Skip to main content

Per la libertà di Ocalan e per una soluzione politica in Kurdistan

|

Renato Franzitta, Pressenza Italia, 29 aprile 2025

L’appello del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan del 27 febbraio per “la pace e una società democratica” rappresenta il nono tentativo di cessate il fuoco unilaterale da parte curda, in questo modo il PKK ha dato un ulteriore tangibile segno dell’impegno da parte curda per la pace e la democrazia.

Già nel 2015 la trattativa per la pace sembrava fosse arrivata ad un punto significativo e che la liberazione di Öcalan potesse essere imminente. Ciò che accadde dopo le elezioni del giugno 2015, quando il partito HDP ottenne 13,12% e conquistò 80 seggi al Parlamento di Ankara, è sotto gli occhi di tutti: una violenta e sanguinosa ondata bellica scatenata dal regime di Erdogan contro le popolazioni curde in Turchia, Siria e Iraq del nord.

La feroce campagna turca

Interi villaggi distrutti, quartieri storici delle città curde rasi al suolo, migliaia di arresti fra curdi sospettati di essere membri del PKK e fra i militanti del partito HDP, fra cui il segretario nazionale Demirtas, centinaia di morti.

L’offensiva turca contro il movimento democratico curdo fu estesa oltre i confini della Turchia, con una feroce campagna che ha investito il Rojava rivoluzionario, iniziata con l’attacco ad Afrin e a tutta la Siria del Nord e dell’Est. Le formazioni jihadiste eterodirette da Ankara operarono una crudele pulizia etnica nei territori occidentali del Rojava espellendone le popolazioni stanziali.

Sebbene i colloqui con il regime di Ankara continuino, la condizione minima per la deposizione delle armi da parte delle milizie popolari curde ha come presupposto irrinunciabile la possibilità di indire il Congresso straordinario del PKK con la presenza fisica del suo leader storico Abdullah Öcalan e la liberazione di tutti i detenuti politici, compreso il leader dell’HDP Selahattin Demirtaş.

Attualmente non si registra una reale risposta del governo turco all’appello di Öcalan e al cessate il fuoco unilaterale del PKK. Di contro assistiamo alla deriva autoritaria del governo turco che si evidenzia con un’ondata di arresti di sindaci, giornalisti, avvocati e attivisti per la pace in tutta la Turchia.

L’arresto il 19 marzo 2025 del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu – volto di spicco del Partito Popolare Repubblicano e candidato in pectore del CHP alle elezioni presidenziali turche del 2028 dopo la vittoria alle primarie del partito kemalista – con l’accusa di corruzione, estorsione, riciclaggio di denaro, turbativa d’asta e collaborazione con il PKK, ha reso ancora più evidente la svolta sicuritaria del governo di Ankara. Questo sviluppo alimenta una profonda sfiducia nei confronti delle dichiarazioni politiche che parlano dell’inizio di un periodo di pace.

Inoltre, l’esercito turco continua ad attaccare le posizioni delle forze guerrigliere del PKK, e sono riemerse accuse sull’uso di armi chimiche.

Mentre il PKK propone il cessate il fuoco su tutti i fronti, il governo di Erdogan, dopo la dissoluzione del regime siriano degli Assad, spinge le milizie jihadiste del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (SNA) contro i territori controllati dall’Autorità Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES).

L’SNA, foraggiato e diretto dalla Turchia, partendo dal distretto di Idlib, distretto da anni nelle mani dei jihadisti, già dal dicembre scorso ha intrapreso un massiccio attacco contro i territori autonomi della Siria del Nord e dell’Est spingendosi dal Nord Ovest siriano fino alle sponde dell’Eufrate.

Pieno appoggio alle milizie popolari

Le Forze Democratiche Siriane (SDF), guidate dalle Unità di Protezione Popolare (YPG), hanno fermato lungo le sponde dell’Eufrate l’offensiva delle SNA, diretta alla conquista di Kobane, città simbolo della resistenza ai tagliagole jihadisti dell’ISIS.

Per difendere le conquiste rivoluzionarie del Confederalismo Democratico la popolazione della Siria del Nord e dell’Est si è sollevata dando pieno appoggio alle milizie popolari rivoluzionarie. A difendere la diga di Teshrin sono giunte migliaia di persone, famiglie intere che hanno offerto i propri corpi per respingere l’orda reazionaria del SNA. Tantissimi i morti sotto i bombardamenti, ma l’avanzata delle milizie jihadiste filoturche è stata fermata. La diga di Teshrin sull’Eufrate è divenuta il nuovo simbolo della resistenza in Rojava.

L’alleanza fra le varie componenti della società siriana (curdi, arabi, armeni, assiri, turkmeni e circassi, sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, drusi, ezidi e altri siriani) realizzata in Siria del Nord e dell’Est si sta consolidando. L’iniziale simpatia di alcuni combattenti arabi delle SDF a Raqqa e a Deir ez-Zor (località a maggioranza araba) verso l’attuale governo a guida HTS si è presto esaurita dopo le dichiarazioni jihadiste di Ahmed al-Sharah in vista della riscrittura della carta costituzionale e dopo i massacri contro le popolazioni alawite nella Siria dell’ovest.

Poco dopo aver rovesciato il regime di Assad, il governo apertamente sunnita di al-Sharaa aveva pubblicamente garantito la libertà di culto alle minoranze religiose del Paese, ma nonostante questa dichiarazione dagli apparenti contorni pacifisti, gli scontri tra le forze di sicurezza di Damasco e gli alawiti (di osservanza sciita) hanno portato a massacri indiscriminati anche di civili. Più di 1.400 i civili sono stati uccisi, inclusi centinaia di giustiziati dalle forze di sicurezza siriane concentrate soprattutto nelle provincie di Latakia e Tartus, nell’ovest della Siria.

Sfruttando le debolezze del l’attuale regime di Damasco il DAANES ha stretto contatti con la comunità drusa, con la comunità alawita e con varie comunità arabe in tutta la Siria.

In questo quadro è stato deciso di istituire accademie al di fuori della Siria del nord e dell’Est per diffondere i principi del Confederalismo Democratico e per costruire una nuova Siria democratica, confederale e rispettosa di tutte le etnie presenti. Su richiesta delle donne delle varie zone del Paese si stanno costruendo corpi delle YPJ (Unità di Protezione delle Donne) per l’autodifesa, specialmente dopo l’impostazione islamista e autoritaria della nuova Siria a guida HTS.

Mentre si accoglie in modo positivo l’appello di Öcalan del 27 febbraio per la pace, si sottolinea che fino a quando non ci saranno garanzie valide per il rispetto delle conquiste del Confederalismo Democratico, per il rispetto delle minoranze religiose ed etniche, per il rispetto delle donne in Siria le milizie popolari SDF e YPG non deporranno le armi e che le YPJ non disarmeranno in nessun caso, essendo essenziali per la difesa delle donne.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *