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Autore: Anna Santarello

Crimini di guerra in Afghanistan, indagini a senso unico?

Enrico Campofreda, 24 ottobre

afghanistan bertolottiNei mesi scorsi, mentre l’apparato militare e politico afghano diretto da Ashraf Ghani implodeva a vantaggio dei taliban, presso la Corte Penale Internazionale (ICC) che si occupa, fra gli altri, dei crimini di guerra in quel Paese, era in corso un avvicendamento. Fra febbraio e giugno scorsi la giurista gambiana Fatou Bensouda veniva sostituita dal collega Kharim Khan. Quest’ultimo è un giurista britannico di fama, impegnato nella Corte per molti anni con investigazioni sui crimini nella ex Jugoslavia, su quelli dei tragici eccidi ruandesi e ultimamente nei territori del Daesh. Si dirà: in certe sfere un giudice vale l’altro. Leggi tutto In linea di massima sì, però per i misfatti afghani accade qualcosa. Sino al 2016 la giudice Bensouda aveva posto l’accento sull’ampia gamma di delitti commessi da talebani e dal network di Haqqani contro civili, personale di progetti umanitari, avversari politici e militari. Sulle prigionìe da loro inflitte ai nemici, sulla deprivazione di libertà e la persecuzione verso gruppi civili ben identificati: donne ed etnìa hazara. La magistrata svolgeva indagini anche sulla Cia e sulle unità speciali Nato, autrici di rapimenti cruenti con uso di tortura e stupro, oltraggio alla dignità personale, realizzati per una lunga fase: dal maggio 2003 al dicembre 2014. In pratica l’intero percorso della missione Enduring Freedom. Se un buon numero di quelle operazioni compiute da militari americani risalgono al biennio 2003-2004, negli anni seguenti è cresciuto il coinvolgimento in tali pratiche di reparti del National Directorate Security, e con esso di Forze Armate, Polizia, Polizia di Frontiera del governo di Kabul, tutti formati e addestrati dalla Nato.

pr1465Gli accertamenti condotti da Bensouda terminano nel 2017, periodo in cui cresceva l’escalation sanguinaria dell’Isis-Korasan diretta a seggi elettorali, scuole, moschee, e concentrati nelle provincie di Kabul e Nangarhar. La linea che Khan vuole seguire riguarda proprio questi massacri praticati da talebani e dell’Isis-K, che a suo dire sono più gravi di ogni altro, proprio perché rivolti a donne, ragazze, bambini anche con esecuzioni extragiudiziarie. Secondo gli analisti dell’Afghanistan Network tali considerazioni possono avere un peso nel nuovo corso dell’ICC. Negli anni passati il governo afghano era intervenuto presso la Corte Internazionale chiedendo di poter svolgere proprie indagini. Si era trattato solo di un pronunciamento. All’ICC sapevano che la presunta volontà di Ghani d’avviare ricerche sui crimini di guerra talebani risultava mendace. La casta dirigente, corrotta e collusa con altri criminali – i warlords – prendeva tempo, cercando di celare anche sue responsabilità delittuose, svolte dai propri apparati d’Intelligence in obbediente relazione con la Cia. Dal 15 agosto scorso le leve del potere a Kabul sono in mano agli studenti coranici – una delle componenti indagate – che ovviamente non attivano né attiveranno alcuna indagine. Pensare che i taliban tornati al potere permetteranno azioni penali contro i reati da essi stessi commessi è utopistico. Si sa che costoro, finora, hanno attuato processi poco più che sommari contro miliziani dell’Isis e membri dell’esercito di Ghani.

us marines patrol near khowst afghanistanEgualmente è difficile pensare a processi domestici negli Usa per membri dell’esercito americano. Già si è visto come l’amministrazione Obama, pur vietando l’uso delle torture che il predecessore Bush aveva acconsentito durante le detenzioni illegali, non ha improntato alcun procedimento verso quegli illeciti, definiti addirittura ‘patriottici’. Nella cronaca nera di simili gestioni, uno dei casi venuti a galla riguardava Gul Rahman, lasciato morire congelato nel novembre 2002 in un luogo di detenzione (Salt Pit) creato dalla Cia a nord di Kabul. Al suo insediamento Khan si domandava se può esistere una scala di valore che indica i crimini del fondamentalismo islamico peggiori di quelli americani. Certo è che la precedente gestione, impegnata a scavare sulla guerra sporca del Pentagono ha subìto dall’amministrazione Trump forti pressioni per azzerare quell’orientamento. Ora c’è chi teme possibili attacchi jihadisti ai membri della Corte Internazionale e a chi collabora con essa, testimoni in primo luogo. Documenti raccolti dall’Unama evidenziano azioni illegali di polizia ed esercito afghani durante l’amministrazione Ghani. E si può risalire anche a un decennio addietro, alla seconda presidenza Karzai. Nei Palazzi lasciati in tutta fretta dai filo occidentali, l’attuale esecutivo talebano può avere accesso a rapporti riservati da cui ricavare informazioni in merito. Chissà se i vertici coranici daranno seguito alle scoperte o le useranno come materia di scambio per lenire proprie colpe.

Afghanistan: storie di guerre e di resistenza

Pressenza – 22 ottobre 2021 – di Giorgio Mancuso Pressenza 22 10 21

Nell’ambito del terzo festival della nonviolenza e della disobbedienza civile si è svolta giovedì della scorsa settimana la conferenza Afghanistan: storie di guerre e di resistenza organizzata dal coordinamento AGITE; l’obiettivo della conferenza era quello di tenere viva l’attenzione sul paese asiatico e di raccontarlo dal punto di vista storico e dal punto di vista degli attivisti afgani e dei loro corrispondenti italiani.

Il punto di vista storico sull’Afghanistan

Lorenzo Kamel, professore associato del dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino e direttore del Research Studies dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), interviene dal punto di vista storico cercando di fare luce sugli antecedenti degli avvenimenti attuali.

George St Patrick Lawrence (1804-84), un veterano della prima guerra anglo-afghana, scrive nel 1839: “Il disastroso ritiro da Kabul dovrebbe rappresentare un eterno monito per i futuri statisti affinché non ripetano le politiche che hanno portato a un risultato tanto amaro quanto lo è stato quello registrato nel 1839-1842”[1]; queste parole assumono valore profetico alla luce del disordinato ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan dell’agosto scorso.

Ai tempi di Lawrence, Londra investì ingenti risorse per imporre a capo della regione Shah Shuja Durrani, un sovrano «sensibile» agli interessi di Londra, ma considerato un uomo violento e corrotto da larga parte della popolazione locale che protestò contro questa imposizione. Questa forma mentale (dividere la popolazione allo scopo di imporre regimi) rimase anche nei decenni successivi e trova la sua rappresentazione più plastica nella così detta linea Durand, la linea di confine tra Afghanistan e Pakistan tracciata dagli inglesi senza considerare l’etnia delle popolazioni coinvolte.

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L’Afganistan strozzato dalla crisi economica “dimentica” i diritti umani

L’autore dell’articolo un giornalista pakistano afferma di aver partecipato ad una serie di importanti incontri tra rappresentanti più anziani dei talebani di medio ed alto livello, da quanto scritto nell’articolo in questi incontri i talebani cercano di presentarsi diversi per poter avere gli aiuti necessari per fronteggiare la grave crisi economica la questione femminile  rimane l’ultimo dei loro problemi e comunque nei loro progetti le donne  forse svolgere alcune attività in sistemi di segregazione.

InsieOver – 23 ottobre 2021 – di Arshad Yusufzai donne afghanistan la presse 334x188

Girovagando per le strade abbandonate e deserte di Kabul, appena due giorni dopo la presa della capitale afghana da parte dei talebani, l’unica cosa che era chiaramente visibile era l’incertezza.

La popolazione non aveva alcuna idea del futuro del paese, né tantomeno della propria sicurezza personale, alimentare e finanziaria. Proprio come in ogni altro paese sottosviluppato, anche in Afghanistan l’incertezza per la popolazione con un reddito basso ed un’istruzione scarsa o del tutto assente riguarda principalmente la sicurezza alimentare.

L’ombra della crisi finanziaria

Ogni mattina quelle persone escono di casa con l’obiettivo di guadagnare a sufficienza per riuscire a nutrire le proprie famiglie, che spesso sono composte da oltre una mezza dozzina di figli per coppia. Lo stress di dover riuscire a portare a casa il pane ogni giorno oscura la necessità di avere diritti umani di base, quali la libertà di espressione in ogni sua forma, e ovviamente la vita. Tuttavia, in quei primi giorni, l’unica questione tra le file dei talebani che fosse degna di attenzione era quella di stabilire un controllo sulla nazione che si erano presi circa 40 ore prima. Trovandosi per la prima volta alla guida di un paese devastato dalla guerra, i talebani non erano ancora in controllo della famigerata provincia di Panjshir, e c’era sempre un rischio di attacchi da parte di gruppi rivali tra cui l’ISKP, che si trova principalmente nelle province di Nangrahar e Kunar, nell’Afghanistan orientale lungo il confine col Pakistan.

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Afghanistan: Hrw, talebani tolgono terre e case a minoranze

Ogginotizie – 23 ottobre 2021 

I talebani hanno cacciato con la forza da dogginotizie23 10 21iverse province afghane i residenti appartenenti a diverse minoranze, distribuendo parte delle terre sottratte ai propri affiliati. Lo denuncia Human Rights Watch,sottolineando che molte di queste operazioni hanno colpito la minoranza sciita degli hazara e sostenitori del deposto governo di Ashraf Ghani come forma di “punizione collettiva”.

Secondo un comunicato dell’ong, i talebani hanno sfrattato centinaia di famiglie hazara dalla provincia meridionale di Helmand e da quella settentrionale di Balkh. In precedenza, altri oppositori erano stati cacciati dalle province di Daikondi, Oruzgan e Kandahar. Questi sfratti forzati da case, terre e fattorie sono avvenuti spesso “solo con pochi giorni” di preavviso e senza alcuna possibilità di presentare ricorsi giuridici, afferma Hrw.

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La femminista curda Ayşe Gökkan condannata a 30 anni di carcere

Rete Kurdistan Italia – 20 ottobre 2021  

AyseGokkanUn tribunale di Diyarbakır ha condannato l’ex portavoce del TJA a 30 anni di carcere in quanto l’ha dichiarata colpevole dell’accusa di “appartenenza a un’organizzazione terroristica” non una, ma due volte.

L’ex portavoce del Movimento delle donne libere (Tevgera Jinên Azad) Ayşe Gökkan è stata condannata a una pena detentiva straordinaria di 30 anni dal tribunale di Diyarbakır (Amed), con l’accusa di essere membro di un’organizzazione terroristica e di farne propaganda.

Rifiutandosi di rilasciare una dichiarazione in sua difesa, Gökkan ha affermato che il tribunale le ha costantemente negato il diritto a una difesa equa sin dall’inizio del processo. Confrontando il Movimento delle donne libere (TJA) con le braci del folklore anatolico che cadono nell’aria, nell’acqua e nel suolo dando inizio a una rinascita della natura, Ayşe si è rivolta alla corte affermando: “Questa brace è maturata in Afghanistan, Kurdistan, Iran e Messico.”

“I diritti dei miei avvocati e del presidente dell’ordine degli avvocati sono stati violati nella sessione precedente. Il tribunale penale ha commesso questo reato davanti agli occhi di tutto il mondo”, ha proseguito.

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Donne e curdi, le prime vittime della Repubblica Islamica

Uikionlus – 20 ottobre 2021 – di Gianni Sartori  Iran execution

Secondo quanto scrive nel suo rapporto di settembre l’Associazione dei diritti dell’uomo del Kurdistan (KMMK) sarebbero in sensibile aumento le violazioni dei diritti umani da parte dello Stato iraniano nel Rojhilat (il Kurdistan dell’Est).
Sia le esecuzioni che le uccisioni, così come gli arresti e le torture. In significativa crescita anche i casi di suicidio. Il mese scorso almeno tre curdi sono morti in maniera sospetta e una persona è stata giustiziata senza processo. Otto kolbar (“spalloni”, frontalieri…) sono stati uccisi dalle guardie di frontiera e una cinquantina di persone sono state arrestate. Solo in settembre, ripeto.

Stanche di subire maltrattamenti, soprusi e torture, dal 16 ottobre le detenute curde del carcere di Ourmia sono in sciopero della fame. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il tentativo della direzione di obbligarle a frequentare dei corsi (non meglio precisati) stabiliti dall’amministrazione carceraria. Per chi si rifiutava è scattata la rappresaglia: proibizione di ricevere telefonate dai familiari e soltanto un’ora d’aria giornaliera.
In un primo momento le detenute avevano reagito con proteste e incendiando le coperte. Come ritorsione molte sono state torturate e minacciate di finire in isolamento.
Le poche notizie sulla protesta sono filtrate attraverso i familiari delle prigioniere.

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Dalla parte delle donne afghane

Acta no verba – 20 ottobre 2021, di Simona Rossi  paesaggio5 Carla Dazzi

L’attività meritoria del Cisda, il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane. Quando la cooperazione si muove in difesa dei diritti dei soggetti più vulnerabili attraverso gli aiuti finanziari, la controinformazione e la costruzione di relazioni efficaci.

In seguito alla situazione politica dell’Afghanistan, che ha generato disastrose conseguenze nella condizione femminile, abbiamo parlato con Gabriella Gagliardo, presidente di Cisda, che ci ha guidato nell’analisi della situazione e delle possibili misure a supporto delle donne afghane.

La nuova situazione in Afghanistan ha sicuramente influenzato l’operato della vostra organizzazione. Quali misure avete attivato per rispondere a tale cambiamento?
«Come Cisda ci siamo sentite investite di un’enorme responsabilità nei confronti delle organizzazioni di donne che sosteniamo da oltre vent’anni. Gli eventi sono precipitati a una velocità che non ci aspettavamo, abbiamo percepito il pericolo aggravarsi sulla pelle di una popolazione già martoriata da decenni di guerre, terrorismo, occupazione militare e malgoverno corrotto e fondamentalista. Improvvisamente anche la nostra piccola Onlus è stata travolta dalle richieste dei media di informazioni e contatti, spesso a riempire un vuoto di conoscenza della storia recente e del contesto, con il rischio di travisare e semplificare una realtà facilmente bersaglio di pregiudizi. Infine abbiamo assistito impotenti alla sospensione dei tanti piccoli progetti che abbiamo sempre finanziato, cercando di comprendere insieme alle nostre partner afghane come dare continuità a interventi che adesso sono ancora più urgenti per non abbandonare in particolare le donne più vulnerabili».

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L’Afghanistan tra la morsa dell’Isis K e i talebani.

Una lucida analisi della situazione afghana, che ribadisce l’importanza di conoscere e supportare chi lotta e vive in quel paese come le donne di Rawa e, altresì il non riconoscimento del governo dei talebani. 

Dinamo Press – 20 ottobre 2001 – di Sara Montinaro  Dinamo20 10 21

Tra il riconoscimento della jihad e l’appoggio a una guerra in difesa delle donne, è necessario andare oltre oscurantismo e patriarcato. Un’analisi della situazione nel paese

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Preparativi per una nuova operazione di occupazione nel nord della Siria

Uikionlus – 17 ottobre 2021  

Quello che Erdoğan ha affermato domenica  scorojava14rsa dopo una riunione di gabinetto corrisponde parola per parola a quello che ha aveva dichiarato prima dell’occupazione di Afrin e Serêkaniyê. Il dittatore turco ha bisogno di un diversivo militare.

L’8 ottobre due attentati a Jarablus hanno ucciso due persone e ne hanno ferite 15. Il 9 ottobre un attacco a un’auto blindata in movimento vicino ad Azaz ha ucciso due membri di un’unità speciale di polizia, Cihat Şahin e Fatih Doğan, e ferito altri due agenti di polizia dell’unità. Il ministero dell’Interno turco e il canale TRT hanno riferito che l’attacco è stato effettuato dalle YPG da Tel Rifat. L’11 ottobre un attentato con un’autobomba ad Afrin ha ucciso quattro persone. Il ministero dell’Interno turco ha ritenuto responsabile il “PKK/YPG”.

La sera del 10 ottobre Tayyip Erdoğan ha affrontato la questione dopo una riunione di gabinetto dichiarando: “Con gli attacchi terroristici dalla Siria alla Turchia, la nostra pazienza è esaurita. Siamo determinati a eliminare le minacce provenienti da lì o con le forze locali lì influenti o con i nostri mezzi”.

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Afghanistan, ucciso a Jalalabad l’attivista Abdul Rahman Moawin

Fanpage.it – Chiara Ammendola – 12 ottobre 2021

Abdul-Rahman-Moawin-Abdul-Rahman-Moawin-Abdul-Rahman-Moawin-Abdul-Rahman-MoawinAbdul-Rahman-MoawinAbdul-Rahman-MoawinÈ morto, ucciso in un attentato, l’attivista afghano Abdul Rahman Moawin. La notizia è stata diffusa dal Tolo News che ha citato fonti locali. Caduto per mano di un gruppo di uomini armati, l’attivista civile è stato ucciso a Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, ritenuta la roccaforte dell’Isis-Khorasan, branca afghana del sedicente Stato Islamico. È stato ucciso, caduto sotto i colpi esplosi da uomini armati a Jalalabad, l’attivista afghano Abdul Rahman Moawin. La notizia è stata diffusa questa mattina dal canale afghano All news “Tolo News” che ha citato fonti locali. Al momento non è chiara la dinamica dell’accaduto, ma sembra che l’attivista civile sia stato ucciso in un vero e proprio attacco armato perpetrato da uomini armati.

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