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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: i giorni della droga.

Q Code Mag – 2 novembre 2013

Laura Quagliuolo, esponente del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, racconta la tragedia che dodici anni di guerra ha solo aggravato.

Il 7 ottobre, in un assordante silenzio mediatico, la guerra in Afghanistan ha compiuto dodici anni. Dodici anni in cui l’opinione pubblica è stata abituata a credere che il contingente occidentale abbia ristabilito l’equilibrio in un Paese scosso da conflitti interni e in cui la ricostruzione sia ormai cosa avviata.

Ad uno sguardo più attento, tuttavia, le cose appaiono molto diverse. La situazione è ben lontana dall’essere migliorata, come racconta Laura Quagliuolo, esponente del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), ogni anno in Afghanistan per supportare progetti di sviluppo sociale in particolare rivolti alle donne. Si tratta, al contrario, di una costante discesa verso il basso, in cui l’instabilità, la miseria, e la disperazione di un intero popolo vengono mascherate agli occhi del mondo dai segni di una ricostruzione scintillante, ma unicamente esteriore.

“I soldi arrivati dall’Occidente in questi anni” spiega Laura. “Sono stati quasi interamente dragati dai governanti. Attraverso ONG di facciata, fingono di finanziare progetti di cui – in realtà – intascano la maggior parte dei fondi. Per tentare di mettere fine a questo sperpero i governi occidentali ora finanziano progetti in Afghanistan solo se prevedono il coinvolgimento di ministeri afghani. Tentativo fallito, visto che non esiste un vero controllo sulle risorse e si chiudono gli occhi di fronte alla corruzione dei ministri stessi”.

“La ricostruzione è quasi totalmente in mano a privati, che, ad esempio, costruiscono giganteschi Wedding Hall nelle strade di Kabul, palazzi che non servono che ad affermare lo status symbol dei più ricchi, dei pochissimi che possono permettersi matrimoni da migliaia di dollari. Il 90 per cento dei matrimoni, però, continua ad essere combinato e la condizione delle donne è sempre peggiore: soprattutto nelle zone rurali è schiava, tenuta nel canile, stuprata e bastonata tutti i giorni. La presunta ricostruzione e lo sviluppo del Paese – quindi – non sono che una maschera dietro cui si nascondo giri di soldi e di armi”.

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Madri-bambine il dramma si combatte con l’istruzione

BlogLive – 2 novembre 2013

spose bambine7,3 milioni le ragazze che partoriscono prima dei 18 anni

Si chiama “watta satta”, letteralmente dare-avere, la forma di scambio matrimoniale attualmente diffusa soprattutto in Pakistan e Afghanistan.
Il watta satta implica il matrimonio contemporaneo di una coppia di fratello e sorella con due appartenenti allo stesso nucleo familiare e in molti casi comprende le coppie zio-nipote o le coppie di cugini.

Questa forma di matrimonio, tipicamente endogama, è la più diffusa in Pakistan, dove più del 75% dei matrimoni avviene tra consanguinei.
“Avevo 16 anni e non avevo mai perso un giorno di scuola. Studiare mi piaceva così tanto. Sognavo di andare al college, trovare un buon lavoro e portare via i miei genitori dalla squallida baracca in cui abitavamo. Poi, un giorno, mi hanno detto che dovevo lasciare tutto: mi avevano scambiato con la fidanzata promessa a mio fratello maggiore.“. A parlare è Komal, 18 anni, India, dalle pagine de La ventisettesima ora del Corriere della Sera.

Ma le spose bambine e soprattutto le madri bambine sono tantissime nel mondo, come emerge dal Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2013 dell’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione). “Madri bambine: affrontare il dramma delle gravidanze tra adolescenti”, è stato il titolo scelto in Italia per la presentazione in contemporanea mondiale il 30 ottobre 2013.
Lanciato da AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo, il Rapporto ha messo in evidenza le principali sfide poste dal fenomeno della gravidanza adolescenziale e le gravi ripercussioni sulla vita delle ragazze, sull’istruzione, la salute e le opportunità lavorative future, indicando anche cosa è possibile fare per invertire questa tendenza e proteggere i diritti umani delle ragazze.

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Afghanistan, cresce l’allarme per i bambini ballerini vittime di abusi e stupri.

Le persone e la dignità – I Blog del Corriere della Sera – di Monica Ricci Sargentini – 1 novembre 2013

afghan dancing boyLa Commissione indipendente afghana per i diritti umani (Airch) lancia l’allarme per la diffusione in Afghanistan del fenomeno dei bacha bazì, i bambini ballerini: “Ci sono molte leggi nel Paese, ma la legge contro questa pratica non è stata attuata, nessuno è stato arrestato per questo tipo di sfruttamento” che è molto simile alla pedofilia, ha denunciato ieri Suraya Subhrang, commissario dell’Airch, citata dalla tv afghana Tolo. Per questo la Commissione è determinata ad avviare un programma su livello nazionale per fare luce sul fenomeno.

Le organizzazioni umanitarie hanno documentato numerosi casi di molestia sessuale nei confronti dei ragazzini maschi attraverso questa sorta di spettacolo o di danza che i bambini fanno per una platea soltanto maschile. La tradizione nasce dal fatto che nella cultura afgana le bambine e le donne non possono ballare di fronte agli uomini.

Di solito questi piccoli attori vivono con un padrone o un protettore. E spesso diventano le vittime di abusi e stupri.

L’Airch, che ha chiesto la collaborazione delle organizzazioni della società civile e degli apparati della sicurezza, aveva lanciato
l’allarme già il mese scorso denunciando come sempre più bambini e ragazzini afghani siano costretti ad abusi, a essere sfruttati come schiavi sessuali, a vestirsi da donne per danzare nelle feste riservate agli uomini. Secondo le denunce questa vecchia “usanza”, proibita dal regime dei Talebani (1996-2001), è diffusa tra i ricchi e i potenti afghani.

E il fenomeno è alimentato, stando all’Airch, dalla povertá delle vittime e dei molti bambini sfollati e orfani nel Paese martoriato da decenni di guerre. Anche per questo resta uno degli abusi meno denunciati. L’Unicef ha più volte lanciato l’allarme.

Il discorso della famosa politica afghana Malalai Joya all’Università del Minnesota

Defense Committee of Malalai Joya – di Erik Randall, Università del Minnesota – 18 ottobre 2013

malalai joya ucsb 2013Il 16 ottobre scorso Malalai Joya, celebre politica afghana ed ex-membro del parlamento, ha tenuto una conferenza presso l’Università del Minnesota. Joya è ammirata e sostenuta da molta gente, sia nel suo paese che nel mondo intero, per il suo coraggioso attivismo politico. È stata pioniera in Afghanistan nella lotta per i diritti delle donne, la trasparenza politica e la riforma democratica; la sua aperta opposizione verso la tolleranza del governo afghano nei confronti del terrorismo e della violenza le ha causato l’espulsione dal parlamento nonché sei tentativi di assassinio.

Il principale e più lungo messaggio che Joya ha trasmesso durante la conferenza è stata l’appassionata opposizione a ciò che ha definito l’imperialismo e il colonialismo americano nel suo paese. I vaghi obiettivi per cui gli Stati Uniti avrebbero dato avvio alla “guerra al terrorismo” hanno causato un un prolungato periodo di caos e distruzione nel mondo islamico e un’infinita quantità di danni collaterali, ricaduti principalmente sulla popolazione civile afghana.

Joya ha dichiarato che durante l’occupazione americana lo standard di vita e di sicurezza delle donne è peggiorato, in pieno contrasto con il ripetuto mantra secondo cui una delle ragioni della guerra in Afghanistan sia l’abissale mancanza di diritti delle donne in questa parte del mondo.

Per dare un esempio di questa ipocrisia, Joya ha mostrato la famosa copertina della rivista Time con la foto di Bibi Aisha, una donna a cui era stato tagliato il naso, e la scritta “Cosa succede se lasciamo l’Afghanistan”. Ironia della sorte, questo crimine è stato commesso proprio durante l’occupazione americana in Afghanistan. Ma c’è di peggio: Joya ha affermato che la presenza degli Stati Uniti nel suo paese non fa altro che rafforzare quei gruppi estremisti che costituiscono la più grossa minaccia per le donne.

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Che cosa ha realizzato l’occidente in Afghanistan?

Stop the War Coalition – Rabia Khan – 19 ottobre 2013

È facile descrivere l’Afghanistan come uno “stato fallito” senza contestualizzare le ragioni per cui il paese è in tumulto.

Nel 2014 vedremo il ritiro delle truppe NATO dall’Afghanistan, dodici anni dopo l’inizio della guerra contro Al Qaeda e i Talebani, cominciata nell’autunno del 2001.
Molte sono state le spiegazioni fornite per giustificare l’invasione in Afghanistan – dalla necessità di trovare e punire coloro che avevano causato lo scempio dell’11 settembre, alla liberazione delle donne afghane e allo sradicamento del commercio di oppio. I politici e i media hanno costantemente cercato di legittimare questa guerra agli occhi del pubblico.

Nelle settimane che seguirono l’11 settembre ci venne detto che l’invasione era un atto di auto-difesa da parte di George W. Bush e della sua amministrazione, sottolineando che non si trattava di una ritorsione. Giudicare se l’invasione fosse legalmente o moralmente giustificata richiederebbe molto tempo e molte energie, ma se sia stata o meno un successo può essere determinato dai fatti.

Vittoria o sconfitta?
Sembrano esserci ben poche cose positive da citare circa il “successo” dell’invasione.
Certo, l’arrampicata al potere dei Talebani nelle maggiori città afghane è diminuita e in queste città c’è più libertà per le donne, che sarebbero altrimenti confinate nelle loro case. In questi luoghi la possibilità per le ragazze di ricevere un’educazione è decisamente più elevata che nel resto del paese, ma purtroppo ciò accade solo dove ci sono le basi NATO.

La crescita della produzione di oppio è esponenziale, nonostante le offerte di “sussidio” a quegli agricoltori che ne evitano la coltivazione. Questa offerta è decisamente poco allettante se si considera l’enormità dei raccolti di oppio esistenti e l’ottimo clima che l’Afghanistan offre per la sua crescita, per non parlare del grande profitto che se ne può trarre.

Inoltre, la presenza dei Talebani nel sud del paese è difficile da rimuovere. Recentemente le forze britanniche hanno subito molte perdite nelle province di Kandahar e di Helmand, e nella provincia di Herat i Talebani sono ancora molto forti. Si potrebbe anche argomentare che l’intera operazione è stata infruttuosa, poiché Osama Bin Laden è stato ucciso quasi dieci anni dopo l’invasione dell’Afghanistan. Bin Laden non è stato trovato nelle Montagne Hindu Kush tra l’Afghanistan e il Pakistan, dove l’intelligence statunitense credeva si nascondesse, ma in una zona panoramica e tranquilla del Pakistan del nord.
A maggior ragione, ora che l’intenzione degli Stati Uniti è quella di costruire un dialogo con i Talebani, sorge spontaneo chiedersi se tutte le drastiche azioni effettuate finora siano state veramente necessarie per combattere l’estremismo. Se poi aggiungiamo la costante crescita di Al Qaeda nello Yemen, in Siria e nell’intero Maghreb, l’intera operazione appare completamente inutile.

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Afghanistan: diritti umani sotto assedio

Da osservatorio iraq – Articolo di Anna Toro

C’è anche un ex talebano tra i nuovi membri della Commissione afghana per i diritti umani (AIRCH), nominati dal presidente Ahmid Karzai. E le polemiche, dentro e fuori dal paese, non si sono fatte attendere.

Dalla società civile alla comunità internazionale, le scelte di Karzai hanno fatto infuriare tutti. Il nome della discordia è soprattutto quello del mullah Maulavi Abdurrahman Hotak, un ex talebano che, secondo alcuni rapporti, avrebbe lavorato al ministero dei trasporti durante il loro governo. Una scelta che molti hanno definito quantomeno provocatoria, dato che i nuovi commissari rappresenteranno e guideranno l’importante istituto nazionale che si occupa proprio della salvaguardia dei diritti umani di tutti gli afghani.

Ma non è l’unica nomina contestata. Partendo da Qadira Yazdanparast, avvocato ed ex membro del Parlamento, legata a Jamiat-e Islami, il potente partito del nord che conta tra le sue fila diversi ex signori della guerra. Ma anche Hawa Alam Nurestani, ex deputata considerata troppo vicina al presidente Karzai, e Ayub Asil Mangal, generale pluridecorato ora in pensione.

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Gli Usa: «Immunità per le nostre truppe»

Il Manifesto – 17/10/2013 – G. Battiston

BattistonQuesta la condizione per restare nel 2014. È il nodo rimasto non definito anche dopo la venuta di Kerry, anche se Karzai è favorevole. i Talebani: «Le loro basi non saranno mai accettate. La Jihad armata continuerà»

Con la visita a sorpresa nella capitale afghana del segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry, l’accordo bilaterale di sicurezza tra Afghanistan e Usa sembra più vicino. Così almeno hanno fatto credere Hamid Karzai e John Kerry nella conferenza stampa che ha concluso i due giorni di consultazione avuti la settimana scorsa a Kabul.

Hanno parlato di progressi notevoli, di un accordo di base su alcuni punti chiave, si sono detti soddisfatti della ritrovata sintonia. Era almeno da giugno, infatti, che i toni si erano inaspriti: l’apertura dell’ufficio politico dei Talebani a Doha, in Qatar, fortemente voluta dagli americani, era stato criticata da Karzai. Per il quale era inaccettabile che gli studenti coranici presentassero quell’ufficio come una sorta di ambasciata in esilio.

Così, Karzai aveva deciso di interrompere i colloqui per il processo di pace e i negoziati sull’accordo bilaterale di sicurezza con gli americani. Un accordo importante, perché da quello dipende la presenza e lo status delle truppe americane sul suolo afghano dopo il 2014, quando terminerà la missione Isaf-Nato. Da politico scaltro, Karzai ha tirato la corda finché ha potuto, finendo con il criticare apertamente i risultati dell’occupazione militare in un’intervista a BBC Newsnight di pochi giorni fa. Dove ha contestato i metodi usati dai soldati stranieri nelle loro operazioni militari – un suo vecchio cavallo di battaglia – e sostenuto che il paese è «meno sicuro di prima», nonostante tanti anni di intervento militare.

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Il 60 percento dei bambini afgani soffre di malnutrizione

Pajhwok – 16 ottobre 2013
 
KABUL: Il World Food Program ha comunicato che oltre 842 milioni di persone  in tutto il mondo sono prive di cibo adeguato e, nel solo Afghanistan, il 60 percento dei bambini Afghani soffre di malnutrizione.

“Mentre i problemi di sicurezza legati all’insorgenza e all’aggressione straniera monopolizzano il dibattito sull’Afghanistan, una forma meno visibile di insicurezza – la carenza di cibo e la malnutrizione – minaccia anche la prosperità del paese”.

Il World Food Program comunica di aver lavorato a lungo in Afghanistan insieme a un certo numero di altri paesi della regione dell’Asia meridionale.

Claude Jibidar, Direttore del WFP per l’Afghanistan ha detto che “Il WFP lavora con il Ministero della sanità pubblica e altri partner per il trattamento e la prevenzione della malnutrizione acuta nei bambini piccoli”. ” Forniamo anche alimenti specializzati per madri malnutrite e donne incinte.”

Dalla dichiarazione emerge che gli investimenti nella sicurezza alimentare da parte dei governi nazionali e della comunità internazionale nel suo insieme sono estremamente limitati.

Il WFP ha detto che se la comunità internazionale avesse investito 1,2 miliardi di dollari all’anno, cifra di molto inferiere rispetto a ciò che viene speso di anno in anno da molti governi occidentali per le proprie forze armate, il problema della carenza di cibo per i bambini in tutto il mondo sarebbe completamente risolto.

Afghanistan: criminali candidati alle elezioni presidenziali

Human Rights Watch – 9 Ottobre 2013

HRsW(Kabul) – I candidati alle elezioni presidenziali del 2014 in Afghanistan sono ex militari e comandanti delle milizie implicati in gravi violazioni dei diritti, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il fallimento del governo afgano nel perseguire questi criminali pone in primo piano l’importanza dell’accountability nel futuro dell’Afghanistan.

Human Rights Watch ha chiesto al governo afghano l’abrogazione della recente amnistia e delle leggi elettorali che impediscono alla Commissione per i reclami elettorali di bandire i candidati alla presidenza e alla vice presidenza che sono responsabili di atrocità del passato.

La Costituzione dell’Afghanistan impedisce che “individui condannati per crimini contro l’umanità, atti criminali o che siano stati privati dei diritti civili da parte del tribunale” di correre per la carica elettiva. Ma il fallimento del governo afghano negli ultimi dieci anni nel perseguire penalmente i responsabili di gravi crimini, ha reso la disposizione inefficace.

Dal momento che non ci sono state indagini sistematiche o azioni penali per le atrocità del passato, nessun comandante di milizie è stato  condannato per uno dei massicci abusi che hanno avuto luogo in Afghanistan durante gli ultimi 35 anni di guerra.

Human Rights Watch, 9 October 2013

Afghanistan: Rights Abusers Join Presidential Race Looming Elections Spotlight Urgency of Justice

(Kabul) – Candidates for the 2014 presidential elections in Afghanistan include former military and militia commanders implicated in serious rights abuses, war crimes, and crimes against humanity. The Afghan government’s failure to prosecute or disqualify those responsible for grave crimes underscores the importance of accountability in Afghanistan’s future.
Human Rights Watch called on the Afghan government to seek the repeal of recent amnesty and election laws that prevent the Electoral Complaints Commission from disqualifying presidential and vice presidential candidates responsible for past atrocities.

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Se avete fiducia nelle elezioni presidenziali afghane lasciate le armi a casa

by Matthew Rosenberg and Rod Nordland del NYTime – 6 ottobre 2013-  RAWANews

gul agha sherzai governor provincesGul Agha Shirzai, ex governatore delle provincie di Nangarhar e Kandahar accusato di abuso di minori.

Kabul, Afghanistan – Domenica è scaduto il termine per registrarsi alle prossime elezioni presidenziali in Afghanistan e la commissione elettorale ha avanzato una richiesta ai candidati: “Il giorno della registrazione, lasciate a casa le armi”.

Da diversi mesi ufficiali afghani e stranieri considerano le prossime elezioni, previste per il 5 Aprile, l’opportunità del popolo afghano di decidere le sorti del proprio paese una volta che le forze della coalizione guidate dagli americani si saranno ritirate. Tuttavia una ragione per cui i candidati girano ancora con guardie armate c’è. L’ottimismo generale è in realtà mascherato da un profondo pessimismo e si teme che anche le prossime elezioni saranno segnate da brogli e un’ondata di violenza.

Tra i candidati in lista vi è l’esperto tecnocrate e noto diplomato, entrambi privi di un elettorato in Afghanistan.
C’è l’uomo accusato di pedofilia, un tempo fidato collaboratore della CIA, e un altro accusato di crimini di guerra che tentò di far passare la legge che prevedeva l’amnistia per tutti coloro che si erano macchiati di simili barbarie. Infine c’è il candidato che non prenderebbe nemmeno il voto del fratello, l’attuale presidente Hamid Karzai nonché l’uomo che tutti sognano di rimpiazzare.

I candidati rappresentano una grande fetta dell’élite politica ed economica del paese arricchitasi negli ultimi dodici anni grazie al sostegno degli Stati Uniti. Per tutti coloro impegnati nel processo di modernizzazione dell’Afghanistan in seguito alla caduta del regime talebano – attraverso l’apertura di siti web e reti televisive, la difesa dei diritti delle donne – le prossime elezioni saranno l’ennesima riprova che il paese è tutt’oggi nelle mani di personaggi conservatori, molti dei quali con trascorsi assai controversi.

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