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Autore: CisdaETS

Premio Internazionale per i Diritti Umani Daniele Po alle coraggiose e invisibili donne afghane

CISDA, Pressenza, 31 ottobre 2024

Come si fa a ottenere l’interesse e l’attenzione dei nostri ragazzi e adolescenti che sono abituati ad avere sempre a portata di mano e senza fatica il mondo intero attraverso i social? Come interessarli a conoscere la quotidiana, difficile e dolorosa realtà fatta di violenza e povertà in cui si vive in molte parti del mondo e da cui cerchiamo gelosamente di preservarli?

Si fa come a Cento, piccolo paese vicino a Bologna che ha invitato una donna afghana che vive sotto l’oppressivo regime talebano a raccontare la sua fatica quotidiana di resistenza al farneticante governo fondamentalista dell’Afghanistan, che vede nelle donne l’origine di tutti i mali e cerca di annientarle in tutti i modi. E’ Shakiba, che non è scappata dopo che sono se ne sono andati frettolosamente gli Usa, la coalizione occidentale e il governo repubblicano in carica, ma ha invece scelto di resistere in Afghanistan lavorando clandestinamente per aiutare il suo popolo affamato e oppresso e in particolare le donne.

E’ un’attivista di Rawa, Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, organizzazione femminista che lotta dal 1977 contro il fondamentalismo e l’oscurantismo religioso. In questo periodo Shakiba è in Europa grazie al sostegno della nostra associazione, il Cisda, che da 25 anni appoggia finanziariamente e politicamente Rawa proprio per sensibilizzare il nostro ricco mondo sulla grave situazione in cui versa il popolo afghano e le donne in particolare.

Il 24 ottobre all’incontro c’erano ben 320 studenti delle scuole superiori ad ascoltare il racconto appassionato e appassionante di Shakiba sulla storia degli ultimi vent’anni del suo Paese. Racconto che è stato accolto da molto interesse e numerose domande profonde e personali degli studenti, che hanno avvolto Shakiba in un abbraccio che l’ha resa felice. Lei ha concluso con la richiesta esplicita di stare vicino alle ragazze e ai ragazzi afghani attraverso messaggi di solidarietà sui social, comunicazione molto usata anche in Afghanistan.

Nel pomeriggio, nell’auditorium di una palazzina adibita a biblioteca e centro per le associazioni, ci aspettavano i Consigli comunali dei ragazzi di Pieve di Cento e Castello d’Argile. Qui i ragazzi dai 10 ai 13 hanno costituito un consiglio comunale retto da un sindaco e un vicesindaco di sesso opposto sul modello del Rojava, che si riunisce una volta al mese per discutere e fare proposte ai Consigli comunali delle loro città.

In questo incontro sono stati i ragazzi a condurre il racconto di Shakiba, che ha risposto direttamente alle loro domande, così che i ragazzi hanno potuto entrare subito nel merito delle questioni che più suscitavano il loro interesse.

Ma il cuore della manifestazione è stato il 19 ottobre, quando Shakiba ha ricevuto l’invito a partecipare a una speciale manifestazione, il Premio Internazionale per i Diritti Umani Daniele Po. Ogni anno il Premio

coinvolge la città metropolitana di Bologna insieme a Cento e a Pieve di Cento e “conferisce un riconoscimento a personalità femminili che, a livello nazionale e internazionale, si siano particolarmente distinte nella difesa e nella promozione dei diritti umani”. Nel 2024 il comitato scientifico del Premio, giunto alla 16° edizione, ha designato come vincitrice RAWA” perché “con azioni concrete di sostegno educativo, sanitario, giornalistico e di inchiesta, le attiviste di RAWA sono in prima linea a rischio della loro incolumità, contro il terrorismo e la misoginia, organizzando corsi di alfabetizzazione, istruzione e assistenza sociale con progetti economici, sanitari e di generazione di reddito”. Una manifestazione molto partecipata e commovente organizzata da Nedda Alberghini e suo marito Fortunato Po, unitamente all’associazione Strade con Alessandro Mazzini.

Shakiba è stata invitata a ritirare il premio, ma si è sottolineato che questo non va solo a lei, ma a tutte le coraggiose donne afghane. “Non una sola donna premiata, ma migliaia di coraggiose e invisibili donne afghane” è stato lo slogan della manifestazione, sottolineando così che il peso della resistenza al governo talebano non ricade solo su alcune donne dal comportamento eroico, ma è invece vissuto ogni giorno da tutte le donne afghane vittime dell’ossessione misogina e fondamentalista.

Afghanistan, Shakiba: “I Talebani hanno paura delle donne”

Luce! La Nazione, 30 ottobre 2024

Shakiba, esponente della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (Rawa), non ha dubbi: “La condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei talebani, il 15 agosto 2021, è diventata critica e caotica. Il punto è che ai talebani fanno paura le donne che alzano la voce“. L’attivista torna quindi a puntare i riflettori su una situazione, quella femminile in Afghanistan, che definire drammatica è riduttivo.

Shakiba, di cui non conosciamo il cognome e l’aspetto per questioni di sicurezza, è stata intervistata dall’agenzia Dire dopo la sua partecipazione a un panel nell’ambito del Festival Sabir a Roma, dedicato alla campagna internazionale che chiedere alle Nazioni Unite di aggiungere il reato di apartheid di genere tra i crimini contro l’umanità. L’attivista spiega le ragioni per cui l’Afghanistan è tra i Paesi simbolo per testimoniare la gravità di questo reato: “Alle donne è stato portato via tutto: il loro lavoro, la loro professione, la possibilità di accedere alle università e di andare a scuola. Non possono neanche andare nei parchi o nei bagni pubblici e devono viaggiare solo se accompagnate da un familiare maschio”, afferma.

Vietato parlare ad alta voce

L’ultimo affondo ai diritti femminili, già ridotti all’osso, è stata la dichiarazione del ministro per la Promozione delle virtù e la prevenzione dei vizi, Mohammad Khalid Hanafi, secondo cui alle donne è vietato recitare ad alta voce preghiere o versetti del Corano in casa, davanti ad altre donne adulte. “Se non possono pregare ad alta voce – ha detto il politico – come possiamo pensare che possano cantare?”. L’applicazione delle nuove norme, ha chiarito il ministro, “sarà implementata gradualmente”. Affermazioni che hanno scatenato una nuova ondata di critiche e polemiche a livello internazionale, soprattutto da associazioni per i diritti umani. Sebbene il ministro si riferisca alla preghiera, la sensazione è che il provvedimento si sommi alle disposizioni di agosto, secondo cui le donne non possono parlare ad alta voce in pubblico e mostrare il viso fuori delle mura domestiche.

L’emittente televisiva Amu Tv cita la testimonianza di Samira, un’ostetrica di Herat, secondo cui “negli ultimi mesi i controlli da parte dei talebani si sono intensificati. Non ci permettono di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”. Inoltre, alle donne è consentito studiare solo fino ai 12 anni. Un’altra testata locale, Tolo News, riporta i commenti seguiti alle dichiarazioni di Hanafi da parte di alcuni teologi che incoraggiano, invece, il governo di Kabul a permettere alle donne di studiare, evidenziando che il Corano lo consente, e che andrebbe a beneficio dell’intera società. Il discorso dell’esponente di governo, inoltre, è stato diffuso in formato audio perché la scorsa settimana il ministero ha adottato un decreto che vieta la trasmissione televisiva di immagini di esseri umani.

Le prime a resistere e a scendere in piazza contro i talebani

Shakiba riferisce di una realtà in cui “le donne che hanno provato a resistere alle decisioni dei talebani sono state torturate, arrestate, incarcerate, persino uccise. Ci sono così tante storie di donne picchiate a morte o scomparse. Coloro che avevano impieghi in polizia, nelle istituzioni di governo o all’interno delle ong sono state arrestate e spesso uccise segretamente. Le famiglie non hanno mai riavuto i corpi”. Questo ha costretto moltissime persone a lasciare il Paese, “soprattutto le donne – prosegue l’esponente di Rawa – perché non si può vivere in un paese guidato da fondamentalisti contrari al progresso, ai diritti umani e alla pace”. L’accanimento dei talebani contro le donne, secondo Shakiba, dipende dal fatto che “sono state le prime a resistere e scendere in piazza a Kabul per protestare contro il loro ritorno”. E spiega: “Nei 20 anni precedenti, avevano visto i talebani bombardare le case della gente comune e farsi esplodere negli ospedali, nelle scuole, o nei luoghi frequentati da donne e bambini. Le afghane sanno che i talebani hanno paura di loro, delle loro proteste, della loro istruzione, della loro coscienza politica”.

Le responsabilità occidentali

L’esponente della Rawa cita anche le responsabilità della presenza Nato a guida americana in Afghanistan: “Dopo 20 anni l’Occidente ha deluso gli afghani perché ha lasciato che i talebani tornassero al potere. Gli Stati Uniti hanno invaso e occupato il mio Paese con la scusa di combattere il fondamentalismo terrorista e liberare le donne, ma non hanno mai smesso di dare armi e milioni di dollari al peggior gruppo fondamentalista al mondo. Perché – si chiede Shakiba –. Washington e i suoi alleati non hanno sostenuto le forze democratiche e progressiste che davvero volevano il cambiamento? È stata una scelta politica sbagliata, che dura da oltre 40 anni”.

Pertanto, l’attivista denuncia: “Si parla di portare i talebani davanti alla Corte penale internazionale, bene, ma non deve restare su carta, deve essere fatto”. All’Europa e soprattutto all’Italia – che ad agosto ha nominato Sabrina Ugolino nuova ambasciatrice d’Italia in Afghanistan, che sarà operativa da Doha – chiede: “Supportate i movimenti come il nostro, ma anche tutti i movimenti politici di donne che stanno soffrendo le violenze, come quelle in Siria, facendo pressioni sui vostri governi e politici affinché taglino ogni sostegno ai fondamentalisti”. Infine, un cenno alla componente maschile della società afghana: “Ci sono tanti uomini dalla mentalità aperta, istruiti, democratici, che si oppongono all’oppressione subita dalle donne. Attraverso i social media si sono attivati in tanti modi, perché pubblicamente rischiano troppo: ai cortei indetti dalle donne, i talebani infatti sparano in aria per disperderle, ma se vedono degli uomini, gli sparano contro. Pensiamo che dovrebbero unirsi e alzare la voce tutti insieme. Se l’Afghanistan vuole cambiare, dobbiamo sollevarci tutti“.

La Turchia bombarda Shengal, il distretto degli ezidi

Contropiano, 31 ottobre 2024, di Carla Gagliardini

Giorni fa era stata annunciata la possibilità di apertura di un dialogo tra il governo turco e il leader curdo del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), Abdullah Ocalan, che da venticinque anni è sepolto nell’isolamento dell’isola carcere di massima sicurezza di Imrali. Recentemente suo nipote Omer Ocalan, deputato del DEM (Partito della democrazia e dell’uguaglianza), ha potuto visitarlo dopo quasi quattro anni in cui a chiunque è stato impedito non solo di accedere a Imrali, ma anche di parlare con il leader curdo. Neppure i suoi avvocati hanno potuto conferire con il loro cliente per tutto questo tempo.

Il 23 ottobre, giorno dopo l’annuncio, è arrivata la notizia di un attacco in Turchia all’industria TUSAS, che produce armamenti militari, dove hanno perso la vita cinque persone e ne sono state ferite ventidue. L’attentato è stato rivendicato dal PKK e questo è servito al governo turco di Erdogan per lanciare diverse operazioni militari, che hanno colpito il Rojava, in Siria, e il distretto di Shengal, in Iraq. Entrambe queste zone sono costantemente prese di mira da Ankara che considera le esperienze in corso del confederalismo democratico, paradigma politico di cui Ocalan è l’ideatore, una minaccia alla sua sicurezza nazionale e territoriale, nonostante il PKK abbia abbandonato da più di vent’anni il progetto politico di costruzione di uno stato curdo indipendente.

Perché bombardare il Rojava e Shengal? Queste due regioni sono considerate dalla Turchia dei presidi del PKK e quindi entrano nella lista nera dei nemici da colpire militarmente. La pratica del confederalismo democratico, con la costruzione di amministrazioni autonome, inquieta la Turchia che è già costretta a fare i conti al suo interno con i sostenitori di questo paradigma e con le amministrazioni a guida curda che lo stanno adottando, che il governo reprime duramente.

Tuttavia, nel distretto di Shengal la popolazione che ha deciso di appoggiare l’Amministrazione Autonoma si dichiara indipendente dal PKK, nonostante il forte riconoscimento nei suoi confronti per averla protetta e salvata dagli jihadisti dell’Isis durante l’attacco genocida del 2014.

Sebbene non vi sia la presenza del PKK nella zona, ritiratosi nel 2018, la Turchia accusa le unità di resistenza ezide, YBS e YJS, di essere affiliate al suo nemico e le considera obiettivi militari.

La popolazione ezida è ancora provata dall’occupazione dell’Isis durata dal 2014 al 2017, la quale ha generato un esodo di circa il 70% della sua gente, abusi perpetrati dagli jihadisti e dai loro sostenitori sulle donne rapite e sui bambini, trasformati in soldati del Califfato, tanti lutti, una emigrazione imponente, la permanenza di decine di migliaia di famiglie nei campi profughi con poche prospettive di una vita dignitosa, la carenza di servizi e infrastrutture a Shengal, dove circa un terzo degli sfollati ha fatto ritorno. I bombardamenti turchi peggiorano lo scenario.

L’obiettivo della Turchia è rendere Shengal un luogo non sicuro per gli ezidi, scoraggiando quelli che ancora si trovano nei campi profughi a non rientrare.

Diversi stati occidentali hanno riconosciuto il genocidio del 2014 (Germania, USA, Regno Unito, Olanda, Belgio, Australia, Canada e anche il Parlamento Europeo), considerandolo un atto dovuto davanti alla violenza di un nemico comune che minacciava i valori occidentali e le sue società con attentati che hanno fatto molte vittime e feriti. Nonostante questo, il popolo ezida è lasciato da solo davanti a giganti come la Turchia. Quando la comunità internazionale ha deciso di intervenire l’ha fatto patrocinando politiche preconfezionate, che hanno escluso dal tavolo delle negoziazioni gli attori principali, ossia i rappresentanti delle comunità ezide. Questo è quanto ha fatto la missione dell’ONU in Iraq, l’UNAMI, che nell’ottobre del 2020 ha supervisionato un accordo tra Baghdad e Erbil senza interessarsi di cosa pensassero i destinatari di quella trattativa, cioè gli ezidi, i quali non sono mai stati interpellati, in nessuna fase e a nessun livello.

Dopo aver colpito la Siria giovedì scorso, causando 27 morti tra i civili, la Turchia si è poi diretta il giorno dopo sul distretto di Shengal. Le notizie del risultato degli attacchi che sono arrivate dalla zona sono: 16 attacchi con aerei militari, 4 attacchi con droni, 6 luoghi militari colpiti, 2 case distrutte, danneggiamento di due dei luoghi sacri ezidi, il tempio di Per Hasan Maman e quello di Chelmera, entrambi sul Monte Shengal, 2 macchine della municipalità distrutte, 2 serbatoi d’acqua della municipalità distrutti, 1 camion distrutto e soprattutto 8 persone uccise, di cui due civili, una donna e un bambino, a cui si aggiungono 6 feriti nelle YBS.

Gli eroi curdi del Rojava, così erano definiti durante la loro straordinaria lotta contro l’Isis, di cui è impossibile dimenticare il ruolo delle donne curde organizzate nelle YPJ, le quali con il loro coraggio hanno fatto battere molti cuori tra chi si riconosceva in quella lotta di liberazione, e gli ezidi, il popolo da salvare dal barbaro nemico jihadista, oggi vengono entrambi attaccati da un paese della Nato nella sostanziale indifferenza degli alleati. Quando torneranno ad essere utili è molto probabile che qualche paese ricomincerà a pensare a loro.

Talebani, mini divisione ma niente emancipazione

Corriere della sera, 28 ottobre 2024, di Marte Serafini

Il divieto di pubblicare immagini che raffigurino esseri viventi ha creato dibattito, ma senza conseguenze sul miglioramento sui diritti in Afghanistan

Tra le decine di editti restrittivi imposti dai talebani dal 2002 a oggi, ce n’è uno che sta facendo discutere gli afghani più di altri. Si tratta del divieto di pubblicare immagini che raffigurino esseri viventi. Come sottolinea Célia Mercier, responsabile per l’Afghanistan di Reporter senza frontiere (RSF), «sembra che il leader supremo», l’invisibile emiro Hibatullah Akhundzada, «e i suoi alleati a Kandahar», il suo bastione meridionale, «vogliano applicare la politica talebana degli anni ‘90». Questa ulteriore spinta oltranzista mette a rischio i già vessati e pochi giornalisti afghani. 

Ci sono però fazioni dei talebani che frenano: nell’era dei social network e dei cellulari, molti di loro ricorrono alle immagini per farsi conoscere. È il caso del potente Sirajuddin Haqqani, vice di Akhundzada, che di recente ha rilasciato una rara intervista al New York Times corredata da un suo ritratto. Il titolo dell’articolo, contestato da molti, era «Può quest’uomo salvare le donne afghane?». La risposta — lo scrive lo stesso New York Times — è no. Ad Haqqani non interessa certo la parità di genere. È semplicemente più attento di Akhundzada alle relazioni pubbliche e sa che la questione femminile rischia di isolare completamente il regime. Questo quadro conferma un dato già noto: i talebani non sono uniti al loro interno. Esistono allora delle crepe nel governo di Kabul nella quale la comunità internazionale, se vuole, si può inserire per tentare di salvare gli afghani. Donne o uomini.

La Turchia di Erdogan colpisce i curdi senza badare alle obiezioni di Russia e USA

      InsideOver, 27 ottobre 2024 Giuseppe Gagliano

L’attacco aereo della Turchia contro postazioni del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in Siria e Iraq rappresenta un’ulteriore escalation nella lunga guerra tra lo Stato turco e le forze curde, una lotta che ha implicazioni profonde non solo per la politica interna turca ma anche per la stabilità della regione.

L’operazione turca, avvenuta in risposta all’attentato di Ankara che ha colpito l’azienda aereospaziale Tusas, mostra come la Turchia utilizzi una strategia di forza militare proiettata oltre i propri confini per contrastare la minaccia del PKK, considerato da Ankara e da diversi alleati occidentali come un’organizzazione terroristica. Il bombardamento di almeno 32 obiettivi e l’eliminazione di numerosi combattenti del PKK dimostrano la determinazione del Governo turco a neutralizzare qualsiasi forma di dissidenza curda, non solo entro i propri confini ma anche nelle aree dove il PKK ha basi operative, come il Nord dell’Iraq e la Siria Nord-orientale. Politicamente, questo attacco si inserisce in una strategia più ampia del presidente Recep Tayyip Erdogan, che da anni cerca di consolidare il consenso interno attraverso una politica di sicurezza rigida, facendo leva sulla percezione della minaccia curda per rafforzare il nazionalismo turco.

A livello internazionale, le azioni della Turchia suscitano tensioni con le forze curde presenti in Siria, che sono sostenute dagli Stati Uniti nella loro lotta contro lo Stato Islamico. Tuttavia, queste stesse forze curde sono viste da Ankara come una minaccia esistenziale a causa dei legami con il PKK. La complessità della situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che la Siria e l’Iraq, già indeboliti da anni di guerra civile e da instabilità politica, non sono in grado di controllare completamente il proprio territorio, offrendo al PKK un rifugio sicuro per organizzare operazioni contro la Turchia. Militarmente, l’operazione turca dimostra la capacità di Ankara di condurre operazioni a lungo raggio e di colpire obiettivi con precisione, rafforzando il messaggio che la Turchia non tollererà alcuna attività ostile da parte del PKK, indipendentemente dalla localizzazione geografica delle sue basi.

Tuttavia, tali azioni rischiano di alimentare ulteriormente le tensioni in una regione già estremamente volatile, con il rischio di destabilizzare ulteriormente le relazioni tra la Turchia e i suoi vicini, così come con i partner internazionali, inclusi gli Stati Uniti e la Russia. In questo contesto, la campagna militare turca potrebbe anche generare critiche da parte di organizzazioni internazionali per il suo impatto sui civili e per le potenziali violazioni del diritto internazionale, ma Ankara sembra determinata a portare avanti la sua strategia senza tenere conto delle pressioni esterne.

Apartheid di genere alla Corte internazionale di Giustizia: reazioni online

Il caso della Corte internazionale di giustizia contro i talebani innesca campagne sui social media da parte sia dei sostenitori che dei critici

Afghan Witness, 9 ottobre 2024

Il 25 settembre 2024, il Guardian  è stato informato che Canada , Australia , Germania e Paesi Bassi  intendono presentare una causa alla Corte internazionale di giustizia (ICJ) contro i talebani per discriminazione di genere, ai sensi della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), ratificata dall’ex governo afghano nel 2003.    

Si prevede che l’Afghanistan, sotto i talebani, avrà sei mesi per rispondere prima che la Corte internazionale di giustizia tenga un’udienza e proponga potenzialmente misure provvisorie. I sostenitori ritengono che anche se i talebani respingessero l’autorità della corte, una sentenza della Corte internazionale di giustizia contro il gruppo potrebbe dissuadere altri paesi dal normalizzare le relazioni con loro.

Gruppi anti-talebani tra cui il National Resistance Front ( NRF ), l’Afghanistan Freedom Front ( AFF ) e il National Resistance Council for the Salvation of Afghanistan ( NRCSA ), nonché attiviste per i diritti delle donne afghane , hanno accolto con favore l’ iniziativa  di chiedere conto ai talebani in merito ai diritti delle donne.       

In risposta al rapporto, il vice portavoce dei talebani Hamdullah Fitrat ha respinto le accuse di discriminazione contro le donne come infondate in un post del 26 settembre 2024  su X (ex Twitter), che è stato successivamente ripubblicato dal portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid. 

Il post di Fitrat recita: “L’accusa di alcuni paesi contro l’Emirato islamico dell’Afghanistan per violazioni dei diritti umani e discriminazione di genere è assurda. In Afghanistan, i diritti umani sono protetti e nessuno è discriminato. Sfortunatamente, sono in corso tentativi di diffondere propaganda contro l’Afghanistan basata su false informazioni da parte di alcune donne e far apparire la situazione sbagliata”.

Gli account pro-talebani su X hanno risposto alla notizia della causa lanciando una campagna volta a promuovere la narrazione dei talebani, mentre screditavano o minimizzavano le affermazioni sulla privazione dei diritti delle donne in Afghanistan sotto il governo dei talebani. AW ha esaminato i post di vari account pro-talebani tra il 25 settembre e il 1° ottobre 2024, per analizzare la loro risposta alla questione.

Diversi account pro-talebani con migliaia di follower hanno pubblicato video di donne afghane che lavorano sia nel settore pubblico che in quello privato, tra cui poliziotte  e imprenditrici , per dimostrare che le donne non erano del tutto assenti dal sistema. Hanno anche condiviso un video  del vice primo ministro Mawlawi Abdul Kabir, dell’agosto 2024 , in cui sostenevano che 85.000 donne erano attualmente impiegate nei settori della sanità, dell’istruzione e della sicurezza dei talebani.    

Affermando che l’Islam garantisce  veri diritti alle donne e sottolineando che le donne afghane sono attualmente al sicuro , alcuni account pro-talebani hanno condiviso un video casuale  che mostra l’arresto di una donna da parte di un poliziotto uomo in America , nonché una foto  che mostra una donna con un uomo che si è colorato  come un cane, sostenendo che questo è il tipo di “libertà e diritti” che gli occidentali cercano per le donne afghane.      

Omar Baryal, un propagandista talebano con 65.000 follower su X, ha respinto  le accuse di discriminazione di genere contro l’amministrazione talebana, sostenendo che le organizzazioni internazionali non hanno l’autorità morale per criticarle. Ha inoltre sostenuto  che dovrebbero concentrarsi invece sull’affrontare le violazioni dei diritti umani in Palestina. Un altro account pro-talebano, con quasi 12.000 follower, ha affermato  che le donne in Occidente erano trattate come lavoratrici e oggetti per soddisfare i desideri sessuali degli uomini.   

Inoltre, alcuni account pro-talebani hanno condiviso video di donne  e ragazze afghane  che indossano l’hijab, affermando che coloro che vivono all’estero e sostengono i diritti delle donne in Afghanistan non le rappresentano. Questi account sostenevano che le donne afghane erano in grado di parlare per sé stesse e che erano soddisfatte dei diritti garantiti dai talebani.  

In un video  condiviso da un account pro-talebani con oltre 266.000 follower, una donna che indossa l’hijab ha affermato che Fawzia Koofi e Shukria Barakzai (ex parlamentari afghane) , insieme ad Aryana Saeed (una rinomata cantante afghana) , non hanno alcuna autorità per rappresentare lei o altre donne musulmane afghane, nonostante le loro affermazioni di farlo. AW ha osservato che questo video è stato pubblicato da centinaia di account pro-talebani , tra cui diversi con oltre 100.000 follower , e nota che era stato precedentemente diffuso da account pro-talebani  nel marzo 2024 .            

Un altro video , in cui una donna pro-talebana parla in inglese e trasmette lo stesso messaggio, ovvero che le donne afghane all’estero non sono loro rappresentanti, è stato pubblicato in modo simile da più di  cento account , tra cui alcuni di spicco con decine di migliaia  e oltre 100.000 follower . Il logo sul video in lingua inglese indica che è stato creato e pubblicato dal canale mediatico pro-talebano Uruj, per la prima volta il 28 settembre 2024            

L’attivista pro-talebana Hafiza Ayesha Emirati , insieme a molti altri account pro-talebani  che utilizzano nomi femminili, ha contribuito attivamente alla campagna pubblicando e ripubblicando vari contenuti, tra cui video  e foto   

Il mondo apre ai talebani nonostante la loro distruzione dei diritti delle donne

Quest’anno i funzionari talebani hanno ottenuto una serie di vittorie diplomatiche che hanno dato il via a una sottile svolta verso la normalizzazione del loro governo

Christina Goldbaum, Najim Rahim, NYT, 24 ottobre 2024

Per la maggior parte dei tre anni trascorsi dal ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, la cancellazione dei diritti delle donne sembrava averli condotti verso un isolamento quasi totale nel mondo.

Sia i paesi occidentali che quelli islamici hanno condannato le restrizioni più estreme del gruppo, in particolare sull’istruzione delle ragazze. I messaggi dei funzionari talebani che affermavano che il loro governo era ansioso di impegnarsi con il mondo sono stati ignorati. A tutt’oggi, nessun paese riconosce ufficialmente i talebani come autorità legittime in Afghanistan.

Ma negli ultimi mesi il vento politico ha cominciato a volgere a favore dei talebani.

Decine di paesi hanno accolto diplomatici talebani. Alcuni hanno inviato funzionari di alto rango a Kabul per costruire legami diplomatici e garantire accordi commerciali e di investimento. I funzionari talebani hanno ottenuto proroghe temporanee dai divieti di viaggio. Si è persino parlato di rimuovere il gruppo dalle liste internazionali dei terroristi.

L’attività diplomatica riflette un sottile ma significativo cambiamento verso la normalizzazione dei talebani come leader politici e lontano dal trattarli come insorti. Riflette anche un crescente consenso tra i leader mondiali sul fatto che il governo talebano è qui per restare.

 

Quali paesi stanno stringendo legami con i talebani?

A gennaio, la Cina è diventata il primo paese ad accogliere formalmente un diplomatico talebano come ambasciatore dell’Afghanistan, un titolo solitamente riservato agli inviati i cui paesi sono formalmente riconosciuti sulla scena mondiale. Gli Emirati Arabi Uniti hanno seguito l’esempio ad agosto.

Molti esperti ritengono che queste misure spianeranno la strada al governo talebano, che in seguito otterrà il riconoscimento formale da parte dei due Paesi.

Sempre ad agosto, l’Uzbekistan ha inviato il suo primo ministro a Kabul, la visita estera di più alto livello in Afghanistan da quando i talebani hanno preso il potere. Il Ministero degli Esteri russo ha annunciato questa primavera che il Cremlino stava valutando di rimuovere i talebani dalla sua lista di organizzazioni terroristiche designate, il che lo renderebbe il primo paese a farlo.

I funzionari talebani hanno ottenuto vittorie anche in un altro campo di battaglia politico conteso: le missioni diplomatiche dell’Afghanistan in tutto il mondo. Dopo il crollo del governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti nel 2021, i suoi diplomatici hanno continuato a gestire le ambasciate e i consolati del paese, e spesso hanno fatto pressioni sui paesi ospitanti per politiche osteggiate dai talebani.

Ma il mese scorso, il Ministero degli Affari Esteri dei Talebani ha annunciato che circa 40 ambasciate e consolati afghani ora rispondono al suo governo. Il controllo su quelle missioni diplomatiche segnala l’autorità del governo talebano in Afghanistan e dà al gruppo una voce in paesi in cui molti dei principali leader talebani non possono recarsi a causa dei divieti di viaggio internazionali.

 

E l’Occidente?

I paesi occidentali hanno guidato la carica nel denunciare il trattamento riservato dai talebani alle donne, nella speranza di fare pressione sul gruppo affinché inverta alcune delle sue politiche più controverse.

I funzionari americani hanno mantenuto rigide linee rosse sui diritti delle donne, sottolineando che gli Stati Uniti non revocheranno le sanzioni né rimuoveranno i funzionari talebani dalle loro liste nere finché le restrizioni non saranno allentate.

Ma gli Stati Uniti sono diventati un’eccezione. Mentre i funzionari talebani hanno chiarito che non si piegheranno alle pressioni esterne, più leader europei e organizzazioni internazionali sembrano accettare i limiti della loro influenza e impegnarsi su questioni in cui possono trovare un terreno comune.

A giugno, i funzionari delle Nazioni Unite hanno garantito la presenza dei Talebani a una conferenza sull’Afghanistan rinviando il discorso sui diritti delle donne. I Talebani si erano precedentemente rifiutati di partecipare a due conferenze ONU simili

Secondo tre funzionari informati, negli ultimi mesi le ambasciate e i consolati afghani in tutta Europa hanno dovuto far fronte a crescenti pressioni da parte dei paesi ospitanti affinché rispondessero al governo talebano.

Le ambasciate afghane in Gran Bretagna e Norvegia hanno deciso di chiudere il mese scorso. L’ambasciatore in Gran Bretagna, che era stato nominato dal vecchio governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti, ha affermato in una dichiarazione che l’ambasciata stava chiudendo “su richiesta ufficiale del paese ospitante”.

I leader dei paesi europei sono spinti a collaborare con i talebani da due timori: che ondate di migranti afghani possano entrare in Europa in caso di disordini in Afghanistan e che il terrorismo possa provenire dall’Afghanistan e raggiungere l’Europa.

 

Cosa significa questo per l’Afghanistan?

La crescente accettazione diplomatica ha creato opportunità commerciali e di investimento, iniezioni di denaro di cui si sentiva un gran bisogno dopo il crollo del governo sostenuto dagli Stati Uniti.

Nel corso dell’ultimo anno, i talebani hanno emesso decine di contratti per attingere alla ricchezza mineraria del paese. Anche le aziende private della regione hanno concluso accordi per costruire infrastrutture in tutto l’Afghanistan, un collegamento tra le rotte commerciali dell’Asia centrale e meridionale, che potrebbero aiutare a rilanciare la sua economia e a far guadagnare punti ai talebani tra l’opinione pubblica.

Il nuovo accordo diplomatico ha anche allentato la pressione per revocare le restrizioni sulle donne: una vittoria per i talebani, ma un duro colpo per molte donne afghane.

 

Christina Goldbaum è il capo dell’ufficio Afghanistan e Pakistan del Times, che si occupa della copertura della regione. 

Una versione di questo articolo è stata pubblicata in forma cartacea il 25 ottobre 2024 , Sezione A , Pagina 9 dell’edizione di New York con il titolo: I talebani avanzano diplomaticamente nonostante il trattamento delle donne

L’ossessione dei talebani per le donne non ha fine

Il ministro talebano Hanafi dichiara le voci femminili proibite anche tra donne. Un’ossessione per l’annientamento delle donne che non ha mai fine, in una gara tra i talebani a chi è il più fondamentalista…

Amu TV, 26 ottobre 2024

Il ministro talebano per la virtù, Khalid Hanafi, ha dichiarato che è vietato alle donne adulte parlare ad altre donne adulte, una restrizione che si aggiunge alle crescenti limitazioni alla vita delle donne in Afghanistan.

In una recente dichiarazione audio, Hanafi, inserito nella lista nera delle Nazioni Unite e sanzionato dall’Unione Europea, ha affermato che le donne adulte non devono recitare il Takbir – una preghiera islamica – o il Corano ad alta voce in presenza di altre donne. La direttiva ha provocato forti reazione, con le donne afgane che chiedono di difendere i loro diritti di fronte a quelle che molti considerano politiche estreme e oppressive.

“Da otto anni lavoro nelle cliniche delle aree remote, ma negli ultimi due mesi la sorveglianza da parte dei Talebani si è intensificata”, ha dichiarato Samira, ostetrica di Herat. Ha descritto come i funzionari talebani abbiano ora vietato alle operatrici sanitarie di incontrare gli accompagnatori maschi delle pazienti, limitando la loro capacità di fornire assistenza. “Non ci permettono nemmeno di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”, ha aggiunto.

Le nuove regole del ministero richiedono che le donne indossino veli che le coprano completamente, viso compreso, e ora limitano la loro voce anche in casa. Hanafi ha ribadito nella sua dichiarazione che le donne non dovrebbero recitare versetti coranici o preghiere ad alta voce, affermando: “Se una donna non è autorizzata a eseguire il Takbir, allora come può essere autorizzata a cantare?”

Le donne afghane e i sostenitori dei diritti hanno condannato queste misure, descrivendole come parte di una politica “misogina” più ampia che limita la capacità delle donne di muoversi, lavorare e persino parlare liberamente. “Come possono le donne, che sono le uniche a provvedere al sostentamento delle loro famiglie, comprare il pane, cercare cure mediche o semplicemente esistere se anche la loro voce è proibita?”, si è chiesta un’attivista per i diritti delle donne. “Questi ordini paralizzano le donne e rendono la vita difficile a tutte”.

Il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio dei Talebani, ampiamente considerato la forza dietro le politiche restrittive del gruppo, è finito sotto osservazione dalla comunità internazionale. Le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani hanno aspramente criticato le sistematiche riduzioni dei diritti delle donne da parte dei Talebani, che le hanno lasciate con libertà fortemente limitate.

In linea con i propri regolamenti, il ministero ha persino vietato la diffusione di immagini che mostrino esseri viventi, anche nelle trasmissioni ufficiali.

A Herat, sanitari in sciopero contro la corruzione

Le difficoltà finanziarie minacciano la chiusura di 113 centri sanitari a Herat. Gli operatori sanitari rimasti senza stipendio scioperano accusando i funzionari di appropriarsi dei finanziamenti

8AM Media, 26 ottobre 2024

I dipendenti di 113 centri sanitari nella provincia di Herat, sostenuti da organizzazioni locali, sono entrati in sciopero per tre mesi di stipendi non pagati e alcuni hanno chiuso a chiave le porte delle strutture.

Segnalano che l’Organizzazione per la promozione e la gestione della salute (OHPM) e l’Agenzia per l’assistenza e lo sviluppo dell’Afghanistan (AADA) non hanno pagato gli stipendi per tre mesi consecutivi, rendendo loro impossibile svolgere i propri compiti.’OHPM ha trattenuto gli stipendi di luglio e agosto, mentre l’AADA non ha pagato settembre, lasciando incerti i pagamenti futuri. (…) Accusano i funzionari di disonestà e affermano che non riprenderanno a lavorare finché non saranno pagati.

Alcuni dipendenti dei centri sanitari descrivono gravi difficoltà economiche e (…) diverse donne impiegate sono state viste piangere davanti a Qamaruddin Fakhri, il direttore dell’AADA, per gli stipendi non pagati.

Safiullah (pseudonimo), un operatore sanitario di Herat, sospetta che queste organizzazioni stiano cercando di appropriarsi indebitamente dei fondi destinati agli stipendi man mano che si avvicinano le scadenze dei progetti. Nota che l’AADA ha trattenuto tre mesi di salario all’inizio del governo dei talebani, attribuendone la colpa a fondi non pagati della Banca Mondiale, e ora teme che questo schema si ripeta. Parlando con Hasht-e Subh Daily, ha detto: “L’OHPM non ci ha pagato per due mesi e l’AADA è in ritardo di un mese e 22 giorni. In precedenza l’AADA aveva trattenuto tre mesi di paga sostenendo che la Banca Mondiale non aveva rilasciato fondi. Ora, mentre implementano un nuovo progetto sanitario a Herat, affermano che ci pagheranno gli stipendi arretrati di due mesi dell’OHPM”. E aggiunge: “Appena una settimana fa  ci avevano detto che avremmo riscosso di nuovo i nostri stipendi di due mesi dall’OHPM. Credo che stiano cercando di appropriarsi indebitamente dei nostri stipendi ancora una volta. Il nostro sciopero continuerà finché non saremo pagati”.

Masoom (pseudonimo), un altro operatore sanitario, descrive un’estrema difficoltà finanziaria, aggiungendo che molti colleghi non possono nemmeno permettersi il trasporto. “Dipendevamo da questo stipendio”, dice, “ma per tre mesi non abbiamo ricevuto nulla. Abbiamo famiglie da sostenere, con cinque o otto persone a carico ciascuna”. Continua: “In questo momento, diversi colleghi sono rimasti senza niente. Non sono in grado di pagare le bollette dell’acqua e dell’elettricità e non hanno un biglietto per andare al lavoro. Non sarò in grado di continuare a svolgere i miei compiti finché non ci pagheranno”.

In una registrazione vocale indirizzata aa direttore dell’AADA, una dipendente spiega di non potersi permettere le cure mediche per il figlio malato, pur dovendo mantenere otto membri della famiglia. In lacrime, dice: “Dottore, cosa dobbiamo fare se non abbiamo niente a casa? Mio figlio è malato e non posso portarlo a curarsi. Sono una vedova che deve sfamare sette o otto persone e non faccio colazione o cena da mesi; l’assistenza medica è fuori dalla mia portata”.

Dopo la presa del potere da parte dei talebani, diverse organizzazioni locali e internazionali hanno sostenuto il settore sanitario afghano, sebbene i dipendenti segnalino spesso problemi di nepotismo, corruzione e incompetenza in queste istituzioni.