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Autore: Anna Santarello

KCK: Rompiamo l’isolamento e liberiamo il nostro leader Abdullah Öcalan

Uiki Onlus, 18 marzo 2021

kurdistan

La KCK ha rilasciato una dichiarazione in occasione del Newroz 2021 che quest’anno, ha affermato, “deve inviare un forte messaggio di lealtà del nostro popolo al nostro leader Abdullah Öcalan”.

La dichiarazione dice: “Il popolo del Kurdistan e del Medio Oriente sta per celebrare un altro storico Newroz. Commemoriamo tutti i martiri del Newroz che hanno portato lo spirito del Newroz al presente – in particolare Mazlum Doğan, Zekiye Alkan, Rahşan Demirel, Berivan e Ronahi .

Celebriamo il Newroz del nostro leader Abdullah Öcalan. Ha trasformato il popolo curdo nel popolo del Newroz. Pertanto, ha svolto un ruolo decisivo per la creazione di tutti i valori nazionali, sociali e culturali del popolo curdo. Celebriamo il Newroz del popolo curdo – un popolo di rivolte e Newroz -, della guerriglia che lotta nelle montagne e nelle valli e di tutti i combattenti per la libertà nelle carceri.

Unendosi alla campagna del Newroz 2021 “È ora di garantire la libertà”, il popolo curdo ha schiacciato il governo fascista AKP-MHP. Siamo convinti che il popolo curdo giocherà un ruolo importante nella liberazione del nostro leader Abdullah Öcalan “. Il comunicato prosegue: “Su questa base chiediamo a tutto il popolo curdo di scendere in piazza al Newroz. Recentemente sono state diffuse informazioni negative sulla salute del nostro leader Abdullah Öcalan. Pertanto, il Newroz di quest’anno ha bisogno di accelerare ulteriormente la campagna “È ora di garantire la libertà” diventando un Newroz che sopprime l’isolamento e libera il nostro leader Abdullah Öcalan. Quest’anno, il Newroz deve inviare un forte messaggio di lealtà del nostro popolo al nostro leader Abdullah Öcalan. Deve mostrare chiaramente al nemico che non gli sarà mai permesso di danneggiare il nostro leader Abdullah Öcalan “.

La KCK aggiunge: “Oggi, la situazione di 2633 anni fa si sta ripetendo in Kurdistan e in Medio Oriente. La politica del governo fascista AKP-MHP non solo opprime il popolo curdo ma distrugge il futuro di tutte le persone del Medio Oriente . Tutti i metodi usati da questo governo hanno superato a lungo l’oppressione inflitta al popolo da Dehak. Oggi, le persone hanno bisogno di rialzarsi come hanno fatto 2633 anni fa sotto la guida del fabbro Kawa. Il 2021 deve diventare l’anno in cui le persone si ribellano proprio come 2633 anni fa e mettono fine al governo fascista AKP-MHP, il Dehak di oggi. Questo deve essere l’obiettivo delle celebrazioni del Newroz di quest’anno. Il Newroz è il giorno della protezione e del rafforzamento dell’esistenza e dei valori nazionali del popolo curdo. Allo stesso tempo, è il giorno dell’aumento della lotta basata sull’amicizia del popolo contro gli oppressori. Oggi più che mai è necessaria la lotta unitaria del popolo. Quando il popolo curdo raggiungerà la sua unità e lotterà insieme a tutte le altre persone della regione, garantirà la sua esistenza nazionale e libererà i popoli del Medio Oriente.

Perché oggi la lotta contro il governo fascista dell’AKP-MHP è una lotta per la sopravvivenza nazionale tanto quanto una lotta per la liberazione del popolo del Medio Oriente “. La dichiarazione insiste: “Sulla base delle rivolte nei Newroz degli ultimi 30 anni, il popolo curdo è diventato la forza trainante della libertà in Medio Oriente. Soprattutto la lotta per la libertà delle donne curde ha aggiunto molti bei valori ai valori millenari del Newroz. Il popolo curdo – questo popolo del Newroz – è diventato il sole e il kiblah* della ricerca di libertà dell’umanità. L’8 marzo, le donne curde hanno dimostrato di essere la forza della libertà più attiva nella lotta per la libertà delle donne nel mondo. Questo ha dimostrato a tutti che – con lo spirito di libertà delle donne – il Newroz 2021 sarà celebrato più che mai e che la fine dei colonialisti genocidi e di tutti gli oppressori è vicina. Le donne e i giovani curdi devono portare al Newroz la passione e l’entusiasmo per la libertà dell’8 marzo. Devono trasformare tutti i luoghi in cui viene celebrato il Newroz in luoghi di una crescente lotta per la libertà e la democrazia.

Le celebrazioni del Newroz degli ultimi decenni, le esperienze e i sogni di tutti coloro che sono caduti come martiri durante queste rivolte hanno trasformato il Newroz in un momento in cui la lotta del popolo curdo per una vita libera e democratica raggiunge il suo apice. Lo spirito del Newroz contiene una forza di vita libera e democratica che è abbastanza forte da porre fine a tutti i tipi di oppressione.

Questo è il motivo per cui gli oppressori e le forze genocide sono pieni di paura ogni Newroz. Nel Newroz di quest’anno, tutti devono scendere in piazza con questo spirito e quindi trasformare in realtà le paure di tutti gli oppressori “. La dichiarazione si conclude con le seguenti osservazioni: “Coloro che si sacrificano per il popolo curdo hanno acceso il fuoco della libertà proprio come fece il fabbro Kawa nel palazzo del tiranno Dehak. Il fuoco che i Kawa di oggi hanno acceso a Garê deve essere acceso in tutte le valli, città, villaggi, quartieri e altri luoghi. Quindi l’anno 2021 deve essere trasformato in un anno di libertà. È giunto il momento di liberare il nostro leader e vivere nel nostro paese libero “.

Afghanistan, al tavolo di Mosca va in scena la tregua di primavera

La conferenza della “troika estesa” con i Talebani. No alla solita offensiva di stagione e no alla restaurazione dell’Emirato. Per il resto tante pacche sulle spalle che parlano più dei comunicati ufficiali. Gli Usa vogliono prendere tempo

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Il Manifesto, Giuliano Battiston, 19 marzo 2021

No all’offensiva militare talebana di primavera e alla restaurazione dell’Emirato islamico d’Afghanistan. Sì alla riduzione della violenza e alla risoluzione politica del conflitto, e che si faccia in fretta.

È la posizione della cosiddetta “troika estesa”, formata dai rappresentanti di Cina, Pakistan, Russia e Stati uniti, riuniti ieri a Mosca per accelerare il processo che dovrebbe condurre alla fine della guerra afghana. Un processo avviato nel febbraio 2020 con l’accordo bilaterale tra Usa e Talebani, proseguito nel settembre di quell’anno con l’inizio del negoziato tra Talebani e Kabul e, poi, rimasto in stallo.

ATTORNO ALL’AMPIO TAVOLO circolare, ieri a Mosca c’erano una trentina di persone. Tra loro, anche la delegazione talebana guidata dal numero due del movimento, mullah Abdul Ghani Baradar, e dai rappresentanti del governo afghano, a partire da Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. Abdullah è tornato a invocare un cessate il fuoco immediato, mentre i Talebani hanno sì dovuto incassare la contrarietà della “troika estesa” alla restaurazione dell’Emirato, ma hanno portato a casa un’altra vetrina internazionale.

Afghanistan mosca accordo

E tante pacche sulle spalle. Gesti che in queste occasioni contano come e più dei freddi comunicati ufficiali. Tra le foto più rappresentative ce n’è una che ritrae mullah Baradar e Zalmay Khalilzad, rappresentante speciale degli Usa, che scherzano tenendosi il braccio. Quella che ritrae Gulbuddin Hekmatyar, già leader del partito armato Hezb-e-Islami, accusato di gravi crimini di guerra, allo stesso tavolo dei Talebani, prima della cena. O ancora quella in cui Hanas Haqqani, del famigerato network jihadista, stringe la mano all’ex presidente afghano Hamid Karzai, che si è detto favorevole a un governo di transizione che includa anche i Talebani. L’appuntamento di Mosca serviva a questo: far sentire la voce degli attori regionali (con qualche assente) e quella dei politici afghani che vogliono essere della partita. Non a caso, era presente una sola donna.

LA FASE È DELICATA. A fine aprile è previsto, secondo l’accordo bilaterale tra Usa e Talebani, il ritiro delle truppe straniere. Il presidente Joe Biden mercoledì ha detto che rispettare la scadenza sarà difficile, ma che in ogni caso non resteranno molto più a lungo. Gli Usa proveranno a guadagnare qualche mese, forse sei. Cercando di portare a casa, nella conferenza di aprile in Turchia, sotto l’egida dell’Onu, un patto politico. Tempi troppo stretti, comunque, per risolvere il conflitto. Il dossier potrebbe essere poi lasciato in eredità alle Nazioni unite.

Mercoledì il segretario generale dell’Onu ha nominato suo rappresentante personale per l’Afghanistan Jean Arnault, diplomatico francese di lungo corso, già rappresentante speciale in Colombia tra 2015 e 2018, anni d’intensa attività diplomatica per porre fine al conflitto. Mai concluso veramente.

Turchia, via dal Trattato di Istanbul

Blog di Enrico Campofreda, 20 marzo 2021

Turchia trattato Istanbul

A detta della ministra turca della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche Sociali Zehra Zümrüt garanzie e diritti delle donne sono previsti dalla Costituzione “e il nostro sistema giudiziario è dinamico e forte abbastanza per migliorare le nuove regole di cui la nazione ha bisogno”. Così fra gli orientamenti espressi dal governo di Ankara c’è una retromarcia nei confronti del Trattato di Istanbul, voluto dal Consiglio d’Europa dieci anni or sono, che impegnava i Paesi sottoscrittori a prevenire e combattere la violenza di genere. Proprio la Turchia a guida Akp, partito cui appartiene Zümrüt ch’è figlia dell’ex ministro di Cultura e Turismo Atilla Koç, nel 2012 aveva ratificato il documento stilato nella metropoli sul Bosforo, in conformità con l’epoca delle aperture incarnate dall’allora premier Erdoğan. Seguì un suo percorso politico sempre più autoritario che, come l’oltranzismo religioso, ha gradualmente ostacolato ogni tipo di apertura. Così quella Carta dei diritti è rimasta schiacciata da costumi conservatori, impossibilitata a difendere il mondo femminile, con ricadute terribili nella quotidianità che vede la Turchia con un numero elevatissimo di femminicidi (una Ong locale ha calcolato che nel 2020 ai 300 omicidi ufficiali di donne si dovrebbe aggiungere la cifra di altri 171 decessi catalogati come suicidi). Ora s’attacca direttamente la convenzione, rea di non difendere la famiglia, favorire i divorzi, diffondere (chissà come) princìpi della comunità Lgbt. 

Turchia deputata GokcenL’opposizione ufficiale di parte repubblicana (Chp) ha dichiarato con la deputata Gokcen, che s’occupa di diritti umani, che in tal modo “le donne diventano cittadini di seconda classe e rischiano ancor più la vita”. Proprio la pandemia di Covid-19, che ha imposto ripetuti confinamenti della popolazione, faceva registrare un’infinità di casi di maltrattamenti e brutalità casalinghe verso mogli, compagne, figlie, sorelle e anche quando queste non raggiungevano la sciaguratezza del delitto, il clima risultava pesante. Eppure l’aria conservatrice che da anni circola nel Paese aveva già smosso l’ipotesi ora praticata, tanto che, nonostante le restrizioni sanitarie oltreché politiche, in molte località s’erano registrate manifestazioni e sit-in in sostegno delle tutele della Convenzione. Un orientamento che nei mesi scorsi ha portato in piazza contro il proprio governo un altro Paese dove il conservatorismo confessionale (in questo caso cattolico) ratifica leggi espressamente contrarie a diritti ed emancipazione femminile: la Polonia. Erdoğan, da parte sua, solo qualche settimana fa s’era espresso per un miglioramento dei diritti umani in Turchia, ma fra il suo tanto dire e il fare passano pratiche opposte come quest’uscita dal Trattato e il progetto di sciogliere i partiti d’opposizione in “odore di terrorismo”. Il bersaglio è il Partito democratico dei popoli (Hdp) che, dopo l’arresto d’un congruo numero di deputati regolarmente eletti, e appunto accusati di terrorismo, rischia la messa fuori legge.

 

L’Afghanistan, Joe Biden e la solita fretta americana

Alla ricerca di una vera pace. Washington pretende di risolvere in poche settimane un conflitto lungo e complicato

Giuliano Battiston, Il Manifesto, 17 marzo 2021

attentati

Giovedì tutti a Mosca. Tra fine marzo e inizio aprile, a Istanbul. Poi forse di nuovo a Doha. Con l’insediamento del presidente Joe Biden, il complicato processo diplomatico per porre fine alla guerra in Afghanistan si arricchisce di nuovi appuntamenti. Il primo si terrà giovedì a Mosca, dove si riuniranno i rappresentanti di Russia, Cina, Pakistan, forse Iran, insieme a quelli del governo di Kabul e alla delegazione di 10 membri dei Talebani guidata da mullah Abdul Ghani Baradar. Il numero due del movimento e l’uomo che il 29 febbraio 2020 ha firmato uno storico accordo bilaterale con l’allora segretario di Stato Usa, Mike Pompeo.

QUELL’ACCORDO non ha prodotto i risultati sperati. Gli americani e i Talebani non si fanno più la guerra (o quasi) in Afghanistan, ma gli scontri tra le truppe governative e il movimento islamista armato continuano, ai danni della popolazione. E a dispetto dell’inizio dei colloqui «intra-afghani», tra Talebani e governo di Kabul, iniziati il 12 settembre a Doha. Dai quali è uscito, dopo tre mesi di discussione, un accordo sulle procedure da seguire nel negoziato, ma poco altro. Anche perché entrambi gli attori erano in attesa delle mosse della nuova amministrazione Usa.

Su Biden incombe una scadenza importante: l’accordo di Doha prevede che tutte le truppe americane (ora 2.500 circa) vengano ritirate entro la fine di aprile 2021. Biden non ha ancora detto cosa intende fare delle rimanenti truppe, se prolungarne la presenza rischiando di far saltare l’accordo bilaterale con i Talebani o se riportarle a casa. Intanto ha gettato sul tavolo una proposta forte, fatta pervenire agli interlocutori afghani dall’inviato speciale di Trump, poi confermato, Zalmay Khalilzad, e dal nuovo segretario di Stato, Antony Blinken.

Il primo ha girato ai Talebani e al presidente Ashraf Ghani una bozza di accordo di pace, che non convince del tutto né i primi, perché mantiene in piedi per un periodo quel sistema istituzionale contro il quale hanno combattuto anni e anni, né il secondo, perché dovrebbe farsi da parte.

COME HA RIBADITO, in modo implicito ma chiaro, anche il segretario di Stato Blinken nella sua lettera fatta recapitare a Ghani e ad Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. Una lettera «dai toni urgenti», rivelata dal canale afghano di informazione Tolonews.

LA NUOVA PROPOSTA americana è chiara: organizzare in Turchia una conferenza internazionale sull’Afghanistan, sotto l’egida dell’Onu, che secondo alcune fonti potrebbe già tenersi il 27 marzo, più probabilmente ad aprile. Un incontro tra i Talebani e il governo di Kabul per ottenere un accordo politico e una tregua di almeno 90 giorni, così suggerisce Blinken, durante i quali far proseguire il negoziato, verso un patto di pace vero e proprio. L’insistenza sulla tregua temporanea è forse l’unico elemento positivo di un piano che, ancora una volta, soddisfa gli interessi e la fretta statunitensi, prima di quelli degli afghani.

PRETENDERE DI RISOLVERE in poche settimane il lungo conflitto, con una conferenza modellata su quella tenuta a Bonn nel 2001, dopo il rovesciamento dei Talebani, è poco plausibile. Rischia danni futuri peggiori di quelli che pretende di sanare e rivela le vere intenzioni dell’amministrazione Biden: provare a salvare la faccia, prima del ritiro completo delle truppe.

Il governo di Kabul prima ha obiettato, in particolare con il vicepresidente Amrullah Saleh, che ha parlato di un piano di pace autoritario. Poi si è ammorbidito. Fino a quando il consigliere per la Sicurezza nazionale, Hamdullah Mohib, ha annunciato che il governo parteciperà sia all’incontro di Mosca che a quello di Istanbul.

La proposta del governo Usa, per quanto sbilanciata, ha infatti dato nuovo impulso alla diplomazia regionale, dove però le posizioni sono ancora diverse. Sul fronte interno, gongolano i cosiddetti leader jihadi, eredi dei partiti/fazioni della guerra civile. I quali vedono nel governo a interim la possibilità di riprendere quel potere che l’accentratore Ghani ha a lungo sottratto loro. Al gran completo, parteciperanno all’incontro di Mosca di domani. Al quale è invitata soltanto una donna. Habiba Sarabi.

 

La Russia s’impossessa del processo di pace afghano

Enrico Campofreda, dal suo Blog, 9 marzo 2021
Mosca, che nei mesi scorsi aveva già creato un tavolo di colloqui parallelo, potrebbe sostituire Doha nella ricerca d’una concreta via di pacificazione della questione afghana. O almeno tentarci.

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Mosca, che nei mesi scorsi aveva già creato un tavolo di colloqui parallelo, potrebbe sostituire Doha nella ricerca d’una concreta via di pacificazione della questione afghana. O almeno tentarci. In questo ruolo il ministro degli Esteri Lavrov è un volpone di lungo corso, peraltro da anni in servizio permanente effettivo alla corte del potere putiniano. Senza togliere meriti al lavoro di Khalilzad, il diplomatico statunitense d’origine afghana che ha diretto finora le trattative nell’Emirato qatarino, quest’ultima situazione è logorata da un palese blocco.

Alla firma bilaterale fra Stati Uniti e delegazione talebana non è seguita l’applicazione di quanto pattuito: cessazione degli attacchi dei turbanti contro l’esercito di Kabul e ritiro completo delle truppe Nato. Certo, il limite ultimo è posto al 1° maggio, ma quel che maggiormente preoccupa e dimostra l’attuale impotenza del negoziato, è stata la seconda fase, definita colloqui inter-afghani.

Questi sono stati finora diretti da Abdullah Abdullah, ex vicepresidente afghano, ora rappresentante dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale. Ma i veti fra lo staff del mullah Baradar che non ha mai voluto incontrare il presidente Ghani, e gli uomini di quest’ultimo come il vicepresidente Saleh che disdegnavano di riconoscere un futuro politico ai taliban, hanno creato un susseguirsi di sedute infruttuose, incapaci di decidere quale gruppo politico o coalizione costituirà il domani governativo nei travagliati territori. 

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In occasione della giornata di lotta rivoluzionaria dell’8 marzo

Uiki onlus – 8 marzo 2021

Quest’anno le donne del nord e dell’est della Siria celebrano l’8 marzo con lo slogan ”La nostra lotta è la garanzia della rivoluzione delle donne”.

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In occasione della giornata di lotta rivoluzionaria dell’8 marzo, commemoriamo tutte le donne cadute combattendo contro l’egemonia maschile e celebriamo le nostre compagne che hanno dedicato e sacrificato le loro vite per la creazione e la difesa di una vita libera.  Sakine Cansiz, Zilan, Beritan, Arin Mirkan, Ivana Hoffmann e Anna Campbell hanno ispirato migliaia di altre combattenti per la libertà, proseguendo le lotte a suo tempo intraprese da Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Emma Goldman e dalle innumerevoli partigiane e rivoluzionarie in Italia e nel mondo.

La Giornata Internazionale della Donna è il risultato del sacrificio e della resistenza di tutte queste donne che hanno lottato per la liberazione di tutta l’umanità contro sfruttamento, oppressione e potere. Questa lotta continua e deve continuare ogni giorno più forte, perché ogni conquista delle donne rende il nemico più aggressivo e determinato a colpire per salvaguardare la propria supremazia. Quest’anno le donne del nord e dell’est della Siria celebrano l’8 marzo con lo slogan ”La nostra lotta è la garanzia della rivoluzione delle donne”. Sono quelle stesse donne che hanno lottato contro le bande fascio-jihadiste dell’ISIS e hanno fatto conoscere a tutto il mondo la rivoluzione del Rojava, definita poi “la rivoluzione delle donne”

L’ideologia dell’ISIS è conosciuta per la sua ostilità contro le donne, per le sue politiche di genocidio e femminicidio. l’ISIS ha impartito ai suoi membri l’ordine di rapire e di schiavizzare le donne Ezide, dichiarandole bottino di guerra. Tremila donne Ezide sono ancora tenute in ostaggio, torturate, vendute come schiave, sottoposte ad abusi fisici e sessuali e costrette a ricusare la propria cultura.

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Il XXI secolo è il secolo della rivoluzione delle donne

Rete jin, 6 marzo 2021
“Come donne stiamo combattendo una grandiosa lotta ogni giorno e per noi l’8 marzo è una giornata di grande importanza”. Questo il comunicato di Women Defend Rojava.

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L’8 marzo viene celebrato in tutto il mondo da più di un secolo come giornata internazionale di lotta delle donne. In questa giornata, le donne insorgono più che mai e uniscono le loro rivendicazioni di libertà e la lotta per i loro diritti. Questa giornata annuncia al mondo intero che le donne combattono e resistono non soltanto un giorno, ma ogni giorno e in ogni momento della vita. In aggiunta alla lotta per i diritti e per la libertà delle donne, si fanno i conti anche con i diritti dellə bambinə, con questioni sociali, ambientali e altre problematiche. Perché noi comprendiamo chiaramente che l’oppressione delle donne significa anche oppressione della società ed è uno dei suoi problemi più antichi.

L’ideologia patriarcale all’interno delle nostre società è evidente e più che mai noi come donne comprendiamo la sua realtà in tutto il mondo. Noi comprendiamo chiaramente che attraverso l’asservimento e l’occupazione delle donne, si stanno consolidando quegli stessi sistemi oppressivi di dominazione, puntando a noi come donne e compiendo femminicidi. Di conseguenza, la violenza contro le donne come politica del sistema patriarcale del capitalismo ha raggiunto livelli di terrore e genocidio in anni recenti. In contrasto, comunque, vediamo anche che le donne in tutto il mondo non stanno inerti a guardare, ma la loro lotta ha raggiunto una forza rivoluzionaria. 

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La voce di Rawa

8 MARZO 2021

Da 20 anni, per noi del CISDA, celebrare la Giornata Internazionale della Donna significa prenderci cura delle storie delle donne afghane e lottare, insieme, per i nostri e i loro diritti.

Questo è il messaggio di Rawa, che dalla sua fondazione ha lavorato per la libertà, l’unione e la consapevolezza dei diritti delle donne.

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