Uikionlus, 7 dicembre 2017
Noi sottoscritti rilasciamo la presente dichiarazione come comunicato congiunto a nome di tutti i membri della delegazione di osservatori internazionali recatisi qui ad Ankara per osservare e riferire in maniera oggettiva riguardo al processo dei due co-presidenti dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli), Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ.
La sig.ra Yüksekdağ e il sig. Demirtaş sono stati arrestati e detenuti in prigione dallo scorso novembre 2016. Contro di loro sono state mosse numerose accuse, in relazione a presunte attività “terroristiche”. I particolari e le prove delle accuse che fronteggiano, tuttavia, derivano dalle loro attività parlamentari e dalla responsabilità che devono rispettare per conto dei milioni di votanti che li hanno eletti come loro rappresentanti in Parlamento. Questi [particolari e prove] includono: i loro discorsi in Parlamento, discorsi tenuti durante marce politiche, incontri di partito, comunicati stampa e generali e legittime attività da partito di opposizione.
L’HDP, attraverso la rigorosa guida e opposizione del sig. Demirtaş e della sig.ra Yüksekdağ, ha visto se stesso guadagnare uno slancio considerevole e ha significativamente incrementato i propri consensi, sì da diventare il terzo maggior partito in Turchia e il secondo maggior partito di opposizione nel Parlamento turco nel 2015. Questo risultato storico aveva, a propria volta, condotto alla cancellazione delle elezioni generali del giugno 2015 per una nuova tornata nel novembre 2015, che produsse un risultato non troppo diverso.
Sullo sfondo di questi sviluppi politici, in Parlamento sono state velocemente discusse nuove leggi che privavano i parlamentari eletti della loro immunità e che portavano al conseguente arresto e al carcere per 13 parlamentari dell’HDP tra cui i due co-presidenti, i cui processi siamo qui per osservare. Invero, sebbene le presunte prove presentate al momento contro il sig. Demirtaş e la sig.ra Yüksekdağ si riferiscano a un periodo di tempo compreso tra il 2011 e il 2013, è significativo – dal nostro punto di vista – che le accuse e le dichiarazioni siano datate ai primi quattro mesi del 2016.
Non c’è dubbio che queste accuse e questi procedimenti siano motivati politicamente e progettati per mettere a tacere la crescente minaccia di una legittima opposizione. La motivazione politica, inoltre, è evidente anche nella maniera in cui sono state gestite le procedure giudiziarie che, dal nostro punto di vista, sfidano qualunque somiglianza a un giusto processo.
Noi, gli osservatori internazionali, protestiamo affermando che la maniera arbitraria in cui ci è stato negato di essere presenti alle udienze è in conflitto diretto con i diritti costituzionali della Turchia (il diritto a un pubblico processo) ed è una palese rappresentazione della mancanza di integrità giudiziaria e di indipendenza della Corte. Infatti, nonostante il presidente del collegio giudicante avesse deciso a favore del nostro accesso alla Corte, ciò ci è stato negato dalla polizia fuori dal tribunale, che ci ha bloccato con manganelli e scudi antisommossa. L’impressione e gli eventi che hanno condotto al nostro negato accesso, possono essere descritti solamente come quelli di uno “stato di polizia” e ci portano a temere e a mettere in dubbio l’equità dei processi, tralasciando l’integrità e l’imparzialità della Corte.