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Autore: Anna Santarello

Ricordiamo Meena, la fondatrice dell’associazione rivoluzionaria delle donne afghane

MEENA (1956-1987)

MeenaMeena è nata a Kabul. Durante il suo periodo scolastico, gli studenti a Kabul e in altre città afghane erano profondamente impegnati in attività sociali e nei crescenti movimenti di massa.

Meema ha lasciato l’univeristà per dedicarsi come attivista sociale ad organizzare le donne ed educarle. Perseguendo la sua causa per ottenere il diritto alla libertà e all’espressione e conducendo attività politiche, Meena ha posto le basi per la fondazione di RAWA nel 1977.

Questa organizzazione intendeva dare voce alle donne dell’Afghanistan private dei loro diritti e costrette al silenzio. Meena cominciò una campagna contro le forze russe e il loro regime fantoccio nel 1979 e organizzò numerose marce e incontri nelle scuole, college e nell’Università di Kabul per mobilizzare l’opinione pubblica.

Un altro grande servizio reso da lei alle donne afghane è stato il lancio di una rivista bilingue Payam-e-Zan (Il messaggio delle donne) nel 1981. Per mezzo di questa rivista RAWA ha potuto lanciare con coraggio ed efficacia la causa delle donne afghane. Payam-e-Zan ha costantemente denunciato la natura criminale dei gruppi fondamentalisti. Meena ha anche organizzato le scuole Watan per i bambini rifugiati , un ospedale e centri di artigianato per donne rifugiate in Pakistan per sostenere finanziariamente le donne afghane.

Alla fine del 1981, su invito del Governo francese, Meena ha rappresentato il movimento afghano di resistenza al Congresso del Partito Socialista Francese.

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L’AFGHANISTAN DIETRO LE SPALLE: il rapporto di Human Rights Watch 2014 sul rispetto dei diritti umani

L’Unità – 3 febbraio 2014 – di Cristiana Cella

afg jf copyIn Afghanistan prosegue la smobilitazione delle truppe internazionali e si fanno i bagagli. Del paese che si lasceranno alle spalle, dopo 13 anni di guerra, innumerevoli morti e miliardi  spesi, dà un quadro allarmante, a due mesi dalle elezioni presidenziali e con molte questioni politiche sospese, il report annuale 2014, sullo stato dei diritti umani, di Human Rights Watch, uscito in questi giorni.

Nell’anno appena finito, l’instabilità è cresciuta e il rispetto dei diritti umani, in particolare di quelli delle donne, è calato progressivamente. Il disinteresse dei media e della comunità internazionale sulle vicende afghane, sottolinea il rapporto, ha  fatto mancare, con la complicità del silenzio, la pressione politica sul rispetto degli impegni che il  governo Karzai si era assunto, dopo la conferenza di Tokyo.

Le preoccupazioni per la sicurezza della popolazione restano alte. Secondo l’ONU, le vittime civili sono aumentate del 23% rispetto al 2012, colpite, per la maggior  parte, da gruppi armati e talebani, o dagli attacchi aerei occidentali. L’instabilità e i combattimenti hanno spinto, nel 2013, 106.000 afghani a lasciare le loro case e ad ammassarsi nei disperati campi profughi delle città, portando, secondo l’UNHCR, il numero degli sfollati interni a più di 583.000. In aumento anche gli afghani che cercano, e in larga parte non trovano, salvezza all’estero.

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Attacchi di droni in Pakistan: pubblicato un documento del governo pakistano

The Bureau of Investigative Jornalism – 29/1/2014 di Alice K Ross

eaa3addc73bff9417b03ee0e94126435 XLIl Bureau ha pubblicato un documento ufficiale che registra i dettagli di oltre 300 attacchi di droni, includendo le sedi e una valutazione di quante persone sono morte in ogni incidente.

Il documento è il più completo archivio ufficiale di attacchi dei droni in Pakistan che sia mai stato pubblicato. Fornisce un incredibile approfondimento sugli intenti del governo. Fornisce inoltre indicazioni esatte di quando e dove gli attacchi hanno avuto luogo, spesso includendo i nomi dei proprietari delle abitazioni colpite.

Questi dati possono essere utili ai ricercatori per tentare di verificare i resoconti dei testimoni oculari e forniscono informazioni spesso non segnalate altrove. Ma è interessante notare che il documento smette di registrare le vittime civili dopo il 2008 omettendo anche i nomi delle vittime civili note perché riconosciute dal governo.

Lo scorso luglio l’Ufficio di presidenza ha pubblicato per la prima volta parte del documento. Questi attacchi documentati che hanno colpito le zone tribali nel nord-ovest del Pakistan tra il 2006 e la fine del 2009, hanno rivelato che il governo pakistano era a conoscenza di centinaia di vittime civili, anche in attacchi per i quali il governo aveva ufficialmente negato la morte di civili.

I report sono basati su informazioni depositate al segretariato FATA ogni sera da agenti politici locali – funzionari di alto livello nel campo. Questi agenti raccolgono le informazioni provenienti dai network di informatori nelle aree tribali del Pakistan ad amministrazione federale ( FATA ), l’ area di confine con l’Afghanistan .

Ora il Bureau ha ottenuto una versione aggiornata del documento che elenca gli attacchi fino a fine settembre 2013.

Le perdite complessive registrate dal documento sono sostanzialmente simili a quelle elaborate dal Bureau che utilizza fonti, tra cui i media, dichiarazioni giurate e indagini sul campo. Il Bureau stima che almeno 2.371 persone sono morte nel periodo di tempo coperto dal documento (escluso il 2007, che manca dall’archivio), mentre si registrano 2.217 morti in totale.

[…]

Drone strikes in Pakistan

Leaked official document records 330 drone strikes in Pakistan

January 29, 2014 by Alice K Ross

The Bureau is today publishing a leaked official document that records details of over 300 drone strikes, including their locations and an assessment of how many people died in each incident.

The document is the fullest official record of drone strikes in Pakistan to have yet been published. It provides rare insight into what the government understands about the campaign.

It also provides details about exactly when and where strikes took place, often including the names of homeowners. These details can be valuable to researchers attempting to verify eyewitness reports – and are often not reported elsewhere. But interestingly, the document stops recording civilian casualties after 2008, even omitting details of well-documented civilian deaths and those that have been acknowledged by the government.

Last July the Bureau published part of the document for the first time. This documented strikes, which hit the northwest tribal areas of Pakistan between 2006 and late 2009, and revealed that the Pakistani government was aware of hundreds of civilian casualties, even in strikes where it had officially denied civilians had died.

The reports are based on information filed to the FATA Secretariat each evening by local Political Agents – senior officials in the field. These agents gather the information from networks of informants in Pakistan’s Federally Administered Tribal Areas (FATA), the area bordering Afghanistan.

Now the Bureau has obtained an updated version of the document, which lists attacks up to late September 2013.

Read the secret document here

The document contains estimates of how many people have been killed in each strike, as well as whether the dead are ‘local’ or ‘non-local’ – a broad category that includes those from elsewhere in Pakistan, as well as foreigners.

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Afghanistan, il ritiro Usa metterebbe a rischio gli attacchi con droni

A24-Pca | TMNews – lun 27 gen 2014

F35New York, 27 gen. (TMNews) – Il rischio che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sia costretto a ritirare tutto il contingente americano dall’Afghanistan alla fine dell’anno sta alimentando le preoccupazioni delle agenzie di intelligence, che temono di perdere le basi aeree usate per i droni con cui conducono gli attacchi aerei contro al Qaida in Pakistan e da cui tengono sotto controllo l’intera regione.

Finora, il dibattito sul tipo e la durata della presenza di una forza residuale americana in Afghanistan alla fine della missione internazionale, prevista tra undici mesi, è stato incentrato sulla sicurezza del Paese sul lungo periodo. Queste nuove preoccupazioni, però, portano allo scoperto anche quelle per gli interessi americani nel vicino Pakistan. A rivelarlo sono fonti militari, d’intelligence e dell’amministrazione Obama al New York Times.

New York, 27 gen. (TMNews) – La possibilità che non si trovi un accordo finale tra Stati Uniti e Afghanistan, visto che il presidente Hamid Karzai si è finora rifiutato di firmare il Bilateral Security Agreement, ha convinto Obama a organizzare un team di specialisti per trovare delle alternative che attenuino i riflessi negativi, nella regione, di un ritiro dall’Afghanistan, con la conseguente impossibilità, per la Cia, di usare le basi nel Paese guidato da Karzai. I timori dell’intelligence sono relativi al fatto che le basi più vicine utilizzabili per i droni sarebbero comunque troppo lontane dalle montagne pachistane dove si annidano i comandanti di al Qaida. Basi che sarebbero troppo lontane anche per controllare e rispondere immediatamente a una situazione pericolosa nella regione, come una crisi nucleare tra Pakistan e India.

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Rapporto annuale di Human Rights Watch sull’Afghanistan – 2014

HRW, gennaio 2014

Per tutto il 2013 sono continuate le operazioni per il completo ritiro delle forze internazionali di combattimento da completarsi entro la fine del 2014: interi distaccamenti sono già partiti e diverse truppe sono state tenute inattive nelle basi militari, mentre si stavano facendo le necessarie manovre per organizzare gli spostamenti di armi e attrezzature fuori del paese.

L’esercito afgano e la polizia hanno cercato di avanzare nell’assunzione del comando delle operazioni di contrasto ai Talebani e agli altri gruppi armati, con risultati alterni.

Rimangono dubbi sull’effettiva capacità delle forze di sicurezza afgane di controllare il territorio, anche senza considerare le aree totalmente in mano ai signori della guerra, e resta alta la preoccupazione per la sicurezza della maggior parte della popolazione.

Nei primi sei mesi del 2013 l’ONU ha registrato un incremento del 23% di morti civili rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: la maggior parte di queste morti sono state causate da gruppi armati, tra i quali i Talebani, che prendono di mira esplicitamente i civili che essi sospettano collaborare con il governo.

Le preoccupazioni per la sicurezza aumentano quando si considera che metà dei 7.000 seggi previsti per le elezioni presidenziali del 2014 sono già stati soggetti a gravi minacce.

L’anno passato è stato segnato da costante instabilità e il rispetto per i diritti umani è in continua diminuzione tutto il paese. Ne sono prova gli attacchi ai diritti delle donne, i crescenti fenomeni di sfollamento e migrazione interna al paese, e la crescente debolezza dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission (AIHRC).

Gli abusi delle forze di sicurezza governativa e dei gruppi armati sono quasi sempre restati impuniti. Questi fatti gettano gravi ombre sulla possibilità che le prossime elezioni presidenziali si svolgano correttamente.

I diritti delle donne
Con il calare dell’interesse internazionale verso l’Afghanistan, gli avversari dei diritti delle donne hanno colto l’occasione per iniziare a cancellare i progressi fatti dalla fine del regime talebano. In maggio, un dibattito in parlamento sull’importante Legge sull’eliminazione della violenza contro le donne (EVAW Law), approvata per decreto presidenziale nel 2009, è stato sospeso dopo 15 minuti a causa delle pressioni di numerosi giuristi parlamentari che chiedevano l’abrogazione della legge e protestavano contro la protezione legale prevista per donne e ragazze. La legge EVAW rimane in vigore, ma raramente viene fatta rispettare.

Il dibattito sulla legge EVAW ha visto gravi tentativi di ritorno al passato, tra cui

  • un appello di Abdul Rahman Hotak, il nuovo commissario dell’AIHRC, per l’abrogazione della EVAW Law;
  • la decisione del parlamento di ridurre il 25% dei seggi parlamentari riservati alle donne nei 34 consigli provinciali;
  • la revisione da parte del Ministro della Giustizia del nuovo codice di procedura penale, con l’aggiunta di una clausola che proibisce ai membri di una stessa famiglia di testimoniare in tribunale nei casi penali, il che rende estremamente difficile perseguire la violenza domestica e i matrimoni infantili e forzati, e il successivo passaggio della legge alla camera bassa del parlamento;
  • la scarcerazione dopo solo un anno di prigione dei suoceri di Sahar Gul, la tredicenne data in sposa a loro figlio, che loro hanno torturato e tenuta senza cibo per mesi. I suoceri erano inizialmente stati condannati a 10 anni di prigione;
  • una serie di attacchi fisici contro donne impegnate nella vita politica e sociale per tutto il 2013, che ha costantemente tenuto nel terrore le attiviste e le donne con ruoli pubblici, tra cui:
  • il 5 luglio: l’ex parlamentare Noor Zia Atmar ha ammesso che doveva vivere in un rifugio per donne maltrattate in seguito alle aggressioni subite da suo marito. In seguito ha affermato che sta cercando asilo all’estero.
  • il 7 agosto: degli sconosciuti hanno sparato contro Rooh Gul, una deputata della camera bassa del parlamento, mentre era in viaggio nella provincia di Ghazni. La donna e il marito sono scampati all’attentato, ma la figlia di otto anni e l’autista sono rimasti uccisi.
  • il 4 settembre: un gruppo di criminali, che si è poi proclamato frangia talebana, ha rapito Sushmita Banerjee, una donna indiana sposata a un operatore sanitario afgano, prelevandola dalla sua casa nella provincia di Paktika, l’ha uccisa crivellandola di colpi e ha poi interrato il suo corpo fuori da una scuola religiosa;
  • il 16 settembre: il luogotenente Nigara, che ricopriva il più alto grado della polizia per una donna nella provincia di Helmand, è stata uccisa con colpi di arma da fuoco mentre si recava al lavoro, meno di tre mesi dopo l’assassinio del luogotenente Islam Bibi, la donna che l’aveva preceduta nella stessa posizione, il 3 luglio.

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Non c’è da meravigliarsi se ci mentono sull’Afghanistan dopo 12 anni, $ 390bn, innumerevoli morti, talebani in ripresa.

Stop The War coalition – Patrick Cockburn – 15 gennaio 2014

Di fronte a questi disastri molti leader politici occidentali ignorano semplicemente la realtà dell’Afghanistan e si rifugiano in una realtà chè non è lontana dalla deliberata menzogna.
Qualche anno fa a Kabul, stavo ascoltando un portavoce di un’organizzazione governativa afgana che mi stava dando un lungo, ottimista e non molto convincente resoconto dei risultati dell’istituzione per la quale lavorava.

Per alleviare la noia, e senza molta speranza di ottenere una risposta interessante, gli chiesi – con la garanzia di riservatezza – quali vantaggi il governo afghano aveva portato al suo popolo. Senza esitazione il portavoce ha risposto che questi benefici sono probabilmente molto limitati “fino a quando il nostro paese è gestito da gangster e signori della guerra”.

Fu in quel momento che decisi che il problema principale in Afghanistan non è stata la forza dei talebani, ma la debolezza del governo. Non importa quante truppe della Nato sono nel paese perché sono a sostegno di un governo detestato da gran parte della popolazione. Ovunque andai nella capitale c’erano queste opinioni, anche tra persone benestanti potrebbero essere natuali sostenitori dello status quo. Intervistai un agente immobiliare che non avrebbe dovuto avere molto di cui lamentarsi in quanto, dalla caduta dei talebani nel 2001, Kabul è stata la città in più rapida crescita al mondo. Indicò alcuni operai fuori finestra del suo ufficio dicendo che guadagnavano tra $ 5 e $ 6 al giorno in una città dove affittare una casa decente per le loro famiglie costava 1.000 dollari al mese. Disse “E ‘impossibile che questa situazione continui senza una rivoluzione.”

Il 2014 a lungo annunciato come un anno decisivo per l’Afghanistan perché la maggior parte delle truppe straniere, 38.000 satunitensi e 5.200 britannici, lascerà il paese prima della fine dell’anno. Le previsioni di una data precisa per questa svolta storica di solito risultano sbagliate, ma in questo caso la saggezza popolare non dovrebbe sbagliare. Ci sono già segni di un drastico cambiamento politico, come l’annuncio del governo afgano della settimana scorsa con l’intenzione di rilasciare 72 prigionieri talebani dell’ala più dura, provocando le proteste furiose da Washington. Probabilmente il motivo del presidente Hamid Karzai è quello di accontentare leader locali, che vogliono i loro parenti liberi, per avere il loro sostegno nelle elezioni presidenziali nel mese di aprile, anche se Karzai dopo due mandati non può partecipare, ma vuole determinare il suo successore.

Un altro fattore fondamentale che riguarda il ritiro delle truppe statunitensi e britanniche è il poco interesse che suscita nei paesi d’origine, anche se 2.806 americani e 447 soldati britannici sono stati uccisi dal 2001. Il costo totale per gli Stati Uniti della guerra, la ricostruzione e gli aiuti nello stesso periodo è di $ 641.7bn (£ 390bn) secondo il Centro per studi strategici e internazionali di Washington. Naturalmente, il denaro speso per l’Afghanistan non significa soldi spesi in Afghanistan, ma anche tenendo conto di ciò è incredibile che, nonostante le somme gigantesche spese, i dati del governo afghano rivelano che il 60 per cento dei bambini è malnutrito e solo il 27 per cento degli afgani può avere accesso ad acqua potabile sicura. Molti sopravvivono solo attraverso le rimesse dei parenti che lavorano all’estero o attraverso il business della droga, che vale circa il 15 per cento del prodotto nazionale lordo afghano.

I dati sopra riportati provengono da uno studio critico sul risultato di 12 anni di intervento internazionale in Afghanistan di Thomas Ruttig dell’Afghanistan Analysts Network di Kabul.  La sua autorevole e sintetica analisi, tiene conto del luogo in cui sorge l’Afghanistan sottolinea il fatto che l’intervento militare statunitense e britannico si è concluso con un fallimento quasi totale. I talebani non sono stati schiacciati, operano in tutte le parti del paese e, in province come Helmand, sono pronti a prendere in consegna il territorio alla partenza delle truppe. Nonostante l’appoggio delle truppe straniere, il controllo del governo afgano spesso finisce a un paio di chilometri fuori del capoluogo del distretto. I 30.000 soldati americani inviati per aumentare il numero delle truppe statunitensi nel 2010-11, che ha portato alla presenza totale massima di 101.000 unità, ha avuto poco impatto a lungo termine.

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«Parlare d’amore alla radio è immorale»In Afghanistan un’emittente sotto accusa.

Corrieredellasera.it – Redazione Online – 15 gennaio 2014

Le autorità religiose contro Watandar: “Manda in onda canzoni simili a quelle occidentali e cose inutili che minacciano i nostri valori”.
Trasmissione di «programmi immorali». Con questa accusa a Jalalabad, nell’Afghanistan orientale, una radio è finita nel mirino delle proteste di ulema, funzionari governativi e abitanti della città. Secondo le denunce, la radio “Watandar” trasmette «programmi immorali», che hanno effetti negativi sui giovani della provincia di Nangarhar.

DIALOGHI SCANDALOSI -La protesta è arrivata sulle scrivanie del dipartimento per l’Informazione e la cultura nella provincia. Per Maulvi Himmat, la radio ignora l’impegno sociale e fa solo trasmissioni «immorali». Non manca chi, come si legge sull’agenzia di stampa afghana Pajhwok, dà alla radio la colpa di dare voce a ragazzi e ragazze che cantano canzoni e intervengono scambiandosi «parole d’amore».

COSE INUTILI – «Ascoltando questa radio non si capisce se sia in Afghanistan o in Occidente, dove i giovani si esprimono apertamente riguardo l’amore», ha detto uno scrittore afghano, Sahar Gul Amirzai. E non manca chi, come un docente della Facoltà di Giornalismo dell’Università di Nangarhar, denuncia come «purtroppo alcuni mezzi d’informazione si concentrino solo su cose inutili che distruggono i valori culturali e dell’Islam nel nostro Paese».

Afghanistan. Verso le elezioni: chi sarà il nuovo presidente?

OsservatorioIraq – Claudio Bertolotti – 15 Gennaio 2014

Tra variabili alleanze e instabili equilibri politici, si dimostra incerto il processo politico che porterà all’elezione del nuovo presidente della Repubblica islamica dell’Afghanistan il prossimo 5 aprile. Così come incerto rimane l’accordo politico-diplomatico che dovrebbe condurre all’impegno militare degli Stati Uniti e della Nato a partire dal 2015.
A fare da sfondo, permane la ricerca di un dialogo negoziale con il movimento insurrezionale dei taliban – vero soggetto forte del conflitto. Un dialogo sempre meno tangibile ma necessario, in particolare per Kabul e Washington.

Come risponderà il popolo afghano alla chiamata al voto?
Secondo un recente sondaggio condotto dall’ATR Consulting in collaborazione con l’emittente televisiva TOLO News, i candidati dati per favoriti al prossimo appuntamento elettorale per la carica di presidente sono Abdullah Abdullah, ex-ministro degli Esteri di Karzai e capo della “Coalizione Nazionale dell’Afghanistan”, e Ashraf Ghani Ahmadzai, già titolare del ministero delle Finanze.
Il sondaggio, che si è svolto in tutte le trentaquattro province del paese, mostra come – sebbene con andamento variabile a seconda delle aree geografiche (corrispondenti alle attuali “regioni militari” della Nato) – Abdullah sia in vantaggio rispetto agli avversari, con un 26,5% di consensi, seguito da Ahmadzai, con il 20%. Abdul Qayum Karzai, fratello dell’attuale presidente, segue a grande distanza con un gradimento di circa il 5%.

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Afghanistan – Talebani pronti a partecipare alle elezioni di aprile

OGGINOTIZIE – 14 gennaio 2014

Kabul – Gulbuddin Hekmatyar, leader dell’Hizb-i-Islami Afghanistan (Hia) dice ‘si’ alla partecipazione alle elezioni. 
Questo il colpo di scena che ha riguardato un importante gruppo di talebani. La consultazione elettorale sta animando non poco il Paese, alle prese con le difficoltà per la coesistenza di diverse etnie e religioni. 

Ghairat Baheer, responsabile dell’ala politica del movimento, ha indicato che in una lettera ai responsabili provinciali Hekmatyar ha chiesto un’attiva partecipazione all’appuntamento elettorale di aprile. Non mancano però dei distinguo, legati alla diversa natura degli appartenenti al gruppo. 
Uno dei leader, Qutbuddin Hilal, partecipa alle elezioni come indipendente.

Così l’America ha fatto rinascere Al Qaeda

Il Journal – 13 gennaio 2014

La guerra di Bush ha portato i terroristi in un Paese che ne era immune. E la situazione in Afghanistan e Pakistan potrebbe segnare una nuova ascesa dei qaedisti…
Con la speranza di portare la democrazia in Iraq, gli Stati Uniti si sono ritrovati con il cavallo di Troia del terrorismo. La situazione, nel suo dramma, appare paradossale: la guerra americana ha portato Al Qaeda in un Paese dove l’organizzazione di Osama Bin Laden non era mai stata presente.

I guerriglieri islamisti, infatti, hanno sfruttato il caos generato dal conflitto, alimentando le divisioni tra sciiti e sunniti e portando l’Iraq in una spirale di guerra civile. Il 2013 è stato un anno tragicamente esemplare: il numero di vittime per violenze è aumentato vertiginosamente e negli ultimi giorni Fallujah e Ramadi, situate nella provincia di al-Anbar, sono finite sotto il controllo di Al Qaeda. L’esercito di Baghdad sarà perciò costretto una dura offensiva, che provocherà altri morti e accrescerà la tensione.
Le conseguenze sono imprevedibili. Ma è ormai certo un dato: i miliziani legati alla rete terroristica sono penetrati nel Paese, prendendo il controllo di ampie parti del territorio.

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