Dal blog di Enrico Campofreda – 24.10.2014
Un’attesa di circa un anno, a opera d’un Karzai uscente e rancoroso. Una promessa vaga di vari candidati alla presidenza, ma non di tutti. Un appoggio indifferenziato fra Ghani e Abdullah, i due pretendenti avversari e nemici, divenuti amici nella compromissoria diarchia.
Così l’Accordo sulla sicurezza (Bilateral Security Agreement) è stato firmato ventiquattr’ore dopo l’investitura ufficiale della nuova leadership afghana e determinerà una presenza militare delle truppe Nato, certa fino al 2016 con proiezioni fino al 2024. Vediamo alcuni aspetti del patto.
Truppe ufficiali – Le attuali truppe della Nato in Afghanistan, che ammontano a 42.000 unità, divise fra 48 nazioni di cui 2/3 statunitensi, potrebbero scendere sino a 12.000 uomini lasciati sul territorio.
Di questi circa 1.400 s’occuperanno dell’addestramento dei militari locali, i restanti costituiranno forze di supporto logistico, ma buona parte sarà costituita da piloti e personale delle basi aeree create e ampliate nel Paese (Kabul, Bagram, Maraz-e Sharif, Shindand, Kandahar, Jalalabad, Shorab, Gardez).
L’accordo evita alle truppe Nato ogni genere di pattugliamento di terra, ad eccezione di quei casi per i quali il ministero afghano della Difesa non espliciti una cogente richiesta. Situazioni che possono riportare le truppe della missione in azioni armate offensive. Più d’un analista valuta come il limitato numero dei marines che rimarrebbero sul territorio (un terzo delle 12.000 presenze) sia poco efficace a sostenere aperte battute offensive a caccia di Talebani.
Non lo furono i 100.000 militi lanciati da Obama quattro anni fa… Però il mandato Onu per la missione di polizia internazionale, che aveva una durata sino a tutto il 2014, non è esplicitamente cancellato, dunque è passibile di rinnovo, oltre che di cambio di obiettivi dell’impegno. Potrebbero essere introdotte non azioni primarie di controterrorismo, ma supporto a quelle compiute dall’Afghan National Defence Security Forces, sebbene dovrebbero rimanere reparti speciali (dalle 2.000 alle 4.000 unità) dedicati esclusivamente al compito di colpire i qaedisti, reparti che s’integrano con le unità afghane preparate per questo scopo.
Mercenari e invasori – Resta, invece, aperto il computo delle formazioni private utilizzate per raid e missioni di ricognizione. I contractors costituiscono da tempo una realtà ben presente nelle offensive armate sparse per il globo. Un censimento del luglio scorso sul Centcom (il Comando regionale statunitense per Asia centrale, Medio Oriente e Africa) parlava di 51.000 contractors che lavorano per il Dipartimento statunitense in Afghanistan e altri 14.000 che si relazionano direttamente ai ministeri locali. Fra questi 3.100 s’occupano di sicurezza e 3.600 di altre funzioni.
Sul ruolo delle operazioni di taluni di loro, organizzati nei gruppi paramilitari che la Cia crea per la sua guerra ancora più sporca di quella della missione ufficiale Isaf, abbiamo avuto diversi esempi nel corso degli anni. L’ultimo episodio risale a undici mesi or sono: le esecuzioni mirate di civili nella provincia di Wardak, segnalate dal giornalista Matthieu Aikins sul periodico Rolling Stones.
Tutti gli interventi rivolti contro i civili con rastrellamenti, arresti, per tacere degli attacchi armati a persone e cose, dovrebbero non essere più consentiti se non per casi eccezionali che determinano il rischio della vita.
Determinati da chi, non è dato sapere. Infine l’accordo Bsa non s’occupa di possibili aggressioni esterne da parte di altre nazioni. Se quest’ipotesi, mai scartata nei confronti d’ingombranti vicini desiderosi d’egemonia (Pakistan e Iran), resta più fantapolitica che realistica, altre soluzioni d’instabilità non vengono escluse.