Skip to main content

Autore: Anna Santarello

Le banche accusate di aver finanziato il terrorismo

Deutsche Bank, Standard Chartered e Danske Bank sono accusate di aver sostenuto, indirettamente, Al Qaeda e i talebani in Afghanistan

Claudia Vago – Valori – 7 settembre 2021

vn9 gofa

Deutsche BankStandard Chartered e Danske Bank sono accusate di aver sostenuto, indirettamente, Al Qaeda e i talebani in Afghanistan. L’accusa è stata depositata presso un tribunale federale di New York a inizio agosto. A promuoverla quasi 500 familiari di militari e civili feriti o uccisi tra il 2011 e il 2016 in Afghanistan. Secondo i querelanti, le banche sapevano che i normali servizi finanziari forniti erano utilizzati da aziende e individui coinvolti in attività terroristiche. In barba alle dichiarazioni di sostenibilità ESG (Environment, Social, Governance) di queste stesse banche.

Una prova per la legge antiterrorismo del 2016

La legge alla quale si appellano i querelanti risale al 1990 e permette alle vittime di terrorismo di ottenere un risarcimento per i danni ricevuti. Nel 2016 la legge è stata ampliata per consentire azioni legali contro individui, organizzazioni o Paesi che sostengono direttamente o indirettamente il terrorismo contro gli Stati Uniti.

Sebbene la legge consenta di citare penalmente in giudizio le banche che offrono consapevolmente servizi finanziari a soggetti illegali, i giudici sono generalmente restii a procedere su questi casi, specialmente se collegati al terrorismo. Gli indennizzi, infatti, potrebbero essere così ingenti da costringere gli istituti bancari a chiudere.

I “rapporti” di Deutsche Bank, Danske Bank e Standard Chartered con il terrorismo

L’azione legale si basa su ammonimenti pubblici provenienti dalle autorità statunitensi su aziende e persone collegate con reti terroristiche. The Mail on Sunday riferiva nel 2019 di un incontro tra un alto funzionario del dipartimento della Difesa e i dirigenti della Standard Chartered. Obiettivo: illustrare gli sforzi del governo degli Stati Uniti per bloccare la fornitura di fertilizzante ai terroristi per la produzione di bombe. Tra i fornitori figuravano infatti clienti della banca inglese.

Continua a leggere

Afghanistan: le donne che conosco

È una vera e propria strategia quella di abbassare tutte e tutti allo stesso livello, quello del pietismo, della lacrima e della commozione, così non ti preoccupi più di capire e fai solo elemosina

Marisa Guarneri, Erbacce – 5 settembre 2021

nardi burqa 2021 1024x731Oltre vent’anni fa con la Cadmi (Casa delle donne maltrattate di Milano) ho incontrato un gruppo di giovani operatrici della casa rifugio di Kabul, l’unico shelter del paese a quei tempi, super controllato e protetto, che accoglieva donne da tutte le città dell’Afghanistan. Facevano da tramite per noi le donne del Cisda (Centro sostegno donne afgane), legato a RAWA. Per una settimana, alla mattina facevamo lezioni e incontri, poi si pranzava insieme – loro mangiavano pochissimo, ricordo – e al pomeriggio facevamo esercitazioni. Raccontavano la loro pratica: stavano con le donne in fuga dalla violenza a lungo, anche per mesi, prima che si creasse la fiducia necessaria a uno scambio verbale, e fino a quel momento c’era solo un rapporto di sussistenza: mangiare dormire accudire bambine e bambine. Loro non forzavano assolutamente niente finché queste donne, questi corpi, non si avvicinavano e solo allora, dopo molto tempo, veniva fuori l’abbraccio, la lacrima anche senza parole.

Le donne afgane esistono

Le afgane sono donne libere che sfuggono all’oppressione sessista e sessuale, alla sharia che le vuole ridurre al silenzio. Non ci sono parole per definire donne coraggiose che salvaguardano ciò che hanno conquistato, mi incazzo per la semplificazione dei politici e dei media che parlano di clandestine come fossero tutte uguali.

Dopo gli anni ’70 entrare in clandestinità significa essere terroriste disponibili a usare le armi, mentre dire donne nascoste sembra una resa. In realtà molte sono attiviste, come le madres di Plaza de Mayo fondatrici di una democrazia in Argentina. Sono donne che lottano per esistere, minoranze disconosciute che riescono a ottenere dei risultati importanti per tutti.

I media e i politici occidentali cercano di interpretare le afgane secondo i nostri canoni, sfornando false verità e producendo danni molto forti. Quello che emerge è soprattutto emarginazione, povertà, vedove per strade senza cibo, divorziate, bambine vendute per avere soldi in famiglia… una fascia di miseria femminile che è reale ma non c’è solo questo!

Ci sono le donne che fanno impresa, le insegnanti, le giornaliste molto presenti, le studenti, le attiviste, e c’è la differenza tra città e campagna, perché quanto più ci si allontana dalla città tanto più le famiglie sono patriarcali e le donne stanno peggio.

Continua a leggere

La sfida delle donne al potere talebano

Un coraggio del genere. Le afghane non hanno atteso l’annuncio del nuovo governo per scendere in piazza, l’orientamento dei taleban è apparso chiaro quando sono state respinte dai luoghi di lavoro e le promesse di una possibile partecipazione femminile al governo sono state smentite

Giuliana Sgrena, Il Manifesto, 4 settembre 2021

04prima

L’illusione che i nuovi taleban fossero diversi dai vecchi è durata poco. Almeno nei confronti delle donne, vittime predestinate dei fondamentalisti islamici e dei loro regimi. Del resto le afghane lo hanno sempre saputo e provato.

E sulla propria pelle che i diritti se li devono conquistare e difendere. E così, coraggiosamente, decine di donne stanno sfidando gli studenti coranici in piazza, giovedì a Herat e ieri a Kabul e in altre zone del paese.

Le afghane non hanno atteso l’annuncio del nuovo governo per scendere in piazza, l’orientamento dei taleban è apparso chiaro quando le donne sono state respinte dai luoghi di lavoro e le promesse di una possibile partecipazione femminile al governo, secondo la sharia, sono state smentite: le donne potranno lavorare nelle istituzioni governative ma non ad alti livelli.

È stato Mohammad Abbas Stanikzai un leader taleban, in una intervista alla Bbc pashto, ad affermare che nel prossimo governo «potrebbe non esserci posto per le donne». E lo ha più autorevolmente confermato il portavoce dei taleban, Zabiullah Mujahid, riconoscendo il ruolo delle donne come infermiere o per altri lavori di cura, ai quali potranno dedicarsi «seguendo i comandamenti del Corano e sotto la legge della sharia, ma non come ministro». Un Corano e una sharia fatta su misura per i taleban, non essendo com’è noto la sharia una legge, ma un codice di comportamento che deve essere interpretato dalle diverse scuole giuridiche.

E comunque per ora le donne devono rimanere a casa «per motivi di sicurezza», questa giustificazione non è nuova, anche il burqa negli anni 90 lo dovevano portare per motivi di sicurezza. Una sicurezza che non impediva che le donne venissero frustate e lapidate. E allora, come avevamo constatato, non è stato facile per le donne, che avevano introiettato l’insicurezza predicata dai taleban, liberarsi dal burqa. Ma d’altra parte non sarà nemmeno facile per i taleban riportare le donne e tutti gli afghani al 1996.

Continua a leggere

Uniamoci alla resistenza delle donne afghane!

Il CISDA invita alla mobilitazione!

241438594 4218579171556274 6628295210122561080 n

COSTRUIAMO INSIEME UNA RETE MONDIALE DI DONNE RESISTENTI

Manifestazione sabato 11/9  alle 16

Milano, Arco della Pace

“Noi alzeremo la nostra voce ancora più forte e continueremo la nostra resistenza e la nostra lotta per la democrazia e i diritti delle donne!”

RAWA

L’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA e dei paesi NATO, fatta con il pretesto di sconfiggere il terrorismo e liberare le donne, è stata un gigantesco fallimento.

La guerra ha prodotto 241.000 vittime (https://watson.brown.edu/costsofwar/costs/human/civilians/afghan) e oltre 3,5 milioni di sfollati (https://news.un.org/en/story/2021/07/1095782).Oggi l’Afghanistan produce il 90% dell’eroina mondiale, la corruzione all’interno delle cosiddette istituzioni afghane ha raggiunto livelli spaventosi (l’Afghanistan è al 165o posto su 180 paesi nelle statistiche di Transparency International) e il paese ha pochissime e gravemente carenti infrastrutture, scuole, ospedali.

In questi 20 anni di occupazione militare gli USA hanno speso 2.300 miliardi di dollari, la Germania 19 miliardi di euro e l’Italia 8,7 miliardi di euro.

Continua a leggere

Chi ha messo il dito sul grilletto ai talebani

Il nuovo ordine. Washington a fine anno si ritira anche dall’Iraq lasciando la patata bollente a Nato e Italia. Biden lo ha detto chiaro: la priorità non è più il terrorismo ma la Cina.

Alberto Negri – L’antidiplomatico, 5 settembre 2021

720x410c50

L’ufficio contro-propaganda di un noto Paese non occidentale fa notare che i ragazzi di Kabul tengono il dito sulla canna del fucile, sfiorandola, senza mai toccare il grilletto. Sono stati addestrati, mi dice. Mentre qui in Occidente i media sottolineano il coraggio delle donne in piazza che protestano – bello il titolo de il manifesto di ieri -, ma c’è il rischio che glielo lascino fare i talebani che si annotano i nomi e le andranno a prendere una per una, casa per casa.
Mentre un atteggiamento ben diverso è quello con i giornalisti occidentali, per ora bene accolti (tranne le donne) mentre l’ufficio politico del Mullah Wasiq da Kabul afferma che presto l’Italia riaprirà la sua ambasciata. Staremo a vedere. È inutile comunque farsi illusioni, funziona così.

È IL NUOVO ORDINE TALEBANO – sia pure ancora magmatico e non definito del tutto politicamente – cui gli americani e gli occidentali, al di là dei pietismo ipocrita e delle lacrime da coccodrillo, hanno contribuito in maniera decisiva non volendo più combattere una guerra persa in partenza.
Uno degli aspetti più interessanti, fa notare un articolo del New York Times, è quello che si lasciano dietro gli americani. E non si sta parlando di idee, comportamenti, aspirazioni, tutto volato via con l’ultimo cargo militare decollato di notte dall’aereoporto Hamid Karzai. A differenza di quella dei sovietici sconfitti prima di loro nell’89, l’eredità lasciata dagli americani non è stata un paesaggio di scheletri di veicoli corazzati e carri armati.

HANNO LASCIATO ARMI e attrezzature sufficienti a rifornire i vincitori per anni: questo è il risultato di vent’anni e di 83 miliardi di dollari investiti nell’equipaggiamento e nell’addestramento dei militari e delle forze di polizia afghane. Tutto evaporato in poche settimane e passato ai vincitori.
C’è da chiedersi se questa pesante eredità bellica lasciata sul terreno fosse prevista anche dagli accordi di Doha. Perché se fosse così come appare, potremmo dedurre che gli attuali talebani hanno a che fare con gli americani molto più strettamente di quanto già immaginabile. Vero è che hanno negoziato per anni con gli Stati Uniti e che i rappresentanti americani, segretari di stato compresi e direttori della Cia, hanno avuto modo di trattare con loro in lungo e in largo.

Continua a leggere

I talebani si prendono l’Afghanistan

Se un simulacro di presunta nazione s’è liquefatto dal giorno alla notte, tutto era atteso da mesi

di Enrico Campofreda – Confronti – 1 settembre 2021

resize photo 1601526504956 83f02f6b212c copy

A Kandahar e dintorni i taliban sono rimasti a lungo nei lunghi venti anni di “trasformazione” del Paese. Di quella provincia hanno sempre avuto le chiavi di casa. Non solo per le ragioni affettive che li legano al mullah Omar originario dei luoghi, ma per una logistica che li ha visti entrare e uscire lungo la direttrice per Quetta, città della loro shura [consiglio, assemblea] che amano più di Kabul.

Nella capitale afghana erano giunti per la conquista del potere, in un Paese liberato dall’occupazione sovietica e caduto in un lacerante conflitto etnico, tribale, religioso, clanistico, affarista. Qui avevano combattuto i peggiori Signori della guerra locali, abilissimi nella resistenza a un’Armata Rossa tutt’altro che motivata, e comunque messa in ginocchio dalla sagacia di certi guerriglieri dipinti come “supereroi”.

Prendiamo Ahmad Massud, detto “il leone del Panshir”. Era amato non solo dai seguaci tajiki, la stampa internazionale lo carezzava con panegirici, interviste  alle quali si prestava sfoderando un impeccabile francese. Il glamour gli fu fatale. Nel settembre 2001 due kamikaze, spacciatisi per cameramen di un’emittente marocchina, lo fecero saltare per aria e s’immolarono.

Continua a leggere

Cosa rimane dell’Afghanistan dopo la guerra dei vent’anni

Domani – 6 settembre 2021

afghanistanI Talebani ora governano un paese con una popolazione giovane, in crescita e che ha raggiunto livelli di scolarizzazione mai toccati prima. Ma il paese è sempre più povero, con una economia fragilissima che dipende quasi totalmente dai finanziamenti occidentali e dagli aiuti umanitari

In Afghanistan i Talebani ora governano un paese con una popolazione giovane, in rapida crescita e che, grazie all’occupazione, ha raggiunto livelli di scolarizzazione mai toccati prima. Ma il paese è sempre più povero, con una economia fragilissima che dipende quasi totalmente dai finanziamenti occidentali e dagli aiuti umanitari.

I grafici in questo articolo offrono una radiografia delle condizioni attuali basata su alcuni indicatori fondamentali. Dalla questione demografica, con un’analisi dei cambiamenti sociali più rilevanti durante il ventennio passato, ad alcuni parametri economici essenziali per capire la situazione.

Continua a leggere

Il lessico della guerra che rimane

C’è la fuga da Kabul, ma i semi di un’altra guerra sono gettati. Sfilano le cannoniere davanti Taiwan per dimostrare a Pechino che la potenza americana c’è. Non se ne esce, essa è permanente: è una scia che data dagli anni Settanta ma che trova il suo fondamento nell’89

Tommaso Di Francesco, il Manifesto, 29 agosto 2021

nel testo soldati usa ap

Continua a leggere