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Autore: Anna Santarello

Teheran sotto l’attacco jihadista

Enrico Campofreda dal suo Blog

2017 06 07T101747Z 1467113685 RC112E941230 RTRMADP 3 IRAN SECURITY kuAF U43330226346400p4D 590x445Corriere Web Sezioni 1Il terrorismo jihadista arriva a Teheran. Quel che non era accaduto si è verificato stamane con un duplice attacco in due luoghi simbolo: il Parlamento e il Mausoleo dell’ayatollah Khomeini. Un commando di tre persone armate di khalashnikov, ha colpito e ucciso una guardia nel palazzo del Majlis. Si registrano alcuni feriti fra militari e funzionari.

Gli assalitori tengono in ostaggio un gruppo di persone mentre l’intera area è circondata da polizia e reparti dell’esercito. In contemporanea nella zona sud della capitale, al Mausoleo di Khomeini posto lungo la via dell’aeroporto internazionale, un uomo s’è fatto esplodere senza provocare vittime. Il luogo è di solito frequentatissimo, tre giorni fa ricorreva l’anniversario della morte del padre della Rivoluzione Iraniana e decine di migliaia di cittadini si erano recate nella moschea, un’area dove sorgono anche due hotel e un parco giochi per bambini. Fortunatamente nell’ora mattutina dell’assalto non c’era la solita moltitudine, un lancio dell’agenzia Fars parla, comunque, di alcuni feriti. Sembra che due membri del commando cui apparteneva il kamikaze siano riusciti a fuggire, mentre è stata fermata una donna. Non c’è stata finora alcuna rivendicazione, sebbene stile e finalità degli assalti rientrino nella prassi jihadista.

Il bilancio delle vittime s’appesantisce: sono dieci le guardie del Majlis a essere cadute sotto il fuoco degli assalitori, un fuoco fitto i cui schiocchi sonori sono stati trasmessi da alcuni media. L’attacco in sé era inatteso, nonostante la tensione internazionale cresciuta negli ultimi giorni attorno alla vicenda dello scontro in seno al Consiglio della Cooperazione del Golfo, con le dinastie Saud e Al-Thani ai ferri corti proprio per presunti apprezzamenti pro iraniani dell’emiro qatarino. Attualmente, nonostante l’intera area del Parlamento che sorge in una zona centrale di Teheran sia completamente circondata da militari e reparti speciali di Pasdaran, alcuni dei quali sono nell’edificio istituzionale, quel che resta del commando è ancora asserragliato all’interno e tiene sotto tiro quattro ostaggi. Mentre anche lì un kamikaze s’è fatto esplodere, l’agenzia Reuters ha mostrato due immagini: nella prima uno dei miliziani si affaccia e guarda fuori sempre imbracciando l’Ak 47, nella seconda lo stesso miliziano tiene sotto tiro un uomo che all’esterno recupera un bambino che gli viene porto da una finestra, probabilmente da un altro membro del commando. Un gesto inedito per uomini del terrore. Una nota del Ministero della Sicurezza iraniana ha affermato che stamane gli attacchi previsti nella capitale erano tre: uno è stato preventivamente sventato, pare si trattasse di un paio di autobomba che sono state intercettate.

attentaore affacciatoAttentatore alla finestra

Gli altri due che sono invece andati a segno. L’Intelligence interna, che come simili strutture nel mondo mostra di non poter filtrare tutto, ha comunque dichiarato di avere bloccato nei mesi scorsi decine di possibili attentati. Dunque il Paese non era affatto tranquillo come sembrava, sebbene da tempo non subisse le attenzioni distruttive del terrorismo. Il maggiore assalto s’era svolto nella zona meridionale del Baluchistan, provincia dove agiscono gruppi talebani, era il 2010 e le vittime furono 39. Poi si ricordano le uccisioni di alcuni scienziati e ingegneri legati al progetto nucleare che subìrono rocambolesche aggressioni con ordigni esplosivi collocati su moto e auto. Si parlò di opera del Mossad o della Cia, certamente il Vevak non mostrò un’efficienza e soprattutto quella prevenzione che una nazione assediata dall’embargo s’aspettava durante la presidenza del basij Ahmadinejad.

Certo l’articolazione degli agguati odierni, che risultano rivendicati dall’Isis, evidenziano un piano d’azione meditato e preparato da tempo. Gli uomini armati che sparano e si fanno saltare in aria non sono lupi solitari bensì elementi addestrati, occorre vedere se combattenti stranieri filtrati dalle aree sensibili, il citato Baluchistan a sud-est o l’area nord-occidentale dove agisce una guerriglia kurda che qui non è organizzata come altrove. Oppure sono soggetti entranti con quel turismo che da un anno a questa parte ha avuto una sensibile ripresa, seppure le maglie dei controlli risultano copiosi e vigili.

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“Doveva finire male, è finita peggio”

NIcola Carella – Dinamopress – 5 giugno 2017

0adc38a5 2c22 4e6e f6cd ea09eed402c6Deportati dall’Europa in un paese in guerra ma dichiarato “sicuro”, usati come carne da cannone nella guerra contro Isis: i rifugiati afghani che le cancellerie europee non vogliono. Inchiesta sulle pericolose connessioni Berlino-Kabul-Teheran.

Esiste un proverbio in afghano che recita come il titolo di questo articolo. Non esiste modo migliore per gli afghani per sintetizzare la propria storia degli ultimi 50 anni. In italiano suonerebbe un po’ come “passare dalla padella alla brace”, e per gli afghani c’è stato sempre qualcosa di peggiore. Persino quando dalla “brace” della loro disperata terra hanno provato a scappare.

Negli ultimi quattro mesi ci sono state a Berlino diverse manifestazioni agli aeroporti di Tegel e di Schoenefeld. Manifestazioni organizzate in poche ore, da qualche centinaia di attivisti antirazzisti per fermare la “macchina da deportazione tedesca”, che dallo scorso dicembre ha ripreso a funzionare a pieno ritmo, per espellere i richiedenti asilo arrivati nel ricco e spietato cuore d’Europa. I manifestanti provano a fermare i voli charter Berlino–Kabul che riportano in Afghanistan i richiedenti asilo a cui è stato rifiutato lo status di rifugiato. I voli partono senza preavviso, ma la reattività delle reti antirazziste consente, per quanto possibile con un anticipo così breve, di denunciare i viaggi della vergogna. L’Europa, dopo aver partecipato alla campagna militare americana contro i Taliban, e a guerra non ancora conclusa, riporta al punto di partenza esseri umani, che, sopravvissuti a un lungo e straziante viaggio, speravano di poter essere finalmente accolti.

Il 31 maggio 2017 a Norimberga ci sono stati scontri tra la Polizei e gli studenti di una scuola che si opponevano alla deportazione di un loro compagno di classe afghano: un muro umano di solidarietà e coraggio l cui immagni hanno fatto il giro del mondo. Lo stesso giorno, a Kabul, un’autobomba ha ucciso 90 persone e ne ha ferite 400, segnando una connessione plastica tra luogo di partenza e di arrivo verso cui la Germania deporta i rifugiati.

Ma come è possibile che questo avvenga? Come è possibile rifiutare lo status di rifugiato a chi scappa dalla nazione al mondo con il maggior numero di attacchi terroristici, con una guerra che dura da 15 anni, da uno stato a cui proprio l’Occidente ha dichiarato guerra?

Cerco così le risposte a queste ed altre domande che via via si aggiungono infine, all’orrore provato per il cinismo delle istituzioni europee, si sostituisce lo sgomento per aver “scoperto” quel “peggio” a cui fa riferimento il proverbio.

Forse è bene andare con ordine, ripercorrendo passo dopo passo un percorso di inchiesta personale iniziato per rispondere a domande che dovrebbero essere le domande di tutte e tutti coloro che ricordano cosa è accaduto e cosa ci è stato raccontato dall’11 settembre 2001 su terrorismo, guerra, Islam, immigrazione.

Rimpatri forzati e ipocrisia europea

Per rispondere ai dubbi citati prima, inizio dai dati ufficiali dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Secondo l’UNHCR l’Afghanistan è il secondo Paese di origine dei rifugiati nel mondo, mentre continuano a crescere le vittime civili di un conflitto mai terminato e tra queste vittime civili raddoppiano il numero di donne e bambini. C’è chi abbandona la propria casa semplicemente perché non ne ha più una o non può tornarci: gli sfollati nel 2016 si contano in circa 1,3 milioni, e vivono in condizioni disastrose. Nell’autunno del 2016 l’Ufficio Europeo di Supporto per l’Asilo (EASO) ha pubblicato un report in cui si rilevavano continui e intensi conflitti armati (il numero più alto dall’inizio del conflitto nel 2001), arresti arbitrari, torture, stupri. Tuttavia, sempre nell’autunno 2016, l’Unione Europea ha firmato con il Governo Afghano un protocollo di intesa.

Cosa dice questo protocollo? Perché e da chi è stato voluto?

Il protocollo è un espediente trovato dall’Unione Europea per rispondere alle domande di richiesta di asilo da parte di cittadini afghani, ovviamente con l’obiettivo di respingerle. Domande che hanno raggiunto tra il 2015 ed il 2016 quasi quota mezzo milione. Nel d’intesa, con invidiabile cinismo, l’UE offre ad un governo ormai alla canna del gas, ma “formalmente riconosciuto”, il pagamento di 3,5 miliardi di debito in cambio della rigida applicazione dei punti dell’accordo che riguardano i rifugiati. Essendo l’accordo formalmente stipulato con un governo riconosciuto dall’ONU, rispetta le Nazioni Unite e non rischia alcuna critica da parte dall’UNCHR. Insomma, un accordo legittimo in punta di diritto. Una mossa luciferina da parte dell’Europa. Il protocollo prevede il rimpatrio volontario o forzato di tutti i cittadini afghani che non hanno base legale per restare in un paese UE. Per dirla in soldoni, prevede la deportazione di tutti gli afghani a cui viene rifiutato lo status di rifugiati, in quanto stipulato con il governo sovrano di un paese “sicuro”. Addirittura l’accordo menziona la “possibilità di costruire un apposito terminal aeroportuale a Kabul esclusivamente per questo scopo”. Un hub detentivo per cittadini indesiderati.

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AFGHANISTAN DOPO GLI ATTENTATI. La guerra senza fine che potrebbe ingolfare Donald Trump.

ilsole24ore.com – di Marco Valsania, 4 giugno 2017

14d507e2f85c477eeeb04f826cf4bedd kHBB 835x437IlSole24Ore WebNew York – Gli attentati in successione non danno pace all’Afghanistan, e all’America. Sono culminati in un nuovo eccidio: almeno 18 vittime e decine di feriti al funerale del figlio di un influente politico locale, rimasto paradossalmente ucciso dalla polizia durante dimostrazioni per chiedere maggiori misure di sicurezza. Protese scaturite dopo il camion bomba che solo pochi giorni prima aveva fatto strage nel centro di Kabul, dove si trovano le ambasciate internazionali.

Ma una settimana segnata dal sangue, in tutto oltre cento morti e centinaia di feriti, ha riaperto ferite anche a Washington. Ferite politiche profonde, che minacciano più di altre sfide di politica estera di mettere in discussione e in crisi lo slogan di America First sbandierato dalla Casa Bianca: l’amministrazione di Donald Trump si sta avvicinando a nuove decisioni sulla strategia da seguire in quella che, dopo sedici anni, è ormai la “guerra infinita”. Scelte che potrebbero inviare nuove truppe americane nella regione.
Il presidente sta considerando la proposta del Pentagono, autori il Segretario alla Difesa James Mattis e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale HR McMaster, di spedire un contingente stimato tra i 3.500 e i cinquemila soldati, per rafforzare le operazioni di caccia a terroristi e appoggio al governo e alle forze armate di Kabul. E in discussione e’ anche l’ipotesi di giri di vite nei confronti del Pakistan, tuttora patria rifugio di talebani e gruppi pirati da Al Qaeda, compresi nuove ondate di attacchi di droni.

La strategia è però men che condivisa dentro la stessa amministrazione. Ed è carica di incognite anche militari. Si scontra con l’anima populista del consigliere Steve Bannon oltre che con le promesse di disimpegno globale di Trump stesso, adombrando un “tradimento” della campagna elettorale. È semmai il frutto dell’ala più pragmatica e tradizionale dell’establishment, alla quale Trump sembra semmai oggi dare meno ascolto – l’esempio eclatante è lo strappo sul clima, con il quale ha snobbato anche la sua figlia e confidente Ivanka – a caccia di consensi nella sua base più radicale che pensa gli sia necessaria e sufficiente a governare. Una decisione, insomma, che rischia di alimentare spaccature e paralisi nella cerchia più ristretta della Casa Bianca.

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UNA RACCOLTA FONDI SPECIALE PER LE VITTIME DELL’ESPLOSIONE DEL 31 MAGGIO.

AFGHANISTAN “PAESE SICURO”?

foto bomba 150x150Mercoledì 31 maggio Kabul si è svegliata con un orrendo boato: un camion bomba è esploso nella zona delle ambasciate uccidendo 80 persone e ferendone oltre 460. Sicuramente questa macabra conta non è ancora finita; molti sono ancora i dispersi e molti feriti gravi potrebbero non farcela.

Il peggiore attentato della storia del paese, che vive da 40 in una guerra senza fine, stritolato dal fondamentalisti, signori della guerra e della droga, talebani; vittima di interessi incrociati e ingerenze di paesi confinanti (Iran, Pakistan, Arabia Saudita…); invaso a più riprese da potenze straniere (URSS, USA) che vogliono fare solo i loro interessi e mantenere un’instabilità che giustifica la loro presenza; vittima dell’ISIS, che qui trova terreno fertile per perseguire i suoi fini.
Non è ancora chiara la responsabilità dell’attentato: i talebani hanno dichiarato la loro estraneità, l’ISIS non si è pronunciato… Alcuni analisti dicono che è stata la potente e sanguinosa rete di Haqqani, affiliata ai talebani, altri che c’è la mano dei servizi segreti afghani.
Gli afghani però sanno che il loro governo non sta facendo nulla, anzi, sta lasciando che questa situazione continui a deteriorarsi e venerdì 2 giugno qualche migliaio di persone è sceso in piazza per chiederne le dimissioni; la loro protesta è stata fermata dalla polizia che ha sparato, uccidendo una persona e ferendone otto, stando a quanto scrivono le agenzie di stampa.
Purtroppo le vittime di questi giochi sono sempre i civili le cui speranze sono state tradite dalle bugie dell’Occidente, che aveva promesso, 16 anni fa, democrazia, pace, giustizia e diritti per le donne.

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Afghanistan: attentato di Kabul, orribile atto di deliberata violenza.

amnestyinternational.it – 31 maggio 2017.

1496229839565.JPG Amnesty International ha condannato l’attentato con autobomba portato a termine la mattina del 31 maggio nella capitale afgana Kabul, che ha causato 80 morti e almeno 350 feriti.

“Siamo di fronte a un orribile atto di violenza, che ci ricorda in maniera drammatica ancora una volta il prezzo che la popolazione civile afgana continua a pagare in un conflitto nel quale i gruppi armati la colpiscono deliberatamente e il governo è incapace di proteggerla“, ha dichiarato Horia Mosadiq, ricercatrice di Amnesty International sull’Afghanistan.

“Occorre un’immediata, imparziale ed efficace, in grado di recare giustizia alle vittime. I civili non dovrebbero mai essere presi di mira, in alcuna circostanza“, ha proseguito Mosadiq.

“La strage di oggi mostra che il conflitto dell’Afghanistan non sta perdendo intensità, al contrario si sta pericolosamente allargando. Questo dovrebbe essere motivo di allarme per la comunità internazionale. La Corte penale internazionale dovrebbe mantenere la promessa di indagare sui crimini di guerra e chiamare i responsabili a risponderne“, ha concluso Mosadiq.

Ulteriori informazioni

Dal ritiro, alla fine del 2014, delle forze militari internazionali, la situazione della sicurezza in Afghanistan è profondamente peggiorata, il numero delle vittime civili è aumentato e la crisi dei profughi interni si è acuita. I talebani controllano più territorio oggi che in qualsiasi altro periodo successivo al 2001.
Ad aprile la Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan ha diffuso un rapporto sulle vittime civili, ha reso noto il numero delle vittime civili nel primo trimestre del 2017: 715 morti e 1466 feriti.
Il maggior numero di vittime civili è stato registrato nella capitale Kabul, seguita dalle province di Helmand, Kandahar e Nangarhar.

Afghanistan, la guerra che non si vince dal cielo.

Il Sole 24ore – Roberto Bongiorni – 1 Giugno 2017

0355D7 bombe usa in afghanistanl gravissimo attentato avvenuto ieri mattina nel cuore di Kabul – almeno 90 vittime e 400 feriti(di cui 10 americani) nel quartiere diplomatico di Wazir Akbar Khan – ci spinge a riflettere sul turbolento periodo che sta vivendo il martoriato Afghanistan . E ci suggerisce quattro considerazioni, difficili da confutare.

Dal ritiro delle truppe internazionali da combattimento (missione Isaf), completato alla fine del 2014, la situazione è tutt’altro che migliorata. Anzi, non è fuori luogo sostenere che sia peggiorata.

È grande motivo di preoccupazione che non ci sia una sola area del Paese che non sia vulnerabile. E l’attentato di oggi a Kabul è solo l’ultimo di una lunga serie. Colpa di un Governo afghano ancora fragile e di un esercito nazionale male addestrato e non all’altezza di un compito così arduo.

Altro punto critico. La crescente penetrazione dei gruppi legati all’Isis è una realtà di cui occorre prendere atto , e affrontare.

Infine la guerra in Afghanistan non si vince scagliando dal cielo la madre di tutte le bombe (come avvenuto in aprile contro postazioni dell’Isis), ma probabilmente richiederà più stivali sul terreno e strategie di lungo termine.

Sono quattro questioni spinose. A cominciare dalla sicurezza. Se è vero che circa metà del territorio, per quanto siano soprattutto zone rurali, è controllato dai gruppi di insorti, la priorità per il Governo afghano è mostrare al mondo che almeno la capitale Kabul, cuore delle istituzioni e sede delle ambasciate straniere, sia al sicuro. Purtroppo non è così. La cronaca degli ultimi mesi racconta quanto la capitale afghana, anche i quartieri più protetti come quello colpito oggi, sia divenuta un obiettivo facile per gli estremisti. Solo per ricordare i più cruenti attentati, 27 giorni fa un’auto bomba, rivendicata dall’Isis, è stata fatta esplodere al passaggio di un convoglio di truppe straniere, nei pressi dell’ambasciata americana (otto i civili rimasti uccisi). E non sono trascorsi nemmeno tre mesi dall’8 marzo, quando un commando di quattro terroristi (tra cui un kamikaze) travestiti da medici, e rivendicato ancora una volta dalle cellule dallo Stato islamico della provincia del Khorasan, aveva colpito ancora una volta il cuore del quartiere diplomatico di Kabul uccidendo più di 30 persone, tra le quali diversi medici e infermieri. Un mese prima, il 7 febbraio, sempre le cellule afghane legate all’Isis avevano fatto esplodere i loro kamikaze davanti alla Corte suprema di Kabul falciando la vita a quasi 30 persone.

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Afghanistan, il “Grande gioco” torna di moda.

Dal BlogBlog di Enrico Campofreda. 1 giugno 2017

voragineNello scontro di lungo corso che mostra chi comanda e dove in Afghanistan, la cronaca spesso sanguinossima legata ad attentati e assalti riversati sulla popolazione civile (nell’esplosione di ieri oltre a due giornalisti e qualche funzionario le novanta vittime risultano prevalentemente passanti) supera la strategia dei conteggi.
Quelli con cui la diarchia Ghani-Abdullah ha cercato di rassicurare la popolazione e i tutor statunitensi che due terzi delle province risultavano sotto il controllo dei propri soldati. Di fatto non è così, ma anche i turbanti che da circa due anni hanno rilanciato azioni simboliche e tattiche in grande stile, non hanno la forza per rovesciare con le armi l’attuale establishment.

Il conflitto diretto s’è arricchito di ulteriori aiuti, che nuovi non sono perché provengono dai soliti noti: le grandi potenze e quelle regionali, presenti direttamente e dietro le quinte dello scenario afghano.

Un teatro che conta perché inserito nel cuore del continente asiatico. Così l’immancabile Isis da diversi mesi s’è materializzata in quelle lande, creando l’immediato risentimento talebano. I sunniti pashtun non ammettono ingerenze in un conflitto che combattono in varie forme da quarant’anni. Se i messaggeri di al-Baghdadi hanno trovato accoglienza nella terra dell’Hindu Kush questa è passata attraverso la componente talebana entrata in contrasto con la nuova dirigenza e tramite le frange dei Tehreek-e Taliban attivi in alcune aree di confine col Pakistan.

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L’Exdeputata Malalai Joya: «L’Isis arruolerà gli afghani respinti dall’Europa»

Corriere della sera Esteri – di Viviana Mazza – 31 maggio 2017

xx kJKF U433201038364711nCH 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443La «donna più coraggiosa dell’Afghanistan» espulsa dal parlamento per aver accusato i Signori della Guerra: «Nel 2001 speravamo negli Stati Uniti, ma non sono stati onesti»

«Siamo la generazione perduta. Nella vita abbiamo visto solo sangue, esodi, occupazione, guerra», dice al Corriere
Malalai Joya. L’hanno definita la donna più coraggiosa dell’Afghanistan per le parole che pronunciò nel 2003, appena eletta deputata: «Perché permettiamo ai Signori della Guerra, che opprimono le donne e hanno distrutto questo Paese, di sedere in Parlamento?». Malalai aveva 25 anni. Fu espulsa dal Parlamento e da allora vive braccata a Kabul: è sfuggita a molti attentati, da un anno non vede il figlio (che ne ha 4). «Piccole sofferenze rispetto alla tragedia del mio Paese», dice. Un mese fa, prima del suo arrivo in Italia per partecipare al festival «Mediterraneo Downtown» di Prato, un kamikaze ha fatto 78 vittime a Kabul; ieri è tornata in patria, accolta dall’ennesimo attentato. La sede della Ong «Cospe» che l’ha ospitata a Prato, era vicina all’esplosione: l’italiana Federica Cova era in ufficio, l’afghana Rohina Bawer era diretta al lavoro in taxi, si è salvata per pochi istanti.

A Kabul ieri ci sono state proteste contro il governo oltre che contro i talebani e l’Isis. Cosa chiede la gente?

«Il problema non sono solo i fondamentalisti ma anche l’occupazione e il governo fantoccio di Ghani. Ero neonata ai tempi dell’invasione sovietica, profuga durante la guerra civile, insegnante clandestina sotto i talebani. Dopo la tragedia dell’11 settembre, speravamo davvero nella pace e nella giustizia.
Ma gli Stati Uniti non sono stati onesti: hanno rimpiazzato i talebani con i Signori della Guerra, travestiti da democratici in giacca e cravatta ma anche loro fondamentalisti e con le mani sporche del sangue della guerra civile. Ora è stato tolto dalla lista nera dell’Onu pure Gulbuddin Hekmatyar, il macellaio di Kabul: i suoi uomini, scarcerati, fanno attentati e difendono l’Isis in tv. I criminali di guerra si contendono il potere. Ognuno ha una tv: da “Tamadon” che vuol dire “progressista” e appartiene ai fantocci fondamentalisti di Russia e Iran, a “Tolo”, portavoce del Pentagono».

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AFGHANISTAN. CAMION-BOMBA, 90 MORTI. SI PENSA ALL’ISIS.

Notizie Geopolitiche – 31 maggio 2017.

afghanostan esplosione kabulÈ di 90 morti e 350 feriti il bilancio, ancora provvisorio, del gravissimo attentato che è avvenuto questa mattina nella piazza Zanbaq di Kabul, in Afghanistan, in piena ora di punta.
L’esplosione è stata provocata da un camion-bomba parcheggiato nella piazza situata nel quartiere delle ambasciate ed è stata forte al punto di danneggiare gli edifici situati a decine di metri tra cui la rappresentanza diplomatica tedesca. Il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel ha riferito di dipendenti dell’ambasciata tedesca rimasti feriti, ma da quanto si è appreso anche l’ambasciata francese sarebbe stata investita dall’esplosione, come pure un ospedale di Emergency.

A riferire che il bilancio delle vittime potrebbe ulteriormente aggravarsi è stato il portavoce
del ministero della Salute afghano Ismael Kawoosi, il quale ha dichiarato che “Stanno ancora portando persone negli ospedali”.
Abdullah Abdullah, chief executive del governo afghano, ha condannato l’attacco affermando che ”Noi vogliamo la pace, ma chi ci uccide durante il Ramadan non è degno di pace. Essi devono essere distrutti e sradicati’’.
Al momento non vi sono rivendicazioni, ma il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha preso le distanze e ha affermato che il gruppo “condanna ogni attentato come questo che causa vittime civili”.

Il sospetto è che dietro all’attacco di oggi, come a quello di Kosht del 27 maggio (18 morti tra cui due bambini) vi sia l’Isis, che si sta radicando in Afghanistan ponendosi in lotta sia con i governativi che con i talebani. L’Isis ha l’evidente scopo di fare del paese un trampolino di lancio per radicarsi nei paesi limitrofi.

Afghanistan: oltre 100mila sfollati da inizio anno.

Dazerba News – 29 maggio 2017

426f8f73b439e8e5e8e70851cbedc49a LKABUL – In Afghanistan il conflitto che si trascina da anni continua a mettere in fuga la popolazione. Da inizio anno, secondo l’Onu, sono più di 100mila gli afghani che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case.

Secondo l’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) da gennaio gli sfollati sono 103.229, un dato che segna comunque un calo del 36% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il calo è dovuto sia al fatto che molte persone potrebbero già essere fuggite dalle zone dove i combattimenti si trascinano dal 2016 sia al fatto che l’aumento della povertà costringe molte famiglie a restare nelle proprie terre per la mancanza di risorse per organizzare la ‘fuga’ verso zone più sicure.

Tra gli oltre 100mila sfollati, circa il 58% sono bambini, minori di 18 anni. Nel nord del Paese, un tempo considerato relativamente calmo, ora si registra il 42% degli sfollati, mentre nel sud – considerato la culla dell’insorgenza e teatro di violenti combattimenti negli ultimi mesi – si conta il 31% delle persone messe in fuga dalle proprie case. Casi di persone sfollate sono stati documentati in 29 delle 34 province del Paese.