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Autore: CisdaETS

Aiuti Usa ai Talebani

Ray Lewis, Rawa News, 5 agosto 2024

Secondo un rapporto dell’Ispettore generale pubblicato il mese scorso, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non è riuscito a dimostrare di aver rispettato i requisiti di controllo antiterrorismo per quasi 300 milioni di dollari di finanziamenti a programmi afghani.

Secondo il rapporto, due rami del Dipartimento non hanno fornito all’Ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (SIGAR) documenti sufficienti per dimostrare di aver seguito le procedure di controllo che impediscono ai beneficiari con legami terroristici di ricevere finanziamenti.

Il SIGAR ha stabilito che l’Ufficio per la democrazia, i diritti umani e il lavoro (DRL) e l’Ufficio per gli affari internazionali dei narcotici e delle forze dell’ordine (INL) sono in parte responsabili di 293 milioni di dollari di premi che potrebbero essere stati assegnati in violazione dei requisiti di controllo.

Secondo il rapporto, l’INL ha fornito all’osservatorio documenti per il controllo solo per tre delle 22 iniziative di finanziamento, mentre il resto del materiale mancava a causa del turnover dei dipendenti e della chiusura di uno dei suoi uffici.

Il SIGAR ha rilevato che il DRL ha fornito documenti per tre dei sette premi assegnati. Il rapporto rileva che il Dipartimento di Stato richiede a tutti i suoi uffici di seguire procedure di base e di valutare il rischio di ogni programma prima di erogare fondi.

Il Dipartimento riconosce le mancanze

Kevin Covert, un funzionario del Dipartimento, in una lettera che il SIGAR ha incluso nel suo rapporto, ha riconosciuto l’esistenza di discrepanze con i requisiti di controllo.

“Mentre la maggior parte dei premi del Dipartimento relativi all’Afghanistan ha rispettato pienamente i requisiti federali e del Manuale degli Affari Esteri (FAM) per la verifica dei partner, il Dipartimento riconosce alcune delle lacune di conformità evidenziate nel rapporto su alcuni premi attuati in Afghanistan”, ha scritto.

Il SIGAR ha raccomandato al Segretario di Stato Antony Blinken di prendere “provvedimenti immediati” per assicurarsi che gli uffici seguano le procedure di selezione. Secondo il rapporto, ciò consentirebbe ai legislatori e agli organi di controllo di analizzare meglio i rischi posti dalla spesa del Dipartimento. Covert ha accolto il suggerimento.

“Il Dipartimento prende sul serio i requisiti di verifica e lavora costantemente per implementare le linee guida interne, che aiutano a garantire la conformità con tutti i requisiti di verifica applicabili”, ha scritto il funzionario.

“Rimaniamo impegnati a rispettare i requisiti di controllo dei partner federali e FAM e di conservazione dei documenti di aggiudicazione per evitare la cattiva gestione dei fondi dei contribuenti statunitensi”, ha aggiunto il funzionario.

Il SIGAR ha osservato nel suo rapporto che il rischio che organizzazioni non profit create dai Talebani ricevano fondi statunitensi evidenzia l’importanza che il Dipartimento di Stato segua i suoi requisiti di controllo. Secondo l’osservatorio, a settembre molte delle oltre 1.000 organizzazioni registrate presso il Ministero dell’Economia afghano hanno legami con i Talebani, che hanno cercato di acquisire fondi statunitensi attraverso queste organizzazioni non profit.

(Trad. automatica)

Il ricatto talebano dei visti

The Associated Press, 5 agosto 2024

Il governo talebano dell’Afghanistan ha dichiarato lunedì che consentirà per il momento la permanenza nel Paese alle persone in possesso di visti rilasciati dall’ex governo sostenuto dall’Occidente, ma che non sarà loro consentito di rientrare senza i documenti di una missione diplomatica approvata dai talebani.

L’annuncio del Ministero degli Esteri dei Talebani sulla piattaforma di social media X ha chiarito quanto annunciato il 30 luglio, ovvero che non avrebbe più accettato documenti da consolati e missioni diplomatiche all’estero gestite da membri dell’ex governo.

Questa mossa rientra negli sforzi dei talebani per ottenere il controllo della rappresentanza dell’Afghanistan all’estero dopo il loro ritorno al potere nel 2021 .

L’inserimento nella lista nera delle missioni diplomatiche in Canada, Australia e diversi paesi europei da parte dei talebani implica che molte persone potrebbero dover percorrere centinaia o addirittura migliaia di chilometri per ottenere il rilascio, il rinnovo o la certificazione dei propri documenti.

I documenti provenienti da missioni nel Regno Unito, in Belgio, Svizzera, Francia, Grecia, Italia, Polonia, Norvegia, Svezia, Canada e Australia non sono validi se non vengono registrati presso il ministero a Kabul, ha affermato il ministero degli Esteri dei talebani.

I documenti altrimenti sono “non validi a causa di corruzione amministrativa, mancanza di trasparenza e mancanza di coordinamento”, ha affermato il ministero. Ha affermato che i documenti erano in “chiara violazione dei principi”, ma non ha elaborato quali siano tali principi.

Il Ministero degli Esteri dei Talebani, che gestisce missioni diplomatiche in paesi tra cui Pakistan, Iran e Turchia, ha affermato lunedì che le sue missioni diplomatiche “accettabili” in Europa sono il consolato generale di Monaco di Baviera, in Germania, e le ambasciate del paese nei Paesi Bassi, in Spagna, in Bulgaria e nella Repubblica Ceca.

In una dichiarazione rilasciata la scorsa settimana da un consiglio che rappresenta gli ambasciatori nominati dal precedente governo, si afferma che tali missioni restano impegnate a fornire servizi consolari in collaborazione con le autorità del paese ospitante.

“Purtroppo, attraverso le loro azioni mal calcolate e miopi, i talebani hanno ripetutamente creato problemi ai rifugiati afghani e ai cittadini che risiedono fuori dal loro paese”, ha affermato in una nota il Consiglio di coordinamento degli ambasciatori e dei consolati generali della Repubblica islamica dell’Afghanistan.

Il Ministero degli Esteri dei Talebani non ha risposto alle domande sul numero di afghani interessati dalla decisione. Ha affermato che i servizi consolari online non erano ancora disponibili.

Nel marzo 2023, i talebani hanno dichiarato di voler prendere in carico più ambasciate afghane all’estero. Il loro portavoce principale, Zabihullah Mujahid, ha affermato che l’amministrazione ha inviato diplomatici in almeno 14 paesi.

Molti leader talebani sono sottoposti a sanzioni e nessun paese li riconosce come legittimi governanti dell’Afghanistan.

Il seggio dell’Afghanistan alle Nazioni Unite è ancora occupato dal precedente governo del Paese, guidato da Ashraf Ghani, sebbene anche l’amministrazione talebana stia cercando di rivendicarlo.

Come funziona la brutale giustizia talebana che seppelisce vive le donne afghane

Altreconomia, 5 agosto 2024 di Cristiana Cella

Dal loro pieno ritorno al potere nell’agosto di tre anni fa i Talebani hanno imposto un sistema che prevede crimini “morali”, spesso puniti con la fustigazione o la lapidazione. Leggi usate per opprimere le donne mentre i tribunali e le corti ignorano sempre di più i crimini e le violenze di genere. Uno scenario asfissiante che le insegue anche negli ospedali e nei parchi pubblici,

Un villaggio di polvere e vento, come tanti altri in Afghanistan. Lo spazio di terra battuta coperto di sassi è circondato da uomini, barbuti, inturbantati, i fucili che ciondolano dalla spalla. Parlano tra loro, sembrano incerti, si armano. Raccolgono da terra i sassi, come bambini goffi per un gioco. Al centro un buco, profondo abbastanza per coprire la parte inferiore di un corpo. Di un corpo di donna.

Il suo volto è cancellato nel video ma si sentono i suoi deboli lamenti. Non grida, non ne ha più la forza. Ha rinunciato. Gli uomini cominciano il tiro al bersaglio, si guardano tra loro, si approvano. I lamenti aumentano, strascicati, come una litania. Il bersaglio è facile, esposto. Una dopo l’altra, le pietre spengono la vita della giovane donna. Una buona lapidazione ha le sue regole: sassi non troppo piccoli, altrimenti non fanno abbastanza male, né troppo grossi altrimenti l’agonia è subito finita. Il buco in cui la condannata è sepolta le impedisce di fuggire ma salva anche la “moralità”, impedisce che le sue parti intime siano visibili.  

Da marzo scorso il leader supremo talebano Hibatullah Akhundzada ha annunciato che le punizioni corporali, comprese la fustigazione pubblica e la lapidazione, sono strumenti di legge e verranno obbligatoriamente applicati in tutto l’Afghanistan. Poi si è rivolto all’Occidente: “Nella vostra visione la lapidazione è una violazione dei diritti delle donne. Nel prossimo futuro, prevediamo di applicare la punizione per l’adulterio, che include la lapidazione e la fustigazione pubblica delle donne. Proprio come voi affermate di lottare per salvare e liberare l’umanità, anch’io lo faccio. Voi rappresentate satana e io rappresento dio. Il partito di Allah prevarrà”. 

Il partito di Allah, ossia i Talebani, prevale sicuramente in Afghanistan, dove fanno quello che vogliono, con timide e inutili proteste dei Paesi democratici solo a casa loro, più interessati agli affari con le autorità de facto del Paese, che ai diritti delle donne.

Il rappresentante dell’Onu per i Diritti umani, Jeremy Laurence, ha denunciato a giugno l’aumento della diffusione delle punizioni fisiche, impartite in pubblico per “crimini morali” e “fuga da casa”. Sugli spettatori c’è uno stretto controllo, niente giornalisti, né testimoni, cellulari sequestrati.

Zina, ossia adulterio, è il crimine. Una mannaia sospesa sulla testa di qualunque donna da molti anni, non solo da quando i Talebani controllano il Paese. Non è affatto necessario tradire realmente il proprio marito, cosa piuttosto difficile, adesso, per donne recluse nelle case e sorvegliate. Una donna che scappa dalla casa di un marito violento per salvarsi la pelle è accusata di zina, così come una ragazza che si rifiuta di sposare un vecchio sconosciuto, una donna che parla con uomini che non siano della famiglia, una ragazza che vuole sposare l’uomo che ama. Il crimine è sempre zina. Condanna, con un marchio infamante, qualsiasi ribellione delle donne, che possono diventare vittime dei sempre più frequenti “delitti d’onore” da parte delle famiglie. La minaccia dei reati morali, ingabbia il comportamento quotidiano delle donne. E, dato che alle donne è proibito quasi tutto, è facile delinquere. 

“Uscire è diventato molto difficile -racconta Salima, assistente sociale a Kabul-, la polizia morale è ovunque, controlla tutto, dal modo in cui sei vestita ai motivi per cui ti trovi in strada. Cercano di spaventarci. Se non sei in regola arriva l’arresto e sappiamo che cosa aspettarci, violenze sessuali e botte. Mesi fa, stavamo andando con la mia famiglia a Pagman, una destinazione ricreativa, un bellissimo parco. All’ingresso i Talebani di guardia ci hanno fermato, appena hanno visto che nella macchina c’erano delle donne. Si sono messi a gridare che alle donne è proibito l’ingresso nei parchi pubblici e lo svago. Hanno minacciato di arrestarci, di frustarci, perché stavamo violando la legge. Questa scena rimarrà per sempre nella mia mente, come l’immagine della totale deprivazione di tutti i nostri diritti. La volontà organizzata di seppellirci vive”.

I suicidi e le patologie mentali sono in forte aumento tra le donne, specialmente tra le più giovani. Le madri spaventate tengono chiuse in casa le loro figlie. “Manizha era tra le nostre allieve più entusiaste -dice Razia, insegnante alle scuole clandestine-. Un giorno non si è presentata e nemmeno quello seguente. Sparita. Abbiamo fatto di tutto, insieme alla madre, per trovarla. Non sappiamo più niente di lei”. I Talebani si sentono liberi di rapire le ragazze, quando meglio credono. Nessuno protesta. Nessuno punisce.

Ma come funziona la giustizia talebana? Un esempio, tanto per avere un’idea. Una donna è portata con urgenza in ospedale dai vicini. Il marito l’ha picchiata e le ha dato fuoco. Le ustioni sono molto gravi. Dopo un mese di agonia la donna muore. La famiglia di lei si appella alla corte talebana perché l’assassino sia punito. Dopo molte insistenze, la corte condanna l’uomo a dare, in risarcimento alla famiglia, un piccolo pezzo di terra. Questo è tutto. Un orto al posto di una figlia. 

I Talebani hanno smantellato il quadro giuridico e istituzionale. La giustizia, come noi la intendiamo, non esiste più. C’è una Corte suprema talebana e ci sono diverse corti specifiche e locali. Ma il personale precedente è totalmente sostituito.

Al posto di giudici, avvocati e procuratori ci sono studenti o diplomati alle madrase pakistane, con nessuna esperienza in campo legale, né in altri campi. Nessuna idea di che cosa sia un processo, nessuna indagine. Il risultato è un vuoto e un caos diffuso nel quale le violazioni dei diritti e gli abusi aumentano senza controllo. Il metodo più comune per chiudere un caso rimane la tortura e la confessione estorta, come denuncia Rawadari, organizzazione afghana per i diritti umani, basata in Inghilterra, con operatori all’interno dell’Afghanistan, nel suo report sulla giustizia. Le leggi del Parlamento quasi completamente abolite, specialmente quelle che riguardavano le donne. 

Per loro nessuna protezione, nessuna speranza di avere giustizia. I delitti contro le donne non sono più reato. Così non c’è più argine alle violenze domestiche e all’escalation di suicidi e dei matrimoni forzati di bambine. Se una donna ha il coraggio di presentarsi alla polizia per lamentarsi delle violenze del marito rischia di subire ulteriori violenze, verbali e fisiche. Nelle corti talebane i casi che riguardano le donne non sono presi in considerazione.

Non esistono, nell’ultimo anno, procedimenti che riguardino accuse mosse da donne. I casi penali più gravi, vengono giudicati nelle corti religiose, nelle jirga, presiedute da mullah e anziani dei villaggi, trattate al di fuori di qualsiasi struttura giuridica.

La vita della popolazione è regolata dai continui decreti emanati con effetto di legge. Ce ne sono stati più di duecento di cui cento riguardano proprio le donne. “C’è solo la sharia -racconta Soheila, militante di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane-. Non abbiamo leggi e non abbiamo un Parlamento che possa discutere delle leggi, o altre istituzioni. L’Afghanistan è un Paese che non ha Costituzione, non ha sistema legale, ha solo la shariaNon ti serve altro, secondo i Talebani. Ogni tipo di problema, in qualsiasi campo, istruzione, famiglia, giustizia, può essere risolto in base alle leggi della sharia. Chiunque conosce, o pensa di conoscere, il Corano e la sharia può essere un giudice, specialmente se è armato e ha potere. Tutto è completamente arbitrario”. 

Nel corso del 2023 la vita delle donne si è ulteriormente deteriorata. Al peggio non c’è limite. Ce lo racconta l’ultimo report di RawadariI nuovi divieti per le donne sono aumentati di numero, peggiorati dalla frequenza di arresti e punizioni pubbliche. C’è chi è stata arrestata e detenuta per aver preso un taxi senza il guardiano maschio, il mahram. Uccisioni extragiudiziali, torture, uccisioni di detenuti, sparizioni forzate, aumento delle punizioni crudeli e degradanti, sono queste le testimonianze raccolte. L’intimidazione e la paura paralizzano le persone, soprattutto le donne, che, sempre di meno, si ribellano. La prigione sempre più stretta.

Anche l’ospedale diventa un miraggio. L’accesso alle cure mediche è limitato da 14 misure specifiche. In ospedale, da sola, non ci vai. Nessuno ti fa entrare e vieni maltrattata. È obbligatorio avere accanto un mahram. Ma gli uomini della famiglia spesso non sono interessati a far curare le loro donne. L’ulteriore ostacolo è la mancanza di personale femminile. Un dottore maschio non può nemmeno vederti.

Negli ospedali il mahram non è richiesto solo alle pazienti. “Il 24 ottobre 2023 -secondo il report di Rawadar- ufficiali del dipartimento per la salute pubblica di Bamyan hanno proibito alle donne impiegate all’ospedale, infermiere, farmaciste, dottoresse, di continuare il loro servizio senza un mahram che le sorvegliasse per tutto il tempo di lavoro. A Nimruz invece, cento donne professioniste della salute sono state espulse e sostituite da altrettanti parenti maschi dei Talebani”.

Di chi è stato rapito, arrestato, punito, poco si riesce a sapere, i media sono controllati. Intimidazioni e minacce verso testimoni, vittime degli abusi e giornalisti sono quotidiane. In alcune province, come nel Panshir, sono stati vietati i cellulari, perché non si possano diffondere video e testimonianze.  

Una prigioniera, riporta il Guardian il 3 luglio, è vittima di uno stupro di gruppo da parte dei Talebani, suoi carcerieri. Gli uomini girano un video sulla violenza e lo mandano alla ragazza, minacciando di renderlo pubblico se lei non terrà la bocca chiusa su quanto successo. Ma la ragazza li sfida e manda il video alla stampa locale e internazionale. Non sappiamo se sia sopravvissuta al suo coraggio. 

È dai social che arriva quel poco che si riesce a sapere. Non solo dalle vittime ma anche dai Talebani stessi, molto attivi sulle piattaforme. Su Twitter (ora X) si possono trovare sentenze, condanne e punizioni decise dalle corti talebane. Riguardano soprattutto le donne e le persone Lgbtq+. Sostengono la propaganda della paura.

Di tutto questo non si è parlato alla recente conferenza di Doha tra fine giugno e inizio luglio. La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) pubblica ottimi report sulla situazione delle donne, si parla di persecuzione di genere e crimini contro l’umanità, con conseguenti raccomandazioni ad agire. Che cadono nel vuoto delle lussuose sale di Doha dove i ricatti dei Talebani, che vincolavano la loro partecipazione al silenzio sui diritti delle donne, sono stati accettati dall’Onu senza battere ciglio. 

Così donne, ragazze e bambine continuano a percorrere, giorno dopo giorno, il loro labirinto di divieti, con l’ansia nella gola, la paura annidata stabilmente nei pensieri. Che cosa resta alle donne? Poco, oltre alla tenacia e al coraggio di chi si ostina a non lasciarsi schiacciare, a non far incenerire i propri sogni. Ragazze che continuano, ad esempio, nonostante l’alto rischio, a studiare nelle scuole segrete, proteggendo il prezioso sapere delle donne come un tesoro.  

Dice Samia, allieva di una scuola clandestina di Rawa: “Non ho nulla per realizzare i miei scopi, tranne una penna”. 

Cristiana Cella, giornalista, fa parte del Cisda, il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane, che da tempo collabora con Altreconomia. 

Atleta afghana ultima in gara, il suo messaggio commuove il mondo: “Istruzione e sport i nostri diritti”

Luce!, 2 agosto 2024, di di Marianna Grazi

Dalla pista di Parigi Kimia Yousofi manda un monito ai talebani e al mondo intero per rivendicare tutele e diritti per le donne del suo Paese. Alle ragazze dice: “Non arrendetevi, non lasciate che gli altri decidano per voi”

Dalla pista più importante del mondo, quella dei Giochi olimpici di Parigi 2024, Kimia Yousofi invia un messaggio sociale: nel cartello – il retro del pettorale col cognome e il cip di riconoscimento – che mostra alla fine della gara dei 100m piani, nella cui batteria si è classificata all’ultimo posto, ci sono solo poche parole, ma significative.

Education” (istruzione) in alto, scritto con un pennarello nero. “Sport”, in verde sotto. E in fondo, in rosso “Our Rights” (i nostri diritti). I colori della bandiera dell’Afghanistan, la sua nazione. Lo scopo della velocista classe 1996 era chiedere che alle bambine, alle ragazze, alle giovani donne del suo Paese siano riconosciuti quei diritti fondamentali.

ei è una delle tre donne che hanno preso parte alla spedizione olimpica, insieme a tre colleghi maschi, selezionati dal Comitato olimpico afghano che opera al di fuori del Paese. Per Yousofi non c’era nessuna speranza di medaglia, la vittoria più importante l’ha ottenuta anche solo riuscendo a partecipare alla gara, a questa manifestazione, sulla quale sono puntati per quindici giorni gli occhi di tutto il mondo. Un palcoscenico unico, un’occasione irripetibile per mandare quel messaggio. Se le donne più veloci del mondo sono sfrecciate lungo il rettilineo olimpico nella prima mattinata di atletica allo Stade de France, la 28enne afghana portava sulle spalle un pesante fardello, che inevitabilmente non le ha permesso di essere all’altezza delle avversarie in gara. Al traguardo è arrivata a due secondi di distanza dalla vincitrice della sua batteria, ma poco importa.

“Ho un messaggio per le ragazze afghane – ha detto ai giornalisti presenti allo Stadio – Non arrendetevi, non lasciate che gli altri decidano per voi. Cercate le opportunità e sfruttatele”. Lei lo ha fatto, questa mattina e non solo: Kimia Yousofi è stata la portabandiera del suo Paese ai Giochi di Tokyo, ma è fuggita in Iran quando i Talebani hanno ripreso il controllo del governo nell’agosto 2021. “Voglio solo rappresentare il popolo afghano con questa bandiera, la nostra cultura. Le nostre ragazze in Afghanistan, le nostre donne vogliono i diritti di base, l’istruzione e lo sport”, ha spiegato. La sua è una testimonianza preziosa, libera ma piena di sofferenza per quello che accade nella sua terra: lì le donne non sono considerate umane. “La possibilità di decidere della propria vita è stata tolta loro negli ultimi due anni. Stiamo combattendo per questo”, continua.

Dei sei atleti afghani presenti a Parigi, i Talebani riconoscono solo gli uomini. Ovviamente, visto che alle donne non è permesso fare sport o freqquentare luoghi pubblici o viaggiare all’estero senza essere accompagnate dal marito o da un familiare maschio. “Solo tre atleti rappresentano l’Afghanistan”, ha dichiarato il mese scorso all’AFP Atal Mashwani, portavoce della direzione sportiva del governo talebano. Nonostante le potenziali tensioni all’interno della squadra, Yousofi ha dichiarato che i suoi compagni di squadra la sostengono. “Anche per molti di loro in Afghanistan le condizioni sono terribili”.

Quando i Talebani sono saliti al potere, la comunità sportiva internazionale si è adoperata per garantire un passaggio al di fuori dello Stato sicuro agli atleti che avrebbero potuto essere minacciati dal nuovo regime. Yousofi ha raccontato che inizialmente voleva rimanere a Kabul, ma le era stato detto che non sarebbe stata al sicuro. “Ho cercato in giro per 10 giorni dopo aver lasciato l’Afghanistan: cosa dovevo fare? Cosa posso fare?”. Lei e la sua famiglia son o poi state accolte, dopo un passaggio in Iran temporaneo, dall’Australiacome rifugiati politici e lei come rifugiata anche sportiva.

 

 

Le donne curde scendono in piazza in tutta Europa: siate la voce dell’autodifesa contro il femminicidio

Rete Kurdistan Italia, 31 luglio 2024

Sotto la guida di TJK-E e SMJE, il 3 agosto saranno organizzate azioni in molti centri d’Europa con lo slogan “Sii la voce dell’autodifesa contro il femminicidio”. Sotto la guida del Movimento delle donne curde in Europa (TJK-E) e del Consiglio dell’Assemblea delle donne yazide (SMJE), il 3 agosto si terranno manifestazioni in molti centri d’Europa con lo motto “Sii la voce dell’autodifesa “Contro il femminicidio”.

La dichiarazione sulle azioni da organizzare nel decimo anniversario del genocidio degli Yazidi da parte dell’ISIS a Shengal include quanto segue:

“Con l’avvicinarsi del 3 agosto, noi, organizzazioni femminili in Europa, scenderemo ancora una volta in piazza per protestare contro il decimo anniversario del genocidio del popolo yazida, iniziato con l’invasione di Shengal (Sinjar) da parte dell’Isis nel 2014. Condanniamo mille volte in questo periodo di tempo, che è la continuazione delle politiche di persecuzione, stupro, riduzione in schiavitù e deidentificazione contro gli yazidi.

In questo massacro sotto il regno dello Stato islamico, soprattutto le donne hanno subito grandi sofferenze. Migliaia di giovani donne e bambini yazidsono rapite, vendute nei mercati degli schiavi e vittime di abusi sessuali. Delle 3.548 donne catturate, finora solo 1.207 sono state liberate. Sebbene non sia noto se le donne scomparse siano ancora vive o meno, la speranza e la lotta delle loro famiglie per rivederle non si sono mai esaurite. Il mondo intero considera questo genocidio, entrato nella nostra memoria, come una grande vergogna del secolo, come un genocidio contro le donne.

Nel decimo anniversario di questa atrocità, siamo al fianco di persone solidali in difesa della giustizia, dell’uguaglianza e della libertà per gli yazidi e di tutte le altre minoranze oppresse. Dopo il genocidio abbiamo assistito alla distruzione della vita, della cultura e della società a Shengal. Dopo il massacro, in cui furono presi di mira e uccisi leader e figure importanti del popolo yazida, gli yazida si sono uniti per realizzare strutture di autogestione e autodifesa per proteggersi da un altro massacro. Nonostante tutto questo le loro conquiste si trovano ad affrontare una grave minaccia.

Lo Stato turco e i suoi alleati hanno firmato il 09.10.2020 un accordo per distruggere le strutture di auto amministrazione e autodifesa e per reintrodurre sistemi di repressione a Shengal. L’autonomia di Shengal è stata più volte presa di mira dallo Stato turco con i droni. Lo Stato turco, uno dei maggiori sostenitori dello Stato islamico, non esita a prendere di mira civili e bambini con attacchi di droni. Ribadiamo la nostra richiesta e promettiamo di realizzare un Êzidxan (terra yazida) libero e autonomo, che è il desiderio di Mam Zeki Shengali, Berivan Shengali, Zerdeşt Shengali e Agit Civyan.

stiamo conducendo di nuovo una guerra di esistenza in tutto il Kurdistan meridionale a seguito del tradimento di Barzani, che ha permesso alle operazioni transfrontaliere dello stato fascista turco di invadere tutte le terre curde nel Kurdistan meridionale. Mentre rifiutiamo la mentalità che vuole trattenere il popolo curdo nelle nostre terre, nessuno dovrebbe dimenticare che proteggeremo le nostre terre e l’esistenza del nostro popolo con forte volontà contro la mentalità fascista e traditrice che vuole creare un terreno per un secondo Trattato di Losanna. Risponderemo al nemico rafforzando la nostra autodifesa e mobilitazione, formando una mentalità e sviluppando la nostra cultura, lingua e storia contro l’occupazione, il genocidio e i massacri nelle nostre terre e trasformando le quattro parti nello spirito del Kurdistan. Gli eventi del 03.08.2014, quando il popolo yazida non potè fidarsi di nessuno se non di se stesso, quando i peshmerga del KDP e le milizie irachene affiliate al governo turco che avevano precedentemente occupato Shengal abbandonarono le armi e se ne andarono durante l’invasione dell’ISIS, sono ancora impressi nei ricord della nostra mente,

L’autonomia è quindi essenziale per il popolo yazida! Chiediamo il riconoscimento del genocidio avvenuto l’8 marzo 2014 e l’istituzione di un tribunale internazionale che tenga conto dei crimini commessi contro la comunità yazida. È fondamentale che l’Isis e le milizie islamiste responsabili del massacro e dell’oppressione della comunità yazida si ritirino dai campi (Hol) e affrontino le conseguenze delle loro azioni nella loro patria in Europa. Gli attacchi aerei su Shengal devono essere fermati per prevenire ulteriori sofferenze e distruzioni.

Su questa base, invitiamo tutte le nostre persone e i nostri amici, in particolare le donne, a partecipare alle azioni che si terranno in molti centri d’Europa il 3 agosto sotto la guida di TJK-E e SMJE con lo slogan “Sii la voce di te stessa”. ‘ -Autodifesa contro il femminicidio’.”

Luoghi e tempi delle iniziative

Eventi del 2 agosto

GERMANIA

Brema

Orario: 15.00

Luogo: Am Marktplatz

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Helsingborg

Orario: 17.00

Ubicazione: Gustav Adolfs Torg

Eventi del 3 agosto

BELGIO

signore

Orario: 18.00

Posizione: Di fronte alla stazione

AUSTRIA

Vienna

Orario: 18.30

Luogo: Parlamento

GERMANIA

Saarbrücken

Orario: 17.00

Luogo: Galleria Europa

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Francoforte

Orario: 13.00

Luogo: Rathenau Platz

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Lipsia

Orario: 15.00

Luogo: Augustusplatz

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Stoccarda

Orario: 14.00

Ubicazione: Königstr./Ecke Marstallstr.

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Dusseldorf

Orario: 15.00

Ubicazione: Platz des Landtages 1/di fronte al Parlamento

***

Berlino

Orario: 18.00

Posizione: Bebel Platz/Unter der Linden

***

Hannover

Orario: 12.00

Luogo: Steintor Platz/Am Steintor

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Gottinga

Orario: 12.00

Posizione: Gänseliesel

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Kiel

Stand informativo

Orario: 15.00-17.00

Luogo: Europaplatz

***

Monaco

Orario: 15.00

Ubicazione: Sendlingerstr. 8

SVIZZERA

Zurigo

Orario: 16.30

Luogo: Piazza Helvetia

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losanna

Orario: 13.00

Luogo: Chiesa Saint-Laurent

SCANDINAVIA

Stoccolma

Orario: 15.00

Luogo: Sergels Torg

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Copenaghen

Ore 13.00

Posizione: Gammeltorv

***

Oslo, Norvegia

Orario: 15.00

Luogo: Tønsberg Torv

INGHILTERRA

Londra

Orario: 17.00

Ubicazione: Trafalgar Square/WC2N 5DS

OLANDA

Amsterdam

Orario: 13.00

Ubicazione: Stazione Centrale

FRANCIA

Villers-le-bel e Drancy

Ubicazione: Villers-le-bel, di fronte alla stazione

Orario: 18.00

Mantes-la-Jolie

Stand e distribuzione volantini

Posizione: Di fronte alla stazione

Orario: 17.00

Marsiglia

Orario: 10.00

Luogo: Cenieber

Rame afghano, nichel kazako: con la diplomazia dei metalli la Cina si prepara un futuro green

InsideOver, 2 agosto 2024, di Federico Giuliani 

Esiste un modo per accelerare la transizione ergetica del pianeta, coinvolgere più Paesi in progetti green e, contemporaneamente, ottenere anche successi diplomatici in politica estera? Sta provando a metterne in atto uno la Cina, impegnata a stringere accordi con molteplici Governi con l’obiettivo di arginare gli effetti del cambiamento climatico e fungere da punto di riferimento internazionale in materia.

Da un lato Pechino viene elogiata per gli sforzi fin qui compiuti, ma dall’altro è accusata di saccheggiare le risorse strategiche di nazioni terze per i propri interessi. Il modus operandi del Dragone è in realtà qualcosa di molto più raffinato rispetto ad una semplice e brutale razzia: è, semmai, un metodo attraverso il quale includere attori esterni nella “rivoluzione verde” avviata oltre la Muraglia, offrendo loro un ruolo rilevante all’interno della trasformazione che sta cambiando pelle al pianeta.

Ci sono due esempi emblematici, utili a spiegare meglio quella che potremmo definire la “diplomazia dei metalli” avviata dalla Cina: l’Afghanistan dei talebani e il Kazakhstan nel cortile di casa della Russia. Da affiancare, eventualmente, alle dinamiche che stanno riguardando anche ampie porzioni del Sud-Est asiatico, dell’Africa e dell’America Latina.

La miniera in Afghanistan

Dopo 16 anni di ritardi dovuti alla guerra, ecco finalmente la fumata bianca tra Cina e Afghanistan per l’inaugurazione di quella che diventerà la seconda miniera di rame più grande del mondo. Il colosso statale cinese China Metallurgical Group Corporation (MCC) ha avviato la costruzione di una strada lunga 25 chilometri per raggiungere il sito di Mes Aynak, uno dei più grandi giacimenti di rame incontaminati nella provincia di Logar, nell’Afghanistan centrale.

Come la maggior parte dei Paesi, il gigante asiatico non ha formalmente riconosciuto i talebani, ma lo scorso settembre è stato il primo Paese a nominare un nuovo ambasciatore in Afghanistan. Il progetto è di grande importanza per Kabul, alla disperata ricerca di investimenti stranieri per rilanciare la sua economia devastata dalla guerra, ma lo è ancor di più per Pechino. Il motivo è semplice: nel 2007, quando la MCC si aggiudicò i diritti trentennali per lo sviluppo di Mes Ayank, la Commissione per la supervisione e l’amministrazione delle attività cinesi, un organismo che supervisiona le aziende statali del Paese, parlò di un tentativo riuscito “di alleviare notevolmente la carenza di risorse di rame della Cina, aumentare le riserve di risorse strategiche del Paese e rafforzare l’influenza nazionale nell’industria mineraria globale”. Il rame, per inciso, è un metallo usato per tutto: dai cavi all’elettronica fino ai veicoli elettrici (EV). Ed è per questo che il governo cinese ne ha particolarmente bisogno.

Investimenti e risorse strategiche

La Cina ha acceso i riflettori anche sul Kazakhstan. L’abbondanza dei minerali presenti nel Paese incastonato nell’Asia centrale ha arricchito Astana e catturato l’attenzione degli imprenditori di mezzo mondo – cinesi compresi – che si affannano per controllare gli ingredienti necessari per combattere il cambiamento climatico.

Un esempio? Il nichel, un minerale chiave utilizzato nei citati veicoli elettrici e in altre tecnologie legate all’energia pulita. Come ha spiegato il New York Times, la transizione del mondo verso l’energia rinnovabile richiede enormi quantità di nichel, rame, litio e altri cosiddetti minerali critici. Il Kazakhstan ne ha molti, e la Cina, il più grande produttore di EV e batterie, è nei paraggi e desiderosa di investire in loco.

L’influenza economica del Dragone è ormai evidente in tutto il Paese. Non è un caso che ad Almaty, la città kazaka più ricca, stanno spuntando nuove concessionarie di auto per marchi cinesi di EV. Non solo: al confine tra Cina e Kazakhstan, le due nazioni hanno costruito il Khorgos Gateway, il più grande porto al mondo utilizzato esclusivamente per la movimentazione di container merci trasportati su treni.

Nei pressi del confine occidentale del Kazakhstan, lungo il Mar Caspio, Pechino ha invece investito in un hub container nella città portuale di Aktau. Dove oggi ha preso forma un’alternativa ferroviaria per spedire merci dalla Cina all’Europa, impiegando la metà del tempo delle merci inviate via mare da Shanghai a Rotterdam. I miracoli della diplomazia dei metalli…