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Autore: Anna Santarello

Nome in codice 2 (per proteggere l’identità delle vittime di violenza HAWCA usa un codice invece dei nomi originali)

Hawca News 10 dicembre 2017

code 2 300x192Sono nata in una povera famiglia a Kabul, quando avevo 16 anni ed ero in quinta, a causa della povertà e senza il mio consenso, mio padre mi fidanzò con una persona che a me non piaceva.

Lo dissi ai miei genitori diverse volte che non ero contenta del fidanzamento ma non mi ascoltarono, e quando il mio fidanzato vide che non ero interessata a lui, minacciò di uccidermi, se avessi detto a qualcuno di questo mio disinteresse. Disse di aver già dato a mio padre 200.000 Afgani e che gliene avrebbe dati altri 100.000 dopo il matrimonio, e che io ormai appartenevo a lui ed ero di sua proprietà.

Pensai di essere stata venduta e di non poter uscire da quella situazione terribile. La mia famiglia mi minacciò che se avessi rifiutato questo fidanzato avrebbero tagliato tutti i ponti con me e così non avevo scelta e dovevo accettare il fidanzamento.

Ero innamorata di un altro, ci desideravamo e ci eravamo promessi che dopo il diploma ci saremmo sposati.

Ero sotto pressione da parte dei miei familiari e del mio fidanzato, diverse volte tentai di uccidermi. Presi del veleno per topi e fui portata in ospedale e salvata. Un giorno un’amica mi disse che potevo andare al Ministero degli Affari Femminili e cercare aiuto da loro e così quando uscii di casa per andare a scuola, andai invece al Ministero e chiesi aiuto, loro mi presentarono al centro per la protezione delle donne di HAWCA.

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Afghanistan, schiaffo al patriarcato. La regista: «Porto Kabul agli Oscar»

Viviana Mazza 8 dicembre 2017 corriere.it

a letter to the president altp3 kO3C U4341046667072API 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443A Kabul è notte fonda quando la regista Roya Sadat risponde al cellulare. «Sto girando una scena – dice -, ma di notte non ti puoi rilassare, non sai cosa può succedere». Dopo la caduta dei talebani, la 34enne Sadat è diventata la prima regista donna dell’Afghanistan. Ci sono voluti altri sedici anni ma ora spera di vincere l’Oscar per miglior film straniero con il suo primo lungometraggio, Lettera al Presidente, candidato per l’Afghanistan.

Una prima vittoria l’ha già avuta. Quando il suo film è apparso sugli schermi del cinema Ariana di Kabul, un paio di mesi fa, molte famiglie sono venute a vederlo, racconta la regista al Corriere: un evento assai insolito. I talebani bombardarono i cinema, quello di Herat — la città natale di Roya — fu trasformato in moschea e adesso è un ufficio dei trasporti. «Nella capitale ce ne sono quattro-cinque, ma nelle grandi città come Herat, Kandahar, Mazar-i-Sharif non esistono più.
Prima dei talebani non avevamo donne registe, ma c’era un’industria cinematografica, e andare a vedere un film era parte della vita della gente. Ma è ormai da due-tre generazioni che si è persa questa tradizione. Ora il pubblico è solo maschile, è una questione culturale. Le pellicole per lo più sono pachistane, stile-Bollywood, ma più scadenti, dove non si fa altro che sparare e ballare».

La regista vuole cambiare la mentalità, un film per volta. La protagonista di Lettera al Presidente è una detective della polizia afghana di nome Soraya – come Roya madre di due figli – ma quando torna a casa subisce le percosse di un marito che vuole controllarla.
In una scena, lui schiaffeggia Soraya con violenza, ma la donna non si piega, non scappa: gli risponde, con uno schiaffo più forte. «In quel momento il pubblico in sala è esploso in un applauso», racconta Roya. «Quello schiaffo era una risposta a tutte le ingiustizie subite dalle donne nel nostro Paese», continua la regista, spiegando che la società patriarcale afghana opprime spesso le più povere, ma anche le più emancipate, anche coloro che lavorano in ruoli importanti.

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Settimana dei diritti umani: la tortura è stata legittimata in Turchia

Uikionlus.com – 10 dicembre 2017

tihv 599x275Il rappresentante di TIHV di Diyarbakir Barış Yavuz ha sottolineato che la tortura è stata legittimata dalle pratiche palesi dell’AKP e ha affermato che queste pratiche disumane della tortura continuano nelle carceri a cui non è stato permesso ispezionare. Nella tradizione dello Stato turco le carceri sono sempre stati luoghi della tirannia, e con l’AKP sono state trasformate in centri per la tortura. L’AKP ha utilizzato lo stato di emergenza dichiarato dopo il 15 luglio e i decreti di emergenza per schiacciare i curdi e le forze rivoluzionarie e terrorrizzare i detenuti. Nelle carceri, la tortura il maltrattamento e le pratiche disumane sono diventate abituali, e ai detenuti vengono rifiutate le cure mediche. Il sovraffollate a causa dell’aumento degli arresti dopo le operazioni di genocidio politico è un altro tema importante.

Il rappresentante di Diyarbakir della Fondazione dei Diritti Umani di Turchia, (Türkiye İnsan Hakları Vakfı – TİHV) Turchia Barış Yavuz Turchia è intervenuto sulla violazione dei diritti nelle carceri sulle violazioni dei diritti dei detenuti per la Settimana dei diritti umani del 10-17 dicembre.

Yavuz ha sottolineato che condizioni di vita umane non sono presenti in carcere e ha affermato che con lo stato di emergenza alla fine del 2017 le carceri sono gravemente affollate con l’enorme numero di arrestati e condannati nella storia di Turchia. Yavuz ha sottolineato che la tortura dei detenuti è diventata unos strumento in questa legittimazione, e che la paura di “coloro che hanno commesso crimini contro questo stato sarà torturato” viene instillata attraverso le immagini della tortura fornite ai media.

Barış Yavuz ha sottolineato che la tortura parte nei centri di detenzione e prosegue nelle carceri e ha aggiunto: “La tortura aumenta e prosegue nelle carceri. Prima abbiamo assistito ad accuse di tortura prima che le persone venivano mandate in carcere. Ma per quanto riguarda il 2017, la tortura è diventata ordinaria sia nei centri di detenzione che nelle carceri. Anche l’isolamento in carcere è in aumento. L’isolamento è una tortura per definizione, ed è inaccettabile. Adesso migliaia di persone vengono punite attraverso l’isolamento in carcere”.
La tortura è aumentata a causa dei riflessi locali del governo

Barış Yavuz ha evidenziato che la tortura è aumentata a causa dell’atteggiamento del governo e ha proseguito: ” I funzionari della prigione vedono essi stessi come un autorità, e implementano pratiche arbitrarie senza limiti. Perche essi pensano che possono farlo? Questa è una atmosfera creata dal potere politico. Con l’approvazione del primo decreto di emergenza N°676 le pratiche dopo il tentativo di colpo di stato non saranno più soggette a procedure legali e penali. Che cosa ricorda questo? Per noi richiama alla mente l’articolo temporaneo della Costituzione del 1980. Questo trasmette l’idea alle autorità “Qualsiasi cosa farò non verrò mai citato a giudizio”.

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Giornata mondiale dei diritti umani. Manifestazione a Kabul del SAAJS.

Dal sito di SAAJS, 9 dicembre 2017

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Il SAAJS (Associazione sociale del cercatore della giustizia afgana) per celebrare il 10 dicembre Giornata mondiale dei diritti umani ha organizzato una Kabul una Mostra fotografica e una manifestazione per chiedere giustizia per i crimini commessi in 40 anni anni di guerra e violazioni dei diritti umani in Afghanistan

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Hamoon Health Center di Farah – Relazione sull’attività nel 2017

7 dicembre 2017
foto 2 150x150L’Hamoon Health Center è un progetto realizzato a Farah dal 2010 da OPAWC (Organizzazione per la promozione delle capacità delle donne afghane). Ormai da diversi anni il progetto è sostenuto dal CISDA e da finanziatori privati. L’ospedale Hamoon fornisce cure gratuite e medicina a persone che non sono in grado di procurarsele.
È fornita da una unità medica mobile con una ambulanza attrezzata per raggiungere settori periferici e remoti dove ci sono pazienti che non potrebbero

L’Hamoon Health Center che sorge a Farah una delle province più remote e dimenticate dell’Afghanistan in Cogovernate Grazie per la generosità dei donatori è stato dotato di un laboratorio ad ultrasuoni compiendo un altro passo per aiutare le donne povere ei bambini ed è diventato un punto di riferimento se non l’unico, per la comunità, per le sue cure affidabili e per le attività umanitarie.

Attività in clinica: si
tratta di un piccolo centro sanitario con due medici responsabili: un ginecologo un’infermiera e un farmaco che curano più di 120 pazienti al giorno. Tutti i trattamenti sono gratuiti, compresi i costi di consulenza medica e delle medicine.
Come accennato prima, Farah è un villaggio remoto e il clima è molto caldo, e la maggior parte dei pazienti soffre di diverse patologie come:

1. Malaria
2. Diarrea
3. Colera

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I corsi di alfabetizzazione di RAWA – Relazione del 2017

7 dicembre 2017

BREVE RELAZIONE DI RAWA SUI CORSI DI ALFABETIZZAZIONE ISTITUITI NELLE PROVINCE PIÙ REMOTE DELL’AFGHANISTAN SOSTENUTI DAL CISDA E DA DONATORI PRIVATI.

corso alfabetizzazione 150x150Wolos Dara Womens Course 8 150x150Un dei progetti importanti di RAWA sono i corsi di alfabetizzazioni per bambine e bambini per donne e ragazze analfabete. Sebbene le attività all’interno dell’Afghanistan siano clandestine e limitate a causa del comportamento prevenuto e brutale dei fondamentalisti, Rawa gestisce con successo scuole e corsi di alfabetizzazione a domicilio. Sono anche stati avviati circoli per donne e ragazze in cui si discute sui diritti delle donne, sulla necessità della resistenza ai fondamentalisti, dell’istruzione e della partecipazione sociale, oltre che sui principi della democrazia e delle libertà civili, e infine sui modi per risolvere la questione afghana, rispettando i diritti umani e delle donne in Afghanistan.
Di seguito viene illustrato il lavoro svolto in quest’ultimo anno riportando le testimonianze di donne che con grande fatica frequentano i corsi. [NdR]

I Corsi di Alfabetizzazione sono partiti ormai da sei mesi. Molte donne frequentano regolarmente e hanno fatto enormi progressi negli ultimi mesi grazie al loro entusiasmo e al duro lavoro duro.
Le insegnanti stanno lavorando con dedizione per aiutare le donne, non solo a leggere e a scrivere ma anche ad accrescere la consapevolezza sulle questioni politiche e sociali della loro realtà.
Inizialmente le iscrizioni sono state 105, ma fine corso le donne sono rimaste in 87, di queste 73 frequentano il corso con regolarità e le altre in modo saltuario. La ragione delle difficoltà a frequentare per molte di queste donne è dovuta ai pesanti lavori di casa a dover accudire i bambini e agli altri problemi domestici.

Zarmina, ad esempio, che ha 21 anni, frequentava regolarmente il corso per due mesi, poi ha avuto due gemelli e i bambini e la casa occupano tutto il suo tempo.
Tahira che ha 45 anni, è un caso raro perché lavora in città come cameriera e partecipa al corso solo quando riesce a tornare a casa presto dopo un lungo viaggio dalla città.
Quasi tutte queste donne hanno difficoltà simili se non peggiori.

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Il caso Demirtas è una minaccia autoritaria non solo per la Turchia, ma per tutta l’Europa.

Uikionlus, 8 dicembre 2017, di Arturo Scotto, Parlamentare di Mdp

demirtas 599x275Finisce come era iniziato: un processo farsa che viene immediatamente rinviato di due mesi. Prossima udienza il 14 febbraio e altri sessanta giorni di carcerazione preventiva che si aggiungono ai 400 già scontati da Demirtas.
Senza mai essere stato ancora interrogato da nessuno. Il mondo ignora la portata storica di questo processo, dove il potere prova a tacitare per sempre l’opposizione. Inevitabilmente distratto dall’enorme impatto provocato dalla scelta scellerata di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele.

Occasione straordinaria per lo stesso Erdogan che ruggisce a reti unificate contro la decisione statunitense, riguadagnando una credibilità interna significativa come paladino della collera sunnita contro chi cerca di toccare la città santa.
Eppure, questo consenso non è granitico e, nonostante la stretta repressiva e giudiziaria, la Turchia non sta troppo bene. La Lira è in caduta libera, svalutata come non mai, due volte tanto rispetto al referendum di sei mesi fa, i bancomat sono vuoti, manca la liquidità. Sembra un paese che ripiega.

L’inverno della repressione (magistrati, funzionari pubblici, giornalisti, politici) coincide con l’inverno della recessione. Intanto, la paura che la crisi economica incattivisca ulteriormente il regime è palpabile nella sede nazionale dell’Hdp ad Ankara. Un palazzetto discreto, non distante dalla zona delle ambasciate, dove ieri pomeriggio è avvenuto un lunghissimo briefing con avvocati e parlamentari. Per due giorni davanti al carcere di Sincan, periferia estrema di Ankara, ho cercato invano di entrare come osservatore internazionale per assistere alle udienze dei processi ai due leader Figuen e Demirtas. Nulla da fare, tre ore a tre gradi sotto zero, la polizia in assetto antisommossa con gli idranti puntati sulle delegazioni straniere e la folla di militanti curdi assiepata davanti alla prigione. Nonostante pressioni diplomatiche e una sfilza lunghissima di credenziali esibite, gli avvocati ci fanno sapere che non entreremo, nonostante il nullaosta (vero o finto non è dato saperlo) della Corte.

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Comunicato congiunto a nome della Delegazione degli Osservatori Internazionali per il processo di Demirtaş e Yüksekdağ, 6 – 7 dicembre 2017

Uikionlus, 7 dicembre 2017

hdpsolidarity 599x275Noi sottoscritti rilasciamo la presente dichiarazione come comunicato congiunto a nome di tutti i membri della delegazione di osservatori internazionali recatisi qui ad Ankara per osservare e riferire in maniera oggettiva riguardo al processo dei due co-presidenti dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli), Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ.

La sig.ra Yüksekdağ e il sig. Demirtaş sono stati arrestati e detenuti in prigione dallo scorso novembre 2016. Contro di loro sono state mosse numerose accuse, in relazione a presunte attività “terroristiche”. I particolari e le prove delle accuse che fronteggiano, tuttavia, derivano dalle loro attività parlamentari e dalla responsabilità che devono rispettare per conto dei milioni di votanti che li hanno eletti come loro rappresentanti in Parlamento. Questi [particolari e prove] includono: i loro discorsi in Parlamento, discorsi tenuti durante marce politiche, incontri di partito, comunicati stampa e generali e legittime attività da partito di opposizione.

L’HDP, attraverso la rigorosa guida e opposizione del sig. Demirtaş e della sig.ra Yüksekdağ, ha visto se stesso guadagnare uno slancio considerevole e ha significativamente incrementato i propri consensi, sì da diventare il terzo maggior partito in Turchia e il secondo maggior partito di opposizione nel Parlamento turco nel 2015. Questo risultato storico aveva, a propria volta, condotto alla cancellazione delle elezioni generali del giugno 2015 per una nuova tornata nel novembre 2015, che produsse un risultato non troppo diverso.

Sullo sfondo di questi sviluppi politici, in Parlamento sono state velocemente discusse nuove leggi che privavano i parlamentari eletti della loro immunità e che portavano al conseguente arresto e al carcere per 13 parlamentari dell’HDP tra cui i due co-presidenti, i cui processi siamo qui per osservare. Invero, sebbene le presunte prove presentate al momento contro il sig. Demirtaş e la sig.ra Yüksekdağ si riferiscano a un periodo di tempo compreso tra il 2011 e il 2013, è significativo – dal nostro punto di vista – che le accuse e le dichiarazioni siano datate ai primi quattro mesi del 2016.

Non c’è dubbio che queste accuse e questi procedimenti siano motivati politicamente e progettati per mettere a tacere la crescente minaccia di una legittima opposizione. La motivazione politica, inoltre, è evidente anche nella maniera in cui sono state gestite le procedure giudiziarie che, dal nostro punto di vista, sfidano qualunque somiglianza a un giusto processo.

Noi, gli osservatori internazionali, protestiamo affermando che la maniera arbitraria in cui ci è stato negato di essere presenti alle udienze è in conflitto diretto con i diritti costituzionali della Turchia (il diritto a un pubblico processo) ed è una palese rappresentazione della mancanza di integrità giudiziaria e di indipendenza della Corte. Infatti, nonostante il presidente del collegio giudicante avesse deciso a favore del nostro accesso alla Corte, ciò ci è stato negato dalla polizia fuori dal tribunale, che ci ha bloccato con manganelli e scudi antisommossa. L’impressione e gli eventi che hanno condotto al nostro negato accesso, possono essere descritti solamente come quelli di uno “stato di polizia” e ci portano a temere e a mettere in dubbio l’equità dei processi, tralasciando l’integrità e l’imparzialità della Corte.

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Afghanistan, un vademecum per aiutare le donne vittime di violenza

Redattore Sociale, 6 dicembre 2017

Si chiama “Exit from violence. You are not alone” ed è stato realizzato in 10mila copie da Cospe e Caamst. Sarà distribuito nei centri donne e nelle case protette.

602626FIRENZE – Si chiama “Exit from violence. You are not alone” ed è un vademecum illustrato per riconoscere e denunciare la violenza quotidiana in Afghanistan. A realizzarlo il Cospe e Caamst, azienda di ristorazione italiana, in collaborazione con Cisda e la Casa delle donne di Milano. Si tratta di una vera e propria guida per conoscere i propri diritti, le leggi vigenti e, soprattutto, per riconoscere la violenza (sia essa domestica o istituzionale, psicologica, fisica o verbale) fin dal suo insorgere e, infine, come fare per denunciarla e combatterla. Contiene informazioni pratiche su cosa fare in caso di violenza, a chi rivolgersi, cosa si può fare dal punto di vista legale per allontanare il partner violento.

Il vademecum verrà distribuito in 10mila copie nei centri donne e nelle case protette gestite dalle associazioni afghane con cui collabora il Cospe, oltre che nei quartieri in cui si trovano queste strutture. “L’entità della discriminazione e il divario di genere in Afghanistan– dice Anna Meli di Cospe – si presentano con ferocia in tutti i settori sociali, politici e personali: nell’accesso alla salute e all’istruzione, nell’accesso e nel controllo sulle risorse, nelle opportunità economiche, nell’accesso alla giustizia e nella rappresentanza politica. Questa iniziativa ci aiuta a dare un aiuto concreto alle donne che beneficiano dei nostri progetti e a portare alla luce anche in Italia questa situazione”.

L’Afghanistan è infatti uno dei paesi peggiori dove nascere donna: quasi 40 anni di guerra, fondamentalismo, insicurezza, impunità e illegalità hanno creato un contesto in cui la violenza contro le donne è profondamente radicata nella società.

La legge del 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne non viene applicata. Alcune statistiche sono scioccanti: l’80% dei matrimoni sono forzati e, in gran parte, precoci; l’82% dei casi di violenza fisica, psicologica e sessuale avviene all’interno della famiglia; nella maggior parte dei casi di stupro è la donna che viene incolpata; l’analfabetismo tra le donne oggi è all’84%, un miglioramento di soli 4 punti rispetto all’88% del 2002.

Ci sono 25.000 morti materne ogni anno; la maggior parte dei detenuti sono donne, in gran parte in prigione per “crimini di offesa alla morale”, secondo un’interpretazione radicale della Shari’a. Nel 2016 sono stati 5000 i casi di violenza registrati al Ministero per le pari opportunità e la Commissione per i diritti delle donne, ma molti, moltissimi, di più sono quelli non pervenuti.

Il futuro della questione curda dopo la guerra in Siria

LineaDiretta24 – 6 dicembre 2017, di Viola D’Elia

1436455039 kurdistan 860x450 cMentre la diplomazia internazionale prepara piani di pace per la Siria dopo la caduta di Raqqa, la questione curda in Medio Oriente continua ad essere largamente ignorata. L’YPG, organizzazione para-militare curda in Siria, è stata una delle forze in prima linea contro la lotta allo Stato Islamico, ma l’aiuto di cui hanno beneficiato le potenze internazionali difficilmente sarà ripagato. Le discriminazioni subite negli anni dalla popolazione curda hanno origine da un pasticcio europeo e risalgono alla suddivisione dell’impero Ottomano decisa da Francia e Inghilterra, che creando nuovi stati indipendenti esclusero del tutto i curdi.
Questo popolo di 30 milioni di persone si ritrovò senza uno stato, costretto a dividersi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria e a subire discriminazioni che perdurano ancora oggi, in Turchia in particolar modo. Qui si tentò di cancellarne la cultura e la storia, in nome della creazione di una Repubblica Turca unificata sotto gli stessi valori.

La situazione non è migliorata in tempi più recenti: l’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdogan considera il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), fondato in Turchia nel 1978, alla stregua di terroristi: un gruppo armato che ha intrapreso un’insurrezione decennale minacciando la sicurezza del paese.

Finora, il presidente turco ha fatto di tutto per escludere i curdi dell’Ypg dal colloquio di pace volto a porre fine alla guerra civile siriana iniziata nel 2011. La giustificazione di Erdogan è che nè il Pkk nè il Pyd hanno a cuore il benessere e il futuro della questione curda in Siria. Ciò che la Turchia vuole evitare a tutti i costi sono le rivendicazioni indipendentiste dei curdi in Turchia, che rappresentano il 18% della popolazione totale. In occasione del vertice di pace in Siria dello scorso 22 novembre, Erdogan ha dichiarato di non escludere una sua cooperazione con il dittatore siriano Bashar al-Assad contro le autorità curde del Pyd nel Kurdistan siriano.

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