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Autore: Anna Santarello

Afghanistan. Saranno 11 i candidati alle presidenziali 2014

Internazionale – 19 novembre 2013

20131022 154020 0705E5D5(ASCA) – Roma, 19 nov – La Commissione ricorsi elettorali di Kabul ha ultimato una lista di 11 candidati alle elezioni presidenziali in Afghanistan, che si terranno il 5 aprile 2014.

Come riferiscono i media locali, la lista “è stata trasmessa alla Commissione elettorale independente, unico organismo autorizzato a pubblicarla”.

Una lista preliminare, resa nota a fine ottobre, comprendeva i nomi dell’ex ministro degli Esteri afgano, Abdullah-Abdullah, del fratello del presidente Karzai, Qayyum Karzai, e dell’ex ministro delle Finanze, Ashraf Ghani.

I talebani hanno gia’ chiesto alla popolazione afgana di “boicottare le elezioni” e hanno annunciato di non voler riconoscere “la legittimita’ del futuro presidente”.

L’attuale Capo dello Stato afgano, Hamid Karzai, è definito dai talebani come un “burattino nelle mani di Washington” (fonte AFP).

Afghanistan: l’accordo bilaterale tra formalità e opportunità

OsservatorioIraq – Articolo di Claudio Bertolotti

Stati Uniti e Afghanistan potrebbero concludere in tempi brevi, sebbene in maniera parziale, il Bilateral Security Agreement che sancirebbe formalmente la presenza militare USA (e Nato) nell’Afghanistan post-2014.

Molti i punti in disaccordo tra le parti in causa: il principale rimane la questione dell’immunità di cui dovrebbero (secondo i progetti statunitensi) godere le truppe di Washington su territorio afgano. Una questione delicata che, sul piano teorico e formale, potrebbe limitare, se non del tutto escludere, la presenza militare al termine del mandato dell’ONU.

Si tratta infatti di una tematica presente in tutti gli appuntamenti che hanno visto incontrarsi le parti in causa nel corso dell’ultimo anno e mezzo: Washington vuole l’immunità per i propri soldati dalla giurisdizione delle corti giudiziarie afgane; Kabul non è convinta dell’opportunità della concessione di tale immunità.

Se da un lato, sia Kabul che Washington concordano sulla possibilità di una presenza militare statunitense su territorio afgano, dall’altro lato non vi è una visione comune sui termini che dovrebbero definire lo Status of Forces Agreement(SOFA), da cui derivano le garanzie per i soldati statunitensi e i limiti giurisdizionali delle corti afgane.

Quella di Washington non è una richiesta eccezionale, né deve sorprendere poiché ogni nazione che ha impegnati contingenti militari in aree di operazioni gode di status giuridici particolari per i propri soldati; status giuridici volti a tutelare le garanzie di sicurezza e i diritti dei soldati eventualmente incriminati dagli organi giudiziari del paese ospitante. È però opportuno sottolineare che la richiesta è comunque riferita all’immunità e non all’impunita dei soggetti, che comunque rimangono assoggettati ai codici e al diritto dello stato di appartenenza.

Al tempo stesso non stupisce la posizione di Karzai, in cerca di sostegno da parte dell’opinione pubblica afgana e dunque spinto ad assumere un atteggiamento meno accondiscendente nei confronti di un soggetto – gli Stati Uniti e con essi gli alleati della Nato – il cui favore popolare si è progressivamente eroso in maniera significativa.

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Karzai invita talebani a discutere su trattato Usa-Afghanistan

La Stampa – 16/11/2013

dfb96c7294f8c08902021fb8b7546af1 LKabul, 16 nov. (TMNews) – Il presidente afgano Hamid Karzai ha invitato i ribelli talebani a partecipare alla Loya Jirga, la grande assemblea tradizionale, che deve pronunciarsi la prossima settimana sul mantenimento di una presenza militare americana nel Paese dopo il 2014.

Questa assemblea si riunirà per quattro giorni nel Paese a partire da giovedì, per esaminare un trattato bilaterale di sicurezza (Bsa) che Washington e Kabul negoziano faticosamente da diversi mesi.

“Noi chiediamo (ai ribelli) di venire a partecipare alla Loya Jirga per esprimere il loro punto di vista”, ha dichiarato il presidente afgano durante una conferenza stampa a Kabul.

“Fanno parte del popolo afgano, hanno diritto a partecipare a questa assemblea”, ha aggiunto. I talebani, estromessi dal potere nel 2001 da una coalizione guidata dagli americani, hanno già indicato di considerare questa Loya Jirga una “farsa”, avvertendo che i partecipanti saranno “puniti” se fosse approvato un accordo.

TMNews

Afghanistan. Abusi e stigma sociale per le nuove donne poliziotto.

OsservatorioIraq -13 Novembre 2013 – Anna Toro

Afghan Women PoliceNon possono andare a lavorare in uniforme perché rischiano la vita, molestie e abusi sul luogo di lavoro sono all’ordine del giorno, e spesso si vergognano perfino di dire alle famiglie qual è il loro mestiere.

È questa la situazione delle donne che lavorano in polizia in Afghanistan, e a raccontarlo è un’inchiesta condotta dalla statunitense National Public Radio (NPR), con numerose testimonianze – rigorosamente in forma anonima – che dipingono una situazione allarmante:

“Gli agenti maschi mi chiedono apertamente favori sessuali, semplicemente perché credono che le donne entrino in polizia solo per fare le prostitute”, racconta ad esempio Ann (nome di fantasia). O ancora: “Alcune donne vengono promosse solo se accettano di fare certe cose con gli agenti maschi e i superiori”, fino ai racconti di vere e proprie aggressioni nei bagni, negli spogliatoi o negli uffici.

Così, sebbene i vertici della Polizia Nazionale Afgana (ANP) abbiano sempre negato questi abusi, le voci sono iniziate a circolare fin dai primi nuovi reclutamenti di agenti donne dopo il regime talebano, andando ad accrescere lo stigma sociale che queste ragazze si trovano a subire ancora oggi, persino in città più moderne come Mazar-e-Sharif (dove si è concentrata l’inchiesta) e Kabul.

È per questo che il numero delle poliziotte in Afghanistan fatica a crescere, tanto che costituiscono appena l’1% del corpo nazionale: secondo le ultime stime ufficiali, nel 2013 sarebbero in tutto 1551 (su un totale di 157mila agenti), in pratica una ogni 10mila donne afgane, e quasi tutte dislocate nelle città più grandi.

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Mauro: «Via dall’Afghanistan 500 soldati entro dicembre»

Il Manifesto – 14 Novembre 2013

NEWS 87078Entro la fine dell’anno l’Italia ritirerà 486 militari dall’Afghanistan proseguendo così le operazioni di disimpegno in vista del 2014, quando la missione Isaf sarà definitivamente chiusa. Ad annunciarlo è stato ieri il ministro della Difesa Mario Mauro intervenendo nel dibattito in corso alla Camera sul decreto per il rifinanziamento delle missioni all’estero. Quello italiano non sarà però un addio totale. Un po’ a sorpresa, il ministro della Difesa ha infatti spiegato che 800 soldati continueranno a rimanere in Afghanistan per garantire la sicurezza dei mezzi impiegati dalle nostre forze armate.

«Abbiamo compiti di comando di un’intera regione e dobbiamo garantire un’evacuazione coerente», ha spiegato Mauro. Una scelta conseguente alle operazioni di smobilitazione che però il titolare della Difesa ha annunciato come cosa fatta senza che prima ci sia stata nessuna discussione in parlamento, come non hanno mancato di sottolineare alcuni parlamentari di Sel, Pd e M5S.

Il cammino del decreto che rifinanzia con 700 milioni di euro le missioni, prosegue però con fatica il suo cammino. I deputati di Sel e del M5S continuano infatti l’ostruzionismo al provvedimento, che scade il prossimo 9 dicembre, rallentando il più possibile lo svolgimento della discussione in aula.

Un comportamento che però non sembra preoccupare il governo, almeno per ora intenzionato a non porre la fiducia, come ha annunciato ieri il ministro per i rapporti con il parlamento Dario Franceschini.
Per l’Italia la fase di transizione che in Afghanistan prevede il passaggio dei poteri alle autorità locali è ormai completata. «Alla fine di questo passaggio tutti i distretti saranno sotto al responsabilità afghana», ha detto Mauro. «Già oggi l’87% della popolazione vive in aree dove la sicurezza è in mano afghana». Per quanto riguarda la regione ovest del paese, quella a guida italiana, 31 dei 43 distretti sono già sotto controllo afghano e i rimanenti 12, ha concluso Mauro, «lo saranno entro al fine dell’anno».

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Un report dell’Onu registra il più alto livello di produzione di oppio dal papavero afgano

Associated Press (dal sito Rawanews) – 13 Novembre 2013

farmers collecting poppyJalalabad, Afghanistan – la produzione di oppio in Afghanistan è salita quest’anno a livelli record, nonostante gli sforzi internazionali negli ultimi dieci anni per portare il paese fuori dal traffico di stupefacenti, secondo un rapporto pubblicato Mercoledì dalla agenzia di controllo della droga delle Nazioni Unite .

Il raccolto nello scorso maggio è stato di ben 6.060 tonnellate di oppio, il 49 per cento in più rispetto allo scorso anno e più che l’output combinato del resto del mondo. Secondo il report annuale di quest’anno dell’ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il Crimine (UNODC), anche le province afghane che nel passato avevano registrato dei successi nella lotta contro la coltivazione del papavero, hanno visto quelle tendenze invertite.

Il ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan il prossimo anno rischia di rendere le cose ancora peggiori, ha detto Jean – Luc Lemahieu , il rappresentante regionale UNODC a Kabul. Ha segnalato che se l’assistenza internazionale dovesse venire meno, il governo afghano farebbe maggior affidamento su fonti illecite di reddito. L’incertezza sul futuro spinge la produzione di papavero da parte degli agricoltori.

Secondo Lemahieu il grande aumento della produzione è iniziato nel 2010, quando i contadini si precipitarono a piantare per approfittare dei prezzi saliti alle stelle a causa di una malattia che aveva colpito il raccolto dell’anno precedente, l’imperversare dei combattimenti militari degli Stati Uniti nel sud e l’annuncio della transizione della NATO fuori dall’Afghanistan.

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Con i soldi dell’Anpi l’Italia paga le missioni

di CARLO LANIA – 7.11.2013 – il manifesto

Soldati AfghanistanLA DECISIONE DELLA COMMISSIONE BILANCIO
Tolti 300 mila euro all’associazione dei partigiani. Sel e M5S contro il decreto missioni.

I soldi destinati all’Anpi serviranno a finanziare le missioni militari dell’Italia all’estero. E chissà se i partigiani saranno d’accordo. A deciderlo è stata ieri la commissione Bilancio della Camera durante l’esame del decreto sulle missioni in cui sono impegnati i soldati italiani fuori dai confini. A conti fatti i membri della commissione si sono accorti che mancavano circa 300 mila euro per garantire la copertura del decreto ma soprattutto l’operatività dei militari fino al 31 dicembre, data di scadenza del provvedimento. Nessun problema. Nel testo, infatti, sono inseriti anche i finanziamenti destinati a 17 associazioni combattentistiche, tra le quali l’Anpi per la quale era stato previsto 1 milione di euro.

Anziché tagliare i costi riducendo l’impegno militare, la maggioranza delle larghe intese ha pensato bene di attingere a piene mani proprio lì, tra i fondi destinati all’associazione dei partigiani per trovare i soldi necessari a coprire il buco. Detto fatto.

Giusto il tempo di di rifare i conti e il contributo destinato all’Anpi è stato ridotto a 634 mila euro, mentre 366 mila euro sono passati dalle casse (virtuali) dell’associazione partigiani a quelle delle missioni, con il consenso di tutti i partiti – Pd in testa – e con l’unico voto contrario del M5S.

Il provvedimento prevede un finanziamento complessivo di 730 milioni fino alla fine dell’anno, dei quali 260 solo per la missione in Afghanistan. Nonostante le promesse fatte dal ministro degli Esteri Emma Bonino, che aveva garantito un maggior impegno finanziario italiano per i profughi della Siria, alla cooperazione internazionale restano solo le briciole: appena il 2% del totale, pari a soli 23 milioni di euro.

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Finché avrò voce: intervista a Malalai Joya

By Suzanne Persard – Huffington Post, 25 ottobre 2013 – dal sito di Malalai

Finche avro voceIl numero di attentati subiti da Malalai Joya riportato dai media è molto spesso impreciso – la cifra esatta infatti è sette, non sei; senza considerare poi che questo numero si riferisce solo ai tentativi scoperti.

Nel 2007, Joya, giovane parlamentare afghana, venne espulsa dal governo per aver denunciato la presenza di signori della guerra in Parlamento. L’allora ventottenne Joya, attivista per i diritti delle donne, denunciò l’occupazione delle truppe americane in Afghanistan, i loro ufficiali fantocci, e definì i talebani retrogradi e medievali. Da quel giorno le minacce di morte si sono moltiplicate, così come gli attentati per mano dei talebani.

Dopo essere stata cacciata dal parlamento afghano, Joya è stata definita una ‘mafiosa antidemocratica’ e la sua impopolarità, già molto diffusa nel paese, si è estesa anche all’estero. Nel 2011 la richiesta di visto per gli Stati Uniti, dove avrebbe dovuto promuovere il suo nuovo libro, Finché avrò voce, e denunciare in una serie di incontri pubblici l’occupazione americana e le devastanti conseguenze per il popolo afghano, venne rifiutata dal Dipartimento di Stato americano in quanto ‘disoccupata’ e ‘attivista clandestina’. Alla fine, l’ondata di proteste pubbliche e una petizione con oltre 3000 firme – inclusa quella di Noam Chomsky – costrinsero il Dipartimento di Stato americano a rivedere e quindi accogliere la sua richiesta di visto.

Joya, che il mese scorso si trovava a New York per una serie di conferenze, viene spesso confusa con un’altra giovane attivista, anch’essa impegnata nella difesa dei diritti delle donne: la quattordicenne pakistana Malala Yousafzai, sopravvissuta ad un attentato da parte dei talebani e che, a differenza di Joya, è stata molto ben accolta negli Stati Uniti.

Mentre la quattordicenne Yousafzai ha ricevuto una grandissima attenzione da parte dei media americani, la visita di Joya negli Stati Uniti è stata a malapena pubblicizzata. Dei due visti concessi dal Dipartimento di Stato americano, solo uno è stato utilizzato per giustificare l’intervento militare in Afghanistan volto a liberare tutte le donne musulmane oppresse nel mondo.

Joya non ha mai accettato i discorsi imperialisti che vedono gli Stati Uniti come i liberatori del popolo afghano. Joya si è sempre rifiutata di diventare l’ennesimo prodotto mediatico utilizzato per giustificare interventi militari aventi come pretesto la liberazione del popolo afghano e non ha mai esitato a paragonare le violenze e i crimini contro le donne commessi delle truppe americane e Nato a quelli perpetrati dai talebani e dai signori della guerra.

Dai tassisti afghani ai signori della guerra al potere, il nome di Joya echeggia in tutto il paese suscitando derisione, timore ma anche speranza. E mentre la sua campagna per i diritti delle donne e contro la violenza di genere non si ferma, Joya continua a ricevere minacce di morte mentre il numero di vittime di stupro e parenti che si rivolgono a lei in cerca di supporto è in continuo aumento. Dopo aver denunciato la misoginia e il patriarchia dilagante nel governo afghano e tra i fondamentalisti religiosi, Joya continua coraggiosamente la sua battaglia rischiando ogni giorno la propria vita.

Nonostante le atrocità commesse dai talebani, una guerra che ormai dura da dodici anni e le campagne in difesa delle donne, Joya ha accettato di rivelarmi i motivi che la spingono a non arrendersi e a continuare la propria battaglia per la liberazione del suo paese.

Hai sempre chiesto a gran voce la ritirata delle truppe americane dall’Afghanistan, dichiarando che solo il popolo può liberare il proprio paese dagli oppressori. Pensi che una vera rivoluzione democratica in Afghanistan sia possibile?

Nel mio Paese ci vuole tempo, ma grazie alla resistenza del popolo afghano, di studenti universitari, di intellettuali democratici e alcuni partiti politici che si oppongo con tenacia al regime fascista instaurato dalle truppe americane e Nato ed i loro lacché, signori della guerra e talebani – le persone che stanno alzando la propria voce sono sempre di più. Ci vorrà del tempo perché tutt’oggi milioni di afghani – più dell’ 80 per cento della popolazione – vive sotto la soglia di povertà. Il popolo afghano è oppresso da ingiustizie, disoccupazione, corruzione, povertà. Anche la mancanza di educazione è un grande elemento di oppressione per il popolo afghano, specialmente per le donne, le quali sono ancora una volta le principali vittime di violenze e ingiustizie.

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È ufficiale: le elezioni presidenziali in Afghanistan si terranno il 5 aprile

31 ottobre 2013 – Adnkronos

karzai hamid adn 160207 400x300Kabul, 31 ott. – (Adnkronos/Aki) – Le elezioni presidenziali afghane si terranno il prossimo 5 aprile. Lo ha annunciato ufficialmente Fazal Ahmad Manawi, presidente della Commissione indipendente afghana per le elezioni. ”La terza elezione presidenziale afghana dalla caduta del regime dei Talebani alla fine del 2001 si terrà il 5 aprile 2014″, ha detto Manawi nel corso di una conferenza stampa.

Il presidente Hamid Karzai concluderà nel maggio del 2014 il suo secondo mandato di cinque anni alla presidenza e non potrà presentarsi per un terzo mandato. In base alla Costituzione afghana le elezioni devono tenersi entro 60 giorni dalla fine del mandato del capo di Stato. Nel 2009, tuttavia, Karzai rinviò le presidenziali di sei mesi, per motivi di sicurezza, e poi si insediò a novembre dopo una serie di polemiche per le denunce di irregolarità durante il voto.

I risultati delle elezioni presidenziali verranno annunciati il 14 maggio 2014, spiega la Commissione indipendente afghana per le elezioni, mentre l’esito delle elezioni dei consigli provinciali sarà reso pubblico il 7 giugno del prossimo anno.

Se nessun candidato alla presidenza dell’Afghanistan riceverà oltre il 50 per cento dei voti, il 22 maggio si terrà un ballottaggio, ha spiegato il presidente della Commissione elettorale Fazal Ahmad Manawi.

AFGHANISTAN – Tossicodipendenza. Allarme ad Herat

3 novembre 2013 – Aduc.it

NEWS 82184La provincia di Herat, ritenuta “un’isola di stabilita’ e progresso in Afghanistan”, ospita in realta’ una delle citta’ “simbolo” di “una crisi sempre più intensa”. “L’Afghanistan, a lungo leader globale nella produzione di oppio, e’ ora anche divenuto una delle società più colpite dalla dipendenza”. In un reportage da Islam Qala, la citta’ al confine con l’Iran, il New York Times traccia un ritratto inedito della provincia occidentale afghana posta in questi anni sotto il comando militare italiano nell’ambito della missione Isaf della Nato.

Il numero di persone che fanno uso di droghe in Afghanistan e’ stimato in 1,6 milioni di persone, circa il 5,3 per cento della popolazione, “tra le percentuali piu’ alte al mondo”, scrive il Nyt. Secondo i dati del Bureau of International Narcotics and Law Enforcement Affairs del Dipartimento di Stato Usa, in Afghanistan, a livello nazionale, un nucleo familiare urbano su dieci ha almeno un componente che fa uso di droghe.

Nella città di Herat, questa percentuale è di “uno su cinque”. Dal 2005 al 2009, sottolinea il quotidiano Usa, secondo l”Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc), nel Paese l’uso di oppiacei è raddoppiato, mettendo l’Afghanistan al pari di Russia e Iran, mentre il numero degli eroinomani è aumentato del 140 per cento. Da allora, concordano gli esperti, queste cifre sono sicuramente aumentate.

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