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Autore: Anna Santarello

Da alcune città italiane la solidarietà al sindaco curdo deposto in Turchia

Corriere della Sera. Le Persone e la dignità, 8 giugno 2024, di Monica Ricci Sargentini  mehmet siddik akis 2239183 640x480

Minoranze | “Come amministratori e amministratrici esprimiamo forte preoccupazione per la persecuzione e la deposizione dal ruolo di sindaco di Memet Siddik Akis, eletto democraticamente con il partito Dem (Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei popoli) nel Comune di Colemerg nel distretto di Hakkari in Turchia”.

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La vendetta di Erdogan

Nel silenzio quasi totale dell’opinione pubblica e dei media continua la repressione del governo turco nei confronti dei curdi

Il Manifesto, 8 giugno 2024, di Tiziano Saccucci  ILMANIFESTO 8 624

TURCHIA. «Contro i curdi si applica la legge antiterrorismo: tutte le attività politiche vengono criminalizzate. Lo si vede in queste sentenze. Possono anche rilasciarci, non significa che siamo liberi». Intervista a Sebahat Tuncel, prima deputata curda eletta dal carcere e ora condannata in Turchia nel maxi processo Kobanê: 108 imputati dell’Hdp e centinaia di anni di galera

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CSTO. Il Tajikistan è contro il fondamentalismo islamico

AGC News, 8 giugno 2024, di Anna Lotti  AGC 8 giugno 24

Le scuole religiose in Afghanistan stanno “addestrando combattenti suicidi” che rappresentano una minaccia per i membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) guidata dalla Russia, ha avvertito il figlio maggiore e probabile successore del presidente del Tagikistan.

Rustam Emomali, figlio del presidente Emomali Rahmon, presidente del parlamento del Tagikistan e sindaco di Dushanbe, ha valutato la diffusione dell’estremismo religioso dall’Afghanistan in un discorso a una riunione dei capi dei parlamenti della CSTO, che raggruppa Russia, Bielorussia e Kazakistan, Kirghizistan, Armenia e Tagikistan, tenutisi ad Almaty, in Kazakistan, il 3 giugno, stando alla TASS e a BneIntelliNews.

Il Tagikistan è sotto pressione a causa di un numero crescente di cittadini tagiki radicalizzati che avrebbero commesso una serie di attacchi terroristici in vari paesi per conto di gruppi jihadisti che trovano rifugio in Afghanistan. L’ultimo in ordine di tempo quello alla sala concerti Crocus City Hall, fuori Mosca, a marzo scorso in cui sono morte almeno 145 persone.

Emomali avrebbe sottolineato che più di 1.000 madrasse, “sono state istituite in Afghanistan, la maggior parte delle quali nelle province di confine dell’Afghanistan”.

Il rischio che l’estremismo si infiltri dall’Afghanistan nei paesi CSTO è aumentato più che mai, ha aggiunto, affermando che permettere che l’attuale situazione in Afghanistan continui avrebbe conseguenze molto devastanti per i paesi dell’Asia centrale nel lungo periodo. “La situazione in Afghanistan resta complicata e non vi sono reali progressi (…) L’Afghanistan è tornato ad essere un centro del terrorismo. Decine di gruppi estremisti e terroristici hanno rafforzato le loro posizioni sul suolo afghano. La coltivazione e la produzione di narcotici in Afghanistan è in aumento”, ha aggiunto Emomali.

Secondo Emomali è importante approvare un piano della CSTO per rafforzare il confine tra Tagikistan e Afghanistan, anche se al momento il piano è solo in fase di firma.

Zabihullah Mujahid, portavoce dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, ha dichiarato in un’intervista a Radio Television Afghanistan il 4 giugno che i talebani hanno ripetutamente assicurato ai paesi, in particolare al vicino Tagikistan, che nessuno potrà attaccarli dal suolo afghano.

Mujahid ha affermato che con il controllo dei talebani sull’Afghanistan, la sicurezza è stata garantita.

Per i talebani è importante proiettare un’immagine di controllo sull’Afghanistan, soprattutto perché paesi come Russia e Kazakistan sembrano muoversi nella direzione di riconoscerli come legittimi governanti del paese. Una delegazione del governo talebano partecipa al Forum economico internazionale di San Pietroburgo, lo Spief, mentre il leader russo Vladimir Putin ha dichiarato il 5 giugno alle agenzie di stampa internazionali che è necessario costruire relazioni con la leadership afghana talebana.

Dopo il massacro del Crocus, in Tagikistan si è verificata una notevole intensificazione degli sforzi per contenere le tradizioni islamiche apertamente espresse nella società.

Ad esempio, Dushanbe sembra intenzionata a mettere al bando l’uso dell’hijab; il Tagikistan ha da tempo vietato ufficialmente le barbe folte, per gli uomini. L’estremismo islamico è di fatto di casa nel paese. Nel 2015 il colonnello Gulmurod Khalimov apparve in un video dello Stato Islamico, avendo defezionato per entrare in Daesh con tutti i suoi uomini. Khalimov era il capo dell’Unità speciale di polizia del Tagikistan (OMON), nonché un elemento centrale dell’apparato di sicurezza del presidente Emomali Rahmon.

Kurdistan: Erdogan fa bruciare i campi di grano in Rojava e destituisce il sindaco di Hakkari in Bakur

Radio Onda d’Urto, 5 giugno 2024

In questi giorni il presidente turco Erdoganprotesta-hakkari_copy.jpg è tornato a denunciare i crimini israeliani in Palestina mentre le sue aziende fanno affari d’oro con Tel Aviv (alleato della Turchia nella NATO) e mentre il suo esercito porta avanti guerra e pulizia etnica contro il popolo curdo e non solo.

In Siria, nelle ultime settimane l’esercito turco ha aumentato l’intensità degli attacchi contro l’Amministrazione democratica autonoma del nordest. In particolare, Ankara e i suoi alleati jihadisti stanno bruciando ettari su ettari di campi di grano delle province al confine con la Turchia. L’obiettivo è rendere il territorio sempre più invivibile per la popolazione civile e ostacolare con ogni mezzo il processo rivoluzionario basato su democrazia radicale, ecologia sociale, convivenza pacifica tra i popoli e autonomia delle donne, che proprio in queste settimane si appresta a svolgere le elezioni municipali nonostante la guerra e i quotidiani attacchi turchi.

Il tutto mentre ad Afrin, una delle aree occupate dalla Turchia e dalle milizie jihadiste, sono in corso faide e duri scontri – a colpi di mortai e armi pesanti – tra le fazioni islamiste accorpate da Ankara nel cosiddetto “Esercito nazionale siriano”. Ci sarebbero diverse vittime civili, rimaste coinvolte negli scambi di artiglieria.

Dentro i confini dello stato turco, invece, il regime Akp-Mhp torna ad attaccare co-sindaci e co-sindache delle città a maggioranza curda nel sud-est. Dopo la vittoria schiacciante del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei popoli (DEM) nelle province del Kurdistan turco (marzo 2024), Ankara aveva dovuto riconoscere la sconfitta anche grazie alle enormi mobilitazioni popolari che impedirono un primo tentativo di insediare i candidati dell’Akp, in realtà sconfitti nelle urne. Ora però Erdogan torna all’attacco: è stato infatti arrestato e destituito il sindaco di Hakkari (del partito Dem), sostituito con un fiduciario dell’Akp di Erdogan. Nella città migliaia di persone sono già scese nelle strade per protestare contro l’usurpazione del municipio e per rivendicare il diritto all’autodeterminazione. Le autorità turche hanno schierato mezzi militari per reprimere le manifestazioni.

Quasi 3 bambini su 10 in Afghanistan devono affrontare livelli di fame di crisi o di emergenza

RAWA News, 4 giugno 2024

Si prevede che nel 2024 circa 6,5 milioni di bambini hungry afghan childafghani sperimenteranno livelli di fame da crisi.

I nuovi dati dell’organismo mondiale di monitoraggio della fame Integrated Food Security Phase Classification prevedono che il 28% della popolazione afghana, circa 12,4 milioni di persone, dovrà affrontare un’insicurezza alimentare acuta prima di ottobre. Di questi, secondo Save the Children, quasi 2,4 milioni dovrebbero sperimentare livelli di fame di emergenza, ovvero un livello superiore alla carestia.

I dati mostrano un leggero miglioramento rispetto all’ultimo rapporto, pubblicato nell’ottobre 2023, ma sottolineano la continua necessità di assistenza, dato che la povertà colpisce metà della popolazione.

Piogge torrenziali e alluvioni improvvise hanno colpito il nord dell’Afghanistan a maggio, uccidendo più di 400 persone. Migliaia di case sono state distrutte o danneggiate e i terreni agricoli sono stati trasformati in fango.

Save the Children sta operando con una “clinica mobile” nella provincia di Baghlan, la più colpita dalle inondazioni, come parte del suo programma di risposta alle emergenze. L’organizzazione ha aggiunto che, secondo le stime, nel 2024 circa 2,9 milioni di bambini sotto i 5 anni soffriranno di malnutrizione acuta.

Arshad Malik, direttore nazionale di Save the Children in Afghanistan, ha dichiarato che quest’anno l’ONG ha curato più di 7.000 bambini per malnutrizione grave o acuta.

Nel documento, UN Women, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) hanno dichiarato che le donne afghane chiedono alla comunità internazionale di rimanere concentrata sulla situazione in Afghanistan e di ripristinare i diritti delle donne, compresi i diritti all’istruzione e al lavoro, oltre alla partecipazione delle donne ai processi decisionali pubblici.

“Questi numeri sono un segno dell’enorme necessità di un sostegno continuo alle famiglie che subiscono uno shock dopo l’altro”, ha detto Malik. I bambini risentono dell’impatto devastante di tre anni di siccità, degli alti livelli di disoccupazione e del ritorno di oltre 1,4 milioni di afghani dal Pakistan e dall’Iran”, ha aggiunto Malik.

“Abbiamo bisogno di soluzioni a lungo termine, basate sulla comunità, per aiutare le famiglie a ricostruire le loro vite”, ha detto Malik.

Più di 557.000 afghani sono tornati dal Pakistan dal settembre 2023, dopo che il Pakistan ha iniziato a reprimere gli stranieri che ritiene si trovino nel Paese illegalmente, tra cui 1,7 milioni di afghani. Il Pakistan insiste sul fatto che la campagna non è diretta specificamente contro gli afghani, che però rappresentano la maggior parte degli stranieri presenti nel Paese dell’Asia meridionale.

Ad aprile, Save the Children ha dichiarato che un quarto di milione di bambini afghani ha bisogno di istruzione, cibo e case dopo essere stati rimpatriati con la forza dal Pakistan.

Nel frattempo, l’Unione Europea ha stanziato altri 10 milioni di euro (quasi 10,9 milioni di dollari) a favore dell’agenzia alimentare delle Nazioni Unite per le attività di alimentazione scolastica in Afghanistan. Questi ultimi fondi dell’UE fanno seguito a un precedente contributo di 20,9 milioni di euro (22,7 milioni di dollari) per il programma di pasti scolastici del Programma alimentare mondiale in Afghanistan per il 2022 e il 2023.

Il finanziamento giunge al momento opportuno ed evita che il PAM debba ridimensionare il suo programma di pasti scolastici quest’anno a causa della mancanza di fondi, ha dichiarato il PAM in un comunicato.

“La fame può essere un ostacolo all’istruzione. Il finanziamento aggiuntivo dell’UE al nostro partner di lunga data, il PAM, garantisce che un maggior numero di bambini in Afghanistan riceva cibo nutriente”, ha dichiarato Raffaella Iodice, incaricato d’affari della delegazione dell’UE in Afghanistan.

Nella dichiarazione del PAM si legge che l’agenzia potrà utilizzare il finanziamento per distribuire biscotti fortificati o snack scolastici nutrienti prodotti localmente agli alunni di oltre 10.000 scuole nelle otto province di Farah, Ghor, Jawzjan, Nangarhar, Nuristan, Paktika, Uruzgan e Zabul.

L’anno scorso, il PAM ha sostenuto 1,5 milioni di bambini in età scolare attraverso questo programma.

[Trad. automatica]

Afghanistan: si stanno normalizzando le relazioni con i talebani?

Con accordi politici ed economici il riconoscimento dei talebani è una realtà anche se formalmente non c’è il riconoscimento formale ma i diritti umani e delle donne in particolare passano sempre in secondo piano.

Il Caffè Geopolitico, 6 maggio 2024

Contropiano_6-6-24_copy.jpgIn 3 sorsi – Le preoccupazioni per il terrorismo e le opportunità economiche guideranno un maggiore impegno internazionale con i talebani, nonostante le loro rigide politiche interne e i legami con altri gruppi radicali.

1. Da Mosca un segnale da non trascurare

Nel corso degli ultimi mesi si è osservato un crescente avvicinamento di alcuni Paesi ai talebani afghani, motivato sia dalle preoccupazioni per il terrorismo, sia dalle opportunità economiche. Il segnale più recente arriva dalla Russia, che ha ipotizzato di rimuovere il gruppo dalla propria lista delle organizzazioni terroristiche per migliorare la collaborazione contro l’ISIS-Khorasan (ISKP), basato in Afghanistan. Questo input arriva dopo che il capo del Servizio Federale di Sicurezza Russo (FSB) ha confermato il coinvolgimento dell’ISKP nell’attacco del 22 marzo alla Crocus City Hall di Mosca, smentendo le precedenti affermazioni che lo collegavano all’Ucraina e all’Occidente.

2. Approcci divergenti tra paesi

Come Mosca, anche l’Iran ha evitato azioni militari contro Kabul dopo l’attacco dell’ISKP a Kerman, preferendo rafforzare le relazioni con i Talebani. Questo atteggiamento molto pragmatico sembra dettato dalla necessità di contrastare l’ISIS senza impegnarsi in interventi militari diretti.

Al contrario, il Pakistan ha continuato a condurre attacchi aerei contro militanti in Afghanistan. Queste divergenze nelle strategie evidenziano le diverse priorità degli attori nella regione. La Cina, ad esempio, ha scelto di investire nelle risorse minerarie afghane, richiedendo però ai talebani di garantire la sicurezza per le operazioni. Anche gli Stati Uniti stanno considerando una ripresa dei rapporti, pur senza riconoscere il regime: nel 2023 il Dipartimento di Stato ha approvato un documento strategico che include la potenziale riapertura di un consolato a Kabul.
A livello locale il Tagikistan, noto per la sua opposizione ai talebani, ha permesso agli stessi di prendere il controllo informale del consolato afghano a Khorog, anche questo un segnale di cambiamento politico.

3. Prospettive future: economia e sicurezza, ma niente riconoscimento?

Molti Paesi vedono già adesso nei talebani un interlocutore necessario per la stabilità regionale e questo impegno è ritenuto il modo meno costoso e più efficace per perseguire i propri interessi e affrontare le preoccupazioni sulla sicurezza.
Anche l’interesse economico continuerà a crescere, soprattutto per l’accesso alle risorse minerarie o per grandi progetti infrastrutturali come il TAPI, ma sarà condizionato dalla capacità di Kabul di garantire sicurezza.
Tuttavia il riconoscimento formale dei talebani sarà limitato dalle loro politiche rigide lesive dei diritti umani, in particolare contro le donne, e dalle preoccupazioni su critiche e ricadute politiche interne, soprattutto in Occidente.
D’altra parte anche la situazione a Kabul è complessa, per i disaccordi tra i leader intransigenti e quelli più pragmatici. Questi ultimi temono che le politiche del capo supremo Hibatullah Akhundzada stiano rendendo il regime sempre meno sopportabile tra gli afghani e danneggiando le relazioni estere. Tuttavia, l’aumento delle interazioni di altri Paesi con il gruppo probabilmente rafforzerà Akhundzada, riducendo ulteriormente l’influenza già limitata delle guide più pragmatiche.

Redazione del Caffè Geopolitico – Con ausilio di Intelligenza Artificiale

 

Repressione in Turchia: adesso tocca al DEM

Contropiano, 6 giugno 2024, di Carla Gagliardini   Turchia Dem 720x300

Il 3 giugno scorso il partito curdo DEM (Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli), ha pubblicato sul suo sito un comunicato stampa con il quale ha denunciato che “Mr Memet Sıddık Akış, l’eletto co-sindaco di Hakkari (capoluogo della provincia di Hakkari, nella parte sud-orientale della Turchia, ndr), è stato arrestato questa mattina e sostituito dal governatore di Hakkari”.

L’accusa rivoltagli è la sua presunta appartenenza a un’organizzazione terroristica, su cui la procura di Hakkari sta investigando. C’è tuttavia anche una causa, già pendente davanti all’Alta Corte Penale di Hakkari, che lo deve giudicare sulle accuse di essere leader di un partito terrorista e di aiutare con la propaganda il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), partito fuorilegge e inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche sia da Ankara, sia dagli USA e sia dall’UE.

Sono passati poco più di due mesi da quando si sono svolte le elezioni amministrative in Turchia. Il partito del presidente Erdogan, l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), davanti al risultato negativo che aveva incassato e al sorpasso del partito di opposizione CHP (Partito Popolare Repubblicano), aveva immediatamente tentato di destituire il neo-eletto sindaco di Van, Abdoullah Zeydan, anche lui del DEM, non riuscendoci e dovendo cedere davanti alla sollevazione popolare. Lunedì scorso ci ha provato con Memet Sıddık Akış, rimpiazzato con il governatore della regione.

Il DEM ha lanciato un appello ai partiti democratici a non lasciarlo solo e la risposta del CHP è arrivata, accusando Ankara di pratiche antidemocratiche e chiedendo che il co-sindaco Akış venga liberato e torni al suo incarico.

Per il momento il governatore di Hakkari ha vietato manifestazioni per i prossimi dieci giorni e il governatore di Diyarbakır, sempre nella zona sudorientale, lo ha emulato proibendole per quattro.

Non è una novità che il Ministero degli Interni rimuova i sindaci curdi; lo stesso infatti era già avvenuto nel 2019 quando dei sessantacinque sindaci curdi eletti, a circa cinquanta venne vietato di assumere la carica o furono cacciati.

La vice-presidente del gruppo parlamentare DEM, Gülistan Kılıç Koçyiğit, in una conferenza stampa convocata dopo una riunione di urgenza del partito, ha  usato parole molto chiare e dure contro l’AKP e il suo alleato MHP, accusandoli di non rispettare i principi democratici e di avere un occhio di riguardo, in senso negativo, verso i curdi. Ha poi lanciato un appello dichiarando: “Questo colpo di stato è stato portato avanti contro tutte le forze democratiche e contro la libertà di eleggere ed essere eletti, conquiste che l’umanità ha fatto secoli fa, con grandi lotte. L’opinione pubblica democratica dovrebbe dimostrare la propria reazione, ai più alti livelli, davanti a questo problema. Dai partiti politici alla società civile, agli intellettuali e agli artisti, tutti coloro il cui cuore batte per la democrazia dovrebbero denunciare questa illegalità. Dovrebbero dimostrare che stanno dalla parte della volontà del popolo di Hakkari”. Nonostante il divieto di manifestare a Hakkari e a Dyarbaka, ha poi annunciato che inizieranno da subito, in tutte le municipalità dove governa il DEM, delle veglie permanenti per chiedere il rispetto del risultato elettorale.

Anche la voce del Relatore del parlamento europeo sulla Turchia, Nacho Sanchez Amor, si è fatta sentire su X, e non è stata tiepida: “E così inizia ancora. Il sindaco eletto di Hakkari, del DEM, Mehmet Sıddık Akış, è stato arrestato e rimpiazzato da un commissario del governo. Evidente attacco ai principi democratici e totale disprezzo della volontà popolare. La via più veloce per il governo per demolire ogni speranza che riprenda il processo di adesione”.

La Turchia dunque non perde il vizio di usare i poteri dello stato, che non brillano di autonomia e non rispecchiano il principio di separazione che l’Europa le chiede per poter entrare a fare parte dell’Unione, per sbarazzarsi dell’opposizione. L’ha fatto contro il PKK, l’ha fatto contro l’HDP (Partito Democratico dei Popoli) e adesso è il turno del DEM. In fondo il messaggio ai suoi leader era arrivato forte e chiaro con l’ultima sentenza dello scorso 16 maggio che ha inflitto a numerosi esponenti dell’HDP pene pesantissime. Era anche un avvertimento per il DEM.

I russi sono davvero i più “cattivi” di tutti?

cisda.it, 4 giugno 2024 di Beatrice Bilato Articolo Cisda

Può risultare traumatica per chi ha a cuore il futuro dell’Afghanistan, e soprattutto i diritti e la libertà delle donne afghane, la esplicita affermazione di Putin della necessità di riconoscere che il potere in Afghanistan è in mano ai talebani, asserzione che porta dritto dritto al riconoscimento del governo talebano senza condizioni, dimenticando che quel regime oppressivo e fondamentalista ha cancellato tutti i diritti umani e sta portando solo fame alla popolazione e apartheid di genere alle donne.

Ma questa spregiudicata politica non è nella sostanza diversa da quella che stanno portando avanti,  in modo più velato, tutti gli Stati che sono interessati a entrare nel futuro dell’Afghanistan e della Regione, siano i paesi vicini, siano le grandi e medie potenze mondiali e regionali, nonché i paesi del Medio Oriente.

Infatti in questi ultimi mesi tutti hanno avuto contatti con i talebani, o a Kabul o in Paesi loro sostenitori, in preparazione della 3° Conferenza di Doha organizzata dall’Onu (30 giugno/1 luglio 2024) per fare avanzare la decisione, presa già a dicembre 2023, di far rientrare l’Afghanistan in un circuito di rapporti normalizzati con il resto del mondo per il suo reinserimento nel consesso internazionale.

Contatti finalizzati a convincere i talebani ad accettare l’invito a partecipare direttamente questa volta, considerando la loro presenza indispensabile alla buona riuscita dell’evento, come

Guterrez aveva dichiarato già alla fine della 2° conferenza di Doha, quando nelle sue conclusioni, che prendevano atto del fallimento del convegno dovuto alla mancata partecipazione dei talebani, aveva assicurato che nel futuro avrebbe fatto di tutto per garantire la loro presenza nei futuri incontri internazionale. Mesi ricchi di incontri con i talebani per raccogliere le loro richieste e spianare la strada alla loro partecipazione, e cercare di evitare un’altra occasione mancata.

Le vere intenzioni di tutti

Già a marzo l’India aveva avuto un incontro ufficiale tra suoi alti funzionari e talebani, mentre la Turchia  affermava essere giunto il momento di dare il riconoscimento al governo talebano e assicurava il suo sostegno nella battaglia.

Poi Turkmenistan e Kazakistan si incontravano a Kabul con i talebani mettendo al centro dei colloqui “il rafforzamento e l’espansione delle relazioni bilaterali” (nella foto una delegazione di talebani in Kazakhistan nell’agosto 2023).

A maggio si sono intensificati gli incontri dichiaratamente dedicati. La Francia mandava a Doha un suo incaricato d’affari per incontrare un rappresentante talebano, così come facevano Uzbekistan e Canada.

Intanto l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan incontrava i rappresentanti degli Emirati arabi uniti per valutare “i punti di vista comuni” sull’incontro di Doha, così come faceva l’Ue mandando il suo rappresentante prima a un incontro con il Qatar, che intanto chiedeva ufficialmente ai talebani di partecipare alla Conferenza, poi direttamente con i talebani.

Ancora più esplicitamente, l’Onu mandava una delegazione a Kabul per sentire le esigenze dei talebani per poter “evidenziare le priorità dell’Afghanistan all’Assemblea generale delle Nazioni Unite”; l’Unama si incontrava con l’Iran per definire un comune impegno con il governo talebano in vista della Conferenza; un rappresentante delle Nazioni Unite discuteva con il ministro degli Esteri talebano l’odg e la composizione dell’incontro di Doha; infine il vicesegretario delle NU si recava a Kabul per discutere della nomina del rappresentante speciale delle NU per l’Afghanistan, obiettivo principale dell’Onu sempre avversato dai talebani. E altri ancora si avvicenderanno…

Tutti gli attori in campo testimoniano la ragionevolezza del dialogo con i talebani padroni di Kabul e stanno concordando direttamente con loro l’Odg della Conferenza di Doha

Del resto anche il Portavoce del Segretario generale delle NU Dujarric,  forse credendo di dare una banale convincente spiegazione, ha affermato: “Continuiamo il nostro attuale impegno con gli attuali governanti dell’Afghanistan perché sono loro i governanti dell’Afghanistan”…quindi perché scandalizzarsi delle dichiarazioni russe che non fanno altro che rendere esplicite le intenzioni di tutti?

Che cosa viene offerto ai talebani in cambio della loro partecipazione?

I talebani chiedono il rispetto di sei condizioni per la loro partecipazione: un seggio alle Nazioni Unite; che l’ONU ritiri la nomina di un rappresentante speciale per l’Afghanistan; che l’ordine del giorno e la composizione del terzo incontro di Doha siano discussi con loro; che questioni come l’istruzione e l’occupazione femminile e la formazione di un governo inclusivo non siano all’ordine del giorno. Vogliono che ci si concentri solo sullo sradicamento della droga e la lotta contro i gruppi armati, in particolare l’Isis.

Quindi non si parla più di donne e diritti umani, né come punto dell’ordine del giorno, né come partecipazione di rappresentanti di donne e movimenti all’incontro, con la protesta, almeno per ora, solo di HRW e donne attiviste che invitano a boicottare l’incontro.

Del resto, e in sovrappiù, non sono stati invitati neppure rappresentanti della società civile né di altre possibili forze alternative, a smentire lo sbandierato invito ai talebani di fare un governo inclusivo di tutte le etnie e forze politiche.

I talebani, invitati stavolta con tutti gli onori dei capi di stato, hanno affermato che pensano di essere presenti, visto che l’ordine del giorno mostra cambiamenti positivi, concentrato su questioni finanziarie e bancarie, controllo della droga, mezzi di sussistenza alternativi per gli agricoltori, sviluppo del settore privato e cambiamento climatico

Le contraddizioni dell’Onu

È evidente l’ansia di Stati Uniti e Unione europea di ripristinare anche ufficialmente, e non solo attraverso gli aiuti umanitari, i buoni rapporti politici con l’Afghanistan che aprano la strada agli appetitosi rapporti economici che le ricchezze del paese promettono e da cui temono di essere tagliati fuori a favore di Cina, Russia e piccole e grandi potenze locali che non hanno la preoccupazione di salvarsi la faccia come paesi che difendono la democrazia e i diritti umani.

A fare da battistrada c’è l’Onu, che da un lato sbandiera la sua vocazione a difendere i diritti dei popoli e delle donne oppresse con bellissimi Rapporti e dichiarazioni dei suoi Organismi deputati alla difesa dei diritti umani e al controllo del loro rispetto da parte degli Stati, accusando il regime afghano di apartheid di genere, dall’altro organizza questa grande platea di Doha per dare rispettabilità al governo talebano, finora definito de facto ma con la fretta di farlo diventate di diritto attraverso una “ normalizzazione” dei rapporti che possa funzionare come un riconoscimento anche senza una dichiarazione ufficiale.

 

Kurdistan, Yilmaz Orkan (responsabile Uiki): “La Turchia sta compiendo un genocidio. Palestina? Giusto che un popolo possa autodeterminarsi”

TAG 24, 4 giugno 2024 di Francesco Fatone TAG24 4 giugno 24

Uno Stato che in parte si trova in Iraq e in Iran, in parte in Turchia e in parte in Siria: il Kurdistan era sulla bocca di tutti negli anni della lotta all’Isis per il grande contributo dei suoi abitanti nel contrasto all’avanzata del Califfato, come racconta a Tag24 il responsabile dell’Ufficio informazione Kurdistan in Italia Yilmaz Orkan.

Sebbene sembri scomparsa dalle prime pagine dei giornali, la questione curda esiste ancora. Da anni schiacciati dalle durissime politiche del presidente turco Erdogan, i curdi sono vittime di quello che viene considerato un genocidio.

Negli anni scorsi non sono mancate le tensioni con Ankara fino a quando lo scorso ottobre – quasi in concomitanza con gli attacchi di Hamas ad Israele – non sono state inasprite le misure contro i curdi. Da mesi la popolazione tiene testa agli attacchi dell’esercito turco nelle province più ad Est del Paese.

Il rapporto con la Siria è complesso a causa anche delle volontà della Russia e dell’Iran. Il governo dell’Iraq invece è troppo debole per prendere delle decisioni ed è ancora scosso dal conflitto scoppiato più di venti anni fa.

Yilmaz Orkan: “La Turchia non vuole che il Kurdistan si formi

Una guerra che va avanti ormai da quasi cinquant’anni a diverse intensità. Da una parte ci sono i cittadini curdi che chiedono l’autonomia e la nascita di uno Stato ma dall’altra parte c’è la ferma opposizione turca. Ankara non vuole perdere i territori ad Est e per ora non si vedono spiragli per il dialogo con Damasco – soprattutto dopo la guerra contro il Califfato.

Yilmaz Orkan racconta a Tag24 cosa sta succedendo nell’est della Turchia e quali sono i possibili scenari futuri. Secondo il responsabile di Uiki Erdogan è responsabile di aver portato avanti un vero e proprio genocidio: a partire dalla volontà di cancellare la lingua curda e a finire con l’incarcerazione degli esponenti indipendentisti. Destano particolare preoccupazione le condizione del leader Abdullah Öcalan, del quale non si hanno notizie da trentotto mesi: motivo per cui la comunità curda italiana è scesa in piazza a Roma qualche giorno fa.

L’intensificarsi degli attacchi ad ottobre 2023

D: Da ottobre Erdogan ha aumentato gli attacchi nei confronti del Pkk: che racconti vi arrivano dal Kurdistan?

R: “Hanno iniziato il 4 o il 5 ottobre con attacchi nel Nord della Siria. Hanno tagliato gas, petrolio ed acqua per far scappare via le persone da quei territori: quelle zone sono diventate invivibili. Si sta lavorando per cercare di evitare ulteriori attacchi, già durante la lotta contro l’Isis un milione di curdi fuggirono dal Rojava“

“Nella Comunità europea vivono sei milioni e mezzo di siriani: alcuni sono curdi, altri invece sono cristiani. Non è solo colpa dell’Isis se così tanta gente fugge, la Turchia ha attaccato la zona di Afrin nel 2018 e lì vivevano 700mila curdi. Tanti sono scappati ma altrettanti vivono nei campi profughi, sono state occupate anche altre città nei pressi dell’Eufrate“

“Nel 2019 c’è stata una nuova invasione turca assieme ai mercenari jihadisti. In questi giorni invece hanno attaccato nuovamente con i droni. Da tre anni l’obiettivo è diventato il Kurdistan meridionale e lì sono nate molte basi militari. Adesso i turchi vogliono creare una strada che parte da Silopi, impiegata per il commercio, che dividerà il territorio isolando il Nord della Siria dalla parte irachena. In passato è stato anche eretto un muro di tre metri d’altezza: un embargo totale”.

La paura per la nascita del Kurdistan e il genocidio in corso

D: Perché c’è questa preoccupazione intorno al Kurdistan?

R: “Da anni ci attaccano come fossimo un pericoloso nemico giurato perché secondo Erdogan se otteniamo un nostro statuto democratico lo Stato turco sarà distrutto”

D: Quindi possiamo parlare di un genocidio? Come va avanti?

R: “Sì e non è il solo. Già in passato ci sono stati altri popoli che sono stati perseguitati in Turchia, sono rimasti i curdi però. Si tratta di un genocidio incompleto che adesso portano avanti: è giusto definirlo ‘culturale‘ perché venticinque milioni di curdi vivono in Turchia ma la nostra lingua è proibita“.

“In qualche università è permesso studiare il curdo però dopo la fine degli studi non si potrà trovare lavoro. In Turchia ci sono tantissimi musicisti che cantano solo in curdo e sono stati mandati in carcere per 15 o addirittura 20 anni. Il genocidio non è solo culturale: nel 2016 l’Isis ha attaccato Kobane e in Turchia ci sono state proteste. I leader dell’Hdp – partito curdo – sono stati mandati in carcere e in tanti lo hanno definito genocidio politico. Si tratta di un’eliminazione culturale, politica e fisica“

I rapporti con Siria ed Iraq

D: In che rapporti siete con Siria ed Iraq?

R: “Con la Siria non ci sono rapporti, purtroppo il regime di Damasco è sotto il controllo di Russia ed Iran. Per ora non sembrano esserci soluzioni in vista dopo la guerra contro il Califfato. Noi vogliamo il dialogo ed una Siria democratica, vogliamo discutere con il governo centrale“.

“Il governo iracheno è più disponibile ma è molto fragile. Sia Turchia che Iran sono molto presenti ma servirebbe una maggiore indipendenza, a livello costituzionale l’Iraq è molto più democratico a livello costituzionale: basti pensare che se una provincia ambisce all’autonomia può fare un proprio referendum. Purtroppo nella pratica non è così…”

D: Come vi siete mobilitati per chiedere la liberazione di Ocalan?

R: “Non è solo un nostro problema ma anche dell’Europa e dell’Occidente. Lui ed altre tre persone sono in un carcere di massima sicurezza su un’isola e da trentotto mesi non abbiamo sue notizie. Non si può chiamare, non si può mandare una lettera: ci chiediamo se siano vivi o morti. Negli ultimi mesi abbiamo chiesto al Cpt di andare con una delegazione e dire cosa sta succedendo.”

“Tra i carcerati c’è una persona che è detenuta da trent’anni. Stando a quanto stabilito dalla legge turca questo sarebbe il massimo, invece è ancora in prigione. Perché non viene liberato? Il Cpt invii una delegazione.”

Il futuro del Kurdistan

D: Da una parte Erdogan invoca la pace per la Palestina ma poi con i curdi l’atteggiamento è questo…

R: “Si schiera dalla parte dei palestinesi, esattamente come noi che vogliamo l’autodeterminazione e la fine della guerra nella Striscia di Gaza. Erdogan però mentre chiede la pace per la Palestina, attacca i curdi. Pace, libertà e indipendenza per i palestinesi ma quando si tratta dei curdi? La Turchia si comporta come Israele, del resto sono due Stati nazionalisti incapaci di dialogare e mettere le basi per la pace“

D: Oggi la questione curda sembra essere lontana dalle pagine dei giornali. Come mai?

R: “Il nostro Paese è diviso in quattro parti: una è in Turchia – Stato membro della Nato -, un’altra parte è in Iran che fa parte dei Brics ed è legato alla Russia e alla Cina. Per quanto riguarda Iraq e Siria ci sono legami con i Paesi arabi vicini. Difficile dare un appoggio in una situazione del genere, a questo si aggiunge che l’indipendenza del Kurdistan – secondo gli Stati vicini al potenziale Stato – possa destabilizzare l’area mediorientale“.

Il terzo incontro di Doha: deboli speranze per l’Afghanistan

Proseguiamo la nostra analisi sulla 3° Conferenza  di Doha , che riguarderà le relazioni internazionali con l’Afghanistan, con questo articolo di 8AM Media che esprime  un punto  di vista interno al Paese.

8AM.Media, 3 giugno 2024, di Mohammad  gettyimages 1252428827 612x612

Il popolo afghano si è abituato alle conferenze regionali e internazionali sul proprio paese nell’ultimo mezzo secolo, spesso anticipando il proprio fallimento nel risolvere le crisi della nazione. Sulla base di ripetute esperienze, ad eccezione di rari casi come la Conferenza di Bonn successiva all’11 settembre, la maggior parte degli incontri e delle discussioni relative all’Afghanistan si sono rivelati inutili, soprattutto quelli gestiti dalle Nazioni Unite.

Uno degli esempi meno riusciti sono stati gli sforzi delle Nazioni Unite durante gli ultimi giorni del governo del dottor Najibullah, che hanno portato allo scoppio delle guerre civili e alla distruzione di Kabul. Le Nazioni Unite non hanno potuto nemmeno impedire l’assassinio dell’allora presidente, che aveva cercato rifugio nel loro ufficio, né intraprendere azioni successive per punire i colpevoli. Attualmente, la prospettiva del terzo incontro di Doha non ispira alcuna speranza tra la popolazione afghana stanca e disillusa, e non c’è alcun interesse a seguirne gli sviluppi.

Il fallimento di questi incontri deriva da fattori sia interni che esterni. A livello interno, l’assenza di movimenti con piani per salvare il paese dalla sua crisi prolungata e la simultanea capacità di mobilitare le masse giocano un ruolo cruciale. I partiti politici e sociali deboli e impoveriti hanno perso la loro credibilità tra la gente perché non hanno familiarità con le basi del lavoro politico, che implica il dialogo e la ricerca di un terreno comune per risolvere i problemi. Nelle società tradizionali come l’Afghanistan, figure influenti con un’ampia accettazione popolare possono talvolta riempire il vuoto lasciato dall’assenza di partiti moderni e organizzati, facilitando il consenso tra le forze politiche. Tuttavia, attualmente, non vediamo la presenza o l’attività di tali individui. Un’ampia accettazione popolare, unita al potenziale di mobilitazione nazionale, richiede il coraggio di farsi avanti, negoziare, esercitare pressione e ispirare speranza, qualità che non si osservano nemmeno tra le figure più rinomate di oggi. Quando la scena politica interna di un paese è in letargo e collasso, anche le conferenze internazionali non riescono a ottenere nulla, poiché non trovano partner nazionali forti per attuare i loro piani.

L’assenza di un’agenda nazionale nel panorama politico dell’Afghanistan ha portato alla frammentazione delle forze politiche, con conseguente dipendenza da vari paesi vicini e lontani. Questa frammentazione è così profonda che ha colpito non solo le forze anti-talebane, compresi i partiti politici e i gruppi civili, ma anche le fila dei talebani, che sono apparentemente il gruppo più unito nello scenario attuale. I talebani sono ora divisi in fazioni come talebani filo-iraniani, talebani filo-pakistani, talebani favorevoli all’impegno con l’Occidente, talebani alleati con al-Qaeda e altri gruppi più piccoli. Ciò che finora ha impedito una grave divisione interna tra loro sono i sostanziali benefici materiali che ricevono da fonti sia esterne che interne, che diminuirebbero significativamente se scoppiassero conflitti interni.

A livello internazionale, il successo degli incontri e delle discussioni richiede un relativo allineamento tra i paesi influenti a livello regionale e internazionale. Ciò è stato in qualche modo raggiunto durante la Conferenza di Bonn, dove Stati Uniti, Europa, Russia, Iran e altri paesi influenti hanno concordato di istituire una nuova amministrazione in Afghanistan che potesse rappresentare la diversità del paese, mantenere buone relazioni con le nazioni regionali e globali e aderire alle norme e convenzioni internazionali. Attualmente, tale allineamento è assente tra questi paesi per quanto riguarda l’Afghanistan. Ogni paese è concentrato nel sfruttare i gruppi politici esistenti in Afghanistan a proprio vantaggio e a danneggiare i suoi rivali. Per molti di questi paesi, l’Afghanistan ha perso la sua identità di stato-nazione ed è visto come un campo di battaglia per future guerre per procura. Di conseguenza, il dominio di un gruppo armato estremista nel paese non è una delle principali preoccupazioni per molte di queste nazioni, e l’instaurazione di un sistema politico convenzionale che garantirebbe la stabilità e lo sviluppo del paese non è importante per loro.

Il prossimo incontro di Doha non riesce a ispirare speranza tra il popolo afghano perché mancano segnali che consentano di affrontare le questioni fondamentali e di trovare soluzioni. Questo incontro, come i precedenti incontri di Doha riguardanti l’Afghanistan, è stato sin dall’inizio fonte di ansia più che di speranza. Per milioni di cittadini afghani, il nome Doha, a differenza di Bonn che ha portato alla formazione di un sistema relativamente onnicomprensivo, è associato all’inizio di un processo culminato nel crollo di un governo e nell’incertezza di una nazione. Ogni volta che emerge la notizia di un nuovo dialogo porta con sé una nuova ondata di preoccupazione.

La più grande preoccupazione tra i cittadini afghani, sia all’interno che all’esterno del paese, riguardo agli incontri di Doha è che queste discussioni potrebbero aprire la strada alla legittimazione dei talebani e alla normalizzazione del governo di un gruppo armato estremista. Ciò include la presentazione dell’apartheid di genere, della discriminazione etnica e del monopolio politico come accettabili, mentre vengono normalizzate atrocità come le violazioni dei diritti umani, l’assenza di un sistema basato sulla volontà del popolo, il mancato rispetto delle convenzioni internazionali e la privazione dell’istruzione e delle attività delle donne. I cittadini dell’Afghanistan sono profondamente preoccupati che il loro destino possa essere deciso a porte chiuse, lontano dai loro occhi e dalle loro orecchie, costringendoli a sacrificare migliaia di figli per sfuggirvi. Vedono Doha con ansia e paura, associandolo alla perdita della libertà, alla soppressione della libertà di parola, al collasso dell’istruzione, all’esodo degli intellettuali, al dominio delle forze armate, al rifiuto delle arti, all’opposizione alla modernità, alla sfida del mondo, e all’uso della religione per opprimere persone indifese.

In questo contesto, molti afghani si chiedono se verrà mai un giorno in cui il nome “Doha” non simboleggerà il tormento psicologico collettivo e la notizia del collasso e della regressione ai secoli bui.

Ci sarà mai un giorno in cui un incontro a Doha segnerà la fine di uno dei capitoli più bui della storia del Paese e l’inizio di un nuovo capitolo in cui la governance emergerà dalla volontà del popolo, non dalla volontà delle armi, e l’Afghanistan tornerà ad essere una casa per tutti i suoi cittadini?