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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, Biden: «Non passerò questa guerra a un quinto presidente»

Il Manifesto, Giuliano Battiston, 15 aprile 2021

Anche l’Italia se ne va. Conferenza stampa sulle motivazioni del ritiro Usa dal Paese il prossimo 11 settembre

Biden Afghanistan

La guerra americana in Afghanistan è chiusa. Il ritiro completo e incondizionato avverrà entro l’11 settembre 2021, ventesimo anniversario dell’attacco alle Torri gemelle, preludio della guerra globale al terrore. È l’annuncio del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ieri – troppo tardi per darne conto in modo esaustivo – ha tenuto una conferenza stampa per spiegare le ragioni della storica decisione. «Sono il quarto presidente a decidere sulla presenza delle truppe americane in Afghanistan. Due Repubblicani. Due Democratici. Non passerò la responsabilità a un quinto». Così Biden secondo le anticipazioni della Casa Bianca.

Le residue truppe statunitensi – 2.500 ufficialmente, 3.500 secondo un’inchiesta del New York Times – verranno dunque ritirate, portando a compimento il disimpegno iniziato da Donald Trump, l’artefice dell’accordo bilaterale tra Stati Uniti e Talebani firmato a Doha nel febbraio 2020.

Quell’accordo prevedeva un legame, per quanto equivoco e con margini ampi di interpretazione, sfruttati dai Talebani, tra il completamento del ritiro e l’avanzamento del processo di pace tra i militanti islamisti e il «fronte repubblicano», iniziato a Doha nel settembre 2020.

La decisione di Biden invece è incondizionata. La guerra afghana è chiusa, a dispetto di ciò che avverrà sul campo militare e al tavolo negoziale. Biden, infatti, è convinto che non si possa «continuare il ciclo con cui estendiamo o espandiamo la nostra presenza militare in Afghanistan sperando di creare le condizioni ideali per il nostro ritiro, aspettando un risultato diverso».

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Opportunismo talebano e frustrazione delle ANFS: come è cambiato il conflitto afghano dopo l’accordo di Doha

Afghanistan Analysts – Andrew Quilty – 12 ottobre 2020

Proponiamo questo report perché, nonostante siano ormai passati parecchi mesi dalla sua pubblicazione, raccoglie elementi importanti per comprendere questo periodo di transizione.

Traduzione di Deborah Massignani e Francesca Santambrogio.

Le persone che “stanno vivendo” la guerra in Afghanistan, sia civili sia militari, hanno avuto esperienze molto diverse negli ultimi sette mesi, a seconda della zona del Paese in cui risiedono. Chi vive nelle aree controllate dai talebani ha visto una pace inaspettata da quando gli Stati Uniti e i talebani hanno firmato l’accordo di Doha, dopo la sospensione degli attacchi aerei da parte degli USA e l’atteggiamento difensivo assunto dal governo afghano. Per altri, anche se i talebani hanno abbandonato gli attacchi di vasta portata, a terra hanno intensificato altre forme di violenza e sono aumentate le vittime tra i civili. Andrew Quilty incontra talebani esultanti e membri delle ANSF demoralizzati. In un convincente reportage su tre province, indaga i cambiamenti nel modus operandi della violenza. Si chiede inoltre cosa ci possono spiegare le visioni dal basso circa le prospettive di riduzione della violenza in Afghanistan, una richiesta da Kabul finora rifiutata dai talebani.

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Questo è il quinto rapporto pubblicato dall’AAN (Afghan Analysts Network) per comprendere il conflitto dopo gli 8 giorni di Riduzione della violenza (RiV), 21-29 febbraio, che hanno caratterizzato l’accordo tra gli USA e i talebani. (1) Si basa su 53 interviste a:talebani (4), membri delle Forze di sicurezza afghane (ANSF) (18), funzionari governativi(6) e altri civili (26). Le interviste sono state condotte tra giugno e agosto, nell’area di 3province: Maidan Wardak, Kunduz e Nangrahar, in modo da valutare come i cambiamenti nelle posizioni militari delle parti del conflitto abbiano influito sui civili e sui soldati da quando l’accordo di Doha è entrato in vigore.

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Aiuta Arson Fahim, un talentuoso pianista afghano, ad andare all’università!

ArsonPianista di talento che sta per completare i suoi studi superiori presso l’Afghanistan National Institute of Music (ANIM), aspirante compositore e direttore d’orchestra che lavora sia con l’Afghan National Symphony Orchestra che con l’Afghan National Youth Orchestra.

Arson è un ambasciatore dei sogni della generazione dei ventenni nati e cresciuti in un paese devastato della guerra.

La brillante carriera musicale che gli si apre davanti è racchiusa nelle commoventi composizioni che ha creato già alla sua giovane età. Pezzi per onorare i coraggiosi giornalisti afghani uccisi in questo conflitto, per affermare l’importanza dei diritti delle donne e per esprimere speranze di pace.

Ad avviare la raccolta fondi è stata Lauren Braithwaite, che ha avuto il piacere di averlo come studente per tre anni a Kabul. Seppur fosse un rifugiato cresciuto in Pakistan e abbia avuto l’opportunità di imparare il pianoforte solo all’Afghanistan National Institute of Music (ANIM), ha sempre Lauren ha sempre avuto la certezza che Arson avrebbe fatto grandi cose.

E, difatti, gli è stata offerta una borsa di studio completa per proseguire la sua istruzione superiore alla Longy School of Music di Cambridge, Massachusetts, a partire da agosto 2021. Tuttavia, ha ancora bisogno di coprire le sue spese di vita di base mentre studia.

Ha lavorato incredibilmente duro per realizzare il prossimo passo del suo viaggio nella musica ma, per farlo accadere, ha bisogno del nostro aiuto. Del tuo aiuto. Fai una donazione attraverso questa campagna GoFundMe e aiutalo a proseguire i suoi studi e perseguire il suo sogno di tornare in Afghanistan per agire reali cambiamenti sociali attraverso la musica.

www.youtube.com/watch?v=JKLLShgSTMk.

Biden, il peso del disonore afghano

di Enrico Campofreda, 14 aprile 2021

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Via dall’Afghanistan promette Biden e sceglie la data simbolo dell’11 settembre. Quella della ferita inguaribile per la potenza americana, del sangue e del panico diffusi fra gente innocente. Il seguito è noto, una vendetta contro una terra e la sua gente ree – sosteneva la Cia – di offrire rifugio a Osama Bin Laden, il regista della strage nel cuore di New York.

Così tre missioni lunghe vent’anni, milioni di profughi interni e in fuga senza meta pur di scappare dalla morte che ha invece inchiodato mezzo milione di fratelli e sorelle.

Via da un disastro politico che ha definito democrazia l’investitura di gaglioffi: Hamid Karzai, due volte presidente, Ashraf Ghani, suo emulo in tono minore, con le loro corti di faccendieri immorali, criminali di guerra promossi vicepresidenti (Fahim, Khamili, Dostum). Quattro governi fomentatori di corruzione, ruberie, scandali che hanno bloccato e bloccano ogni speranza legislativa.
Via dalla disfatta militare che ha visto il progressista Obama, emulare lo JFK del Vietnam, giù bombe e marines, giunti fino a centomila, praticando dieci anni dieci d’un’intensissima guerra che la Nato pensava di dominare, invece ha perduto offrendo ai talebani la patente di resistenti contro l’invasione straniera. Un’occupazione fatta di bombardamenti sulla gente normale, magari non alla moda come il ceto impiegatizio stroncato dentro le Twin Towers obiettivo di Qaeda, ma contadini e pastori che tornando la sera nei villaggi dell’Helmad, di Balkh  finivano sotto missili degli F-16. Pensavano Colin Powell, Petraeus, pensavano gli strateghi della guerra tecnologica d’azzerare l’azione talebana?

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HDP: i leader dell’UE cercano di “ripristinare” le relazioni con la Turchia con un “programma positivo”

HDP, Uiki, 8 aprile 2021
Hdp, il Partito democratico dei popoli, ha rilasciato una dichiarazione sull’incontro di questa settimana tra i leader dell’Ue e il presidente Erdoğan
Turchia la sconfitta dell HDP
Feleknas Uca e Hişyar Özsoy, i portavoce HDP per gli affari esteri, hanno rilasciato una dichiarazione sull’incontro ad alto livello di questa settimana tra i leader dell’UE e il presidente Erdoğan.
La dichiarazione include quanto segue:
“Abbiamo fornito informazioni regolari alla comunità internazionale sulle politiche del governo turco che hanno minato i valori democratici universali e i diritti umani in Turchia dal 2015.
Il ritiro di mezzanotte dalla Convenzione di Istanbul per decreto presidenziale e la chiusura del caso contro HDP sono solo gli ultimi passi compiuti per distruggere le ultime briciole di democrazia e diritti umani. Stiamo osservando meticolosamente come i leader dell’UE cercano di “ripristinare” le relazioni con la Turchia con un “programma positivo” nonostante la chiara distruzione crescente della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani da parte del governo.

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Libia, quelle parole non dovevano essere dette

Durante la sua visita in Libia il capo del governo italiano ha lodato i cosiddetti “salvataggi” compiuti dalla guardia costiera libica. Indignate per questa offesa a tutte le vittime di violenze e stupri che lì avvengono, il CISDA aderisce all’appello della Rete femminista No muri No recinti-Casa delle donne di Milano

Rete femminista No muri No recinti – 8 aprile 2021

Libia

Libia, quelle parole non dovevano essere dette

L’Italia dovrebbe vergognarsi di lodare i responsabili d’indicibili violenze contrarie a ogni diritto umano. Ancora una volta non in nostro nome.

Davvero il capo del governo italiano non vede e non sa, oppure peggio, vede e sa ma finge di non vedere e di non sapere?

«Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi, e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia»: queste le incredibili parole pronunciate da Draghi nella sua visita in Libia.

Inchieste, testimonianze, report, tutte le fonti possibili inclusa l’Onu hanno mostrato al mondo l’orrore dei cosiddetti “salvataggi” che la guardia costiera libica compie senza alcun rispetto per la vita di profughe e profughi, e persino di bambini. Ne muoiono a migliaia in questi salvataggi, e se sopravvivono vengono riportati negli orrendi “campi di raccolta” che sono luoghi di sevizie, torture e stupri.

Oltrepassato ogni limite. Può dunque l’ipocrita realpolitik patriarcale giungere a questi estremi senza nessuna protesta, senza nessuna opposizione?

Sappiamo quanto oscuri siano i rapporti fra i paesi europei e le ex colonie africane, oggi vittime e in parte complici di nuove forme di sfruttamento. Sappiamo quanto torbido sia stato il legame fra Italia e Libia, come tutto ciò che nel mondo gira attorno al nodo delle risorse energetiche per alimentare lo sciagurato modello di sviluppo occidentale. Sappiamo quanto l’Italia sia stata connivente con l’assassinio di Gheddafi, selvaggio regolamento di conti all’americana contro un dittatore corrotto che però, guarda caso, aveva il torto di sognare l’indipendenza africana cui tutto il mondo è ostile.

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Le donne emancipate nel mirino dei talebani

Bianca Senatore – Left – 2 aprile 2021

Nel Paese dei papaveri gli estremisti islamici pianificano e realizzano attacchi e omicidi contro giornaliste, insegnanti e operatrici della società civile. Donne e cultura sono i loro incubi più grandi. Mentre il governo di Kabul voleva impedire alle ragazze di cantare in pubblico.

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Passo svelto, sguardo basso, una mano a stringere l’hijab sotto il mento, più per nervosismo che per esigenza. Sul lato sinistro della strada c’è molto traffico che scorre piano, poi una macchina accelera di botto e si affianca, mentre un bambino strilla all’altro angolo della strada. Il battito accelera. Un rumore di ferraglia arriva alle spalle, un ragazzo in motorino suona il clacson mentre una signora anziana sbatte una porta. Le tempie ormai pulsano. Shakiba Haidary è terrorizzata. «Ogni volta che sono in strada, sia per lavoro che per motivi personali, mi aspetto di morire» racconta Shakiba, che ha 24 anni e fa la giornalista per una televisione di Kabul.

Negli ultimi mesi le minacce ai giornalisti sono diventate quotidiane, soprattutto alle donne, e dall’inizio dell’anno sono già stati uccisi cinque operatori dell’informazione. Le ultime reporter sono state trucidate a inizio marzo nella città orientale di Jalalabad: Mursal, di 25 anni, Sadia e Shanaz, di 20, sono state uccise con un colpo d’arma da fuoco alla testa esploso da un’auto in corsa. «Mursal la conoscevo – racconta Shakiba – e quando è morta mi sono chiusa in bagno per ore. Ho dovuto razionalizzare tanto prima di tornare al mio lavoro. Ora, quando sono in strada ogni rumore improvviso che gli altri nemmeno notano per me è un colpo al cuore».

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Afghanistan, Ghani inventa un suo piano

Enrico Campofreda, dal suo Blog – 5 aprile 2021

Per scrollarsi di dosso l’epiteto di fantoccio americano o semplicemente per la frustrazione conseguente a questo che per anni è stato il suo ruolo, Ghani fa il classico passo più lungo della gamba e cerca di opporre una sua Road map.

ASF in KabulVanta un attacco sterminatore l’Afghan National Forces e lo evidenzia con soddisfazione con comunicati ufficiali. Con un’offensiva lanciata ad Arghandab, località prossima alla città di Kandahar, ha ucciso 37 talebani, sequestrando loro motociclette e armi. L’area era da mesi sotto il controllo dei combattenti coranici. Invece stamane un Improvised Explosive Device ha fatto saltare in aria un veicolo di pattugliamento a Qarabagh, nel distretto di Kabul. Dei cinque militari della sicurezza investiti dalla deflagrazione uno è morto, quattro sono feriti.
Fra i due episodi può non esserci collegamento, quest’attacco, come spesso accade, non ha ricevuto alcuna rivendicazione e l’episodio ha le caratteristiche delle ordinarie azioni di guerriglia che con un impegno minimo, consistente nel disseminare Ied, si possono colpire i pattugliamenti militari dei governativi.

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Sete, infezioni e speranze nel Rojava occupato

Enrico Campofreda dal suo Blog – 1 aprile 2021

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Più della pandemia da Covid, come in tanti angoli del mondo comparsa nel tardo inverno 2019, è stato l’autunno di quell’anno a obnubilare le informazioni sulla reale utopia che dal 2012 aveva assunto la denominazione di Rojava. I notiziari hanno perso le tracce di quell’Amministrazione Autonoma dei territori a cavallo d’un confine segnato sulle mappe e nella giurisdizione degli Stati nazionali di Turchia e Siria, una demarcazione che in natura manca poiché gli spazi sono aperti, colorati da una campagna feconda, compresa fra i millenari Eufrate e Tigri, non a caso definita Mezzaluna fertile. I media hanno smarrito le coordinate sul Rojava quando i carri armati turchi iniziavano a occupare e pattugliare 480 km di quel territorio, per una profondità anche di più di trenta.

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Afghanistan, tre operatrici sanitarie uccise in meno di un’ora

 amnesty.it – 30 marzo 2021

Ancora attacchi contro donne lavoratrici che erano parte di questa nuova generazione che alimenta una speranza per l’Afghanistan

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Tre operatrici sanitarie impegnate nella campagna di vaccinazione contro la poliomielite della popolazione infantile afgana sono state assassinate la mattina del 30 marzo, in meno di un’ora e in due diversi attacchi, nella città di Jalalabad.

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