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Tag: Petizioni

Donne Insieme: nuova petizione del Cisda per le donne in Afghanistan

Casale News, 14 febbraio 2025

Sabato 15 febbraio, dalle 9.30 alle 18, presidio e letture per bambini in Piazza Mazzini

Il Collettivo Donne Insieme, che da qualche anno segue con assiduità le vicende dell’Afghanistan ed in particolare della condizione delle donne, si ripresenta con un presidio in piazza Mazzini sabato 15 febbraio dalle 9.30 alle 18 per promuovere la nuova petizione Stop Fondamentalismi – Stop Apartheid di genere e per raccogliere fondi per il finanziamento dei progetti di sostegno già avviati negli anni scorsi.

In questi ultimi mesi il governo talebano ha aggiunto nuovi provvedimenti restrittivi delle possibilità di vita delle donne (le libertà e i diritti sono già del tutto negati, ora si può soltanto parlare di condizioni di sopravvivenza): è stato introdotto il divieto di aprire le finestre o addirittura l’ordine di murarle (sì, proprio così) per impedire alle donne di vedere cortili, cucine, pozzi dei vicini e altri luoghi frequentati da altre donne; è stato chiuso il corso di studi Ostetricia e medicina, per cui le donne non avranno più la possibilità di essere curate, non potendo in futuro rivolgersi a medici donna.

A fronte di questa situazione, un lungo elenco di paesi ha preso una decisa posizione di condanna del governo talebano, rivolgendosi alla Corte Internazionale di Giustizia e/o alla Corte Penale Internazionale: proprio quest’ultima ha richiesto un mandato di arresto internazionale per il leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada e suoi collaboratori. Altri paesi invece, Europa inclusa, hanno accettato il confronto diplomatico diretto col governo fondamentalista, accogliendo le condizioni poste da quest’ultimo (escludere la presenza femminile dai negoziati ed escludere dai temi affrontati proprio la condizione delle donne)

La persecuzione sistematica delle donne da parte dei fondamentalisti talebani ha spinto il Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne –afghane, con cui Donne Insieme collabora) a promuovere una petizione al Governo Italiano affinché sostenga alcune azioni e se ne faccia promotore presso le istituzioni internazionali:

– Riconosca l’apartheid di genere” come crimine contro l’umanità (si riferisce a violazioni sistematiche e istituzionalizzate contro le donne)

– Non venga dato riconoscimento di alcun tipo al regime fondamentalista talebano

– Venga dato invece sostegno e supporto alle voci democratiche antifondamentaliste che ancora resistono all’interno del Paese

Il presidio di Donne Insieme è finalizzato a raccogliere adesioni a questa petizione, ad informare sulla situazione delle donne e sulle azioni promosse a vari livelli.

Uno spazio sarà dedicato ai bambini, che potranno ascoltare la lettura di fiabe afghane dalle 10,30 alle 11,30.

La petizione Stop Fondamentalismi – Stop Apartheid di genere si trova qui

Si può aderire come Associazione scrivendo a rete@cisda.it

Analisi. Non solo Afghanistan: l’apartheid di genere “merita” di diventare un crimine

Avvenire, 24 gennaio 2025, di Antonella Mariani

Segretate, private dei diritti di istruzione, del lavoro e della libertà di movimento: a che punto è il percorso per introdurre il nuovo reato nel diritto internazionale e che problemi sta incontrando

Le ragazze e le donne afghane sono segregate, imprigionate nei burqa. A loro è vietato studiare, lavorare fuori casa, muoversi da sole, perfino parlare a voce alta e cantare. Che cos’è, se non apartheid? Anzi, più precisamente, apartheid di genere. Sfortunatamente, questa fattispecie non esiste nell’ampio repertorio dei crimini contro l’umanità che si è sviluppato negli ultimi decenni. Tra i giuristi internazionali è sempre più diffusa la convinzione che sia arrivato il momento di codificarlo, nominarlo e dunque farlo esistere, non solo per prendere atto di una realtà inedita e sconvolgente che avviene in alcune parti del mondo e in particolar modo in un Paese, l’Afghanistan, pressoché uscito dai radar dell’attenzione mediatica, ma anche per fornire ai gruppi della resistenza all’estero, ai Tribunali e alle istituzioni internazionali uno strumento supplementare per combattere questa massiccia violazione dei diritti umani.

Tra i principi base del diritto internazionale c’è l’uguaglianza di genere, garantita da diversi corpi normativi (la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, quella sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1970, i patti internazionali sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del 1966, la Convenzione sulla parità di retribuzione nel 1951… ).

Solo nel 1973, per entrare in vigore due anni e mezzo più tardi, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sull’eliminazione e la repressione del crimine di apartheid, poi recepita e ampliata dallo Statuto di Roma del 1998, che ha regolato l’attività della Corte penale internazionale dell’Aja.

Ma ovviamente, poiché la definizione è stata plasmata sulla drammatica esperienza del segregazionismo in Sudafrica, la fattispecie in realtà si concentra sulla discriminazione basata sulla razza. Quello che sta avvenendo in Afghanistan, e, in modo diverso, in Iran e in aree specifiche di Paesi come il Sudan o la Siria, ha caratteristiche diverse: si tratta della negazione di decine di diritti essenziali in base alla semplice constatazione di essere nate donne.

La codificazione del crimine di apartheid di genere, di cui peraltro le attiviste afghane parlano da decenni, fin dal primo governo dei taleban degli anni Novanta, servirebbe a mettere in evidenza la sistematicità e la gravità della discriminazione che colpisce le ragazze e le donne in alcuni Paesi del mondo. « Non solo – interviene l’esperta Laura Guercio -: questo rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci. E ne gioverebbe la lotta per sradicare i regimi istituzionalizzati di oppressione».

Laura Guercio è un’avvocata, docente universitaria, già segretaria generale della Commissione interministeriale per i diritti umani alla Farnesina. Ora ha prestato la sua competenza al Cisda, lo “storico” Coordinamento che dal 1999 sostiene le donne afghane e che il 10 dicembre scorso ha lanciato una petizione per il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità. Gli elementi chiave della definizione proposta dal Cisda sono «la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione». Così come l’apartheid razziale, quello basato sul genere viene attuato con politiche che «escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio».

La petizione del Cisda è stata accolta anche dal Parlamento italiano, grazie a una decisiva opera di sensibilizzazione di Laura Boldrini, deputata Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. Il 27 novembre scorso la Commissione esteri della Camera ha approvato all’unanimità una risoluzione, a prima firma Boldrini e sostenuta da tutto il gruppo del Pd, che impegna il governo ad appoggiare l’introduzione del reato di “segregazione di genere” nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu. «Con l’approvazione della nostra risoluzione – spiega Laura Boldrini -, l’Italia prende una posizione chiara e inequivocabile: la segregazione delle donne, la loro esclusione da qualsiasi forma di vita sociale, il divieto perfino di cantare, parlare e pregare in pubblico, diventi “crimine contro l’umanità” riconosciuto dall’Onu».