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Autore: Anna Santarello

Salviamo Latifa Sharifi, l’avvocata per i diritti delle donne rimasta in Afghanistan

Articolo21.org – Cristina Perozzi – 21 agosto 2021

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Salviamo Latifa Sharifi, avvocata per i diritti delle donne rimasta in Afghanistan. Latifa Sharifi è l’avvocata di Hawca, storica associazione femminile afghana. Ha aiutato dozzine di donne afghane in fuga dalla violenza domestica. La sorella Atefa, che vive in America, ha condiviso una sua lettera «La speranza non muore mai, ma quando le persone muoiono, muore con loro».

Le telefonate intimidatorie («Smettila di corrompere le donne musulmane») e le sassate contro le finestre di casa l’hanno costretta negli anni a ridurre l’orario d’ufficio, a lavorare clandestinamente, a cambiare casa, ad un certo punto anche a rinunciare alla tessera da avvocato.

Nel 2017 le arrivò una lettera macchiata di sangue: «La prossima sarà scritta col sangue di tuo figlio».

Domenica scorsa Latifa è stata respinta dall’aeroporto, dove si era recata insieme a suo marito e ai figli.

Questo è il suo appello:

 «Sanno chi sono. Sono un’avvocata che ha lottato contro i talebani dal 2009.

Non mi preoccupo più solo per la mia vita, ma per i miei tre figli che meritano di vivere un’esistenza che non sia fatta solo di armi, cadaveri, sangue, abusi dei talebani su donne e bambini.

Ho svolto il mio lavoro ogni giorno, sperando di fare la differenza nelle vite delle donne e dei bambini. Sfortunatamente oggi fuggo per cercare di salvare me stessa. Non ho un luogo dove andare. Non so se le mie parole vi raggiungeranno. Ma in tal caso, vi prego di aiutarmi».

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Esuli afghani: il sogno di Karim

Enrico Campofreda dal suo Blog – 21 agosto 2021

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Karim parla fra gli altri afghani, in genere uomini, che si sono riuniti stamane in un angolo della romana piazza Esedra. Un centinaio fra singoli e famiglie della comunità afghana della capitale che hanno un punto di ritrovo nel quartiere popolare di Torpignattara. L’assemblea è un momento simbolico, volto a spezzare l’immobilismo e lo stesso individualismo che caratterizza la difficile esistenza del rifugiato o dell’immigrato.

Il disprezzo per la riconquista talebana è totale, il desiderio di aiutare i compatrioti è ampio. Seppure accompagnato da una sostanziale impotenza: perché al di là di futuri ‘corridoi umanitari’ essi stessi contingentati, chi oggi trova posto sui voli predisposti dal Ministero degli Esteri e della Difesa italiani, sono i beneficiari d’un lasciapassare concesso solo a chi ha lavorato con le strutture occidentali.

La motivazione è esplicita: costoro e i familiari rischiano ritorsioni, si dice già iniziate. Ma gli altri? A chi vorrebbe andar via dal nuovo regime e non può farlo in aereo, restano ancora una volta, come trenta e venti anni or sono, le fughe della speranza simili a quella narrato da Ali Eshani, un ex bambino e poi giovane che la sua vicenda, un viaggio durato tre anni, attraverso Iran, Turchia, Grecia nel cui mare ha perduto il fratello maggiore, l’ha narrata in un libro di successo: Stasera guardiamo le stelle, Feltrinelli.

Eccolo il tema dei profughi afghani che in Occidente giungono dai tempi della terribile guerra civile dei primi anni Novanta. Cercare soluzioni individuali: uno su mille ce la fa, come indica la rotta balcanica degli ultimi tempi e chi la segue dappresso come l’associazione Linea d’Ombra di Trieste, che s’è trovata perseguitata dalle leggi vigenti. Gli attivisti Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, sono accusati di ospitare clandestini. Lì dove gli afghani sono più numerosi: in Francia, di cui l’Office Français de protection des rèfugiés et apatrides offre dati che li indicano quale maggiore comunità beneficiaria di diritto d’asilo (oltre 33.000 presenze), mentre problemi di sistemazione logistica e lavorativa si risolvono pure, quelli sul futuro dell’agognato Paese restano marchiati dal passato. 

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Afghanistan, Nahal e le sue sorelle fuori dall’aeroporto: «Eravamo in lista di evacuazione ma i talebani ci hanno frustato»

27esimaora.corriere.it – Marta Serafini – 21 agosto 2021

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«Da un lato c’erano i talebani che ci frustavano e ci insultavano, dall’altro i soldati americani che se ne stavano dall’alta parte del muro a guardare senza fare niente». Nahal — che pochi giorni fa al Corriere raccontava di essersi nascosta insieme alla sorella per paura delle liste dei talebani in cui vengono inserite le donne single — non ha dormito tutta la notte e ora è sotto choc, demoralizzata ed esausta. 

Sono le quattro di venerdì notte quando la giovane si muove dalla casa dove si è nascosta. L’obiettivo è raggiungere l’aeroporto di Kabul per salire sul volo di evacuazione organizzato dalla nostra ambasciata. Nahal è una ex dipendente della cooperazione italiana. Con lei, anche le sue tre sorelle. Una di loro, Amina, è incinta all’ottavo mese. Sono quattro donne giovani, tre di loro sono senza marito, giovani, indipendenti. Hanno lavorato con gli stranieri. Devono uscire dal Paese subito. Perché ogni minuto passato a Kabul le avvicina alla morte.

«Siamo partite verso le quattro. Ci avevano detto che dovevamo trovarci vicino all’ingresso principale». A convincerla, la comunicazione dell’ambasciata italiana che il suo nome e quello delle altre era nelle liste di evacuazione. «Quando è arrivato il messaggio siamo scoppiate a piangere dalla gioia». A Nahal e le sue sorelle — come a tutte le persone nella loro stessa situazione — viene spiegato che devano raggiungere l’Hamid Karzai Airport da sole. Le forze straniere non controllano più la città e possono assicurare la protezione solo all’interno dell’aeroporto. A fare da ponte associazioni e gruppi che tentano in queste ore di portare fuori le donne più vulnerabili. 

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L’ingerenza dell’Occidente ha causato la tragedia afghana

Greenleft.org.au Pip Hinman e Shayaan 21 agosto 2021 

Intervista di Pip Hinman, della testata giornalistica australiana “Geen Left”, con Shayaan, membro del Partito di Solidarietà dell’Afghanistan (Solidarity Party of Afghanistan, SPA).

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L’Occidente ha occupato l’Afghanistan quasi 20 anni fa dicendo di volere fermare i terroristi e portare la democrazia. Ora, non appena le truppe occidentali hanno lasciato il Paese, i talebani hanno preso il sopravvento. Come siamo arrivati a questo?

Il 7 ottobre 2001, il governo degli Stati Uniti, insieme ad altri criminali Paesi della NATO, ha iniziato ad attaccare l’Afghanistan e a lanciare bombe sul nostro popolo, con la scusa di portare la democrazia, di difendere i diritti delle donne e condurre la lotta al terrorismo.

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Afghanistan, in UE poche migliaia di richiedenti asilo, nel Paese 550 mila nuovi sfollati

Viedifuga.org – 19 agosto 2021

EASO 8 2021 1024x672Nei giorni in cui l’Occidente “scopre” il disastro geopolitico e umanitario afghano, i nuovi dati EASO che abbracciano ormai tutto il primo semestre 2021 segnano + 55% dei richiedenti asilo in Europa fuggiti dal Paese centro-asiatico. Aumentati della metà in un solo mese anche i minori non accompagnati afghani. Ma tra gennaio e ferragosto, ai 2,9 milioni di sfollati presenti a fine 2020 in Afghanistan se ne sono aggiunti altri 551 mila. Mentre in Iran entrano oggi in modo “irregolare” 5.000 afghani al giorno.

Un quinto in più: è l’aumento di richiedenti asilo in un solo mese contati dall’EASO nel territorio dell’UE “allargata” (l’Unione a 27 Paesi con Svizzera e Norvegia): a maggio erano stati circa 37.900, a giugno sono diventati 46.300. Questo dato di giugno si colloca ai livelli più elevati dopo lo scoppio della pandemia di COVID-19, all’inizio del 2020, e tuttavia, ancora una volta, al di sotto dei livelli pre-pandemici.

Nei giorni in cui l’occidente “si accorge” del disastro geopolitico e umanitario afghano, colpisce il netto aumento di richiedenti protezione fuggiti da questo Paese e che ce l’hanno fatta a varcare i confini dell’UE: 6.000 solo nell’ultimo mese, + 55% rispetto all’inizio dell’anno, anche se nelle serie statistiche mensili dell’EASO l’Afghanistan si trova regolarmente fra i primi tre Paesi produttori di uomini, donne, ragazzi e bambini in fuga almeno dal 2014. 

A giugno, fra i 6.000 afghani si contano ben 1.011 minori non accompagnati, cresciuti della metà rispetto a maggio (quando si erano contati “solo” 683 fra bambini e ragazzi): nel complesso è afghano un non accompagnato su tre.

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La fuga da Kabul apre una nuova crisi umanitaria

Internazionale.it – The Economist – Regno Unito – 20 agosto 2021

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Quando nel marzo del 1975 cominciò l’evacuazione di Saigon, l’ipotesi di ricorrere agli aerei fu rapidamente abbandonata: usare le piste sotto il fuoco dell’artiglieria era troppo difficile. In alternativa gli statunitensi usarono gli elicotteri per portare persone dalla capitale sudvietnamita alle portaerei nel mar Cinese meridionale. A Kabul, senza sbocchi sul mare, il governo statunitense, che sta tentando di portare via i propri cittadini e gli afgani che hanno lavorato per gli Stati Uniti, non ha questa opzione. Perciò le scene trasmesse in tutto il mondo dall’aeroporto della città il 15 e 16 agosto non erano quelle di elicotteri che portavano le persone in salvo, ma quelle di un elicottero Apache che volteggiava basso sulla pista per scacciare via la calca di afgani disperati in modo da permettere agli aerei di decollare. L’immagine che sarà ricordata è quella di un velivolo da trasporto dell’aeronautica che decolla con alcuni afgani aggrappati al carrello di atterraggio, dal quale precipiteranno perdendo la vita. 

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AFGHANISTAN, SHENGAL, DONNE, RIVOLUZIONE: INTERVISTA A EDDY MARCUCCI. L’ESPIERENZA DI “RAWA” E DEL CISDA.

Radiondadurto.org – 20 agosto 2021

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Il protagonismo della popolazione afghana, soprattutto femminile,resiste: lo ha fatto durante gli anni (anzi, i decenni) dell’occupazione occidentale e intende continuare a farlo ora, nonostante le drammatiche difficoltà di queste ore, con il ritorno al potere dei talebani.

Di protagonismo dal basso abbiamo parlato con Eddi Marcucci, già internazionalista con le Ypj in Rojava e Siria del Nord, che nella serata di giovedì 19 agosto ha realizzato una diretta Instagram per diffondere la voce di Rawa, Associazione rivoluzionaria delle donne afghane,diffusa in Italia grazie alle attiviste del Coordinamento italiano per il sostegno alle donne afghane (Cisda), “una fonte di importante critica – ha scritto Davide Grasso recentemente sul blog del Fatto Quotdiano) verso la presenza nei governi di Amid Karzai e Ashraf Ghani, sostenuti dalla Nato, di molti di quei leader tribali e religiosi oscurantisti (pur estranei al gruppo dei Talebani) contro cui il movimento si batte da decenni. 

Le donne del movimento hanno anche fatto notare come l’applicazione dei diritti all’istruzione e al lavoro per le donne riconosciuti formalmente in questi anni spesso sia rimasta sulla carta: come cambiare i comportamenti concreti delle persone se chi governa continua a lanciare messaggi misogini e tradizionalisti alla popolazione?”

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IL KJK ESPRIME SOLIDARIETÀ ALLE DONNE E AI POPOLI AFGHANI

Retejin.org 19 agosto 2021

In quanto donne del Kurdistan, chiediamo a tutte le donne, specialmente le donne del Medio Oriente, di schierarsi in solidarietà con le nostre sorelle in Afghanistan, di amplificare le loro voci e di difendere le loro vite, conquiste e sogni.

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Il Comitato per le relazioni e le alleanze democratiche del KJK (Comunità delle Donne del Kurdistan) ha rilasciato un comunicato lunedì esprimendo solidarietà alle donne e ai popoli in Afghanistan. Il comunicato è il seguente:

“In Afghanistan, che per decenni è stato il teatro di guerre “proxy” [per procura, si intende tra attori che agiscono per conto d’altri, ndt], il potere è stato lasciato in mano ai misogini Talebani come risultato di sporche politiche delle potenze globali egemoni. Questa situazione, che ha causato grande rabbia e frustrazione tra le donne e i popoli in Afghanistan e in tutto il mondo, ha rivelato ancora una volta la seguente verità: non c’è altro potere su cui possiamo contare oltre all’auto-potere, all’autorganizzazione e all’autodifesa. Ciò che è accaduto in Afghanistan ieri ha messo in mostra molto chiaramente l’ipocrisia degli Stati occidentali. Le potenze NATO hanno chiaramente dimostrato che, per loro, valori come la democrazia, la libertà e i diritti delle donne erano meramente strumenti per trovare una scusa per le loro sporche politiche. Quelli che hanno cercato di legittimare la loro occupazione con “i diritti delle donne” vent’anni fa ora lasciano le vite di milioni di donne alla mercé dei Talebani. 

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Le radici politico-ideologiche del disastro afghano

Micromega.net  Davide Grasso 18 agosto 2021

La sconfitta statunitense è politica e il giudizio che la riguarda non può astenersi dall’interrogare l’identità ideologica stessa e il ruolo storico degli Stati Uniti. 

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Biden si è rivolto al popolo statunitense – che non ama (ammettere) le sue (continue) sconfitte – solleticando sentimenti sottilmente «suprematisti»: siete sicuri, ha chiesto, che vorreste combattere per persone che (sottinteso: a differenza vostra) non sono in grado di difendere il proprio paese? Potrebbe essere la stessa cosa che si sono chiesti i soldati afghani – d’elite o regolari – che si sono in effetti battuti e hanno perso la vita in questi giorni in molte battaglie sparse e disperate, lasciati soli da alti comandanti, governatori e presidenti locali e stranieri. Prima di ridurre a materiale propagandistico delle persone cui vent’anni fa era stato promesso un futuro luminoso (il “nation building” che ora Biden rinnega), bisognerebbe chiedersi perché si è arrivati, senza particolari sorprese, a questo punto.

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La missione italiana in Afghanistan. Considerazioni a margine di un fallimento

Volerelaluna.itMonica Quirico 16 agosto 2021

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In questa estate semi-apocalittica – tra alluvioni, incendi e rigurgiti neo-oscurantisti – la morte di Gino Strada, concomitante alla definitiva rivincita talebana, chiude simbolicamente il cerchio di quel capolavoro al contrario che sono state le missioni internazionali in Afghanistan dal 2001 a oggi. Chi adesso celebra il fondatore di Emergency come una sorta di santo laico (!) lo liquidava con fastidio quando, vent’anni fa, disarticolando la retorica “umanitaria” dell’intervento occidentale, profetizzava che esso avrebbe solo esasperato la situazione.

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