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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, attentato kamikaze a Kabul: 80 morti e 231 feriti. Isis rivendica.

Il Fatto Quotidiano – di F. Q. – 23 luglio 2016

Kabul 275La strage è stata compiuta durante una manifestazione di un gruppo di sciiti, nel centro della città. Le prime testimonianze hanno rivelato che uno dei terroristi indossava il burqa.

Kamikaze dell’Isis hanno compiuto un attentato a Kabul uccidendo 80 persone, e ferendone 231. La strage è avvenuta durante una manifestazione organizzata dalla comunità sciita Hazara, nella zona denominata Dehmazang Circle, nel centro della capitale afghana. Sul posto sono subito arrivate le forze di sicurezza, mentre molti dimostranti sono stati trasferiti in ospedale.

Il Califfato ha rivendicato l’attacco terroristico qualche ora dopo: “Due combattenti dello Stato islamico si sono fatti esplodere con delle cinture esplosive”, ha riferito l’agenzia stampa Amaq, legata ai terroristi. Un testimone oculare ha dichiarato a Tolo Tv di aver visto uno dei due kamikaze indossare il burqa.

Le fonti di Tolo News hanno identificato uno dei due attentatori col nome di Abu Ali, militante del sedicente Stato islamico, originario di Achin della provincia del Nangarhar. Le stesse fonti hanno riportato che un secondo ordigno non avrebbe fatto danni perché difettoso, mentre un terzo attentatore sarebbe stato ucciso dalle forze di sicurezza prima che riuscisse a farsi esplodere.

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Che cosa è accaduto nel Kurdistan del Nord negli ultimi 6 mesi?

Rete Kurdistan Italia – 22 luglio 2016

curfew declared in 4 neighborhoods in diyarbakir southeast turkey 9774 720 400 630x325L’associazione dei diritti umani (IHD) ha rilasciato il suo rapporto sulla violazione dei diritti umani commessi nel Kurdistan del Nod durante i primi 6 mesi del 2016.IHD ha tenuto una conferenza stampa ed ha rilasciato il suo rapporto sulla violazione dei diritti umani commessi nel Kurdistan del Nord negli ultimi 6 mesi.IHD ha sottolineato il massacro di civili per mano delle forze dello stato e la necessità di un incontro di un comitato indipendente con Öcalan.

Nella conferenza stampa, i rappresentanti di IHD hanno dato voce alle loro preoccupazioni sul dibattito in atto sulla pena di morte dopo il recente tentativo di colpo di stato, e hanno descritto la pena di morte come una violazione del diritto alla vita.

Lo Stato commette crimini contro l’umanità

IHD ha affermato che finora centinaia di persone, inclusi civili, sono state uccise dal 24 luglio 2015, e le operazioni delle forze dello Stato negli anni passati, mostrano che la Turchia sta commettendo crimini contro l’umanità e ignorando tutti i valori umani.

IHD ha chiesto ai funzionari dello Stato e del governo di porre fine alle misure dello stato di emergenza e alle operazioni militari immediatamente, e di riprendere i negoziati di pace.IHD ha ciesto anche al PKK di riaprire i canali di un dialogo politico.

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Afghanistan, papaveri e oppio.

The Bottom UP di Angela Caporale – 21 luglio 2016

oppio afghanistan 1“Sono partito per l’Afghanistan nel 2003, lavoravo come giornalista per Emergency e mi aspettavo di raccontare la vita in un paese martoriato da decenni di guerre. Mai avrei immaginato che i miei dieci anni di viaggi, mi portassero ad occuparmi di oppio, eroina e coltivazioni di papaveri”.

Questa è invece la realtà che ha incontrato nella regione di Helmand Enrico Piovesana, giornalista e scrittore, autore del libro Afghanistan 2001-2016: la nuova guerra dell’Oppio (Arianna Edizioni). La regione, nel sud del paese, non lontana dal confine con il Pakistan è, a tutti gli effetti, la capitale mondiale dell’Oppio: produzione, commercio, consumo coinvolgono in maniera trasversale l’intera popolazione.

Fino al 2001 la coltivazione era proibita su editto del Mullah Omar, tuttavia l’incertezza politica e l’instabilità nell’area hanno fatto sì che l’attività riprendesse floridamente, tanto che la regione è diventata un campo di battaglia per la conquista del potere su più livelli. “Tutti hanno a che fare con l’oppio – racconta Piovesana – e questo coinvolgimento è vissuto come una cosa normale”. Gli attori sul campo sono molti: la NATO, presente nell’area con contingenti prevalentemente statunitensi, britannici e canadesi, il governo, l’ex Presidente Karzai, i potenti locali, i clan con le loro milizie private, i Talebani, la DEA e le altre agenzie anti-droga internazionali.

L’obiettivo comune e conteso è la supremazia nel controllo del commercio, il cui valore ha raggiunto i 3 miliardi di dollari nel 2013, contro i 2 miliardi di dollari del 2012. Secondo un rapporto del Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction, riportato da Jason Koebler su Motherboard, a fronte di un investimento USA di 7,6 miliardi di dollari per debellare la coltivazione di papaveri, il terreno utilizzato per l’attività è cresciuto dai 193.000 ettari del 2007 ai 209.000 ettari del 2013. Per immaginare come queste cifre si traducano in guadagni effettivi, basti considerare che ogni ettaro di terra coltivato a papaveri frutta al contadino 200 dollari ogni 18 kg di oppio. Un kg di fagioli, coltura alternativa ai papaveri, frutta al contadino un dollaro.

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MOSTRA FOTOGRAFICA “AFGHANISTAN PER DOVE” – INCONTRO CON HUMA SAEED.

 allevents.it – Provincia di Belluno, 21 luglio 2016

pictureLa mostra, già stata ospitata a Kabul, Roma, Bolzano, Vicenza, Belluno, Verona, sarà inaugurata: il 28 luglio alle 20.30 nella Sala Mansarda c/o asilo vecchio, Corso Italia 92 – San VIto di Cadore.

La mostra sarà aperta al pubblico: dal 28 luglio al 13 agosto presso la Sala Mostre del Centro Polifunzionale di San Vito di Cadore dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 19.00

Afghanistan: Save the Children chiede la fine dei matrimoni precoci.

Save the Children Italia onlus – 20 luglio 2016

imagesDopo la tragica morte della ragazza incinta di 14 anni, l’Organizzazione sollecita il governo ad interrompere questa pratica, che riguarda tantissime bambine nel Paese.

Save the Children sta sollecitando il governo afghano affinché ponga fine alla pratica del matrimonio precoce, dopo che una ragazza di 14 anni è stata data alle fiamme la scorsa settimana e successivamente è morta in ospedale.

Secondo quanto riportato dai media, Zahra – questo il nome della ragazza – era già sposata da anni ed era incinta di 4 mesi quando è morta.

“Quella vissuta da Zahra è una situazione di incomprensibile sofferenza che va oltre ogni limite”, ha commentato Ana Maria Locsin, Direttore di Save the Children in Afghanistan.

“La storia di Zahra rappresenta un caso estremo di ciò che può accadere quando una bambina viene fatta sposare forzatamente, ma sappiamo che il suo non è un caso isolato e che questa pratica è fin troppo comune in molte parti del Paese.”

La legge afgana, infatti, stabilisce che l’età legale per il matrimonio sia 16 anni per le ragazze, ma il 15% delle donne afgane sotto i 50 anni si sono sposate prima del loro quindicesimo compleanno, mentre quasi la metà prima dei 18 anni.

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Analisi: Il colpo di Stato fallito in Turchia e il piano anti-curdo di Erdogan.

Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia – 20 luglio 2016

erdogan 2 599x275Il 15 Luglio 2016 in Turchia è avvenuto un tentativo di colpo di Stato senza riuscita . Anche solo in questa fase iniziale, il processo post-golpe avrà importanti conseguenze. È importante capire che questo processo è iniziato il 7 Giugno del 2015, quando Erdogan ha perso le elezioni e condotto un’operazione anti-democratica sui risultati. È importante fare un’analisi approfondita del colpo di Stato per capirne i potenziali risvolti.

Prima di tutto è fondamentale specificare che questo colpo di Stato non è stato intrapreso dai Gulenisti. Per via del conflitto tra l’AKP e i Gulenisti, i simpatizzanti di Gulen potrebbero aver preso parte al tentativo di colpo di stato. Ma dicendo “I gulenisti hanno organizzato il colpo di stato”, si sta cercando di creare una linea per reprimere ancora di più i sostenitori di Gulen. Nell’etichettare il colpo di stato come gulenista si sta cercando di ottenere l’appoggio per una vendetta verso i cospiratori del golpe. In altre parole si sta cercando di prendere due piccioni con una fava.

È evidente che questo tentativo è stato supportato e sostenuto da una larga parte dell’esercito. Se lo avessero pianificato ed eseguito in modo professionale ci sarebbe stata la possibilità di realizzarlo con successo. A tal proposito non si può dire che l’attentato è stato condotto dai gulenisti o da una minoranza: non c’è una presenza gulenista abbastanza grande nell’esercito per portare a termine un colpo di stato.

Forse molti degli organizzatori del golpe, tra i quali molti che stanno conducendo la Guerra contro i curdi in Kurdistan, non sono stati coinvolti a livello pratico, ma si è capito che molti generali nella regione hanno supportato il golpe. Sono stati cauti perchè la loro partecipazione avrebbe intralciato i loro sforzi nella guerra contro i curdi. Ad ogni modo, molti dei generali coinvolti nella guerra contro i curdi sono oggi detenuti come sostenitori del golpe.

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HDP: Lo Stato d’emergenza è la realizzazione degli obiettivi del golpe.

Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia – 21 luglio 2016

ayhan bilgen 599x275 copyAyhan Bilgen ha sottolineato che gli eventi attuali hanno portato a circostanze che sarebbero accadute se il golpe avesse avuto successo e ha detto: “In ogni caso se il golpe fosse stato portato a termine avrebbero dichiarato uno stato di emergenza. Il governo dell’AKP che dichiara di aver respinto il golpe e protetto la democrazia ora annuncia uno stato di emergenza e fa proprio quello che nel caso poi sarebbe avvenuto.”

Bilgen ha affermato che una regione in Turchia è stata effettivamente controllata sotto uno stato di emergenza per molto tempo e ha continuato: “C’era già uno stato di emergenza in una regione del paese. Il governo che si è vantato di revocare lo stato di emergenza, ha ripristinato con una decisione la stessa identica cosa secondo i propri intenti e secondo la propria volontà.

La dichiarazione che il presidente ha avuto servizi di intelligence da parte di suo cognato in un momento critico, mostra quello che il presidente, che ha detto che la legislazione non lo permetteva quando gli è stato chiesto perchè non avessero combattutom il Movimento di Gulen, intende fare attraverso questa pratica.”

“Abbiamo bisogno di ripensare l’intera fase. Abbiamo bisogno di analizzare ancora gli sviluppi che portano alla dichiarazione dello stato di emergenza in questo contesto”, ha detto Bligen e ha sottolineato che la Turchia sarà attraversata da uno stato di emergenza che ha sperimentato per anni, ancora una volta con le sue pratiche dannose.

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La grande paura delle turche laiche La legge islamica sempre più vicina.

La 27ma Ora – di Sara Gandolfi – 20 luglio 2016

LAPR0468Alle sette di sera, su İstiklâl Caddesi, i top e le minigonne scompaiono. Da venerdì notte, sulla via dello struscio di Istanbul, e poi su fino a piazza Taksim, cuore passionale della città, vige una legge non scritta che le donne hanno imparato in fretta a rispettare. Dopo una certa ora, meglio girare con braccia e gambe coperte, magari pure con un velo a mascherare collo e capelli.

La notte è del popolo di Erdogan, che resta sveglio fino a tardi facendo caroselli per le strade, cantando inni patriottici o inneggiando alla pena di morte contro gli autori di questo golpe amatoriale. «All’inizio siamo usciti anche noi, i “turchi bianchi”, così veniamo chiamati qui noi laici – ci racconta Alya, commessa in un negozio “occidentale -. In fondo, abbiamo pensato io e le mie amiche, è meglio una cattiva democrazia di una dittatura militare. Ma ora le cose stanno prendendo una brutta piega, soprattutto per noi donne. Da sabato vengo al lavoro con meno pelle in vista».

A pochi metri, sfila il fervore religioso dei sostenitori dell’Akp, il partito del presidente. Innalzano le bandiere rosse con la falce di luna e la stella, sono tutti maschi. L’effetto è quello di un branco. Nell’atmosfera un po’ surreale del dopo golpe, per ora sono combriccole festose, domani potrebbero diventare altro. Su Twitter – il mezzo di comunicazione e d’informazione preferito dei giovani – iniziano a girare alcune storie raccapriccianti. Come quello della studentessa che racconta il grido lanciatole contro da un’auto, sabato sera: «Uccideremo anche le donne come voi».

Sulla carta, Istanbul è ricca di associazioni femminili e collettivi femministi. Ma in queste ore nessuno ha voglia di parlare. La risposta standard è quella inviata via mail dal gruppo Women for Women’s Human Rights, una Ong nata nel 1993 per promuovere la parità di diritti in Turchia: «Possiamo fare l’intervista un’altra volta? Sa cosa sta succedendo in Turchia. Stiamo cercando di capire la situazione…».

La «situazione», come le strade, sta diventando pericolosa per le donne.

Lo confermano gli sguardi sconcertati delle passanti «laiche» e le parole di alcune donne coraggiose. Come l’avvocatessa Ceren Akkawa, volontaria part time presso Mor çati, la prima e attivissima organizzazione in Turchia a combattere la violenza contro le donne. «Passo dopo passo stanno restringendo i nostri diritti e dopo i fatti di venerdì scorso la situazione non potrà che peggiorare – racconta -. Sulla carta la Turchia ha una legislazione molto avanzata nel campo della parità di genere. Ma nelle strade, nelle stazioni di polizia, nelle aule di tribunale, la prassi è di tutt’altro genere. C’è una distanza abissale tra la teoria e la realtà. La Turchia resta una società patriarcale. Da almeno quattro anni il governo spinge verso un conservatorismo sempre più marcato: la legge islamica si avvicina ogni giorno di più».

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Afghanistan: comando italiano organizza una ‘shura’ con esponenti locali Herat.

onuitalia.com – 19 luglio 2016

9ae7d5e2 ec61 4ad0 bb3a 3f30907121d7comandante20taacw20con20il20comandante20del2020720corpo20darmataMedium1 620x264HERAT, 19 LUGLIO – Un’assemblea congiunta (in afghano shura) per fare il punto della situazione nella provincia di Herat si è svolta a Camp Arena tra le maggiori cariche politiche e militari della Provincia di Herat e il Comando italiano in Afghanistan, Train Advise Assist Command West (TAAC W), presieduta dal suo Generale di Brigata Gianpaolo Mirra.

L’incontro ha permesso un confronto tra il Comandante del 207° Corpo d’Armata dell’Esercito afgano (Afghan National Army), il Governatore della provincia di Herat e i Comandanti di tutte le forze di polizia operanti nella provincia. Durante l’assemblea è stato attentamente analizzato ogni distretto, valutandone la situazione della sicurezza nonché la presenza di fazioni criminali e cellule terroristiche, e di come le forze di sicurezza stiano operando per stabilizzare quelle aree.

Il Comando italiano ha ricevuto i ringraziamenti per aver organizzato la riunione, che ha permesso un efficace confronto tra le forze di sicurezza locali, e l’ elaborazione dei piani di azione condivisi.

È stato inoltre evidenziato come la regione ovest dell’Afghanistan, e la provincia di Herat in particolare, sia attualmente una delle zone del paese con le migliori prospettive economiche e culturali, e questo anche per le buone condizioni di sicurezza, raggiunte grazie alla cooperazione tra le istituzioni militari e civili afgane e all’impegno delle forze della coalizione guidate dall’Italia.

Turchia, aria di pena di morte

Dal Blog di Enrico Campofreda – 19 luglio 2016

turchiinpreghieraDura lex – Anche ieri a Istanbul una folla si stringeva attorno al leader salvato, con qualche hijab in più, quelli che nella notte della tensione e della difesa del leader e della patria, i mariti, i fratelli, i padri avevano fatto stare in casa. Probabilmente per tradizione anziché per senso di tutela.

Erdoğan in persona ha annunciato per domani un Consiglio di Sicurezza Nazionale che prenderà in esame la situazione straordinaria in cui la Turchia si ritrova dopo il tentato golpe. In realtà quel Paese vive da un anno una guerra civile strisciante nel sud-est, dove la comunità kurda è massacrata da reparti dell’esercito.

È sotto attacco per mano dell’Isis con bombe sanguinarie rivolte ai civili e con attentati mirati di miliziani del Pkk contro obiettivi dell’esercito. La Terza armata, diretta da uno dei generali golpisti, era impegnata proprio nella repressione delle province orientali dell’Anatolia e aveva subìto cospicue perdite in assalti dei guerriglieri kurdi. Il presidente da politico navigato della categoria più pericolosa, quella degli autocrati e giocatori d’azzardo con le sorti della nazione, non ha rivelato quale sarà il tema clou dell’assise di domani. Per quanto s’è visto e sentito nelle ultime ore, in cui la vendetta prende il posto della difesa delle istituzioni e della terzietà della giustizia, in tanti pensano si tratterà del ripristino della pena di morte.

Il popolo lo vuole – Introdotta o agitata come una minacciosa clava sulla testa dei nemici interni e dei falsi alleati occidentali. Misura estrema da riattivare nei casi estremi: l’alto tradimento di cui si sono macchiati militari e soprattutto ufficiali golpisti. La loro conta s’è fermata, per ora, a seimila, cui s’aggiungono oltre un migliaio di civili che lavoravano per l’esercito e che sono ritenuti complici o semplicemente vicini al movimento Hizmet, la struttura non organizzata in partito manovrata da Fethullah Gülen, che secondo gli accusatori agisce come un partito occulto, anzi come uno Stato parallelo e mina i gangli degli organismi ufficiali. Ma nei due giorni seguiti allo shock dei voli radenti di F-16, di cannoni per via e alcuni missili sui palazzi del potere, sono comparse ampie liste d’indagati e reprobi, secondo parecchi commentatori preparate da mesi e lasciate nei cassetti per l’opportuno uso che quest’occasione fornisce.

E poiché gli arresti di queste ore sono molto più numerosi di quelli che il regime erdoğaniano ha praticato negli ultimi anni, dalla rivolta del Gezi park all’imbavagliamento di giornalisti e oppositori, i timori crescono. Anche alla luce del sostegno popolare alle misure draconiane. Sono in atto veri e propri pogrom con sospensione e sostituzione di giudici (3.000), licenziamenti nei ruoli statali (9.000) una svolta inquietante che, se si dovesse reintrodurre la pena di morte, diventerebbe apocalittica.

L’incubo del passato – La forma coercitiva estrema e inumana in Turchia è stata sospesa recentemente, proprio durante il premierato di Erdoğan, nel 2004. All’epoca la linea del capo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo appariva conciliante, si parlava di democrazia oltre che di crescita economica ed emancipazione per gli strati più umili. Si voleva cancellare l’immagine arretrata e canagliesca che i regimi militari avevano perpetuato per decenni, costringendo alla galera lo stesso leader islamico la cui fedina penale sporca gli consentì un ritorno in politica solo dal 2002, l’anno della scalata al grande potere. Nei vari colpi di stato gli elmetti kemalisti avevano seminato sangue e terrore. Soprattutto fra il 1980 e l’84 quando gli oppositori impiccati salirono a cinquanta. Nel 1972 sul patibolo erano saliti i leader dell’opposizione studentesca Deniz Gezmiș, Hüseyn İnan, Yusuf Aslan. Nel 1961 i generali avevano messo la corda al collo all’ex primo ministro Adnan Menderes, figura storica della Turchia moderna, che staccandosi dal partito unico kemalista veniva considerarato colpevole d’aver rivolto troppo lo sguardo all’Islam e legalizzato la preghiera in arabo. Con lui salirono sul patibolo due membri dell’esecutivo: Zorlu e Polatkan. Quella tolleranza che aveva condotto Ankara a bussare alle porte di un’Unione Europea, rimasta sempre riottosa e matrigna verso le sue richieste, potrebbe sparire per l’attuale real politik.

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