in territorio pachistano.

Nel fine settimana, dopo mesi di attesa e preparativi, le truppe corazzate americane hanno lanciato l’operazione Dragon Strike (video), volta a strappare ai talebani il controllo dei distretti rurali di Arghandab, Zhari e Panjwai che circondano la città di Kandahar.
I carri armati Abrams, coperti dagli elicotteri Apache, hanno aperto la strada alla fanteria, che sta avanzando lentamente tra i campi di marijuana (nella foto), riparandosi dietro i muretti di argilla e nei fossi.
La resistenza talebana è sostenuta, i combattimenti violenti. Diversi soldati americani sono già stati uccisi, alcuni colpiti dal fuoco nemico, altri saltati in aria sulle trappole esplosive che i guerriglieri hanno avuto tutto il tempo per preparare.

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Afghan Express

Peacereporter – 29/09/2010

Ultimata la prima linea ferroviaria afgana: collegherà Mazar-i-Sharif al confine uzbeco, facilitando commerci, rifornimenti a truppe Nato e traffici di droga
I lavori sono praticamente terminati. I primi convogli di collaudo, trainati da motrici di fabbricazione russa, già sferragliano sui binari appena posati in mezzo alle piatte steppe della provincia settentrionale di Balkh.

Entro fine anno verrà ufficialmente inaugurata la prima ferrovia merci afgana: 75 chilometri di strada ferrata che collegheranno la città afgana di Mazar-i-Sharif al confine uzbeco (varco di Hairatan), facilitando gli scambi commerciali, i rifornimenti militari della Nato e l’export di droga.

La linea, realizzata nel giro di un anno da un’impresa statale uzbeca e finanziata dalla Banca per lo Sviluppo Asiatico (controllata da Washington), attraversa l’unico territorio afgano ancora ‘sicuro’, dove la guerriglia talebana non è ancora arrivata.

I lavori di costruzione sono andati lisci, ma il rischio che questa ferrovia diventi obiettivo di attacchi è elevato, vista la sua importanza strategica militare. A proteggerla ci sarà la polizia afgana, che ha costruito baracche lungo tutto il tragitto, ma sopratutto i miliziani del generale Abdul Rashid Dostum, il signore della guerra uzbeco che da decenni regna incontrastato su queste regioni.

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Afghanistan, affluenza gonfiata

Peacereporter  – 20/09/2010

Solo il 24 per cento degli elettori, non il 40, si sarebbe recato alle urne sabato. Ma solo sulla carta.
Secondo la propaganda ufficiale della Nato e del governo Karzai, diligentemente ripresa dai mass media occidentali, le elezioni parlamentari afgane di sabato sono state “un successo” testimoniato dal fatto che “il 40 per cento degli afgani sono andati a votare”, ovvero “il 10 per cento in più” rispetto alle presidenziali del 2009.

I voti espressi, sulla carta, sarebbero stati quattro milioni: un milione in meno rispetto all’anno scorso, quando l’affluenza sfiorò appena il 30 per cento. Com’è possibile? Semplice: la Commissione elettorale afgana ‘indipendente’ – solo di nome – ha stabilito il numero degli aventi diritto al voto a circa 11 milioni e mezzo, mentre nel 2009 erano 17 milioni.

Oltre cinque milioni di potenziali elettori afgani cancellati con un colpo di bacchetta magica per coprire il prevedibile crollo dell’affluenza, che infatti, sempre sulla carta, è scesa addirittura al 24 per cento (come riporta, correttamente, l’agenzia di stampa Associated Press).

Anche questo pessimo risultato, però, è in realtà enormemente gonfiato.
Stando alle testimonianze dei giornalisti e degli osservatori elettorali, in moltissimi seggi sono andate a votare poche decine di persone, ma le urne si sono miracolosamente riempite di centinaia e centinaia di voti.

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Né talebani, né Usa – La resistenza dei democratici afghani – Il dossier

di Cristiana Cella
L’Unita – 23  SETTEMBRE

In un Paese che vuole essere considerato democratico agli occhi del mondo, chi si batte per la democrazia è costretto alla clandestinità o quasi. Nel silenzio dei media occidentali, continuano a testimoniare ogni giorno che in Afghanistan non c’è solo fanatismo, violenza e disperazione. C’è una resistenza attiva che ha attraversato 30 anni di tragedie continuando a lottare, ognuno con i propri mezzi, senza illudersi.

Sono organizzazioni della società civile, associazioni di donne, Ong , che cercano di rimediare al disastro umanitario del paese, singoli cittadini di tutte le etnie e strati sociali, e un partito. Vogliono una democrazia laica che rispetti i diritti umani, soprattutto delle donne, che garantisca ai cittadini sicurezza, salute, istruzione, giustizia. Chiedono che i criminali di guerra e i boss della droga siano cacciati dal Parlamento, insieme a talebani e integralisti islamici, che i corrotti siano puniti.

Che le truppe straniere smettano di uccidere la popolazione inerme e di sostenere e finanziare il governo più corrotto al mondo. Che si garantisca la trasparenza delle elezioni e la possibilità di votare a tutti i cittadini. Per queste idee, condivise da gran parte della popolazione, in Afghanistan si può rischiare molto, anche la vita. Andeisha Farid è presidente di Afceco, una Ong che gestisce orfanotrofi, da anni, in Pakistan e Afghanistan, sostenuti da donatori di tutto il mondo.

«Ogni atto della mia vita è una battaglia contro i talebani. Ogni bambino, strappato alla guerra e al fanatismo, che fiorisce nella pace e nella tolleranza, è una vittoria contro di loro e contro tutti i fondamentalisti». Eppure in una quieta notte di agosto la casa della sua famiglia è stata sconvolta. Alle due di notte un commando di 30 uomini, armati fino ai denti, poliziotti afghani e soldati stranieri, sfondano la porta, distruggono l’appartamento, rubano le poche cose di valore, costringono l’anziana madre e la sorella a terra, con i fucili puntati, e si portano via il padre di 70 anni e il fratello di 15, con un cappuccio nero in testa.

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