Perché Erdogan è interessato a una pace con i curdi del PKK

La storica richiesta di Abdullah Öcalan al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di abbandonare la lotta armata, sciogliersi e avviare un processo di pace è legata anche a un cambio di atteggiamento da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che potrebbe avvantaggiarsi da un riavvicinamento con i curdi. Da un lato la distensione potrebbe facilitare l’approvazione di una riforma costituzionale che permetterebbe a Erdogan di restare al potere oltre la fine del suo secondo mandato, nel 2028. Dall’altro la fine delle ostilità con il PKK potrebbe indebolire o condizionare anche i curdi siriani, contro cui la Turchia combatte da tempo.
Da oltre quarant’anni il PKK, fondato proprio da Öcalan, combatte una guerra contro lo stato turco per ottenere maggiore autonomia politica e sociale per la popolazione curda in Turchia. Gli ultimi negoziati erano falliti nel 2015, e in quell’occasione il governo turco aveva attaccato duramente i curdi, sia con l’esercito sia attraverso un’intensa repressione politica.
Da qualche mese Erdogan ha però cambiato approccio. Non si è espresso direttamente sulla questione, ma ha usato la stampa e alcuni alleati di governo per far capire di essere pronto a negoziare.
Tra i vari motivi alla base di questo cambio potrebbe esserci il tentativo di garantirsi il sostegno del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), un partito filocurdo da tempo considerato dalla maggioranza di governo un’espressione politica del PKK. Lo scorso ottobre il leader del partito di estrema destra Movimento Nazionalista (MHP) Devlet Bahceli, alleato di Erdogan, aveva prima allacciato rapporti con DEM, poi proposto una grazia a Öcalan se il PKK avesse deciso di abbandonare la lotta armata e sciogliersi. Le iniziative di Bahceli non erano personali, ma riflettevano il nuovo approccio del governo.
Il riavvicinamento è dovuto in parte a ragioni di opportunismo politico. I voti di DEM servirebbero a Erdogan per approvare un progetto di riforma costituzionale che gli permetterebbe di restare al potere anche dopo il 2028, quando scadrà il suo secondo e ultimo mandato presidenziale. Per approvarla servono almeno due terzi dei voti: DEM ha 57 seggi in parlamento, sui 600 totali (la maggioranza che sostiene Erdogan ne ha 324, 7 seggi sono vacanti, altri voti potrebbero arrivare da partiti più piccoli o parlamentari indipendenti).
DEM persegue per via democratica gli stessi obiettivi del PKK: riconoscimento costituzionale dell’identità curda, insegnamento della lingua curda nelle scuole e maggiore autonomia per la regione. Sono richieste avanzate da anni, ma che il governo ha sempre respinto. Non è chiaro al momento quanto Erdogan sia disposto a concedere, anche sul tema della scarcerazione dei prigionieri politici e dell’amnistia per i guerriglieri del PKK.
Negli ultimi dieci anni il partito e i suoi esponenti sono stati sottoposti a varie misure repressive: 150 sindaci curdi sono stati rimossi e decine di attivisti e politici sono stati incarcerati. Per esempio Selahattin Demirtaş, ex co-presidente di DEM che fu anche candidato alla presidenza, è in prigione dal 2016.
La fine delle ostilità con i curdi della Turchia potrebbe anche avere ripercussioni sui curdi siriani, che controllano la regione del Rojava, nel nord-est della Siria e vicino al confine con la Turchia.
L’appello di Öcalan per l’avvio di un processo di pace non è stato rivolto ai curdi siriani (la Siria non è mai nominata nel messaggio), ma in questi anni molti esponenti del PKK sono confluiti nelle Forze democratiche siriane (SDF), l’esercito che contiene al suo interno sia i principali gruppi armati curdi della Siria (come l’YPG, Unità di protezione popolare, la più famosa milizia curda) sia altre milizie locali. L’attuale comandante in capo delle SDF, Mazloum Kobane (nome di guerra di Mazloum Abdi), ha fatto parte del PKK ed è stato a lungo il principale collaboratore di Abdullah Öcalan. Agli occhi della Turchia, non c’è differenza tra il PKK e le SDF.
In questi anni l’esercito turco e le milizie filoturche hanno combattuto contro le SDF. Il governo turco ritiene che fare la pace con il PKK potrebbe depotenziare anche i curdi siriani, che in passato sono stati sostenuti dagli Stati Uniti principalmente per combattere l’ISIS nella regione, ma che oggi sono molto più isolati.
Il progetto di Erdogan, ambizioso e ancora in una fase iniziale, è quindi quello di smettere di fare la guerra ai gruppi curdi per consolidare ulteriormente il proprio potere nel paese. Allo stesso tempo, il presidente turco vorrebbe che l’influenza della Turchia sulla regione circostante si estendesse.
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