Skip to main content

Autore: Anna Santarello

Afghanistan, la terra del caos

Afghanistan la terra del caos mediumfoto di Anna Toro

di Anna Toro, Unimondo.org

“Non temo la morte, quanto i rischi che possono derivare dal rimanere in silenzio di fronte a tanta ingiustizia”. Sono le parole pronunciate da Malalai Joya, attivista afghana ed ex parlamentare, durante l’incontro organizzato a Roma a maggio da “In difesa di”, la rete di oltre 30 organizzazioni italiane creata per portare all’attenzione pubblica la questione dei difensori e delle difensore dei diritti umani, di cui abbiamo già parlato su Unimondo ieri.

Malalai Joya ha fornito la testimonianza vivente delle condizioni in cui sono costretti a vivere, in tante parti del mondo, coloro che si occupano della difesa dei diritti umani tra intimidazioni, minacce di morte, campagne di diffamazione, criminalizzazione e aggressioni, fino ad arrivare all’omicidio. Lei stessa, espulsa nel 2007 dal Parlamento afghano, è stata più volte minacciata dopo aver denunciato, all’interno della stessa assemblea, la presenza di “signori della guerra”, di trafficanti di droga e persone responsabili di violazioni dei diritti umani. Da allora ha subito diversi attentati ed è costretta a vivere sotto scorta, cambiando continuamente abitazione. “È da un anno che non vedo mio figlio” spiega l’attivista, che non ha mancato di raccontare il caos in cui a tutt’oggi versa il suo paese, martoriato da decenni di conflitto ininterrotto a cui si sono aggiunte, dal 2001, la guerra e l’occupazione americana. “Il genocidio in atto nel nostro paese non è meno brutale oggi di quanto non lo sia stato durante l’orrore dell’era talebana – commenta – L’occupazione ha solo raddoppiato i nostri problemi”.

Continua a leggere

Meena in Italia al XIX Congresso del PSDI Milano 24 – 30 marzo 1982

Cisda, 27 maggio 2017

Umanità 261x300Alcuni mesi fa le nostre amiche di Rawa hanno mandato un ritaglio di un giornale italiano dove si può vedere una foto di Meena.

Il giornale è “L’Umanità” organo del Partito Socialista Democratico Italiano. Dopo varie ricerche abbiamo trovato presso la Biblioteca Comunale di Ivrea la copia del giornale e abbiamo recuperato le scansioni. Nella prima pagina del giornale si può leggere l’articolo dal titolo “Gli afghani: sosteneteci nella nostra battaglia” dove è trascritto il discorso tenuto da Meena al congresso. 

Abbiamo anche trovato sul sito di Radio Radicale il link della registrazione di tutto il Congresso. Qui sotto  la voce di Meena:

Di seguito trovate l’articolo che abbiamo trascritto integralmente.Meena è introdotta da un rappresentante dei mujaheddin del popolo e la loro presenza al congresso Psdi nell’elenco delle delegazioni straniere è presentata come “Resistenza afghana”.

L’UMANITÀ QUOTIDIANO DEL PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO ITALIANO Sezione dell’Internazionale Socialista

Sabato 27 Marzo 1982
Terza giornata di lavori al XIX Congresso Nazionale del PSDI a Milano
Dalla realtà dei fatti emerge la supremazia del socialismo democratico sul comunismo

GLI AFGHANI: SOSTENETECI NELLA NOSTRA BATTAGLIA

Un momento di grande commozione il congresso lo ha vissuto quando i due rappresentanti della resistenza afghana che seguono dalla prima giornata i nostri lavori, sono saliti alla tribuna per portare il messaggio del popolo afghano, messaggio che è stato letto nella sua madrelingua dalla dirigente delle donne rivoluzionarie afghane, Kamal Keshvar. Delegati ed invitati in piedi hanno lungamente applaudito.

Da un testo tedesco del messaggio, il compagno Bemporad ha tradotto e letto per il congresso il messaggio della resistenza afghana che riproduciamo integralmente:

Cari amici, in nome del popolo afghano, in nome del movimento della resistenza, in nome della libertà. Salutiamo il Presidente e il Segretario del Partito, i delegati del congresso socialdemocratico e tutti i rappresentanti delle delegazioni straniere.

Attraverso la vostra calorosa accoglienza abbiamo compreso che noi abbiamo amici anche in Italia, che ci sostengono e attribuiscono il valore che merita alla guerra di resistenza del nostro popolo.

Vi ringraziamo di nuovo per la vostra cordiale accoglienza.

Cari amici, sono passati due anni dalla palese invasione dell’Unione Sovietica in Afghanistan. Il nostro popolo ha assunto con fermezza e senza piegarsi proseguendo eroicamente nelle condizioni di difficoltà il peso della guerra che continuano a condurre gli occupanti sovietici.

Gli invasori sovietici che si sono armati per conquistare il mondo vogliono utilizzare l’Afghanistan come un punto d’appoggio per ulteriori invasioni e per il controllo sulle più importanti regioni e sui mari di importanza strategica. Essi hanno rafforzato la loro influenza sul governo iraniano e cercano di inserirsi nella situazione interna del Pakistan. Per l’Unione Sovietica l’Afghanistan è molto importante perciò essa usa tutti i mezzi per annientare il nostro popolo per conseguire il suo scopo di dominare il mondo.

Quattro milioni di afghani hanno dovuto abbandonare la loro terra, centinaia di migliaia sono caduti. L’Unione Sovietica non si limita ai bombardamenti ma impiega armi chimiche e biologiche.

Essa impiega due gas tossici “fosgan” “sarim” “sonion” che uccidono nello spazio da 8 a 48 ore.

Continua a leggere

Afghanistan, i generali di Trump e la strategia del riarmo

dal Blog di Enrico Campofreda

nicholson 300x205Mister Trump avrà pure apprezzato la medaglia con l’ulivo della pace consegnatagli da papa Francesco, ma anche questo è mera maschera diplomatica, più della discussa mano tesa all’avvenente consorte Melania. Che conoscendo con chi ha (ahilei) a che fare, la respinge.

Perciò oltre ai 350 miliardi di armamenti da rifilare all’alleato saudita, reso satollo e capace di proseguire repressioni verso l’opposizione interna ed esterna alle petromonarchie e guerre per procura grazie all’amato e nutrito jihadismo, gli Stati Uniti stanno rivisitando piani strategico-militari su vari scenari mondiali.

Quello consolidatissimo dell’Afghanistan, giunto al 16° anno d’occupazione, rientra fra i rivedibili. L’attuale programma Resolute Support, che teneva in loco 10.000 marines (cui bisogna aggiungere i contractor in divisa, solitamente non presentati nel conto totale), subirà appunto ritocchi. Il generale Nicholson, responsabile delle truppe Nato in quel Paese, sogna di rischierare migliaia di soldati sullo scenario. Né lui e neppure Pentagono e Casa Bianca spendono una minima riflessione su un orizzonte totalmente fallimentare per le truppe occidentali che lì si sono cimentate, perdendo uomini e faccia.

L’industria cardine per l’economia statunitense, che è quella bellica, necessita di ambasciatori dell’utilizzo di quel “ben di Dio” simile alla Moab di cui il presidente e i suoi generali si fan vanto. E con l’ausilio degli apprendisti stregoni della geopolitica ci si orienta a serbare i fronti aperti, anche davanti alla palese inefficacia della propria strategia.

Continua a leggere

Non è troppo tardi

di Elide Mussner PizzininiSalto-bz

nonèmaitardi 300x169Il 15 maggio. Incontro Malalai Joya, politica e attivista afghana impegnata per i diritti della donna, cacciata dal governo afghano per aver avuto il coraggio di parlare.

Poche parole la precedono: “Malalai!”, “Yes, I’coming.” È piccola, mi dico. Sì, piccola e così giovane, potrebbe essere mia sorella. “Volete fare un’intervista, vero?”, ci chiede subito dopo averci dato la mano. Ci indica il divano.

Sarebbero così tante le domande da farle, avrei voglia di chiederle anche le cose più banali, tipo cosa sogna di notte, cosa pensa quando vede noi occidentali in questo mondo occidentale. Cosa mangia a colazione? E in che lingua pensa? E il velo, dove tiene il velo? Non si sente mai sola? E come fa a organizzare la sua vita da fuggitiva, senza mai mollare di fronte alla paura di morire?
Malalai invece parte subito, non ha spazio nei suoi pensieri per le piccole chiacchiere. Inizia a parlare del suo Afghanistan, degli Americani che lo usano come campo di prova per le loro tecniche di guerra.

Parla di tante guerre, quella Russo-Afghana dal ’79 all’`89, quella civile subito dopo; del regime talebano dal ’96 al 2001 e dei signori della guerra, che ora sono lì, a tenere il governo fantoccio, quando invece sono loro gli aguzzini. Hekmatiar è uno di loro, fino a poco fa era sulla black-list dei criminali di guerra, ora è lì a negoziare al tavolo di pace (www.ansa.it). “Perché non dite niente voi?”, ci chiede energicamente. “Dite al vostro governo di ritirare le truppe, non dire nulla è acconsentire, siete tutti responsabili.”

Parla di geopolitica, di posizioni strategiche, di basi militari, di invasione. Parla di invasione e di un paese rubato. “Noi siamo la war-generation”, la generazione della guerra, avevo quattro giorni quando i sovietici invasero l’Afghanistan. Non ho mai conosciuto la pace nel mio paese. La donna lì, vale meno di nulla. Hanno avvelenato la mensa di una scuola femminile! La guerra al terrorismo è una bella scusa per loro, gli americani, per continuare i loro giochi politici. Dicono: “abbiamo lanciato la bomba madre per combattere l’ISIS”, ma l’ISIS non è altro che un’altra buona scusa. A morire sono loro, i civili, donne, bambini, innocenti.”

Continua a leggere

SOTTO UN CIELO DI STOFFA, AVVOCATE A KABUL

Cristiana Cella, attivista CISDA

CieloStoffa 150x150Le donne afghane vivono una vita inimmaginabile per noi. Private di ogni diritto, sono costrette a subire una violenza quotidiana, nelle loro famiglie, nella società, nelle istituzioni.

Una violenza che continua a peggiorare nella quasi totale impunità. Ma non sono solo vittime, sono donne forti, capaci di combattere e accudire con eguale determinazione, di vincere la paura e lottare per un destino diverso.

Sono tante le donne, politiche, attiviste dei diritti umani, poliziotte, giornaliste, medici e avvocate che, a rischio continuo della propria vita, non smettono di battersi, ogni giorno, per le altre, per i loro diritti, per la giustizia e la democrazia nel loro paese.

Di questo parla il libro, della resistenza delle donne. Raccoglie le loro storie e le loro voci, portandoci dentro la loro vita quotidiana, facendoci partecipare alle loro sfide, al loro coraggio, tenace, generoso e leggero.

Racconta, in particolare, la guerra quotidiana delle avvocate: un lavoro molto difficile e rischioso, a Kabul, lontano da quello che conosciamo nel nostro mondo.

Il filo conduttore della prima parte, a due voci, è il difficile cammino di un’avvocata e della sua cliente a cui, tra mille ostacoli, cerca di salvare la vita. In questa storia se ne inseriscono tante altre, storie di tragedie e di riscatti, di dolore e di libertà.

Il libro è arricchito da una parte fotografica che documenta il paese, dal 1980 ai giorni nostri.

Afghanistan: a rischio le case rifugio a causa della diminuzione dei finanziamenti

Hawca 150x150Casa-rifugio di HAWCA (Shaheen Sultani / Associated Press)

Di Rahim Faiez AP – 4 maggio 2017

KABUL, Afghanistan – Mentre l’Afghanistan scivola nel caos; l’insorgenza dei talebani e una diminuzione dell’aiuto internazionale fanno temere che le case-rifugio per le donne del paese possano essere costrette a chiudere lasciando le vittime alla mercé della misericordia di una società spesso duramente conservatrice.

Sono quasi 30 i rifugi in tutto il paese che forniscono cibo, ospitalità e istruzione per le donne abusate dai loro mariti o parenti maschi.

I rifugi offrono anche riparo per le donne a rischio del cosiddetto omicidio d’onore, o di essere vendute in matrimonio per rimborsare i debiti, una pratica ancora comune in Afghanistan.

Una 19enne in uno di questi rifugi di Kabul è fuggita nell’Afghanistan occidentale dopo che suo padre dopo la morte di sua moglie aveva cercato di venderla ad un’altra famiglia per un matrimonio in cambio di una giovane sposa. Nei quattro anni da quando è fuggita, ha imparato a leggere e scrivere, così come a cucire, e sta ora insegnando alle altre donne.

Non ha avuto contatti con suo padre da quando è scappata e teme che se la casa rifugio si chiuderà dovrà vivere per le strade. “Ci sono uomini che maltrattano e abusano ragazze e donne che non hanno un posto per vivere”, ha detto, chiedendo che il suo nome non venga reso noto per paura della sua famiglia.

Continua a leggere

1.000 tentativi di suicidio in un anno in una provincia afghana

BBC Persian (tradotto in inglese da RAWA), Mohammad Qazi Zada 3 maggio 2017

selfburn victim herat afghanistan bandaged 150x150Il dottor Aziz ul Rahman Jami, capo del dipartimento di emergenza, ha dichiarato alla BBC che in un anno circa un migliaio di persone nella provincia di Herat hanno tentato il suicidio prendendo sostanze tossiche. Circa 30 di queste persone sono morte mentre il resto è stato salvato.

I medici dell’ospedale Herat hanno bisogno di un centro sanitario con attrezzature speciali per affrontare i pazienti che tentano di suicidarsi prendendo sostanze tossiche.

Il dottor Jami dice che ogni giorno, circa 4-7 persone vengono ricoverate in ospedale per avvelenamento da sostanze nocive, e questo, dice, ha costretto l’ospedale a mettere la maggior parte delle loro attrezzature e del personale a disposizione di questi pazienti: “i pazienti avvelenati hanno bisogno di cure speciali e urgenti. Al momento non abbiamo strutture adeguate. Alcuni di questi pazienti necessitano di antidoti che non sono disponibili in ospedale e non sono facilmente disponibili sul mercato “.

Questi tentativi di suicidio possono avere molte cause. Le principali sono la violenza e l’abuso domestico, la povertà e la disoccupazione, la depressione e i problemi psicologici.

Secondo le statistiche ufficiali, delle 1.000 persone che tentano di suicidarsi prendendo sostanze tossiche in un anno, il 90 per cento sono giovani donne.

I medici hanno affermato che alcuni dei casi sono “falsi tentativi di suicidio” per richiamare l’aiuto e l’attenzione delle proprie famiglie.

Il dottor Mohammad Nabil Faqiryar, specialista medico dell’ospedale, ha dichiarato che è necessario far sapere che l’assunzione di queste sostanze può avere effetti negativi di lunga durata anche se i casi vengono trattati rapidamente.

Afghanistan: attacco armato alla tv a Jalalabad, Isis rivendica

Ansa.it – Kabul 17 Maggio 2017

8b3374f84f15b7a519fefb0a7fed5282Un gruppo di uomini armati ha attaccato l’edificio che ospita la tv di Stato afghana nel centro di Jalalabad ed ha ingaggiato uno scontro a fuoco con gli uomini della sicurezza. Lo ha annunciato il portavoce del governatore locale, Attaullah Khughyani, senza fornire ulteriori dettagli.

“Possiamo confermare – ha detto Khughyani – che un numero imprecisato di militanti è riuscito ad entrare nell’edificio della ‘National radio Television'” che si trova vicino a quello che ospita la sede del governo della provincia orientale afghana di Nangarhar. Secondo le informazioni disponibili, l’attacco armato è cominciato intorno alle 10 locali (le 7.30 italiane). Testimoni oculari hanno riferito che non appena sono stati sparati i primi colpi si arma da fuoco, i negozi sono stati chiusi e la gente è fuggita dalla zona.

Due kamikaze si sono fatti e esplodere ed altri due assalitori armati sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Nello scontro a fuoco sei persone sono rimaste ferite e trasportate subito in ospedale. La maggior parte degli impiegati della tv sono stati messi in salvo.

Attraverso il suo organo di propaganda Amaq, l’Isis ha rivendicato l’attacco odierno in Afghanistan contro l’edificio della televisione di stato RTA a Jalalabad City, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, con un bilancio di almeno dieci morti e 14 feriti. L’Isis, attraverso la sua sezione Khorasan (Afghanistan-Pakistan) da almeno due anni sta cercando di costituire un suo quartier generale in Nangarhar, ostacolata in questo progetto dalle forze di sicurezza afghane, dagli stessi talebani e dalla Coalizione internazionale guidata dagli Usa e integrata dai Paesi della Nato.

SOTTO UN CIELO DI STOFFA, AVVOCATE A KABUL – LIBRO DI CRISTIANA CELLA

Torino 2017 loc 21 05 2017 724x1024SALONE DEL LIBRO DI TORINO – DOMENICA 21 MAGGIO ore 11,30 PAD.3 STAND CALABRIA T63 S64

UltimaSOTTO UN CIELO DI STOFFA CELLA cop imp 1024x443PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI CRISTIANA CELLA giornalista e membro del CISDA – Interverrà MALALAI JOYA ex parlamentare afghana e attivista per i diritti umani nel suo paese.

Malalai Joya: “L’Afghanistan è una mucca malata di cui i predatori vogliono un pezzo”

dal blog di Enrico Campofreda, 11 Maggio 2017

donne hazara Signora Joya, negli ultimi mesi le istituzioni afghane hanno offerto al fondamentalista Hekmatyar il ruolo di mediatore verso i talebani. Una presunta stabilizzazione passa per l’iniziativa di un signore della guerra?
Questa pacificazione è peggiore della guerra. L’unione fra governo e signori della guerra non può che essere un nocumento per le forze progressiste e per chi lavora per la pace vera. Offrendo questo ruolo a un nemico del popolo viene tradito il principio base di democrazia. Medesimo discorso attorno al concetto di pace: definire così i colloqui e i possibili accordi fra Hekmatyar e talebani significa tradire il senso stesso di pace. La situazione non è diversa dal momento in cui Barack Obama ricevette il premio Nobel della pace mentre aumentava le truppe d’occupazione e le stragi di civili nel nostro Paese. Tutta la geopolitica è piena di contraddizioni, attualmente il governo Ghani definisce i taliban “fratelli dissidenti” e gli statunitensi, che continuano a foraggiare entrambi i fronti, applaudono.

Alcune voci dell’opposizione si sono levate contro l’oltraggio alle migliaia di vittime provocate da questo criminale, però strutture internazionali e grandi potenze fingono di non vedere.
Il partito della Solidarietà (Hambastagi) ha protestato a lungo contro questo ritorno, e inizialmente l’ha fatto anche la gente comune che conosce la sua lugubre fama. Tutti considerano Hekmatyar un assassino visto che ogni famiglia porta lutti provocati dalle sue bande. Il problema è la paura che quest’uomo tuttora incute, anche grazie alla totale impunità di cui gode, garantita prima che da Karzai e Ghani, da quelle strutture internazionali condizionate dalla politica americana. E’ Washington il grande protettore di questi criminali. Mantenerli in circolazione giustifica l’impegno armato della nazione statunitense che ha trasformato l’Afghanistan in un’enorme base aerea nel cuore dell’Asia. Hekmatyar provoca terrore fra la gente per quel che ha fatto e per ciò che pensa, anche se invecchiato non muta atteggiamento. Nella sua prima intervista televisiva ha minacciato i media, sostenendo che non verranno tollerate ingerenze nei disegni politici in programma. Come possono lavorare i giornalisti con un clima simile? L’operato le Nazioni Unite non è una sorpresa. Dopo che il capo dell’Hezb-i Islami era stato cancellato dalla lista dei terroristi ho rivolto le mie proteste all’Onu, non sono stata ascoltata. Al di là delle bandiere sventolanti questa struttura non è mai stata disponibile a sostenere la popolazione del mio Paese, si rivolge solo a chi sta al potere nelle vesti più varie: signori della guerra, politici fantoccio, talebani.

malalai joya fist 2009 224x300Tentativi di dialogo ci furono fra il 2009 e 2010, col capo della Cia Panetta nel ruolo di regista per conto di Obama, l’iniziativa fallirà anche stavolta?
Forse sì. Ma quel che occorre smascherare di tale pantomima, perché di questo si tratta, sono due disegni. Il primo riguarda la continuità della presenza militare. Vedete che dopo l’enfasi dell’exit strategy, Pentagono e Casa Bianca rilanciano ritorni di truppe sul nostro territorio, in aggiunta a quelle che non se ne sono mai andate. Quindi c’è il discorso dei “fratelli talebani”. Considerate che fondamentalisti e taliban di ritorno sono già presenti nelle istituzioni afghane, cooptati direttamente dal presidente e dal suo staff, presiedono ministeri. Il dicastero dell’Istruzione si fa consegnare denaro dalla comunità internazionale per scuole mai realizzate oppure costruite con materiale scadente che dopo poco va in rovina. Tutti sanno e nessuno dice nulla, né prende provvedimenti. Da anni noi dell’opposizione denunciamo questo sistema mafioso, ma possiamo diventare bersagli perché nessuno ci difende, tantomeno Onu e compagnìa.

La galassia talebana è divisa e sempre più riottosa. Negli ultimi due anni certe frange dissidenti si rapportano all’Isis e la situazione appare peggiorata…
A nostro avviso ci sono vari marchi usati da coloro che da qualche tempo vengono indicati come jihadisti. Certo, si possono fare valutazioni su questa o quella componente talebana, ma si troverà che tutti hanno mani sporche di sangue, spesso sostenute e finanziate da nazioni straniere. Sta scritto nella nostra storia pluridecennale. Questi impostori possono cambiar nome, definirsi mujaheddin, warlord, taliban sino a utilizzare il brand dell’Isis, non muta il loro progetto criminale, terroristico, fondamentalista, misogeno. La natura è la stessa, mutare la denominazione di movimenti e partiti serve solo a offrire copertura al medesimo piano assassino. Da due anni lo spettro dell’Isis fa effetto, non mi stupisce che sia comparso anche nelle nostre terre dove varie potenze si scontrano tramite l’azione armata di chi si definisce resistente, ma fa solo un gioco di fazione spesso legato a potenze straniere o a chi vuole assoggettarci. Ognuno ha proprie tattiche penetrative: il Pakistan attraverso i talebani, l’Iran tramite il controllo culturale e religioso, la Cina sul piano economico, la Russia per mano di signori della guerra come l’America stessa che in più usa anche le sue truppe, oltreché la compiacenza di governi fantoccio. L’Afghanistan è come una mucca malata di cui i predatori circostanti vogliono un pezzo per i propri appetiti famelici.

Gli spazi per l’intervento politico si sono ulteriormente ristretti?
La situazione è difficile dentro e fuori dal Paese sia per la gente comune, sia per gli attivisti d’opposizione. Il terrore intimidatorio, che non è mai scomparso, sta rivivendo momenti di spiccata crudeltà. Si sono verificati episodi di uccisioni d’avvertimento, alcune persone sono scomparse e i cadaveri martoriati e mutilati sono stati recapitati ai familiari. La gente ha nuovamente paura, Hekmatyar è un incubo non solo per quel che pensa ma per com’è in quanto soggetto ossessivo e vendicativo.

La sua sicurezza personale e quella di militanti dell’opposizione come sono garantite attualmente?
Personalmente ho ricevuto nuove minacce. E’ andata così: due mesi fa sono stata convocata dall’Intelligence interna che mi ha mostrato una lettera con tanto di francobollo e timbro postale che preannunciava un attentato nei miei confronti da parte talebana. Gli agenti sostenevano di volermi offrire protezione, mentre i miei compagni commentavano: “Possiamo star certi che se verrai uccisa non saranno stati i taliban”. Ecco, lo Stato attua queste messe in scena per allontanare da sé sospetti su possibili eliminazione anche di persone note.

Continua a leggere