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Mese: Aprile 2011

DONNE AFGHANE UCCISE DA FORZE MILITARI STRANIERE

DA: RAWA.ORG

Nella provincia di Kunar, al confine con l’Afghanistan, le forze di occupazione straniere hanno provocato numerose vittime civili.

La International Security Assistance Force della NATO (ISAF) ha dichiarato oggi che due donne afghane sono state uccise durante un’operazione militare nell’Afghanistan orientale che ha visto la morte anche di 17 ribelli.

Le autorità locali avevano già riportato che la scorsa settimana due donne e un bambino avevano perso la vita nel distretto di Dangam, nella provincia di Kunar.

La dichiarazione dell’ISAF riporta: “Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco uccidendo un rivoltoso e due donne che si nascondevano dietro a lui”.

Aggiunge che durante l’operazione le truppe ISAF “hanno ucciso 17 rivoltosi, inclusi combattenti stranieri, e hanno imprigionato un ‘sospetto ribelle’ poiché stavano cercando uno dei leader più importanti di Al Qaeda”.

Il problema delle vittime civili è causa di serie tensioni tra il presidente afghano Hamid Karzai e i suoi sostenitori occidentali e scatena frequenti proteste.

La provincia di Kunar, al confine con il Pakistan, dove le forze militari straniere combattono costantemente i rivoltosi, ha visto una notevole quantità di vittime civili, inclusi nove bambini uccisi in un bombardamento aereo, per cui gli Stati Uniti si sono “scusati” il mese scorso.

Sono circa 130.000 i militari stranieri in Afghanistan che combattono la rivolta talebana, in atto ormai da circa 10 anni.

Afghanistan: in aumento la violenza sulle donne

Da: RAWA.ORG

Nel 2010, 69 donne hanno perso la vita a causa di violenze domestiche e vendette familiari, in aumento rispetto alle 64 del 2009.

Sultana Rahi

foto sito RAWA 300x267AIHRC (Afghanistan Independent Human Rights Commission)  ha dichiarato che 75 donne si sono auto-immolate lo scorso anno in Afghanistan a causa della violenza in costante aumento.

La funzionaria di AIHRC Latifa Sultani ha riportato a Pajhwok Afghan News che il comitato di controllo ha ricevuto segnalazioni da tutte le aree del paese per un totale di 2.765 casi di violenza contro donne e ragazze.

Mariam sta piangendo al capezzale di sua figlia Najiba, di 13 anni. Najiba, sposata da sei mesi, ha accusato la suocera di averla cosparsa di benzina e averle dato fuoco. Tuttavia, sia la madre che le infermiere non credono fino in fondo al suo racconto e sospettano che si sia auto-immolata in un tentativo di suicidio.

I casi riportati includono 144 auto-immolazioni, 261 tentativi di suicidio, 237 matrimoni forzati, 538 episodi di percosse e 45 omicidi. Le auto-immolazioni hanno causato 75 morti e 20 invalidità permanenti. 22 persone sono state ricoverate.

Delle violazioni di diritti umani riportate alla commissione, 2.269 riguardavano la violenza, inclusi 23 suicidi, 119 auto-immolazioni, 134 omicidi e 909 casi di forti percosse.

Inoltre, nell’intero paese le donne sono soggette a rapimenti, vendite di vedove, matrimoni infantili, matrimoni forzati e violenze sessuali.

Il Dr. Arif Jalali dell’Ospedale Civile di Herat riporta che all’ospedale sono arrivate dalle aree occidentali del paese 90 donne che si sono auto-immolate. 51 di loro non sono sopravvissute.

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Affari di guerra: firmato a Kabul il primo accordo economico tra Italia e Afghanistan

Di: Enrico Piovesana – PEACEREPORTER

48004 copyPetrolio e gas, miniere e marmo, strade e aeroporti, energia e agricoltura. È ricco e variegato il menù del primo accordo quadro di cooperazione economica firmato martedì a Kabul tra governo italiano e governo afgano.

La delegazione commerciale guidata dal ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani, era composta, tra gli altri, da rappresentanti di Eni, Enel, Enea, Gruppo Trevi (perforazioni petrolifere), Gruppo Maffei (estrazioni minerarie), Iatt (pipeline sotterranee), Fantini (segatrici per marmo), Assomarmo, Margraf e Gaspari Menotti (estrazione del marmo) e AI Engineering (costruzioni).

Il protocollo d’intesa prevede che investimenti italiani nell’estrazione di petrolio (nel nord dell’Afghanistan ci sono giacimenti da 1,6 miliardi di barili, per un valore di 85 miliardi di euro), gas naturale (nella stessa zona vi sono riserve da 16 miliardi di metri quadri, per un valore di 39 miliardi di euro), risorse minerarie (oro, rame, ferro, carbone e il prezioso litio, forse presente nei laghi prosciugati della provincia di Herat) e pietre preziose (smeraldi e lapislazzuli).

Il ministro afgano delle Miniere, Wahidullah Sharhani, ha inoltre chiesto all’Italia di partecipare alla realizzazione della famosa pipeline transafgana (Tapi) che porterà in Pakistan e India il gas trukmeno attraversando la provincia di Herat. Il progetto, di difficile realizzazione per ovvi motivi di sicurezza, potrebbe beneficiare dell’innovativa tecnica di posa condutture ‘trenchless’ (senza scavo a cielo aperto) della Iatt.

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Viva la sincerità

Ufficiali dei Marines spiegano al Washington Post come hanno ‘conquistato i cuori e le menti’ di una tribù afgana: “Non li convinci con i progetti e la buona volontà. Devi arrivare con due compagnie di Marines e iniziare ad ammazzare gente”
48687 300x225A volte capita che la cruda e brutale realtà della guerra emerga anche tra le righe di servizi giornalistici tutt’altro che pacifisti e antimilitaristi. E’ il caso di un articolo pubblicato una settimana fa dal Washington Post, il più prestigioso organo della propaganda militare americana.
Come si capisce dal titolo del pezzo – ‘Progressi in tre distretti del sud dell’Afghanistan segnalano un cambiamento’ – si tratta del solito entusiastico quanto parziale resoconto dei progressi militari americani sul fronte afgano, con tanto di afgani felici di vedere i propri villaggi rasi al suolo dall’aviazione Usa o ingabbiati da muri in stile israeliano.

La fine dell’articolo, però, riserva un inatteso sprazzo di realismo. Si racconta della tribù pashtun degli Alikozai, che vive nell’alta valle di Sangin, nella provincia di Helmand: area mai sottratta al controllo dei talebani. Nel 2007 il governo afgano e i generali inglesi convincono gli anziani della tribù a scaricare i talebani, ma non li proteggono, così i ribelli sequestrano un vecchio capitribù, lo legano con una corda a un pick-up e lo trascinano via ad alta velocità, uccidendolo.
 
Da allora gli Alikozai si sono mostrati refrattari alle successive profferte di accordi da parte delle autorità e dei generali inglesi. L’estete scorsa alle truppe di Sua Maestà, che occupavano Sangin da anni, sono subentrati i Marines americani: in autunno sono penetrati nel territorio Alikozai, massacrando centinaia di giovani guerrieri della tribù ”al soldo dei comandanti talebani”.

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I colloqui sulla presenza USA in Afghanistan innervosiscono le potenze regionali

The New York Times, April 18, 2011 – By ROD NORDLAND

KABUL, Afghanistan

È senza dubbio un processo delicato in un momento altrettanto critico. Funzionari afghani hanno espresso la preoccupazione che i negoziati possano affossare i colloqui di pace con i talebani, ora nelle fasi iniziali, perché i ribelli hanno insistito sul fatto che le forze straniere debbano lasciare il paese prima di futuri accordi. Il fatto che i colloqui non si siano interrotti indica la disponibilità  a un compromesso sui tempi del ritiro – ma è difficile immaginare l’accettazione da parte dei talebani di una presenza duratura americana. Colloqui formali su un accordo a lungo termine sono iniziati lo scorso mese con Marc Grossman – il funzionario che ha sostituito Richard C. Holbrooke, il diplomatico morto a dicembre – come inviato dell’amministrazione Obama per l’Afghanistan e il Pakistan. Una delegazione ha visitato Kabul, sotto la direzione di Frank Ruggiero, un funzionario del Dipartimento di Stato che ha gestito Provincial Reconstruction Team di Kandahar fino all’anno scorso. La reazione regionale è stata immediata. Il ministro degli interni iraniano ha fatto una visita precipitosa a Kabul, seguito a breve dai consiglieri della sicurezza nazionale di India e Russia. I russi, in genere favorevoli al ruolo della NATO in Afghanistan, sono stati allarmati per la prospettiva di una presenza a lungo termine occidentale.

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Le donne afghane al bivio: essere agenti di pace o vittime della pace?

La situazione attuale in Afghanistan e le donne

Dopo circa dieci anni di presenza militare internazionale, è provato in modo irrefutabile che la guerra non è una soluzione ai conflitti che continuano ad avvelenare l’Afghanistan. Nonostante alcune precise garanzie per le donne inserite nella Costituzione, la lotta delle donne per i propri diritti è ancora ardua – e non è un compito facile.
A partire dal 2006, parallelamente al deterioramento della sicurezza in molte aree, hanno ricominciato a ripresentarsi vecchi fenomeni negativi, con il calo di iscrizioni nelle scuole femminili,  specialmente nelle scuole superiori. Nel corso di tre anni, tra il 2004 e il 2007, il numero di impiegate donne è diminuito del 9,2 per cento. Le donne che lavorano nel settore sociale hanno ricominciato a sentirsi sempre più in pericolo nel raggiungere le aree remote delle province. E tuttavia, nonostante i rischi enormi, spesso continuano il loro lavoro – ma la crescente paura fa le sue vittime.
Nonostante il 27 per cento dei seggi parlamentari siano occupati da donne, il Parlamento ha approvato una controversa legge sull’amnistia, invocando l’impunità per tutti coloro che sono stati coinvolti in violazioni dei diritti umani e dei diritti delle donne in tempo di guerra.  Inoltre, il Parlamento ha approvato la Legge shiita sullo stato personale, che assoggetta le donne sciite ai tradizionali controlli religiosi (legge che è stata poi rivista e corretta in alcune parti). E intenzionalmente non ha mai ammesso candidate donne per la posizione di ministro degli Affari Femminili.

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Affari di guerra

Peacereporter

48004Petrolio e gas, miniere e marmo, strade e aeroporti, energia e agricoltura. È ricco e variegato il menù del primo accordo quadro di cooperazione economica firmato martedì a Kabul tra governo italiano e governo afgano.

La delegazione commerciale guidata dal ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani, era composta, tra gli altri, da rappresentanti di Eni, Enel, Enea, Gruppo Trevi (perforazioni petrolifere), Gruppo Maffei (estrazioni minerarie), Iatt (pipeline sotterranee), Fantini (segatrici per marmo), Assomarmo, Margraf e Gaspari Menotti (estrazione del marmo) e AI Engineering (costruzioni).

Il protocollo d’intesa prevede che investimenti italiani nell’estrazione di petrolio (nel nord dell’Afghanistan ci sono giacimenti da 1,6 miliardi di barili, per un valore di 85 miliardi di euro), gas naturale (nella stessa zona vi sono riserve da 16 miliardi di metri quadri, per un valore di 39 miliardi di euro), risorse minerarie (oro, rame, ferro, carbone e il prezioso litio, forse presente nei laghi prosciugati della provincia di Herat) e pietre preziose (smeraldi e lapislazzuli).

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Orzala Ashraf, attivista per i diritti umani, sulla costruzione della nazione afghana

Raccomandiamo la visione di questo video tratto dalla pagina dedicata all’Afghanistan nel sito di The Guardian.

Orzala Ashraf afferma: “È chiaro che nel processo di costruzione di una nazione la comunità internazionale merita di giocare un ruolo. Ma questo non significa che sia responsabilità della comunità internazionale costruire una nazione, costruire una identità nazionale o addirittura costruire uno Stato. Costruire una nazione, costuire una identità nazionale, scrivere la storia di un Paese o di una regione è responsabilità della gente che vive in quel Paese.”

Afghanistan – Arrivederci al 2014

medarabnews.com

FOTO2291Le truppe americane e occidentali rimarranno in Afghanistan fino al 2014, data in cui le forze afgane prenderanno il controllo totale della sicurezza del paese: è questa la decisione finale presa alla conferenza internazionale tenutasi a Kabul lo scorso martedì 20 luglio.

L’enfasi posta sul 2014 sarebbe, secondo diverse opinioni, un tentativo per distogliere l’attenzione dalla precedente scadenza fissata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, la quale prevedeva il ritiro delle truppe americane dal paese a partire dal 2011 e che per molti significava la resa ai talebani.

La nuova linea politica dimostra invece come questo ritiro dall’Afghanistan sarà graduale e  verrà stabilito in base alla situazione nterritoriale, pertanto i termini di scadenza stabiliti sono da considerarsi puramente indicativi.

Tuttavia, è proprio questo il nocciolo della questione: l’attuale situazione del paese – che ha reso il ritiro delle truppe a partire dal 2011 alquanto improbabile visti gli obiettivi stabiliti – lascia intendere che anche il ritiro totale delle truppe dall’Afghanistan fissato per il 2014 è piuttosto irrealizzabile (a meno che un improvviso peggioramento della situazione non lo renda necessario, ovvero, nel caso di un avanzamento dei talebani che minaccerebbe così una sconfitta imminente).

Pertanto, la drammatica saga afghana è destinata a proseguire, al meno nel futuro più prossimo, e la missione della Nato potrebbe prolungarsi contro ogni logica nonostante la mancanza totale di risultati tangibili.

L’aspetto più sorprendente della recente conferenza di Kabul è stata l’enorme incongruenza tra la retorica del Segretario di stato americano Hilary Clinton e del Segretario generale della Nato Andres Fogh Rasmussen, e ciò che sta realmente accadendo sul terreno di guerra in Afghanistan.

In un articolo pubblicato il giorno successivo alla conferenza, Rasmussen ha definito l’incontro ‘un punto fondamentale’ nel processo che vedrà il popolo afgano nuovamente artefice del destino del proprio paese.

‘L’Afghanistan si sta finalmente muovendo nella direzione giusta’, ha dichiarato Rasmussen. ‘Probabilmente gli insorgenti stanno aspettando la nostra uscita di scena, noi invece resteremo fino a che il nostro lavoro non sarà terminato’.

All’uscita sulla carta stampata delle dichiarazioni di Rasmussen, era già ben noto a moltissimi osservatori internazionali che il 2009 è stato l’anno con il più alto numero di attacchi talebani degli ultimi otto anni e che il 2010 si prospetta ancora più sanguinolento e letale per le truppe della coalizione occidentale.

Se è vero che la maggior parte del territorio afgano è sotto il controllo dei talebani, dall’altro lato, le offensive militari della Nato – definite da Rasmussen ‘di grandissima importanza politica’ in quanto ‘accelerano il processo di marginalizzazione delle forze politiche e militari talebane,’ – si sono rivelate un fallimento: le truppe della coalizione occidentale e quelle dell’esercito afgano incontrano enormi difficoltà nel difendersi dai violenti contrattacchi talebani e in tutto questo, il governo afgano non è riuscito ad garantire alcun tipo di servizio al popolo ‘liberato’.

Molti degli obiettivi stabiliti alla conferenza di Kabul – tra i quali conferire al governo afgano ulteriori responsabilità amministrative in cambio di una maggiore trasparenza ed efficenza – erano già stati fissati in passato in diverse conferenze come quella svoltasi a Londra nel 2006 e a Parigi nel 2008. Tuttavia, con il passare degli anni, la situazione è senza dubbio peggiorata.

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Afghanistan, vietato dissentire

Peacereporter – 4 Aprile 2011

47216 300x175Kabul teme il contagio delle rivolte arabe: arresti e intimidazioni contro i promotori delle manifestazioni contro l’occupazione Usa e il governo Karzai. “Gli agenti dell’intelligence afgana ultimamente sono dappertutto perché ci sono voci che una protesta simile a quelle dei paesi arabi potrebbe essere organizzata in Afghanistan, anche presto, probabilmente entro fine aprile. Noi non crediamo che accadrà, ma gli ufficiali governativi hanno questa convinzione e associazioni come la nostra e Hambastagi sono sospettate di essere parte dell’organizzazione e quindi sottoposte a maggiore sorveglianza”.

Potrebbe essere spiegata con questa dichiarazione giunta al Cisda, il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afgane, la serie di atti intimidatori messa in atto nell’ultimo mese dalla polizia afghana ai danni di una serie di associazioni e attivisti afghani che operano a favore dei diritti umani. La denuncia è giunta proprio da uno dei maggiori movimenti democratici afgani impegnato nella lotta per l’emancipazione femminile, le cui sostenitrici sono costrette a una vita in clandestinità a causa dei loro aperti attacchi nei confronti del governo Karzai, definito un governo fantoccio imposto dagli Usa, corrotto fino al midollo e presieduto dai signori della guerra.

Ma quello che sembra avere infastidito maggiormente le forze governative è stata la manifestazione contro organizzata lo scorso 6 marzo a Kabul dal partito Hambastagi, l’unico partito democratico laico e antifondamentalista d’Afghanistan, che aveva raccolto nella capitale centinaia di militanti, soprattutto donne, al grido di “Morte all’America! Morte ai talebani!” e che erano state riprese dalle telecamere delle agenzie di stampa internazionali. La protesta era indirizzata in particolare contro la ventilata istituzione di basi permamenti americane in Afghanistan, attaccava il governo Karzai reo di “legittimare la colonizzazione del Paese” e inneggiava alla protesta dei paesi arabi percepita non solo come sollevazione contro l’autoritarismo dei dittatori, ma anche contro le basi americane nei loro territori e l’influenza israeliana nella regione.

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