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Autore: Anna Santarello

Alcune verità sull’Afghanistan

HAMBASTAGILogoPubblichiamo il documento scritto dal partito Hambastagi consegnato ai partiti incontrati la scorsa settimana: Sel, Pd e Rifondazione Comunista

Alcune verità sull’Afghanistan

1. L’intervento USA / NATO ha reso più forti i fondamentalisti

Dopo l’attacco alle Torri gemelle del World Trade Center di New York, le maggiori potenze mondiali guidate dagli USA e dalla NATO si sono rivolte contro il Paese più povero e dimenticato del mondo: l’Afghanistan. Hanno invaso l’Afghanistan nel nome di una supposta “libertà duratura”, della “liberazione delle donne” e della “guerra al terrore”. Ma nonostante le circa 250.000 persone uccise [1] in Afghanistan e le decine di miliardi di dollari rifluiti nel Paese, gli afgani soffrono ancora delle miserie di prima.

Nel 2001, i governi degli USA e del Regno Unito hanno usato i sanguinari criminali dell’Alleanza del Nord come forze di terra contro i talebani, e hanno quindi finanziato e armato [2] criminali come Qasim Fahim, Atta Mohammad Noor e Abdul Rashid Dostum per combattere i talebani. Ma anche l’Alleanza del Nord commetteva gli stessi crimini dei talebani.
Nel report Blood stained hands [3] (Mani macchiate di sangue), Human Rights Watch denuncia chiaramente Fahim e Dostum come criminali di guerra. Fahim è divenuto poi Ministro della Difesa e più tardi vice presidente. Dostum è stato Capo delle forze armate e attualmente ricopre il ruolo di vice presidente.

Il 3 marzo 2015, Human Rights Watch ha pubblicato un dettagliato report [4] sui signori della guerra oggi in posizioni preminenti nel governo afgano, che hanno migliaia di uomini armati al loro servizio, sui quali reggono il loro potere, e gestiscono attività illegali come traffico di droga, rapimenti, furti di terre. Tra i signori della guerra citati figura Noor, governatore di Balk.

In questi anni di occupazione militare di USA e NATO, decine di signori della guerra dell’Alleanza del Nord hanno rafforzato il loro potere, ai danni della povera gente dell’Afghanistan.

2. L’intervento militare USA / NATO è responsabile di crimini di guerra

In Afghanistan, le forze USA e NATO hanno commesso crimini di guerra. Per citarne solo alcuni: il 28 ottobre 2001 il bombardamento dei B52 degli USA ha fatto numerose vittime tra i bambini dei villaggi che circondano Kabul; il 22 agosto 2008 bombardamenti aerei USA/NATO hanno colpito bambini a Shindand, Herat; l’8 agosto 2015 bombardamenti aerei USA/NATO hanno ucciso più di 300 civili e feriti circa 600 a Shah Shahid, Kabul; il 3 ottobre 2015 l’ospedale di Médecins sans Frontières è stato bombardato da forze statunitensi.

Il report di Amnesty International intitolato “Left in the Dark” (Lasciati nel buio) mette in evidenza il fallimento di ogni politica di protezione dei civili, di cui è evidenza il numero di vittime civili nel corso delle operazioni militari USA/NATO in Afghanistan.

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Via le truppe dall’Afghanistan. L’incontro tra Hambastagi e Rifondazione Comunista

Torino – 3 novembre 2015 – PrcTorino.org

12207604 1029313837091807 1051478185 o 300x167Si è tenuto presso la sede di Rifondazione Comunista di Torino un incontro tra Ubaid Ahmad Kabir, portavoce di Hambastagi (Partito della Solidarietà dell’Afghanistan) accompagnato da esponenti del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, ed Ezio Locatelli della segreteria nazionale di Rifondazione Comunista.

Un incontro nel quale Kabir, accompagnato da esponenti del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, oltre a presentare il proprio partito – Hambastagi con i suoi 30 mila iscritti è l’unico partito laico, democratico, interetnico esistente in Afghanistan, un partito nato contro la guerra, contro i fondamentalismi, per l’indipendenza, la democrazia del Paese, per la parità tra uomini e donne, per l’eguaglianza sociale – ha parlato del quadro drammatico che si è creato in Afghanistan dopo quattordici anni di occupazione da parte degli Usa e dei suoi alleati: ”L’assassinio di più di 250 mila afgani da parte delle forze statunitensi e alleati vari, i massacri di civili per i bombardamenti in varie parti dell’Afghanistan, i test di armi chimiche, lo stupro di donne, ultimo in ordine di tempo il bombardamento dell’ospedale di Medici senza Frontiere a Kunduz che ha causato l’uccisone di personale medico e pazienti, tutto questo è il risultato della falsa democrazia degli invasori”.

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INCONTRO ALLA CAMERA TRA HAMBASTAGI E SEL

IMG 2129 300x225Il 27 ottobre 2015  Ubaid Ahmad Kabir del Comitato Centrale di Hambastagi, Partito afgano della Solidarietà, ha incontrato l’On Arturo Scotto e Nichi Vendola di Sinistra Ecologia e Libertà alla Camera. L’incontro è stato organizzato dal CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane.

A. Scotto: Vi ringrazio per l’opportunità e per la sensibilità che avete avuto nel rivolgervi a noi, che siamo un piccolo partito della sinistra italiana, in questa fase all’opposizione. Il nostro partito si chiama Sinistra Ecologia e Libertà e mette al centro della propria agenda politica la pace e i diritti umani.

U. Ahmed: Ringrazio per questo incontro. In Afghanistan molti dei partiti progressisti e democratici che lavorano e lottano per i diritti umani sono molto piccoli dal punto di vista del numero di iscritti, ma il lavoro che fanno è impressionante e grandioso. Per noi la grandezza di un partito non ha importanza, se non c’è la qualità della proposta politica. Grazie per averci invitati.

A. Scotto: In Commissione Esteri e Difesa la posizione che si sta discutendo – a cui SEL si oppone – è quella di mantenere in Afghanistan i militari italiani – poche centinaia – senza una strategia di ricostruzione del Paese, senza comprendere neanche il perché manteniamo la nostra presenza lì.

U. Ahmed: Hambastagi lavora per la libertà e l’indipendenza dell’Afghanistan perché ritiene che le forze USA e Nato abbiano invaso l’Afghanistan. Stiamo combattendo per la parità dei diritti tra uomini e donne, perché negli ultimi 40 anni le donne sono state oppresse dai diversi regimi avvicendatisi nel Paese e in particolare dai partiti fondamentalisti. Anche l’Italia ha delle responsabilità, perché le sue milizie sono entrate nel Paese con lo slogan della liberazione delle donne, ma dopo 15 anni di presenza militare straniera i problemi non si sono risolti. Le donne e in generale l’intera popolazione continuano a subire condizioni di vita miserabili; le stesse del periodo talebano, che ora peggiorano con l’estensione del controllo di queste milizie su vasta parte del territorio.
Quando l’Afghanistan è stato invaso la Nato e gli USA hanno portato al potere gli stessi signori della guerra e criminali dell’epoca dei talebani. L’Italia ad esempio, nell’area di insediamento delle proprie truppe, sta sostenendo uno dei più brutali signori della guerra: Ismail Khan, governatore della provincia di Herat. Il figlio di Ismail Khan è stato portato a studiare in una delle principali Università italiane. Un domani il figlio di questo criminale governerà l’Afghanistan perpetrando gli stessi crimini del padre. Un altro esempio: il sostegno a Fausia Kufi, donna corrotta della zona a nord dell’Afghanistan (Badashar) che ha distorto soldi dalla cooperazione italiana per usi personali. Per questo motivo chiediamo l’uscita urgente delle forze militari NATO e USA, perché pur con la loro presenza l’Afghanistan non ha visto nessuna prosperità o pace. L’Afghanistan è divenuto un posto ancor più insicuro per le donne e i bambini.
Il Governo italiano e le truppe operano come strumenti e mano lunga degli USA e della Nato e dagli afgani i soldati italiani non sono considerati in maniera diversa da quanto lo siano le truppe americane. Non c’è alcun investimento in ospedali, scuole e infrastrutture.

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UIKI: Comunicato Stampa

dal sito di UIKI – 3 novembre 2015

logo UIKI 2 300x300Il 1° novembre si sono svolte in Turchia le elezioni legislative a cui ha partecipato una delegazione di 55 osservatori indipendenti italiani che sono stati nelle provincie di Diyarbakir, Sirnak, e Urfa.

Le elezioni si svolte in un clima assai più teso rispetto alla precedente tornata del 7 giugno con attacchi alle sedi dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli) in molte città, continue repressioni nei confronti dei mezzi informazione e un sanguinoso attentato il 10 ottobre, ad Ankara, in occasione di una manifestazione per la pace che ha provocato più di cento vittime. Le nuove elezioni si sono tenute esclusiva volontà del Presidente della Repubblica Turca, Erdogan, e del partito AK che non hanno accettato l’esito elettorale del 7 giugno e si sono rifiutati di formare un governo di coalizione.

Nonostante i numerosi brogli elettorali e le violenze che hanno preso di mira gli attivisti e le sedi elettorali dell’HDP in questi mesi, il Partito democratico dei popoli ha ottenuto un risultato straordinario riuscendo a superare lo sbarramento elettorale del 10%, ottenendo il 10.8 % su scala nazionale e 59 seggi, di cui 24 donne.

Il risultato conseguito dall’HDP permette la presenza nel parlamento di donne e uomini, rappresentanti dei popoli e delle religioni della Turchia, tenendo aperta la speranza per una trasformazione democratica per tutti i popoli oppressi del Medio Oriente.

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Turchia, perché Erdogan ha stravinto il voto della paura

dal sito UIKI – 1 Novembre 2015

Perché Erdogan ha stravinto? Questo è il voto della paura, si era detto alla vigilia: la paura seminata da attentati terroristici senza precedenti nella storia della Turchia, come quello del 10 ottobre ad Ankara con oltre 100 morti, ma anche i timori per l’affermazione del movimento curdo che aspira all’autonomia di una parte tormentata del Paese già in conflitto, ai confini bollenti di una Siria in disgregazione da dove arrivano ogni giorno senza sosta migliaia di profughi: oltre 2 milioni solo in Turchia. Ha fatto leva sulla paura diffusa di vedere la destabilizzazione contagiare anche la repubblica fondata da Kemal Ataturk che attanaglia non soltanto i sostenitori del partito islamico Akp ma i turchi in generale.

Ha fatto credere, a torto o a ragione, che la Turchia versa in stato di emergenza, che è sotto attacco: dentro da parte delle strutture “parallele” dell’ex amico l’Imam Fetullah Gulen e della guerriglia curda del Pkk: fuori dalla minaccia che si possa creare ai suoi confini uno stato curdo sulle macerie della Siria, che lui stesso ha destabilizzato facendo passare migliaia di jihadisti anti-regime, compresi quelli che si sono poi arruolati con il Califfato.

Erdogan ha saputo sfruttare queste paure indicando la sua ricetta: un uomo solo al comando e un partito solo al governo per evitare coalizioni, esecutivi deboli e inefficaci. La democrazia turca è ancora troppo giovane per non cedere alle scorciatoie proposte dall’uomo forte. Abile quindi a spaccare il Paese su fronti contrapposti ma anche a intimidire gli avversari e a riunificarlo sotto l’egida di un raìs dai tratti sempre più mediorientali e sempre meno europei, come dimostrano gli attacchi proditori alla stampa d’opposizione.

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L’HDP riesce di nuovo a entrare in parlamento con 59 deputati tra cui 24 donne

dal sito UIKI – 1 Novembre 2015

hdp4 599x275Oggi in Turchia si sono svolte nuove elezioni per il parlamento turco. Dopo che alla elezioni del 7 giugno 2015 l’AKP del presidente Erdoğan ha perso la maggioranza assoluta e al partito progressista HDP è riuscito l’ingresso in parlamento, Erdoğan ha fatto lasciato fallire le trattative per la formazione di una coalizione e ha indetto nuove elezioni.

Perché il sogno del sistema presidenziale con poteri illimitati per la sua persona era fallito. Ha interrotto prontamente trattative con la parte curda per una soluzione politica della questione curda, le ha persino negate e ha dichiarato guerra alle forze democratiche e progressiste. Ondate di arresti, destituzioni di politici/sindaci democraticamente eletti, attacchi militari, attentati dinamitardi contro la propria popolazione civile – abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’attentato di Ankara – quindi hanno formato l’immagine della Turchia.

Le nuove elezioni non sembravano portare una svolta. Anche il giorno delle votazioni è stato segnato dalle più forti repressioni nei confronti della popolazione civile che voleva esercitare il proprio diritto di voto. Componenti del parlamento europeo dalle loro osservazioni hanno tratto la sintesi che „la democrazia non esiste “.

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Turchia al voto sull’orlo della guerra civile.

CORE Circuiti Organizzati Resistenze Editoriali – Glocal – pubblicato da Fabio Ferrari – 31 ottobre 2015

A Roma manifestazione in solidarietà con il popolo curdo, per la pace in Turchia e in Siria, dalle ore 15 in Piazza dell’Esquilino.

Le elezioni di domenica 1° novembre saranno un importantissimo passaggio nella storia della Turchia democratica. Dai risultati dell’imminente tornata elettorale scaturiranno conseguenze irreversibili sugli equilibri politici interni del paese, i cui effetti sono destinati a produrre anche profondi riflessi sul futuro dai paesi ai confini di Ankara, in Siria prima di tutto.

Che la posta in gioco sia altissima, lo testimoniano le tante mobilitazioni internazionali in favore della pace. La manifestazione romana di oggi, convocata con un appello alla pace e alla democrazia in Turchia e in Siria, è l’ulteriore e non ultimo tassello di una lunga campagna di solidarietà con il popolo curdo a cui i movimenti, in Italia come in altri paesi d’Europa, hanno dato vita da ormai oltre un anno a questa parte.

Rojava Calling, nata con l’obiettivo di aiutare la ricostruzione di Kobane, è diventata un utile strumento per approfondire la conoscenza di una realtà politica esistente e resistente, da ormai oltre un biennio, in quella porzione del settentrione siriano abitato dai curdi altresì conosciuto come regione autonoma del Rojava.

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Il governo prolunga la missione in Afghanistan e aumenta le truppe.

IlTempo.it – 31 ottobre 2015

Il sottosegretario alla Difesa: “Non sono venute meno le esigenze di sicurezza e dobbiamo compensare il rientro del contingente spagnolo”

Le truppe italiane resteranno in Afghanistan e aumenterà ulteriormente le sue truppe impegnate per «compensare» alcune defezioni dei Paesi alleati. Lo ha comunicato alla Camera il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi rispondendo a un’interrogazione sul tema. Il governo, ha spiegato Rossi, «ha deciso di rimodulare la pianificazione di rientro di alcune capacità del contingente» dall’Afghanistan «e di aumentarne la consistenza numerica nell’ultimo trimestre» del 2015, «in una misura ritenuta idonea a compensare il rientro di quella parte del contingente spagnolo che era dedicata alla Force Protection».

Rossi ha ricordato che «il nostro Paese è presente in Afghanistan dal 2003 e il contingente, schierato a Kabul e a Herat, è attualmente inserito nella missione Nato Resolute Support che dal 1° gennaio 2015 ha sostituito la missione Isaf, terminata il 31 dicembre scorso». «Lo scopo della missione è di consentire al governo afghano di garantire l’effettiva sicurezza in tutto il Paese» ha sottolineato il sottosegretario, che ha citato l’intervento del ministro Roberta Pinotti alle Camere, il 29 luglio scorso, durante il quale era stata annunciata, «in considerazione del perdurare delle esigenze di supporto alle forze di sicurezza locali, la decisione di mantenere una propria presenza militare nella regione di Herat, posticipando di alcuni mesi il ripiegamento del contingente su Kabul».

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Migranti senza tempo.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 28 ottobre 2015

ansabibi MGTHUMB INTERNANon ha età la voglia di vita. E non teme distanze e disagi. Bibihal, centocinque primavere – per lei è proprio il caso di dirlo – ha percorso coi familiari prima i quattromila seicento chilometri che l’hanno condotta dall’afghana Kunduz (la città invasa dai talebani e bombardata dagli americani un mese fa) sino a Istanbul.

Quindi più di mille per approdare alla frontiera serbo-croata. E non bastano, perché il traguardo che la famiglia Uzbeki si pone è la Svezia, perciò il cammino sarà ancora lungo. L’indomabile nonnina ammette d’aver avuto male alle gambe, d’essere caduta e avere qualche ferita, ma nel complesso di star bene e sentirsi liberata dall’incubo della guerra.

In tanti tratti, per via, il nipote diciannovenne, novello Enea, se l’è caricata sulle spalle.

Comunque il percorso più defatigante è compiuto e la famiglia spera di non rivedere i caccia statunitensi volare e sganciare bombe. Tutto il gruppo che, come altri afghani, ha conosciuto lutti sogna solo un’esistenza serena, lontano dal conflitto infinito che mantiene prigioniera la propria terra

Erdoğan, la guerra ai media

Dal Blog di Enrico Campofreda – 28 novembre 2015

231873Mattinata d’occupazione a Istanbul al quartier generale della Koza İpek Holding’s media (quotidiani Bugün e Millet, più Bugün Tv e Kanaltürk).

La polizia è giunta in forze alle quattro del mattino, s’è introdotta nell’edificio che ospita le redazioni, ha oscurato i canali televisivi (“cari telespettatori non sorprendetevi se fra poco vedrete la polizia nei nostri studi” annunciava il conduttore), impedito l’uscita dei giornali. Applicava un’ordinanza del tribunale che pone la struttura sotto la “tutela” di Turkuvaz Media Group, un editore filogovernativo che diventa fiduciario, e di fatto censore, del gruppo concorrente accusato di sostegno al terrorismo.

I cronisti ancora presenti nelle redazioni sono diventati ostaggio degli agenti in borghese, mentre a quelli accorsi in sostegno veniva impedito l’accesso nel luogo di lavoro.

Quando la tensione è salita sono stati bersagliati con gas lacrimogeni e urticanti e cannonate d’acqua assieme a decine di cittadini radunati per protesta sotto la sede. Mahmut Tanal, un avvocato del partito repubblicano, ha provato a mediare col capo dell’antisommossa presente in strada, non c’è stato nulla da fare. Agli scontri, peraltro sedati dopo non molto, sono seguiti fermi e arresti.

Il conflitto con l’apparato mediatico vicino al movimento gülenista Hizmet è in atto da tempo, ma non è l’unico perché nel mirino di Erdoğan c’è ormai ogni voce d’informazione che si smarca dal coro d’appoggio e propaganda al suo sistema di potere. Il recente rilascio del direttore del quotidiano Zaman, Bulent Kenes, è solo un diversivo, visto che l’attacco alla libertà di stampa è totale e senza precedenti. Ovvero riporta alla Turchia piegata dalla tipologia di dittatura militare e fascistoide del buio trentennio Sessanta-Ottanta.

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