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Autore: Anna Santarello

Celebrazione dell’8 marzo al Centro di Formazione Professionale di OPAWAC

OPAWAC – 8 marzo 2016

OPAWC1 300x74L’otto marzo, giornata internazionale della donna, è il giorno che ci ricorda la lotta delle donne coraggiose e senza paura che hanno lottato per raggiungere la parità dei diritti e hanno sacrificato la loro preziosa vita. E ‘dovere di tutte le donne e degli uomini democratici unirsi e impegnarsi nuovamente per continuare la lotta ispirandosi a quelle donne eroiche della storia che hanno versato il proprio sangue.

OPAWC celebra questa ricorrenza ogni anno per ricordare l’importanza di questa giornata, e rendere consapevoli le donne nei centri di OPAWC della lotta delle donne e dei sacrifici fatti nel passato, e allo stesso tempo di offrire loro un’occasione di ristoro.

Nel 2016 OPAWC commemora la giornata internazionale della donna in un momento in cui, purtroppo, ogni giorno siamo testimoni di omicidi, stupri, mutilazioni e l’abuso delle donne nel nostro paese da parte di coloro che hanno il sostegno dei criminali potenti. Allo stesso tempo, testimoniamo il fatto che gli assassini di Farkhunda e Rukhshana sono ancora senza alcuna punizione.

Ha partecipato alla celebrazione un folto gruppo di donne di OPAWC e anche di altre donne delle istituzioni. Ci sono state canzoni e poesie che hanno parlato dei dolori delle donne. Gli studenti hanno partecipato attivamente con interesse e hanno presentato uno spettacolo teatrale che ha mostrato la reale condizione del Paese, in particolare per le donne.

Mr Maroof Rayan, il direttore amministrativo di OPAWC, ha raccontato in dettaglio la storia della Giornata internazionale della donna e la lotta delle donne in tutto il mondo in diversi periodi. Rayan ha incoraggiato le donne a partecipare e lottare per i loro stessi diritti, ha detto che la storia ci ha dimostrato che in nessun paese le donne ottengono i propri diritti con bombe, cannoni e fucili di occupanti o di forze esterne. Rayan ha sottolineato che i diritti devono essere conquistati e non donati.

L’incontro si è concluso con una commovente canzone degli studenti del centro.

LA DEMOCRAZIA IN TURCHIA, EFFETTO COLLATERALE DEI NEGOZIATI CON L’UNIONE EUROPEA

Da “The Conversation” – 15 marzo 2016

Erdogan 300x169Nel gennaio 2016, 1128 docenti delle università turche hanno firmato una petizione dal titolo Non saremo complici di questo crimine, che denunciava la violenza, le evacuazioni forzate e le violazioni dei diritti umani perpetrati dalle forze dell’ordine nel sud-est del paese per contrastare gli attacchi del PKK.

Il presidente turco Erdogan e il partito al potere (AKP) avevano immediatamente condannato la petizione attaccando tutti i firmatari attraverso i media e i social network. I docenti sono stati stigmatizzati e la loro reputazione e la loro credibilità accademica sono state attaccate violentemente.

In alcune università si è arrivati persino a segnare i loro uffici con una croce di vernice rossa o con una scritta che li accusava di essere “traditori della nazione”!

Da parte sua, il presidente Erdogan non ha esitato a qualificare i firmatari come “pseudo intellettuali”, o “mezzi intellettuali”, “forze oscure”, “quinte colonne” delle forze straniere che vogliono dividere la Turchia. Erdogan ha immediatamente voluto che tutte le istituzioni del paese prendessero delle misure “contro coloro che mangiano il pane dello stato e poi lo tradiscono” (riferendosi allo statuto dei funzionari dell’università). In seguito, il procuratore generale di Istanbul ha aperto un’inchiesta giudiziaria nei confronti di tutti i firmatari.

Ad oggi 36 docenti sono stati licenziati; sono stati aperti 495 procedimenti disciplinari e 33 persone sono state messe sotto sorveglianza. E inumeri aumentano ogni giorno.

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L’autonomia del Rojava non è la separazione dalla Siria

di Chiara Cruciati – Il Manifesto – 18/3/2016

Rojava 300x138Rojava balla da sola: ieri il Partito dell’Unione Democratica (Pyd) ha annunciato quanto promesso, la nascita di una regione federale nel nord della Siria. I tre cantoni di Kobane, Afrin e Jazira con il loro modello di confederalismo democratico si rendono autonomi da Damasco. Una decisione unilaterale, non legittimata né a livello nazionale che internazionale, ma che avrà conseguenze. Per due ragioni: l’ira del presidente turco Erdogan e la realtà sul terreno.

Le ovvie reazioni alla dichiarazione di ieri sono state di rifiuto. Da parte di tutti: Damasco, Stati Uniti e Turchia hanno criticato, ognuno a modo suo, una mossa considerata affrettata e unilaterale. Ma vanno sempre tenuti in considerazione gli equilibri politici sul campo: Rojava ha saputo dare vita in pochi anni ad un modello funzionante di democrazia dal basso, di cui fanno parte sì i kurdi siriani, ma anche arabi, turkmeni e cristiani. E la loro capacità militare (ma anche ideologica) di resistenza alla macchina da guerra dello Stato Islamico ne hanno fatto un imprescindibile alleato, sia per l’Occidente che per il fronte Mosca-Damasco.

Tanto che ieri, dal meeting del Pyd nella città di Rmeilan, ad Hasakah, è uscito un comunicato nel quale Rojava si dice pronta a proseguire la lotta contro l’Isis al fianco di Usa e forze governative. Perché, ribadiscono, la regione federale resterà parte integrante dello Stato siriano: è stata ribattezzata, infatti, “Sistema democratico federale di Rojava-Siria del nord”.
Nonostante l’attesa presa di posizione di Damasco («una mossa incostituzionale e senza valore», commenta il Ministero degli Esteri siriano), non è campata in aria l’idea che nel futuro della Siria i kurdi ottengano quell’autonomia che rincorrono da decenni e che – dicono da Rmeilan – vorrebbero diventasse un modello per l’intero paese: non una divisione federale su base etnica o religiosa, ma una struttura di governo che si fondi sulla democrazia di base e di autogoverno delle comunità. Un’idea ben diversa dalla divisione federale immaginata dalla comunità internazionale e messa sul tavolo di Ginevra che andrebbe invece a radicare i settarismi interni, invece di risolverli.
La dichiarazione va letta come mossa preventiva da parte di un soggetto che, pur stretto alleato statunitense e russo, è escluso dai negoziati di Ginevra. A tenerli fuori è stato il diktat del presidente-sultano turco che probabilmente ora starà vedendo i sorci verdi. La reazione non dovrebbe tardare ad arrivare, parte integrante della campagna che si abbatte su tutto il Kurdistan storico, dall’Iraq al sud est turco.

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Afghanistan: Campbell rivuole la guerra

Blog di E. Campofreda – 15/3/2016

afghanistan feriti 300x213Il generale John Campbell, comandante delle forze statunitensi tuttora presenti in Afghanistan (11.000 effettivi, più un paio di decine di migliaia di contractor e soprattutto otto basi aeree provviste di super caccia e droni) ha ufficialmente chiesto alla Casa Bianca di riprendere a bombardare massicciamente le aree con presenza talebana. I bombardamenti ordinari non sono mai cessati.

Motivo principale: l’inefficacia di risultati nella controguerriglia praticata a terra dai 350.000 militi dall’Afghan Security National Force, addestrati proprio dagli americani. Vestire la divisa per un giovane afghano è rischioso, ma offre uno stipendio altrimenti impensabile che dà da vivere ai familiari.

Eppure le diserzioni sono tante, a esse s’aggiungono le infiltrazioni con cui i Talib stravolgono i piani di sicurezza governativi, suggeriti dai ‘consiglieri’ di Washington. Però quando le azioni si fanno dure, com’è accaduto mesi fa con l’assedio e la battaglia di Kunduz, i pur numerosi ed equipaggiati militari afghani non reggono il confronto coi turbanti e necessitano dell’appoggio dei caccia. Quest’ultimi, nell’intervenire, vomitano bombe su tutto ciò che si muove e ancor più su chi sta fermo. Ne sanno qualcosa a Médecins sans frontières che, nello scorso ottobre, ha registrato morti e feriti sotto il martellamento missilistico dell’AC-130, uno dei mastini della morte dal cielo usato dall’US Air Force.

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Ue contro la corruzione in Afghanistan. Una campagna contro una delle principali piaghe della società

Redazione ANSA – KABUL 12 marzo 2016

5cb6bf7b8a157a9f35940cb8cf79b657L’Unione europea (Ue) ha lanciato oggi una campagna anti-corruzione in Afghanistan della durata di sette settimane che si concluderà ad inizio maggio con una conferenza internazionale in cui verranno formulate proposte per la lotta contro una delle principali piaghe della società afghana.

In un comunicato la Ue ha sottolineato che la corruzione endemica afghana sta danneggiando lo sviluppo economico, indebolendo la lotta contro le milizie e minacciando le conquiste e gli investimenti realizzati in passato.

Quattro i temi della campagna: corruzione e pace; corruzione nel sistema giudiziario; risorse naturali e stabilità; la minaccia delle miniere illegali e l’azione dei poteri pubblici contro la corruzione. “Ogni giorno – ha osservato al riguardo l’ambasciatore comunitario a Kabul, Franz-Michael Melbin – il cittadino afghano deve fare i conti con lo spettro oscuro della corruzione che riempie le tasche di chi è già ricco e fa soffrire i poveri”.

 

Afghanistan: ricordata distruzione nel 2001 di statue Buddha

Redazione ANSA – KABUL 10 marzo 2016

e293f9b106d356bf01ca2b079ea92b3eUn uomo passa davanti a quello che resta delle statue (alte 53 metri) di Buddha nella provincia Bamiyan, Afghanistan, 7 dicembre 1997. Le statue sono state distrutte dai talebani nel maggio 2001. ANSA / JEAN-CLAUDE CHAPON

Esponenti della cultura e della società civile afghana hanno partecipato ad una iniziativa organizzata per ricordare il 15/o anniversario della distruzione da parte dei talebani di due monumentali statue di Buddha nella provincia centrale di Bamyan.
Risalenti al VI secolo, le due statue scolpite su un fianco di una rupe nello stile dell’arte Gandhara (una di 55 metri e l’altra di 33), ricorda l’agenzia di stampa Pajhwok, furono pressoché interamente distrutte con la dinamite dagli insorti nella fase finale del loro governo a Kabul, nel marzo 2001.

La spiegazione data dai talebani all’epoca fu che la distruzione delle statue fu decisa per il fatto che la comunità internazionale stava mettendo a disposizione fondi per il loro restauro mentre la popolazione afghana moriva di fame.

Nel corso della manifestazione il portavoce del Dipartimento provinciale per l’Informazione e la Cultura, Ahmad Hussain Ahmadpoor, ha ricordato che ogni anno si svolge una iniziativa per stigmatizzare la distruzione delle due raffigurazioni di Buddha, senza però che questo abbia permesso di fare passi avanti per una loro eventuale ricostruzione.

Al riguardo Mohammad Hussain Anwari, attivista culturale basato in Bamyan ha rivolto un appello alla comunità internazionale, all’Unesco ed al governo afghano affinché il restauro delle statue diventi una priorità.

L’orfanotrofio Mehan di Kabul cambia casa

Aggiornamento sull’orfanotrofio “Mehan” da parte di Andeisha, presidente di AFCECO

first pageCari amici,

il trasloco dell’orfanotrofio per ragazze “Mehan” è iniziato. Abbiamo trovato una nuova struttura in affitto e stiamo allestendola per farne la casa delle nostre ospiti. È una casa abbastanza grande, con un cortile chiuso che permetterà alle ragazze di stare all’aperto al sicuro. Stiamo anche provvedendo affiché siano garantite misure di sicurezza adeguate.

Grazie al generoso aiuto finanziario dei nostri sostenitori internazionali, ora l’orfanotrofio “Mehan” sarà un luogo più sicuro per le bambine, in questa città continuamente devastata dagli attentati e dalle bombe degli estremisti. Sarà come un porto tranquillo al riparo dalla violenza e dal terrore che quotidianamente consumano le nostre vite. Per questo, vi siamo estremamente grati.

Il nostro grazie sincero va ai sostenitori che hanno risposto al nostro appello del dicembre scorso e a tutti coloro che ci sono sempre stati accanto, ogni volta che abbiamo attraversato momenti difficili e spesso drammatici, tra cui la onlus CISDA in Italia, che da circa 15 anni ci sostiene e ci incoraggia.

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L’odissea dei migranti afghani, le vittime numero uno del cinismo europeo. Carlotta Sami (UNHCR) ad HuffPost

L’Huffington Post – Giulia Belardelli  – 8 marzo 2016

n MIGRANTI AFGHANISTAN large570Il futuro sembra sempre più buio per i migranti afghani, che rischiano di finire inghiottiti in una delle falle più clamorose della politica (anti)migratoria dell’Unione europea. Mentre l’Ue, nei suoi negoziati con la Turchia, sostiene di concentrarsi soprattutto sul contrasto dei pericolosi viaggi in mare dei siriani verso la Grecia, un’altra comunità di migranti denuncia di essere finita nel dimenticatoio dei leader occidentali.

Si tratta degli afghani, un popolo sempre più in fuga ma poco tutelato dal punto di vista del diritto d’asilo. Eppure, secondo un servizio della Reuters, gli afghani rappresentano oltre un quarto dei migranti che ogni giorno rischiano la vita nelle piccole imbarcazioni che partono dalle spiagge turche per sfuggire dalle crescenti violenze perpetrate, a seconda dei casi, dai talebani o dagli affiliati di Abu Bakr al-Baghdadi. Di questi solo una minoranza riesce ad avviare le procedure per richiedere l’asilo, e solo una piccola parte ottiene alla fine la protezione internazionale e un ricollocamento in Europa.

“Fare uno screening dei richiedenti asilo in base alla nazionalità è una pratica contraria alla Convenzione di Ginevra, al diritto europeo e al diritto internazionale”, spiega ad HuffPost Carlotta Sami, portavoce UNHCR per il Sud Europa. “Lo status di rifugiato non può essere assegnato sulla base della nazionalità: è necessario valutare la situazione di ogni singolo individuo. Oggi sappiamo che molti afghani sono rifugiati in Pakistan, ma altrettanti vivono come sfollati in altri Paesi limitrofi o nello stesso Afghanistan. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone costrette a fuggire da aree controllate o minacciate da milizie di varia natura”, continua Sami. Parlare di “riammissioni di massa in Turchia” – come è emerso dagli ultimi negoziati tra i leader Ue e Ankara – “va contro le più basilari regole del diritto”. “Fortunatamente ieri non c’è stato nessun accordo – precisa Sami – ma il nostro primo appunto è di grande preoccupazione per una serie di decisioni che potrebbero essere contrarie al diritto umanitario internazionale”.

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Scambio di messaggi di solidarietà tra il CISDA e RAWA in occasione del’ 8 marzo

CISDA – Milano 8 Marzo 2016

Logo CISDA piccolo1Care amiche di RAWA,

Vi vogliamo molto bene e pensiamo a voi in questo Giorno Internazionale delle Donne, solidarizzando con voi che siete un esempio luminoso per noi e ci mostrate come si lotta per la libertà, per i diritti delle donne e per i diritti umani.

La vostra lotta ed il vostro esempio sono per noi fonte d’ispirazione.

Viviamo in contesti diversi e in diverse condizioni, ma condividiamo con voi la nostra visione e la nostra speranza. La nostra visione è quella di un mondo nel quale le donne e gli uomini possano vivere insieme senza paura ed abusi, un mondo in cui le relazioni umane non sono schiacciate da giochi di potere, ma modellate sul reciproco rispetto ed equità.

In questo Giorni Internazionale delle Donne vi vogliamo mandare il nostro affetto e un caldo abbraccio. Vi promettiamo di andare avanti  con voi e di lottare insieme per i diritti delle donne.

Le donne italiane del CISDA


monogramRAWA – Kabul 8 marzo 2016

Care amiche del CISDA,

Vogliamo esprimere la nostra  immensa gratitudine per il messaggio di solidarietà nell’occasione dell’8 marzo. In questo momento storico, ancora una volta sentiamo profondamente il supporto e l’affetto delle nostre grandi sorelle italiane. Il vostro continuo supporto e solidarietà ci danno ancor più coraggio ed energia per continuare con la nostra lotta e battaglia per l’emancipazione delle donne afghane.

Sono quasi 17 anni che siamo in contatto con voi. Durante questo periodo avete avuto un ruolo importante nella nostra lotta, specialmente a livello internazionale. Il vostro supporto è speciale per noi perché ci siete state vicine quando tutti avevano dimenticato la condizione delle donne afghane e continuate ancora a darci sostegno oggi mentre il mondo continua ad ignorare la situazione delle nostre donne.

Nonostante la situazione continui ad essere disastrosa ed abbiamo ancora un lungo cammino da fare, abbiamo trasformato e portato la lotta nell’arena politica, perché tutte le volte che qualcuno parla contro il fondamentalismo dicono che sia un lui o una lei membro di RAWA o filo RAWA.

Noi, da ogni angolo dell’Afghanistan, vi mandiamo i nostri più caldi e affettuosi saluti.

Le Donne di RAWA

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La Corte Suprema Afghana ha confermato la sentenza per l’uccisione di Farkhunda Malikzada da parte di un gruppo di uomini.

RFE/RL’s Radio Free Afghanistan – 7 marzo 2016

9FF29A21 9F43 4165 99C7 CC0ED91C1A04 w640 r1 sLa Corte Suprema Afghana ha confermato la sentenza di condanna a 20 anni di prigione a un uomo che aveva accusato falsamente una donna di aver bruciato un Corano e che aveva provocato una folla rabbiosa a picchiare a morte, la donna si trovava vicino ad un santuario mussulmano a Kabul.

La Corte ha anche confermato la condanna dai 10 ai 20 anni di prigione per gli altri 12 uomini coinvolti nel brutale assassinio di Farkhunda Malikzada, una ventisettenne studentessa di legge islamica, avvenuto nel marzo 2015.

La sentenza della Corte Suprema – l’ultimo grado di giudizio – è stata confermata il 7 marzo dal portavoce del procuratore generale Bazir Azizi.

Un sessantenne venditore di amuleti nei pressi del santuario, Zainuddin, si inventò la storia del Corano bruciato dopo che Malikzada aveva criticato la vendita di quegli oggetti come non-islamica.

Zanuiddin e altri tre erano stati inizialmente condannati a morte nel processo dopo che era stata vista la registrazione di un video dell’uccisione di Malikzada.

Ma la sentenza contro Zanuiddin e due altri era stata ridotta a 20 anni in appello e la pena di morte per il terzo era stata ridotta a 10 anni perché era minorenne.

La sentenza a 16 anni per altri nove uomini è stata confermata dalla Corte Suprema il 7 marzo, mentre ha accolto la sentenza a 10 anni per il minorenne.

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