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Autore: Anna Santarello

La Brigata Fatemiyoun e il rischio di ingerenza iraniana in Afghanistan

Sicurezza Internazionale – Maria Grazia Rutigliano  5 gennaio 2021

Liwa brigata Fatemiyoun near Palmyra 1

L’Iran ha suggerito al governo di Kabul di affidarsi alla Brigata Fatemiyoun, una milizia di profughi afghani creata da Teheran per combattere in Siria, per contrastare il terrorismo in Afghanistan. La proposta ha generato reazioni e discussioni riguardo all’ingerenza iraniana nel Paese. 

Il 21 dicembre 2020, il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, è apparso alla televisione afghana suggerendo che il governo di Kabul avrebbe potuto utilizzare la Brigata Fatemiyoun per “per la lotta al terrorismo e per la protezione della sicurezza dell’Afghanistan”. Zarif ha poi aggiunto che la milizia si trovava in Siria “volontariamente” e che questa conta poco meno di 5.000 combattenti. Solo 2.000 di questi si trovavano ancora in Siria. Alcuni politici e rappresentanti della società civile afghana hanno reagito con scetticismo e indignazione alla proposta iraniana di riportare in patria i combattenti afghani.

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Futuro afghano, pace forzata o guerra civile.

Enrico Campofreda dal suo Blog – 3 gennaio 2021

NDS Forces

Centosessantotto membri delle Forze di sicurezza e centotrentasei civili – quest’ultimi giornalisti, attivisti, magistrati – sono le vittime afghane eccellenti, registrate da statistiche ufficiose nell’anno appena concluso. A esse s’aggiunge la massa dei senza nome o quasi, i civili di città e campagna, crepati per ragioni religiose, perché hazara, la comunità più colpita da kamikaze e autobomba, o semplicemente perché transitavano nel posto sbagliato nell’infame attimo della deflagrazione o dell’assalto armato.

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Afghanistan, ucciso in un agguato il giornalista Bismillah Adil Aimaq. È il quinto reporter a perdere la vita negli ultimi due mesi.

Valigiablu.it – 2 gennaio 2021

I giornalisti in Afghanistan sono nel mirino, questo è il quinto caso in due mesi. L’Afghanistan diventa uno dei paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti. L’autocensura diventerà la regola.  (N.d.R)

Eqp1sRGW4AEXynxUn giornalista afghano e attivista per i diritti umani è stato colpito e ucciso, venerdì 1 gennaio, da uomini armati non identificati nell’Afghanistan occidentale.

Bismillah Adil Aimaq, caporedattore di una stazione radio locale, è il quinto giornalista ucciso negli ultimi due mesi nel paese devastato dalla guerra. Secondo Reporter senza frontiere, mesi fa Aimaq era sopravvissuto a un altro attentato alla sua vita.

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Afghanistan, la speranza si nutre di latte.

La Rebubblica – di Giampaolo Cadalanu – 2 gennaio 2021

milkoEconomia allo stremo, corruzione imperante: ma ogni tanto emerge un’eccezione. Nella zona di Kandahar, l’azienda Milko dà lavoro agli allevatori e produce yoghurt, burro, gelati.

Nell’Afghanistan stremato da anni di guerra e dalla corruzione diffusa, l’economia è a pezzi, e conta più sulle rimesse degli espatriati che sull’attività imprenditoriale, resa quasi impossibile dalle condizioni sul terreno. L’agricoltura è a livelli rudimentali, l’industria quasi inesistente, persino l’attività estrattiva – che in potenza potrebbe costituire una risorsa fondamentale – è sviluppata in percentuale minima.
Metà della popolazione vive sotto il livello di povertà, con un tasso di disoccupazione ufficiale che sfiora il 25 per cento: questo è anche un elemento di destabilizzazione, perché i disoccupati sono spesso costretti a impegnarsi in attività illegali, a partire dal contrabbando, se non a unirsi alle file dei gruppi integralisti, dove uno stipendio essenziale è garantito.

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Il rischio di un salto nel buio in Afghanistan

Questo articolo rappresenta, a nostro parere, un modo di vedere con uno sguardo soltanto agli interessi occidentali senza prendere in esame quello che pensa  parte della società civile afghana. [N.d.R.]

Huffingtonpost – 2 gennaio, 2021, di Michele Valensise huffington Valensise

Nel ventesimo anno dall’attacco alle Torri Gemelle e dall’intervento militare si ragiona sulla conclusione della missione che ha causato un pesante tributo di sangue, anche per l’Italia.

Una lunga guerra, dimenticata, lontana eppure importante per molti. L’Afghanistan, con la sua storia di fierezza e invincibilità, montagne inaccessibili, intrecci di gruppi tribali e di clan, isolato ma al tempo stesso crocevia tra Oriente e Occidente. Lì il fascismo relegava in esilio professionale i diplomatici scomodi per il regime. Ora, entrando nel ventesimo anno dall’attacco alle Torri Gemelle e dall’inizio dell’intervento militare autorizzato dall’Onu per garantire la sicurezza del Paese e impedire nuovi santuari del terrorismo internazionale, alcune domande sui possibili sviluppi restano ancora senza risposta, anche se è chiara la direttrice di marcia verso il rimpatrio delle forze militari straniere.

La missione di stabilizzazione è evoluta negli anni. All’Isaf (International Security Assistance Force) è seguita nel 2015 la missione Resolute Support nel quadro Nato, tra cui circa 800 militari italiani, per la formazione e l’assistenza alle forze di sicurezza e alle istituzioni afghane nel contrasto dei gruppi fondamentalisti. Ma anche in questa seconda fase “no combat”, con un ben minor numero di uomini sul terreno, tra violenze e tensioni il contributo alla stabilizzazione del Paese è stato rilevante. Il punto è di capire se il lavoro possa considerarsi completato. L’accordo di Doha del febbraio 2020, patrocinato dagli Stati Uniti tra il governo di Kabul e i Talebani, fissa per il 1 maggio 2021 il ritiro delle forze Usa a fronte dell’impegno alla cessazione delle violenze talebane, al dialogo intra-afghano e alla liberazione di prigionieri.

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Afghanistan: omicidi mirati e una “pace fragile”

Sicurezza Internazionale – 30 dicembre 2020, di Maria Grazia Rutigliano autobomba kabul

Massoud Atal, un pilota militare, è stato ucciso da un gruppo di uomini armati non identificati nella città meridionale di Kandahar, il 30 dicembre. Si tratta dell’ennesimo omicidio mirato che sconvolge la pace “fragile” del Paese. 

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Il 2020 più sanguinoso di sempre nella Afrin occupata.

Rete Kurdistan Italia – 30 dicembre 2020 

ibrahim 700x325L’anno 2020 è passato nel cantone occupato di Afrin come un incubo insopportabile, poiché quest’anno è stato testimone di più crimini dello stato di occupazione turco, tra cui l’uccisione, il rapimento, il traffico di organi umani, il sabotaggio di siti archeologici, il contrabbando, il taglio di alberi e continui processi di cambiamento demografico.

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L’Afghanistan pacificato nel fuoco.

Dal Blog di Enrico Campofreda, 29 dicembre 2020 Campofreda 29 12 20

I dieci giorni di fiamme e fuoco continuo che hanno investito Kabul con attentati, agguati, ventitre vittime e una settantina di feriti seminati in varie zone della capitale – usando Ied piazzati sotto le vetture blindate (come per il vice governatore Mohibi, morto assieme al suo segretario) e autobomba sistemate lungo il percorso di chi si voleva colpire – sono l’incofutabile realtà che nulla sta cambiando sotto il cielo afghano.

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Il leader curdo resta nella galera turca in beffa alla Corte sui diritti umani.

Remocontro – 26 dicembre 2020 

Denìmitras carcereIl presidente turco Erdoğan ha respinto la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che chiedeva l’immediata liberazione del leader curdo Selahattin Demirtaş. «Sentenza non è vincolante per Ankara», per il presidente, che accusa la Corte di parzialità anti turca.

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Se non ci sono reazioni il Kurdistan del sud sarà invaso completamente

Uiki Onlus, 26 dicembre 2020

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L’esponente del Congresso nazionale del Kurdistan (KNK), e copresidente del Fronte popolare democratico nel Kurdistan meridionale, docente dell’Università di Duhok, Kamuran Berwari ha valutato la visita del primo ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi in Turchia.

Kamuran Berwari ha affermato che il motivo della visita di Al-Kadhimi ad Ankara era quello di chiedere sostegno materiale e morale, aggiungendo; “Penso che ci sia un negoziato tra i due paesi su cosa si può fare per un sostegno politico ed economico all’Iraq. Poiché lo Stato iracheno si trova in una situazione difficile, le proteste potrebbero diffondersi in tutto l’Iraq a causa dei problemi vissuti dalla popolazione, ed è molto probabile che una guerra voluta dai paesi del mondo abbia luogo in Iraq. Per questi motivi, il popolo iracheno non ha fiducia nel proprio Stato “.

Cosa è stato discusso?

Kamuran ha sottolineato che a volte si svolgono colloqui bilaterali tra Turchia e Iraq o incontri trilaterali compreso l’Iran e ha proseguito: “È noto che questi negoziati e accordi sono costantemente contro le conquiste del popolo del Kurdistan. Tuttavia, questa volta l’incontro è stato fatto per dibattere su diverse questioni, alcune delle quali si sono già riflesse sulla stampa.

Uno dei temi dell’incontro è stato l’amministrazione di Shengal, il secondo è il PKK, il terzo è la questione dell’acqua, il quarto è l’apertura di nuovi passaggi di confine, il quinto è la ricerca di nuovi modi per conquistare il dominio tra Rojava e Bashur (per ridurre l’influenza del governo Bashur). Altri argomenti di discussione sono stati lo scambio di petrolio, la questione dei visti tra i due stati e gli accordi commerciali con compagnie turche che hanno rovinato l’Iraq con il pretesto della ricostruzione.

Non è chiaro se sia stato raggiunto un accordo su questi temi. Non c’è accordo in apparenza “.

“Il risultato del suddetto incontro non porterà nulla di buono; la Turchia vuole usare l’Iraq come cortile per i propri interessi” ha affermato Berwari, avvertendo che “un processo travagliato attende l’Iraq”, dal momento che l’amministrazione Kadhimi è un’amministrazione a breve termine e l’Iraq non ha l’autorità di firmare accordi da concludere strategicamente.

La risalita del dollaro

Berwari ha sottolineato che la valuta irachena ha toccato i minimi storici rispetto al dollaro USA dopo la visita del primo ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi in Turchia: “Questo ha anche un collegamento diretto con l’economia irachena. Le forze internazionali hanno fatto crollare le valute di Iran, Turchia e Siria e ora vogliono fare pressione sulla valuta irachena. La situazione economica peggiorerà. Stati come Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Israele e America che cercano di dominare l’Iraq non vogliono che la Turchia e l’Iran abbiano voce in capitolo sulle fonti di ricchezza in Iraq e farebbero tutto il necessario per impedirlo. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che in particolare gli Stati Uniti, le loro truppe di stanza nella regione e le forze affiliate non permetteranno alla Turchia e all’Iran di sfruttare le opportunità derivanti dai conflitti “.Berwari ha rimarcato la caduta libera del dinaro iracheno rispetto al dollaro, aggiungendo: “Si impegnano in ricatti o minacce, dicendo ‘Se vai troppo lontano, manderemo in frantumi la tua economia’”.

Kamuran ha valutato le osservazioni del governatore di Duhok Ali Teter sul campo profughi di Maxmur; “Il presidente della Turchia potrebbe aver chiesto al governatore di Duhok di fare la stessa cosa di Shengal. Perché la Turchia e l’Iraq hanno sempre piani su tutti i curdi e sul Kurdistan, proprio come il campo di Maxmur.

Nessun buon risultato per i curdi

Kamuran ha sottolineato che i negoziati tra Turchia e Iraq non porterebbero mai un buon risultato per i curdi e l’ultimo incontro potrebbe rivelare una situazione travagliata per il KDP perché ci sono tentativi di chiudere il passaggio di confine di Ibrahim Khalil. Ha sostenuto che la chiusura del passaggio di confine potrebbe sferrare un duro colpo al commercio tra Turchia e Bashur:

“È necessario dirlo chiaramente; lo Stato turco vuole invadere il Kurdistan del sud. Ha esercitato un’influenza sul Bashur in termini politici, economici, militari e sociali. Non è solo una questione di occupazione contro Shengal e il Rojava, ma un’occupazione dell’intero Kurdistan in tutti i sensi. Ogni stato può avere richieste o minacce riguardanti l’amministrazione del Kurdistan meridionale, ma ciò non significa che l’amministrazione del Bashur si sottometterà a ogni richiesta o minaccia, ovvero l’amministrazione del Kurdistan meridionale dovrebbe avere un atteggiamento nei loro confronti, altrimenti tutti hanno un obiettivo chiaro: invadere il Kurdistan meridionale.

SEYİT EVRAN