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Autore: Anna Santarello

Palude afghana, dal futuro negato al domani possibile

di Enrico Campofreda

Dal Blog – 15 marzo 2018

belquis roshan 225x300Belquis Roshan, è da alcuni anni presente nella Mehrano Jirga (la Camera Alta del Parlamento) eletta come indipendente nella provincia di Farah. L’abbiamo incontrata a Kabul. Ringraziamo Mahbooba Siraj per la preziosa traduzione dal dari che ha reso possibile l’intervista.

Senatrice Belquis, le pare realistica la proposta di Ghani d’inserire i talebani al governo?
Mi pare una sceneggiata. Se mai si potrà fare questo passo lo decideranno gli americani. Washington finanzia il governo afghano ei racconoscano stessi, magari ci sono puro racconto che si distano dagli antichi trame, ma sono una minoranza. L’esempio offerto negli ultimi mesi da Gulbuddin è emblematico: è tuttora un personaggio politico molto influente nel nostro paese, potrebbe tranquillamente fare un meno di rapportarsi agli Stati Uniti. Invece non ha risposto alle offerte di Ghani programmate dagli Usa, visto che sono questi ultimi dettare l’ordine del giorno. La proposta di Ghani è un diversivo per confondere le acque e imbrogliare la popolazione.Sta bene anche ai talbani, che sono sì cresciuti ma non hanno la forza per conquistare il potere con le armi. Così agli occhi dell’opinione pubblica loro restano in partita, mentre il governo (che non riesce a sconfiggerli) si rivende la mossa pacificatrice che, come ai tempi di Karzai, finirà in un nulla di fatto. Sono un uomo di fiducia per gli Stati Uniti sono quei talenti ingaggiati da russi e iraniani e quelli foraggiati dai pakistani, che sono incontrollabili dalla Cia.

Ma talebani e jihadisti del Daesh hanno progetti autonomi?
Non mi sembra. Certo, entrambi incutono terrore con stragi rivolte a militari e civili. I primi fanno sentire una presenza asfissiante in diverse province nelle quali contano più degli ufficiali locali e delle truppe governative presenti solo formalmente. In diverse realtà sono un riscuotere tributi, un gestire commerci legali e illegali, una scelta se le scuole sono passate o, ancor più frequentemente, devono essere riconvertite in madrase vere fucine di fondamentalismo. Son loro un requisire fondi statali orientandoli verso i propri tornaconti anche personali. Il governo sa e lascia la tariffa. L’area di Farah, che ben conosco perché per il mio mandato parlamentare fare la spola fra Kabul e questa provincia, conta alcuni raggruppamenti taliban, in varie situazioni la popolazione subisce i soprusi per paura e perché non viene tutelata da polizia ed esercito governativi. A Farah ci sono militari, elicotteri, sono presenti reparti italiani (il mese scorso gli istruttori del nostro contingente hanno diretto l’ennesimo programma di assistenza ai colleghi afghani secondo quanto previsto dal supporto Risoluto, ndr), però non intervengono. E quando lo faccio censurano o reprimono le famiglie del posto in cui racconto chi sono vitto e tributi.

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JIN TV: una televisione autonoma di donne – internazionale e indipendente

Uiki – 8 marzo 2018

jin tvJIN TV: una televisione autonoma di donne – internazionale e indipendente
Un forum mondiale delle donne in Asia? Una radio autonoma in America Latina? Un seminario sulla storia delle donne? La rivoluzione in Kurdistan? Vieni dovremmo sentir parlare di queste cose? Nello sforzo per ottenere informazioni sulle lotte delle donne e in tutto il mondo, ci immergiamo in troppe lingue e in migliaia di siti internet. Partecipiamo a un workshop e manifestazioni. Siamo interessati alle culture e alle condizioni delle donne di tutto il mondo. Ma – come essere informata? Da dove vengono le informazioni? E come posso farne parte? È importante trovare una risposta a queste domande e stiamo lavorando molto a questo proposito. Prossimamente ci sarà una TV autonoma di donne: internazionale e indipendente!

Portare l’anti-sessismo nei principali canali di comunicazione
Non vogliamo solo il pane, vogliamo l’intero panificio! Le strutture patriarcali ei ruoli tradizionali non devono essere superati solo nelle reti emancipatorie, ma anche nei principali canali di comunicazione, che modellano continuamente la nostra cultura, le nostre percezioni, i nostri sentimenti ei nostri pensieri.
I consumi televisivi più fedeli sono le donne che funzionano da casa.

Si cura per loro, spesso senza reddito. La TV spesso le foto sullo sfondo. Raramente notano la propria invisibilità sullo schermo. Le attrici principali spesso sono ricche e hanno problemi completamente differenti. Passano da una festa all’altra e spesso perpetuano i ruoli di diva, vergine, cercatrice d’oro o santa. Lotte. Vogliamo mostrare donne indebolite, che mostrano la possibilità di riacquistare forza e coraggio. Vogliamo vedere donne che studiano la loro storia, invece di ascoltare la versione della storia voluta dal potere. Vogliamo vedere donne che sono esperte nei loro campi. Vogliamo aumentare le discussioni sull’etica e sull’estetica. Per noi, le donne del mondo sono una nazione oppressa, che è in grado di liberarsi. È quindi giunto il momento di fare un altro passo importante verso l’autodeterminazione e creare una TV autorganizzata per donne!

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Dossier: Il motivo dell’attacco su Afrin mira ad indebolire il movimento di liberazione delle donne e l’alternativa democratica

Da Uiki – 12 marzo 2018

Afrin 300x138La notte precedente il 20 gennaio 2018, l’esercito turco ei suoi alleati jihadisti hanno attaccato congiuntamente il cantone di Afrin. L’esercito turco ha ribattezzato questa guerra d’aggressione “operazione ramo d’ulivo”, una detta della Turchia, una guerra “difensiva”. Gli avvocati della comunità non sono d’accordo e il contrario. Nel corso del 2017 [cfr. annesso 2: cronologia degli attacchi turchi su afrin nel 2017] l’esercito turco, armato di artiglieria pesante, ha attaccato almeno una dozzina di volte la zona nord-ovest della Siria col fine di provocare una guerra. In tal senso, l’inizio dell’operazione militare era tutt’altro che inatteso. Si pensa infatti fosse pianificato da tempo.

Con i suoi attacchi terresti e aerei, lo Stato Turco viola il diritto internazionale e commette un crimine di guerra. Solo in questi primi 16 giorni di attacchi, sono 129 le vittime civili e per la gran voce sono bambini, donne e persone anziane. Il 4 febbraio, il numero di feriti era di 310. Quasi metà delle vittime civili sono rifugiati arabi, che ha trovato rifugio nella regione di Afrin in seguito agli attacchi del regime di Assad e dei jihadisti.

Gli attacchi militari sono stati resi possibili dalle tecnologie e dagli equipaggiamenti militari occidentali, in particolare le armi tedesche, inglesi e italiane, scelte per attaccare i civili. Ciò fa sì che i paesi siano complici e diretti responsabili di questi crimini di guerra.

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Asya Abdullah chiede un’iniativa urgente per Afrin

Uikionlus 10 marzo 2018

asyaabdul 599x275 300x138La Co-presidente del Movimento per una società democratica (Tev-Dem) ha chiesto a tutti i curdi una iniziativa urgente per Afrin. Parlando alla stampa Asya Abdullah ha chiesto a a tutti i curdi di scendere in strada contro gli attacchi turchi ad Afrin.

“I civili ad Afrin sono sottoposti ad una minaccia di massacro. C’è la possibilità di un massacro. Dunque tutti dovrebbero sollevarsi ovunque si trovino per una iniziativa” ha affermato Asya.Le organizzazioni curde hanno suonato i campanelli di allarme dopo che l’esercito turco e le sue bande alleate si sono avvicinate a 2 km dal centro di Afrin. Precedentemente la KCDK-E aveva rilasciato una simile dichiarazione ed i curdi in diversi centri hanno avviato iniziative di protesta contro la Turchia.

Afghanistan: Saajs, la giustizia contro il silenzio

Enrico Campofreda dal suo Blog 10 marzo 2018

AfghanistanMentre proseguono gli attentati: ieri mattina un kamikaze s’è fatto esplodere presso la moschea sciita di Kabul ovest, in un posto di blocco che tentava di superare per raggiungere il luogo dove si svolgeva una commemorazione di Ali Mazari (leader dell’Hezbi-i Wahdat arrestato, torturato e ucciso dai talebani nel 1995). Nel corso della giornata è giunta dall’Isis afghano la rivendicazione di quest’esplosione che ha provocato sette vittime e una trentina di feriti. Proponiamo una testimonianza sulle stragi di civili raccolta dal lavoro del Saajs (Social Association Afghan Justice Seekers) impegnata a rilanciare l’apertura di processi contro i crimini di guerra che colpiscono la popolazione afghana di ogni etnìa.

IMG 20180309 143251 resized 20180310 103041662 204x300Shah Shareek è un quartiere di Kabul sud di medie dimensioni, due forse trecentomila abitanti, pashtun, tajiki, pochi uzbechi e… americani. La zona continua a essere frequentata da militari statunitensi soprattutto per la presenza di alcune caserme insediate nella capitale afghana.

Qui si è perpetrato uno dei crimini più sanguinosi e misteriosi della guerra contro i civili che negli ultimi tre anni sta conoscendo il confronto a distanza fra talebani e jihadisti del Daesh. In una notte d’agosto del 2015 un’esplosione tremenda svegliò tutti nel raggio d’una trentina di chilometri. Inizialmente i morti contati sul terreno furono trentadue, quattrocento i feriti, il numero delle vittime crebbe, ma alla fine non se ne seppe più nulla.

Ciò che mise in allarme gli abitanti della zona che, sbalzati dai letti erano accorsi sul posto, fu l’imponente numero di poliziotti e militari giunti nella notte e nelle ore seguenti. L’area venne circondata, la gente spinta via, i giornalisti invitati a seguire solo i dispacci del ministero dell’Interno. Fu impedito loro di fotografare e indagare. Chi aveva raccolto frammenti e aveva visto brandelli di corpi veniva spintonato via in malo modo, gli sequestravano i reperti, gli imponevano il silenzio su quelle visioni cruente. Il governo puntò il dito sui Taliban, loro non confermarono né negarono la strage.

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“Orchestra progress” evento speciale al film festival Sguardi altrove

COSPE Onlus 8 marzo 2018

sconosciuto 300x217Sarà presentato tra gli eventi speciali della 25esima edizione del festival ” Sguardi Altrove” ( Milano 11-18 marzo)  il nostro “Orchestra Progress: a story of afghan women” (12/03 h 18.00, Spazio Oberdan) per la regia di Mohammad Behroozian e Stefano Liberti, la storia della prima orchestra tutta al femminile in Afghanistan, che lotta per la giustizia e la libertà nel proprio paese. Interverrà Federica Cova per il COSPE. In sala l’onorevole parlamentare Pierantonio Panzeri.

Il festival ha quest’anno per tema “I talenti delle donne. L’arte del fare”, a sottolineare proprio la capacità delle donne di essere creative e allo stesso tempo fattive e organizzate tra famiglia, lavoro, figli, amici e hobby.

Un programma, quello 2018, che vuole non solo fare cinema ma anche rileggere la cronaca internazionale; si affronterà dai diritti violati e la violenza sulle donne, alle guerre, ai conflitti religiosi, ai soprusi e le migrazioni che ne conseguono, agli orfani e le loro madri smarrite, all’accoglienza e alla difficile integrazione; dai rapporti familiari tra genitori e figli, all’amore di coppia.

“Contrastare gli stereotipi, attuare la par condicio di genere nel rispetto della diversità biologica, educare alla parità – è lo scopo del Festival. dice la direttrice artistica Patrizia Rappazzo- ma soprattutto dobbiamo usare le parole giuste e non avere preoccupazione ad usarle. E’ ancora una volta una rivoluzione culturale, dal linguaggio(i) alle abitudini, che può produrre il cambiamento reale della società.”

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Alle donne del mondo: trasformiamo il XXI secolo nell’era della libertà delle donne!

jin-rete-kurdistan – 8 marzo 2018

Dalle montagne del Kurdistan, nelle terre dove la società si è sviluppata con la guida delle donne, vi salutiamo con la nostra grande libertà, passione, ambizione e lotta indissolubile. Dai quartieri del Rojava alle foreste del Sud America, dalle strade europee alle pianure dell’Africa, dalle valli del Medio Oriente alle piazze del Nord America, dalle montagne dell’Asia agli altipiani australiani; con il nostro amore che non conosce confini e con i nostri sentimenti più rivoluzionari, abbracciamo tutte le donne che rafforzano la lotta per la libertà e l’uguaglianza.

In occasione dell’8 marzo 2018, Giornata internazionale della lotta per le donne, commemoriamo tutte le donne che hanno dato la vita nella ricerca della libertà, nella resistenza contro la schiavitù, lo sfruttamento e l’occupazione. Da Rosa Luxemburg a Sakine Cansız, da Kittur Rani Chennamma a Berta Caceres, da Ella Baker a Henan da Raqqa, da Djamila Bouhired, alla palestinese Sana’a Mehaidli a Nadia Anjuman, siamo sempre grate alle immortali guerriere della lotta di liberazione delle donne. La loro luce squarcia l’oscurità che ci è stata imposta. Sul sentiero che hanno illuminato davanti a noi, marciamo verso la libertà. Insieme a loro, commemoriamo tutte le donne che sono state assassinate nel corso di un regime patriarcale di cinquemila anni, attraverso ogni sorta di violenza maschile, guerre, terrore di Stato, occupazioni coloniali, poteri mascherati religiosamente, bande di uomini, mariti e cosiddetti amanti.

È il loro ricordo che spinge la nostra incrollabile determinazione a porre fine al femminicidio, la più antica guerra del mondo.

Care donne, compagne, sorelle,

siamo nel bel mezzo di un processo di trasformazione epocale. Il sistema patriarcale, coetaneo della civiltà statalista, sta attraversando una profonda crisi strutturale. Come donne, dobbiamo diagnosticare questa crisi sistemica con le sue cause e conseguenze, stabilire analisi forti e sviluppare prospettive che accelerino la nostra lotta. Perché, se la crisi strutturale del sistema costituisce una grande minaccia per le donne di tutto il mondo, offre anche opportunità per affermare la libertà delle donne. Opportunità che forse si presenta solo una volta ogni secolo.

Possiamo trasformare il 21° secolo nell’era della liberazione delle donne! E non è un sogno o un’utopia. È una realtà. Ma affinché si realizzi dobbiamo creare un programma di liberazione delle donne per il XXI secolo.

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Da Jinwar, il villaggio delle donne libere in Rojava vi inviamo molta forza di donne e solidarietà per l’8 marzo!

Roja Jinên Cihane 8 marzo 2018

Come tutte e tutti qui, in questi giorni siamo ad Afrin con i nostri cuori e le menti. La difesa di Afrin significa anche una difesa dei valori che vogliamo realizzare a Jinwar – la difesa di una vita libera in una società libera, sulla base della liberazione delle donne e delle autodeterminazione condivisa. La convivenza libera e pacifica di persone di diverse etnie e credenze su un terreno comune, l’integrità delle persone e l’integrità della terra. I pesanti attacchi ad Afrin a volte rendono difficile concentrarsi sul nostro lavoro quotidiano a Jinwar, ma sappiamo che ciò che stiamo costruendo qui insieme fa parte di questa visione più ampia. Jinwar fa parte della resistenza sociale profonda e vivida contro il fascismo e l’oppressione delle donne, che mostrano la loro crudeltà e violenza negli attacchi ad Afrin.

Durante i mesi invernali, la vita a Jinwar è stata un po’ più calma, siccome alcuni lavori sono stati sospesi a causa delle condizioni climatiche rigide. Abbiamo potuto approfondire le relazioni con i nostri vicini e specialmente con le donne dei villaggi del circondario. Molte famiglie ci hanno invitate, ci siamo fatte visita a vicenda, condividendo le questioni, il lavoro e le esperienze della vita quotidiana. Ora sta nuovamente arrivando la primavera, le cose si stanno muovendo e abbiamo molto lavoro. Le notizie più importanti sono che il nostro gruppo di donne che lavorava ogni giorno nel villaggio è diventato più grande.

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Le donne di Afrin chiedono alla comunità internazionale di rompere il silenzio sugli attacchi

Uikionlus – 6 marzo 2018

efrin 6 599x275Le organizzazioni delle donne ad Afrin hanno rilasciato una dichiarazione scritta sugli attacchi della Turchia e dei gruppi appoggiai dalla Turchia ad Afrin, e hanno fatto appello a tutte le organizzazioni dei diritti umani, alle istituzioni, e alla Nazioni Unite per rompere il silenzio, proteggere l’eredità e la storia delle donne e fermare lo spargimento di sangue e la perdita di vite innocenti. Tutte le organizzazioni delle donne a Afrin hanno rilasciato una dichiarazione sugli attacchi della Turchia e dei gruppi che sostiene. La dichiarazione sostiene che gli aerei turchi bombardano il centro della città di Afrin al fine di intimidire e di sfollare i cittadini. La dichiarazione ha fatto appello a tutte le organizzazioni dei diritti umani, alle istituzioni, e alle Nazioni Unite per rompere il silenzio, proteggere l’eredità e la storia delle donne ad Afrin e fermare lo spargimento di sangue e la perdita di vite innocenti.

La dichiarazione rilasciata dalle organizzazioni delle donne di Afrin è come segue:

Appello alla comunità internazionale

Le terre vengono violate, i bambini vengono uccisi e le donne engono aggredite, ed il mondo è ancora in silenzio sui massacri in atto. La provincia di Afrin è ancora sottoattacco da parte dell’esercito turco e dei suoi sostenitori di Al-Nusra e Al-Qaeda. Gli aerei e i bombardieri turchi hanno cominciato a bombardare i villaggi, le città ed il loro circondario. Non solo, hanno iniziato anche a bombardare il centro della città per intimidire e sfollare i cittadini e compiere massacri contro bambini, donne, anziani e civili senza difesa, compresi migranti che sono fuggiti dai loro villaggi vesro la città per sfuggire dalla brutalità dell’esercito turco.

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