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Autore: Anna Santarello

Diritti negati. In Afghanistan dura solo poche ore il ritorno a scuola delle ragazze

Avvenire.it – 24 marzo 2022, di Camille Eid 

Dopo l’annuncio del ministero dell’Istruzione afghano della riapertura il 23 marzo delle scuole in tutto il Paese, all’ultimo momento un avviso ha obbligato le ragazze con più di 11 anni a lasciare le aule dopo poche ore.

no scuola per ragazzeÈ durata poche ore la riapertura delle scuole per ragazze in Afghanistan. Ieri, i taleban hanno ordinato una marcia indietro sulle scuole femminili, contraddicendo quanto stabilito in precedenza.
Il ministero dell’Istruzione aveva annunciato la scorsa settimana che le scuole avrebbero riaperto ieri in tutto il Paese dopo otto mesi di restrizioni, almeno in 28 province su 34. Martedì sera, un portavoce del ministero si era pure «congratulato» in un video per l’atteso ritorno in classe.

Poi la brutta sorpresa: ieri mattina, un avviso dello stesso ministero affermava che «tutte le scuole superiori femminili e quelle con ragazze sopra il sesto grado di scuola» (dagli 11 anni in poi, ndr) sarebbero rimaste chiuse «fino a nuovo ordine», ossia fino a quando non fosse preparato un piano conforme alla sharia, la legge islamica, e alla cultura afghana. La scuola è durata poche ore.

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HAWCA l’impegno per i più deboli.

24 marzo 2022,a cura di CISDA 

hawca_logo_2015_copy.pngIntervista ai responsabili di HAWCA (Associazione umanitaria per le donne e bambini in Afghanistan) 

Nella difficile quotidianità afghana, come vivete il vostro impegno a favore dei più deboli?

Come sappiamo, la situazione è ogni giorno più tragica e ha coinvolto tutte e tutti in Afghanistan. È molto difficile per gli attivisti lavorare a favore di donne e bambini. Stiamo facendo il possibile per cogliere ogni opportunità e trasformarla in un’azione di sostegno, ma i Talebani ci stanno ostacolando.

Ci sono stati naturalmente dei cambiamenti anche nel nostro lavoro. Evitiamo di andare in ufficio e di riunirci in più persone sempre nello stesso posto, cerchiamo di non dare nell’occhio. Lavoriamo da casa. Ci incontriamo via internet e andiamo personalmente dalle persone che possiamo raggiungere per portare avanti i nostri progetti.

L’economia è saltata e la nostra moneta vale molto meno rispetto al dollaro. La gente è in emergenza alimentare e adesso portare cibo alle famiglie è la nostra attività principale. Non possiamo documentare con foto queste attività perché la gente ha molta paura dei talebani.

Emergenza alimentare

Come scegliete le famiglie da aiutare? Fanno parte di vecchi progetti o sono persone nuove?

Ci sono famiglie che conosciamo e altre nuove, magari segnalate da persone amiche. Andiamo personalmente a verificare lo stato economico della famiglia e, se necessario, il giorno seguente portiamo gli aiuti. Abbiamo dato il nostro recapito a tutte le famiglie che conosciamo e sono loro stesse a segnalarci quando ci sono altre urgenti necessità.

Anche prima dell’arrivo dei Talebani al potere facevamo questo lavoro di sostegno e lo facevamo in un unico posto grande, dove tutte le famiglie venivano e prendevano i pacchi alimentari. Facevamo anche report fotografici, ma ora non è più possibile. Ci abbiamo provato una volta, sono arrivati i talebani e ci hanno minacciato, quindi adesso andiamo noi nelle case oppure riuniamo poche persone in una casa. L’importante è mantenere sempre un basso profilo per non avere guai.

Dove prendete il cibo da distribuire?

Lo compriamo al mercato, in genere di lunedì perché i prezzi sono più bassi. Il cibo c’è, ma i prezzi sono molto alti per la popolazione. I talebani non vengono al mercato a controllare. Comunque abbiamo trovato un mediatore organizzato che compra il cibo per noi e lo porta in un magazzino dove poi lo andiamo a prendere.

Vite Preziose /Violenza sulle donne

Come si svolge adesso il vostro lavoro di aiuto alle donne di Vite Preziose, siete in grado di raggiungerle? Come aggirate l’ostacolo dei Taleb?

Siamo in contatto con tutte le donne del progetto, molte solo telefonicamente, altre le vediamo andando nelle loro case, soprattutto a Kabul. Siamo stati anche nelle province, ad esempio a Nangahar e Laghman per incontrarle.

Com’è la situazione della violenza che queste donne hanno dovuto affrontare? È peggiorata la situazione? Si può ancora sostenerle in qualche modo?

Purtroppo le donne non hanno più alleati né possibilità. Il sistema giuridico è completamente collassato e non esiste più. Non ci sono più Centri legali per le donne né shelter. La giustizia è gestita dai Talebani direttamente. La sharia, nell’interpretazione dei Taleb, prevede che un uomo possa picchiare la propria moglie senza subire alcun tipo di sanzione, è un comportamento completamente accettato, un loro diritto. Per cui per Hawca/per noi è diventato molto difficile organizzare qualsiasi tipo di aiuto legale alle donne e la protezione degli shelters.

Le donne assistite dal progetto “Vite Preziose” che avevano raggiunto una certa autonomia e che continuano a ricevere il denaro stanno bene, non subiscono alcuna violenza. Altre, invece, che erano nello shelter e non avevano nessun reddito, né sapevano dove andare, sono ritornate in famiglia ricadendo nella spirale della violenza domestica. Per loro, che erano riuscite a sfuggire alla violenza familiare, è molto duro dover ritornare in famiglia, anche se è quella di origine, perché non vengono affatto accettate per il percorso che hanno fatto.

Le donne che non hanno niente, nessuna fonte di guadagno, sono completamente dipendenti da questi uomini violenti che, in cambio della sopravvivenza, fanno di loro quello che vogliono. È il solito ricatto. Quelle che cercano di tornare nella famiglia di origine spesso non sono accettate per motivi economici, mentre ciò diventa possibile se hanno un piccolo guadagno. La povertà è uno dei fattori principali della violenza.

Alcune donne del nostro shelter sono adesso protette in case di amici, ma sono tre o quattro, non di più.

Cosa possono fare le avvocate che difendono le donne? Possono ancora lavorare?

Con il crollo del sistema giuridico le avvocate e le magistrate non possono più lavorare, anche perché sono donne. Molte di loro sono sotto minaccia per le cause che stavano facendo prima dell’arrivo dei Taleb. Quando seguono un caso sono obbligate a dare il loro recapito alla famiglia e così sono rintracciabili.

Ad esempio, una delle avvocate seguiva il caso di una donna per i maltrattamenti del marito. L’uomo, che è un talebano, ha trovato l’indirizzo dell’avvocata e l’ha rintracciata perché voleva sapere dov’era finita la moglie. L’avvocata si è rifiutata di dirlo ed è stata rapita, picchiata, minacciata di morte e messa in carcere. Per fortuna, attraverso amicizie, siamo riusciti a tirarla fuori di lì. Ma adesso le nostre avvocate devono nascondersi.

Altri Progetti

Quali sono i progetti più necessari e utili in questo momento? Come possiamo sostenerli?

Il Centro di assistenza legale è stato trasformato in Centro di taglio e cucito, a Kabul. È un buon progetto perché imparano un lavoro che possono fare in casa e non hanno ostacoli da parte dei Taleb. Alla fine del corso la macchina da cucire rimane a loro e possono iniziare subito l’attività.

Con nuovi finanziamenti potremmo estendere il progetto ad altre province. I prossimi corsi potrebbero essere usati anche per fare alfabetizzazione, promuovere la coscienza dei diritti e raccogliere le necessità delle donne anche rispetto ai problemi di violenza familiare, sebbene al momento le donne sembrano più interessate al cucito, che può dare loro da vivere.

I progetti a favore delle donne sono i più importanti perché i Taleb non permettono nessun aiuto alle donne. Il denaro delle ONG passa in genere dalle banche che sono controllate da loro, quindi, se per i progetti rivolti ai bambini è più facile ricevere finanziamenti e farli accettare ai Taleb, per quelli per le donne è impossibile.

I fondi che ci arrivano direttamente/Cisda sono quindi molto importanti perché non passano dalle banche e perciò sfuggono ai Taleb e dovremmo utilizzarli appunto per i progetti sulle donne che non avrebbero altra possibilità, i corsi per le ragazze dalla 7° alla 12° classe che devono rimanere nascosti. Purtroppo il progetto per i bambini dalla 1° alla 6° classe i Taleb non avevano niente da dire e quindi funzionava bene, ma i fondi erano tedeschi e dovevano passare dalle banche, cosa che oggi non è possibile, quindi il progetto si è fermato.

Per le donne, ci sono altri progetti che si potrebbero avviare? Ad esempio uno shelter segreto?

Uno shelter grande, come quelli che avevamo, è impossibile, darebbe troppo nell’occhio. Si verrebbe a sapere che in quella casa ci sono molte donne, i Taleb direbbero subito che è un bordello e le donne finirebbero male. Inoltre, è un progetto molto costoso.

Si potrebbe invece pensare a delle case protette per 3/5 donne con i loro bambini. Ovviamente ora è impossibile l’aiuto legale e non potrebbe essere uno shelter chiuso /dove le donne possono rimanere nascoste, come quelli che abbiamo avuto finora. Dovrebbero essere aperti, così le donne potrebbero viverci con i loro figli ma essere protette in un luogo segreto per/e non dover tornare dalle famiglie. Ci sono donne che non hanno un posto dove vivere e altre, giovani, che hanno avuto il coraggio di ricorrere al tribunale e di avviare una causa. Queste sono estremamente a rischio e non hanno nessuna possibilità di ritornare nelle loro famiglie perché potrebbero venire uccise per quello che hanno fatto. Per queste donne sarebbe molto utile avere una casa segreta.

Faremo altri incontri come questo, è stato bello incontrarsi e utile.

AFGHANISTAN. Le ragazze sono tornate a scuola

Nonostante i proclami dei talebani ancora tante donne riferiscono di restrizioni nell’accesso alla scuola e al lavoro per le donne in Afghanistan

AGC news – 21 marzo 2022, di Maddalena Ingroia ragazze a scuola

I talebani hanno permesso alle ragazze in Afghanistan di tornare in classe all’apertura delle scuole superiori apriranno, dopo mesi di incertezza sul fatto che l’Emirato avrebbe permesso il pieno accesso all’istruzione per le ragazze e le donne. «Tutte le scuole saranno aperte a tutti i ragazzi e le ragazze», ha detto Aziz Ahmad Rayan, un portavoce del ministero dell’Istruzione, ripreso da Reuters.

«Ma ci sono alcune condizioni per le ragazze», aveva detto, aggiungendo che le studentesse saranno istruite separatamente dai maschi e solo da insegnanti donne. In alcune aree rurali dove c’è una carenza di insegnanti donne, ha detto che gli insegnanti maschi più anziani saranno autorizzati a insegnare alle ragazze. «Non c’è nessuna scuola che chiuderà per quest’anno. Se c’è qualche scuola che chiude, è responsabilità del ministero dell’istruzione aprirla», aveva aggiunto Rayan.

Permettere alle ragazze e alle donne di entrare nelle scuole e nei college è stata una delle richieste chiave che la comunità internazionale ha fatto al movimento islamista da quando ha rovesciato il governo sostenuto dall’Occidente lo scorso agosto. La maggior parte dei paesi ha finora rifiutato di riconoscere formalmente i Talebani, tra le preoccupazioni per il loro trattamento di ragazze e donne e le accuse di abusi dei diritti umani contro ex soldati e funzionari dell’amministrazione filo occidentale.

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Il progetto di sartoria di HAWCA, finanziato da CISDA

21 marzo 2022 

Hawca Sartoria 1Dopo che i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan HAWCA che aveva un centro di assistenza legale per le donne vittime di violenza finanziato dal CISDA è stata costretta con le nuove leggi talebane in vigore a chiuderlo. In accordo con il CISDA è stato trasformato in  “Centro per implementare la competenza delle donne” ed è stata aperta una classe di sartoria.

Progetto
Centro per implementare la competenza delle donne

Associazioni
CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus
HAWCA – Assistenza umanitaria per le donne e i bambini dell’Afghanistan

Periodo

Dal primo novembre 2021 al 28 febbraio 2022

 

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A metà agosto i talebani hanno preso il controllo di tutte le province dell’Afghanistan e hanno promulgato le loro leggi e i loro regolamenti; per questo motivo il progetto del centro di assistenza legale per le donne vittime di violenza non ha potuto continuare in assenza di un quadro giuridico per la difesa delle donne. Inoltre, la maggior parte dei casi che ci sono arrivati erano casi di percosse e, secondo le leggi e i regolamenti talebani, è un diritto dell’uomo picchiare una donna se ritiene che faccia qualcosa di sbagliato.

Quando il team che lavorava al progetto si è consultato con le autorità talebane, è stato detto loro che ora non è consentito alcun progetto per le donne e che faranno sapere se in futuro le cose cambieranno.

Per lo stesso motivo, dopo aver aspettato per due mesi e non aver avuto notizie dal governo talebano, con il consenso dell’organizzazione donatrice, il progetto è stato trasformato in un centro per implementare la competenza delle donne ed è stata creata una classe di sartoria e confezionamento abiti al quale si sono iscritte 40 donne. 

HWCA sartoria 3Obiettivo

Il progetto di sartoria e confezione di tessuti è stato organizzato per rendere le donne indipendenti grazie a guadagni ottenuti lavorando da casa. Questo obiettivo è stato scelto considerando la situazione attuale in Afghanistan, dove il lavoro per le donne è limitato.

Attività di avanzamento del progetto

Il primo passaggio necessario è stato trovare una sede sicura, in cui le donne si potessero trovare per seguire il corso. L’opzione migliore è stata quella di trovare una sarta professionista disposta a permettere alle donne di andare a casa sua per imparare a confezionare i vestiti. Poiché i talebani non consentono di portare avanti progetti per le donne, il luogo doveva essere tenuto segreto.

Fortunatamente HAWCA è riuscita a trovare una sarta professionista pronta a gestire il corso con le studentesse. HAWCA sartoria 4

L’istruttrice di sartoria era disposta ad accettare il rischio e la sfida, perché crede che le donne siano autosufficienti e contribuiscano al reddito della famiglia. Inoltre le condizioni economiche di tutte le persone stanno peggiorando ogni giorno di più e questi corsi possono aiutare molte famiglie a sostenersi e a ottenere un reddito adeguato e dignitoso.

Dopo aver assunto la sarta e affittato la sede, sono state acquistate le attrezzature e i materiali per il centro. Il progetto non poteva coinvolgere troppe donne perché avrebbe attirato l’attenzione e così ne sono state selezionate 40. Sono quindi state acquistate 40 macchine per cucire.

Dopo questo ulteriore passaggio abbiamo cercato di coinvolgere le beneficiarie del progetto in modo che la notizia non si diffondesse e arrivasse alle autorità; la notizia è stata fatta circolare con l’aiuto di anziani locali e di persone colte, e le donne disposte a partecipare sono state ammesse nel centro.

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Turchia: Madre della Pace condannata al carcere per “appartenenza a “gruppi armati”

Uiki Onlus, 19 marzo 22

Meryem SoyluUn tribunale ha condannato Meryem Soylu, 79 anni, a sei anni e tre mesi di carcere per il coinvolgimento in un’associazione legale fondata per contrastare gli attacchi contro i resti e i cimiteri di combattenti curdi e civili uccisi negli scontri con le forze turche. Giovedì una donna curda di 79 anni, è stata condannata da un tribunale di Diyarbakır (Amed) a una pena detentiva di sei anni e tre mesi per le sue attività in MEBYA-DER, un’associazione di solidarietà con le famiglie delle vittime uccise nel conflitto armato.

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Insieme difendiamo la rivoluzione in Rojava – la difesa e la liberazione di Afrin è la difesa della rivoluzione delle donne

La regione di Afrin in particolare ha giocato un ruolo centrale come centro della rivoluzione delle donne e nella creazione di strutture democratiche dirette.

Rete Jin, tradotto da Women Defend Rojava, 17 marzo 2022

rete jin

Quattro anni fa migliaia di persone in tutto il mondo sono scese in piazza, il loro cuore con Afrin, per esprimere a gran voce la loro opposizione alla guerra illegale della Turchia. Il 20 gennaio 2018, lo stato turco ha lanciato una guerra sulla regione di Afrin, il cantone occidentale dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria. Giorno e notte, città e villaggi, campi profughi e siti storici sono stati bombardati da aerei da guerra e dall’artiglieria turchi. L’attacco della Turchia e delle milizie jihadiste sue alleate è continuato fino al 18 marzo. Nel corso di questa guerra sono stati uccisi e feriti centinaia di civili. Centinaia di migliaia di persone sono state sfollate e costrette a lasciare le loro case. Da allora, Afrin è sotto l’occupazione turca e tutte le conquiste fatte precedentemente nella direzione dell’auto-organizzazione delle comunità locali sono state distrutte. Sotto l’occupazione turca la diversità delle persone che abitano quell’area non è più considerata e i diritti delle donne per cui si è combattuto sono stati di fatto aboliti. Le case sfitte delle famiglie sfollate sono state consegnate dai militari turchi alle famiglie dei combattenti delle milizie islamiste e di altre milizie sostenute dalla Turchia. Sono state stabilite nuove amministrazioni regionali sotto il controllo turco come parte del piano di sostituzione demografica nella regione. Allo stesso tempo, l’invasione turca, offrendo questa opportunità, ha incoraggiato l’ISIS a riorganizzarsi.

La guerra ad Afrin è lungi dall’essere finita; è appena iniziata con l’occupazione. Quasi ogni giorno ci sono scontri ed esplosioni che causano un gran numero di vittime civili. Attraverso arresti, rapimenti, presa di ostaggi con alte richieste di riscatto, così come assassinii e torture, sotto l’occupazione turca si è instaurato un regime autoritario che diffonde paura e terrore. La zona è anche diventata un rifugio per i membri dell’ISIS e altri jihadisti. La vita lì, per le donne, è come in una prigione, dal momento che molte non escono più di casa per paura della violenza quotidiana. Matrimoni forzati, violenze sessuali, torture, uccisioni e centinaia rapimenti da parte di gruppi armati sostenuti dai turchi sono parte della realtà quotidiana che le donne e le ragazze devono affrontare.

Nel frattempo, sono passati quattro anni e ci rendiamo conto che la guerra ad Afrin è tutt’altro che finita, ma è solo iniziata con l’occupazione. Fa parte del sistema globale patriarcale di dominazione in cui gli stati nazionali come la Turchia conducono guerre per interessi di potere geopolitico e risorse. Si tratta di un altro femminicidio, perché la sottomissione, lo stupro e l’assassinio delle donne è sempre una parte fondamentale della conquista di un paese e del suo popolo. È una guerra contro un’alternativa sociale allo stato-nazione e al patriarcato che si sta creando e sviluppando sulla base della liberazione delle donne, della democrazia di base e della sostenibilità ecologica.

La regione di Afrin in particolare ha giocato un ruolo centrale come centro della rivoluzione delle donne e nella creazione di strutture democratiche dirette e partecipative nella Siria del Nord-Est. Qui sono state create istituzioni femminili, comuni e consigli delle donne, basati sulla democrazia diretta, che hanno contribuito ad abbattere la disuguaglianza di genere. 

Durante l’invasione dello stato turco e la successiva occupazione numerosi siti archeologici storici della regione, parte del patrimonio delle società matriarcali locali, sono stati deliberatamente distrutti per cancellare la memoria della regione e un pezzo di storia delle donne. Tra questi, per esempio, il tempio Tel Aştar ad Ain Dara, dedicato alla dea Iştar. 

La distruzione si estende alla devastazione massiccia e ai danni irreversibili causati alla ricca natura e all’ecosistema di montagne, fiumi e terra fertile di Afrin. Numerosi campi sono stati bruciati e decine di migliaia di alberi, tra cui un gran numero di ulivi, sono stati abbattuti a causa dell’occupazione della Turchia e delle sue milizie jihadiste. Le strutture democratiche di base precedentemente create dalla popolazione locale, con comunità e consigli organizzati a livello comunale, che permettevano la convivenza dei diversi popoli così come la loro partecipazione politica, sono state sostituite dalla Turchia con un progetto di sostituzione demografica e di annientamento non solo dei curdi locali, della loro lingua, cultura e storia, ma della convivenza dei popoli della regione.

Fino ad oggi, lo stato turco continua la sua guerra e l’occupazione nel Nord-Est della Siria con l’aiuto delle sue milizie jihadiste. La regione è continuamente bombardata dai droni turchi e dall’artiglieria, con il risultato che numerosi civili vengono feriti e uccisi. La comunità internazionale tace sull’occupazione e sugli attacchi in corso ed è complice. Non abbiamo dimenticato Afrin e non accetteremo la sua occupazione.

La difesa della rivoluzione delle donne in Rojava è internazionale perché ispira molti movimenti femministi e femminili in tutto il mondo. “Questa rivoluzione non è solo per il Kurdistan o il Medio Oriente, è una rivoluzione per tutta l’umanità, è la speranza dell’umanità. […] Ecco perché voglio lottare per la libertà di tutte le donne. Mi sono unita a questa rivoluzione come compagna, se un giorno dovessi essere ferita o essere martirizzata, sono pronta a farlo come compagna”. Con queste parole, Şehîd Hêlîn Qereçox, Anna Campbell, è partita per difendere la rivoluzione ad Afrin al momento dell’invasione turca. Il 15 marzo 2018, il 55° giorno della resistenza ad Afrin, è stata martirizzata in un attacco aereo turco, così come molti altri nella lotta per liberare Afrin. Con la sua lotta e determinazione, ha ispirato molte persone e ha costruito molti ponti per la nostra lotta comune per una società liberata dal genere, ecologica, solidale e democratica! Ieri, oggi e con loro nei nostri cuori per il domani!

Unite nella lotta di liberazione – Contro l’occupazione e il femminicidio! Difendere e liberare Afrin significa difendere la rivoluzione delle donne!

PKK: Il Newroz è il nostro festival dell’unità, della resistenza e della libertà

UIKI Onlus, 14 marzo 22

l Comitato Centrale del PKK ha rilasciato una dichiarazione in occasione della celebrazione del Newroz. La dichiarazione afferma: “Come movimento di liberazione del Kurdistan e del popolo curdo, stiamo vivendo una nuova celebrazione del Newroz. Il Newroz è il nostro festival di unità, resistenza e libertà. È una delle feste di libertà più antiche della storia umana. Con le scoperte del Leader e del PKK, le celebrazioni del Newroz sono diventate molto più belle, significative e conformi alla sua essenza.

Così come la natura si apre alla fioritura in primavera, anche noi ci rinnoviamo e ci ristrutturiamo ad ogni Newroz; siamo stati riempiti con lo spirito e la coscienza di unità, resistenza e libertà.

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Mentre i talebani ballano, la popolazione è senza cibo

Le donne afghane sono scomparse dai media internazionali

Laura Sestini – The black coffee – 12 marzo 2022

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Ogni nuova guerra – tale quella russo-ucraina, ultima in cronologia – cancella dai media, e purtroppo anche dalle menti umane, ‘bombardate’ con inedite immagini sempre più cruente, anche le più recenti crisi umanitarie o sociali in atto nel mondo.
Potremmo senz’altro citarne almeno un paio, di cui ancora si discuteva solo un mese fa (non un anno fa o dieci!), come la processione di migranti mediorientali che tentavano di entrare in area europea dalla Polonia e morivano di stenti e di freddo nei boschi bielorussi, oppure la crisi umanitaria che si sta consumando in Afghanistan, dove l’autogoverno talebano – complici gli occidentali – non è in grado di gestire il Paese neanche dal punto di vista alimentare, dal momento che le casse statali sono vuote.

L’informazione a senso unico è limitante, e se già di per sé una notizia non è mai completamente veritiera, relativamente parziale per oggettività, ecco che il mondo mediatico attuale è proprio a senso unico, monotematico.

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I talebani minacciano i media delle province

Le autorità talebane stanno attuando una censura intimidatoria e di vasta portata contro i media afghani delle provincie, afferma HRW, soprattutto verso le giornaliste 

HRW – 7 marzo 2022

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Le autorità talebane hanno attuato una censura di vasta portata e violenza contro i media afghani nei distretti e nei centri provinciali, limitando drasticamente gli articoli critici in Afghanistan, ha affermato oggi Human Rights Watch. La situazione dei giornalisti fuori Kabul appare molto peggiore che all’interno della capitale, in particolare per le donne.

I giornalisti delle province hanno descritto talebani che hanno  minacciato, arrestato e picchiato loro e i colleghi che cercavano di riportare la notizia. Molti giornalisti si sono sentiti in dovere di autocensurarsi e di riferire solo dichiarazioni talebane ed eventi ufficiali. Le giornaliste donne hanno affrontato la repressione più intensa.

” Nella maggioranza dei casi, le molestie e gli attacchi dei talebani ai giornalisti al di fuori delle principali aree urbane non sono stati denunciati, facendo sì che i media nelle province periferiche si autocensurassero o chiudessero del tutto”, ha affermato Fereshta Abbasi , ricercatrice afghana di Human Rights Watch. “In molte province, i talebani hanno praticamente eliminato la cronaca su un’ampia gamma di questioni e hanno allontanato le giornaliste dalla professione”.

Il 2 febbraio 2022 il portavoce talebano, Zabihullah Mujahid, ha detto a una riunione dell’Afghan Journalists Safety Committee, un gruppo di difesa dei media, che i giornalisti dovrebbero considerare “gli interessi nazionali, i valori islamici e l’unità nazionale” prima di pubblicare qualcosa. Ha affermato che sarebbe stata istituita una nuova commissione sui media per affrontare eventuali problemi e che le autorità avrebbero applicato la legge sui media del precedente governo. Ha anche affermato, senza maggiori dettagli, che “ le donne possono lavorare liberamente nei media osservando i principi islamici e nazionali”.

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È partita la caccia dei talebani

Le donne che hanno prestato servizio nell’esercito afgano chiedono aiuto, mentre i talebani danno loro la caccia casa per casa

George Packer –The Atlantic – 10 marzo 2022

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Forse vi siete persi la dichiarazione dei talebani sull’invasione russa dell’Ucraina. “L’Emirato islamico chiede moderazione da entrambe le parti”, hanno annunciato i nuovi governanti dell’Afghanistan il 25 febbraio. Hanno enfatizzato la “neutralità diplomatica”, esortando al “dialogo” e chiedendo che “tutte le parti desistano dall’assumere posizioni che potrebbero intensificare la violenza”. Ma il giorno in cui è iniziata la guerra, con il mondo distratto dall’invasione di Putin, i combattenti talib hanno iniziato ad andare di casa in casa a Kabul all’inseguimento dei presunti nemici del regime. Gli obiettivi sono gli afgani che hanno prestato servizio nell’ex governo o nell’esercito, in particolare membri delle minoranze etniche hazara e tagika. La caccia si sta diffondendo in tutto il Paese, mettendo in pericolo la vita di migliaia di afgani.

Nei giorni scorsi ho parlato per telefono ed sms con sei giovani donne in Afghanistan, ex soldate o agenti di polizia. Tutte loro scappano per salvarsi la vita e si nascondono, sia a Kabul che nelle province d’origine. Fatima, che ha 26 anni, vive con i suoi genitori, la sorella e la nonna in un quartiere prevalentemente Hazara della capitale afgana. (Per la loro sicurezza, ho cambiato la maggior parte dei nomi delle donne.) Lunedì, i talib hanno perquisito le case vicino alla sua, confrontando le carte d’identità degli occupanti con i nomi di un database informatico sequestrato al vecchio Ministero della Difesa. Fatima temeva che la sua casa sarebbe stata la prossima – sicuramente uno dei suoi vicini aveva dato informazioni su di lei – ed è fuggita con i suoi documenti a casa di un’amica. Martedì i talib sono entrati nella casa della famiglia di Fatima senza permesso. Hanno interrogato i suoi genitori, che hanno negato che Fatima sia stata una militare, a quanto pare il database aveva qualche incertezza sul suo nome. I talib hanno frugato tra gli effetti personali della famiglia, maneggiando i vestiti delle donne e altri oggetti in modo poco rispettoso, lasciando la casa nel caos. Hanno confiscato la bandiera afgana di Fatima e hanno minacciato di tornare.

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