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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: rinvenuta una lista di 5.000 persone giustiziate nel 1978-1979

Kabul Press, September 18, 2013 

protest saajs for martyrsProtesta del SAAJS del 10/12/2012 per commemorare la memoria dei martiri di tre decenni e chiedere la condanna dei criminali

Così tante persone sono state uccise nel 1978-1979, che sono state usate le ruspe per portarli in una fossa dietro la prigione di Pul-i-chargi
Nel corso di una indagine riguardante i crimini di guerra le torture e le uccisioni, la Crimes Unit internazionale della polizia nazionale olandese ha ottenuto gli elenchi di Morte dall’Afghanistan, risalenti al 1970. Quasi 5000 i nomi sono elencati in questi documenti, in cui le autorità hanno meticolosamente registrato gli omicidi del regime.

Questi elenchi pongono fine all’incertezza di numerosi parenti che sono stati al buio per decenni sul destino dei loro padri, fratelli, zii, cugini e altre persone care.

Afghanistan Death Lists of 5000 people executed to end uncertainty of relatives

She heard that so many people were killed in 1978-1979, that bulldozers were used to bring them to a place behind Pul-i-Chargi Prison
In the course of a War Crimes investigation concerning Torture and Killings, the International Crimes Unit of the Netherlands National Police has obtained Death Lists from Afghanistan, dating from the 1970s. Almost 5000 names are listed in these documents, in which the authorities meticulously recorded the regime’s killings.

These lists end the uncertainty of numerous relatives who have been in the dark for decades about the fate of their fathers, brothers, uncles, cousins and other loved ones.

The Investigation

Under the supervision of the National Prosecutor’s Office, the Netherlands Police started investigating Amanullah O. in 2010. He was suspected of having committed War Crimes in Afghanistan in 1978 and 1979. The investigation focussed in particular on O.’s involvement in Torture. Under his responsibility as chief of the Interrogation Department of the Afghan Security Service AGSA – predecessor of the KAM, KhAD and WAD – people were purportedly arrested, interrogated and tortured. The methods that were used include beatings, electricity and sleep deprivation.

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HALIMA E LE ALTRE

L’Unità – settembre 2013 di Cristiana Cella

La giornata è bella, è fine aprile. Siamo nel distretto di Ab Kamari, provincia di Baghdis, Afghanistan occidentale. Gli abitanti del villaggio riempiono le colline brulle come per un pick nick. Sono più di 300. Aspettano, come per uno spettacolo. Ascoltano il mullah, Abdul Ghafur, uno dei religiosi più autorevoli della zona, vestito di bianco. Parla con un megafono e decreta, con assoluta naturalezza, la condanna a morte di Halima, forse 20 anni, che aspetta il suo destino in ginocchio sotto al burka, colpevole di adulterio.

Lo stadio dei talebani non è lontano. Tutti sanno – dice il mullah – che non piove da tempo. Succede a causa dei peccati commessi. Bisogna punire i colpevoli perché Dio perdoni. La sentenza sarà eseguita dal padre, è un suo diritto. È la vittima principale del disonore causato dalla figlia.

Il video, diffuso da El Mundo, (El Mundo.es) mostra anche l’esecuzione. Due spari secchi e il villaggio intero che grida, con un parossismo crescente: ’Allah o akbar’, Dio è grande, correndo tra l’erba rada. Il pianto disperato di donna nel sottofondo, probabilmente la madre. Un ragazzo si butta a terra disperato, forse il fratello. Le immagini sono un cazzotto nello stomaco, emergono dall’inferno sommerso afghano, come a volte succede, con orribili storie che fanno il giro del mondo, al centro della scena per qualche giorno.

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Gli esportatori hanno frodato il governo afghano di milioni di dollari in imposte sul reddito

The Killid Group – 16 Settembre 2013 di Zarghoona Salehi

arton47738 79b65Gli esportatori afghani hanno frodato il governo di milioni di dollari in imposte sul reddito nel corso degli ultimi quattro anni. Un’indagine da parte della Independent Media Consortium Productions (IMCP) rivela una massiccia svalutazione del dati relativi alle esportazioni da parte del settore privato.

L’indagine è stata condotta sulla base delle informazioni fornite dalla Camera di Commercio e Industria (CCI), i commercianti e gli esportatori. Mentre l’ufficio dell’Agenzia di Promozione Export dell’Afghanistan (EPA) riporta che il totale delle esportazioni lo scorso anno è stato di 410 milioni di dollari, calcoli indipendenti di IMC mostrano che la cifra più probabile è di 1,5 miliardi di dollari.

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LA PAURA DI NON ESSERE CREDUTI

di Daniele Giaffredo*

p31000301headerQuando sono tornato dall’Afghanistan, mi è venuta. E non la smette, ricompare ogni volta che mi si chiede “come è andata? Com’è la situazione laggiù?”. Ho scoperto che non alzo gli occhi mentre parlo, racconto a testa bassa con angoscia, l’angoscia di osservare nel volto di chi mi ascolta la compassione verso un infelice, o la disapprovazione verso un bugiardo.

Li chiamano campi profughi, quelli dove si cerca di vivere a 20 sotto zero d’inverno e a 40 sopra zero d’estate. Migliaia di esseri umani sono in vita in agglomerati di fango, nylon e lamiere. I funzionari strapagati delle grandi agenzie o delle ambasciate internazionali, dall’alto dei loro blindati, non possono far finta di non vedere, perché i campi – 14 nella sola Kabul – sono spesso nel bel mezzo delle città.

Quegli esseri umani che muoiono di freddo, di malattie, di fame, cui nessuno garantisce un accidente d’acqua potabile, hanno lasciato da dieci anni villaggi e aree del loro stesso Paese, dove c’è una guerra che è cominciata e non smette più.

Le chiamano donne, le chiamano bambine, quelle cui viene impedito di uscire di casa se non accompagnate da un uomo della famiglia, quelle obbligate a sposare uomini che hanno trenta o quarant’anni in più, quelle – oltre 2000 ogni anno – aggredite o violentate perché osano andare a scuola. Quelle che chiedono giustizia e ricevono indifferenza, o nuove violenze e discriminazioni perché denunciano i loro oppressori.

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Kabul: quando mancano i gabinetti

Unimondo.org – 20 agosto 2013 – Articolo di Andrea Bernardi

Kabul quando mancano i gabinetti mediumKABUL – Le strade che si snodano nel quartiere di Shar e-Now sono lisce come una pista da bowling. Se Shar e-Now fosse un quartiere di Dubai nessuno si sarebbe sorpreso. Invece è un sobborgo elegante e frequentato dagli occidentali di Kabul, la polverosa capitale dell’Afghanistan. I mezzi asfaltatori della municipalità sono al lavoro giorno e notte.

Neppure in questi caldi giorni si sono fermati. Certo, complice il ramadan la produttività dei lavoratori, che non mangiano e bevono per oltre 15 ore non è stata delle migliori nell’ultimo mese. I fondi della comunità internazionale danno qualche risultato visibile a tutti. Uomini con divise arancioni entrano ed escono dai cantieri. Nelle ore di punta, quando la città è intasata in lunghe code di Toyota corolla e fuoristrada, la polvere è insopportabile quasi quanto gli autisti che suonano il clacson come in un carosello per la vittoria di un campionato di calcio.

Hanno iniziato da più di un anno, nei quartieri più ricchi, lasciando a se stessi, almeno per adesso, quelli più poveri. Ma questo avviene un po’ ovunque. Non è solo un male dell’Afghanistan. Basta imboccare la Salang road che porta fuori dalla città per capire che il lavoro da fare è ancora lungo. Nella piazza dove partono gli autobus e dove centinaia di persone aspettano un lavoro giornaliero di qualche dollaro, le buche costringono ad uno zig zag da mal d’auto. Le auto, che non sono certamente l’esempio del rispetto del codice della strada, si gettano velocemente da un lato all’altro della carreggiata. “Qui ci passano poche volte con le loro auto i nostri politici”, dice Guldam, che di lavoro fa il guardiano per una Organizzazione non Governativa e per arrotondare l’autista.

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Afghanistan: fermiamo la legge bavaglio contro le donne!

Avaaz.org – VAI AL SITO E FIRMA LA PETIZIONE

6075 Sahar Gul pictured in Dec 010 1 460x230Ai membri della Camera alta dell’Assemblea Nazionale afghana e al presidente del Comitato Legislativo, Malawi Ghulam Muhiuddin Monsef:
“Noi tutti siamo scioccati dai cambiamenti proposti al codice di procedura penale che impedirebbero ai familiari delle persone accusate di comparire come testimoni. Questo pericoloso emendamento non solo permetterebbe agli aguzzini di donne e bambine di restare in libertà, ma rappresenterebbe un pericoloso precedente nella battaglia per migliorare i diritti delle donne e lo Stato di diritto in Afghanistan. Vi esortiamo a votare contro questo emendamento e a fare tutto quanto in vostro potere per impedire che diventi legge”.

Venduta come sposa a 12 anni, Sahar Gul ha vissuto in una vera e propria casa degli orrori. I suoi parenti acquisiti la tenevano segregata in cantina, la picchiavano con tubi di ferro rovente, la affamavano, sono arrivati a strapparle tutte le unghie perché si rifiutava di prostituirsi per loro.

E ora, la sentenza per i suoi aguzzini è stata ridotta a un solo anno e sono di nuovo liberi! E quel che è peggio è che la Camera bassa del Parlamento ha appena approvato un progetto di legge che vuole vietare ai familiari degli imputati di testimoniare nei processi. Questo impedirebbe a innumerevoli donne e bambine di ottenere giustizia.

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Afghanistan: difficoltà per chiusura del carcere di Bagram, la “seconda Guantánamo”

RISTRETTI Orizzonti – Adnkronos, 5 agosto 2013

La chiusura del centro di detenzione noto ormai come “la seconda Guantánamo” potrebbe essere una delle sfide più difficili da affrontare per gli americani nell’ambito della guerra in Afghanistan. Sono 67 i detenuti non afghani che si trovano nella prigione della base aerea di Bagram, fuori Kabul, alcuni dei quali sarebbero operativi di al-Qaeda catturati in tutto il mondo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.

Chiudere la struttura presenta molti dei problemi che l’amministrazione Obama ha già riscontrato per la chiusura di Guantánamo, sull’isola di Cuba. Ma, secondo alcuni funzionari americani, una soluzione al caso afghano sarebbe ancora più complicata e urgente.

Quest’anno il governo americano ha consegnato alcuni detenuti afghani alle autorità locali, ma il dilemma resta cosa fare con i prigionieri stranieri. “C’è un piano? No. C’è il desiderio di chiudere la struttura? Si”, ha detto il generale americano Joseph Dunford, comandante della forza della Nato in Afghanistan, Isaf.

Il dipartimento di Stato e il Pentagono non sono stati in grado di elaborare una strategia per il processo o il rimpatrio dei detenuti di Bagram, che provengono da oltre una decina di Paesi e che nel frattempo continuano anche ad aumentare, l’ultimo è arrivato lo scorso mese.

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Afghanistan: dentro il carcere femminile di Herat

www.corriere.it – 7 agosto 2013

In Afghanistan, dove è troppo facile per le donne essere arrestate – di Gianluca Russo

HERAT – Non dà l’idea di un vero carcere. In pieno centro di Herat, nell’ovest dell’Afghanistan, c’è l’unico istituto penitenziario della città con un reparto femminile all’avanguardia che sembra più una casa famiglia. Nella città in cui le donne sembrano non esistere, e ce ne sono tante, questo carcere è ben lontano dalle strutture carcerarie tradizionali. Un luogo in cui le detenute sono chiamate «ospiti», colpevoli di reati che, in una concezione puramente occidentale, non sarebbero tali.

GLI ARRESTI – Per le donne afghane essere arrestate è facile, troppo facile. Molte ragazze fuggono da casa o s’innamorano di un uomo non a loro assegnato. Questo è reato. «Sono ragazze con una marcia in più» racconta la vicedirettrice del reparto femminile che in occasione delle visite di giornalisti e militari, è solita raggruppare le ragazze nella stanza più grande del carcere per le interviste. La struttura nasce nel 2009 finanziata dall’Unione Europea e dal Ministero della Difesa italiano con 400 milioni di euro, progetto affidato al Prt (Provincial Reconstruction Teams) del Regional Command West di Herat.

I REATI (ASSURDI) – «Ci sono 160 detenute in questo momento» spiega il colonnello Gholam Haidar Talash, vicedirettore del carcere di Herat che è convinto che il carcere rappresenti una possibilità per le donne, di affrontare meglio la vita fuori. «Alcune di loro sono in arresto per aver subìto uno stupro» spiega Talash. Il colonnello è consapevole che per gli occidentali è molto difficile concepire questo reato. Una ragazza racconta di aver ucciso il marito dopo ripetuti maltrattamenti. Ha trentadue anni, un figlio di sei ed è in carcere da cinque, decide di farsi intervistare: «Mio marito era tossicodipendente e mi picchiava senza motivo…per questo l’ho ucciso».

Molte detenute, aspettano il passare dei giorni e la fine della pena, con l’idea di tornare nei propri villaggi una volta fuori. Poche ragazze hanno intenzione di lasciare il paese e c’è chi crede in un cambiamento radicale in meglio per l’Afghanistan. Nella sartoria una donna anziana cuce a macchina e scopre fiera il viso segnato dalle rughe: è la prima a incrociare gli sguardi dei curiosi che la osservano.

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Afghanistan: la vita mancata dei bambini.

Mondoinformazione, – 26 luglio 2013, scritto da Marta Villani (13 giugno 2012).

Uno studio promosso da UNICEF e dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon sulla situazione dell’infanzia nel tormentato stato dell’Afghanistan ha rivelato in queste ore dati sconcertanti; come al solito i freddi numeri portano a inquadrare la gravità dei problemi. Si è registrato infatti che nel 2011 sono stati uccisi solo in questo paese circa 1756 bambini, praticamente 5 al giorno; vite spezzate dagli attacchi suicidi dei kamikaze, dai bombardamenti più quotidiani che periodici e dal loro arruolamento nelle milizie delle Forze di Sicurezza Nazionali afghane.

Ha dichiarato il vice rappresentante dell’Unicef in Afghanistan, Vidhya Ganesh: “È assolutamente necessario che tutte le parti in conflitto facciano il possibile, adesso, per proteggere la vita e i diritti di base di ogni bambino dell’Afghanistan”.

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Leader religioso afghano approva un editto restrittivo per le donne.

Radio Free Europe Radio Liberty – July 25, 2013, By FRUD Bezhan (22 Luglio 2013)

9E21AEBD 778F 49B8 BC8A E2A64F1024D5 w640 r1 sUna delle più importanti figure religiose dell’Afghanistan ha difeso una serie di decreti religiosi che, hanno messo in guardia gli osservatori, potrebbero erodere ulteriormente i diritti delle donne nel paese.

Gli otto articoli della fatwa sono stati emessi nel distretto di Deh Salah nella provincia settentrionale di Baghlan il mese scorso, da un ulema locale o dal consiglio religioso. Tra gli editti c’era un divieto per le donne uscire di casa senza un accompagnatore maschio, e un altro che vietava la vendita di prodotti cosmetici sulla base del fatto che essi sono “non islamici” e promuovono l’adulterio.

La fatwa, che ricorda gli editti rigorosi imposti dai talebani durante il loro governo, è stata condannata da attivisti per i diritti e da molti degli abitanti del quartiere. Ma anche se solo gli esponenti religiosi hanno il diritto di emettere tali editti, le maggiori figure religiose del Paese sono rimaste in silenzio, fino ad ora, sulla questione.

Le cose sono cambiate quando Mawlawi Enayatullah Baligh, un consigliere presidenziale che fa parte del gruppo religioso più importante in Afghanistan, il Consiglio degli Ulema, ha fermamente difeso gli editti mentre discuteva la chiusura dei negozi di cosmetici. “Non possibile che questi negozi possano rimanere aperti”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters il 20 luglio.

“I negozi sono per il lavoro, non per l’adulterio.”
La fatwa impedisce anche alle donne di andare negli ospedali senza un accompagnatore maschile e ordina senza specificare dei codici di abbigliamento più severi per le donne.

Il documento ha anche minacciato non meglio specificate “punizioni” per chi non obbedisce. Durante dominio dei talebani, il famigerato ministero per la promizione della virtù e la prevenzione del vizio e la polizia religiosa picchiava pubblicamente le donne per aver infranto le regole imposte dal gruppo.

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