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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: Italia in guerra al cento per cento

Enrico Piovesana, 9 luglio 2012,  Eilmensile

amxafg 300x187A fine gennaio il ministro ‘tecnico’ della Difesa Di Paola aveva annunciato che i nostri cacciabombardieri schierati in Afghanistan sarebbero stati impiegati anche in operazioni di bombardamento. Una decisione eminentemente ‘politica’ imposta in spregio all’articolo 11 della nostra Costituzione e alle regole della nostra democrazia parlamentare – la modifica dei ‘caveat’ decisi dal Parlamento è stata solo notificata in un’audizione in commissione, mentre doveva essere dibattuta e votata in aula.
Una decisione tradotta subito in pratica con il regolare impiego dei quattro Amx del 51° stormo dell’aeronautica militare in azioni di bombardamento. Azioni che – conferma a E-il Mensile il tenente colonnello Francesco Tirino, portavoce del contingente italiano in Afghanistan – si sono moltiplicate nelle ultime settimane con il lancio dell’operazione Shrimp Net (rete per gamberi) nella provincia di Farah, volta a debellare la resistenza talebana nei distretti del Gulistan e di Bakwa in vista della loro riconsegna alle forze armate afgane in autunno.
 
Tenente colonnello Tirino, conferma l’utilizzo dei nostri Amx in missioni di bombardamento?
I nostri assetti presenti in teatro, Amx compresi, vengono usati al cento per cento della loro capacità a difesa delle nostre truppe sul terreno, dei nostri alleati e della popolazione afgana.
Conferma il loro impiego con bombe nell’offensiva militare italiana in corso nella provincia di Farah?
Nell’ambito dell’operazione congiunta Shrimp Net gli Amx vengono impiegati con sgancio di bombe per le attività appena dette o per azioni preventive: ad esempio, le bombe a guida laser sganciate dai nostri Amx hanno distrutto un’antenna collocata in una zona impervia di montagna e usata dagli insorti per le loro comunicazioni radio.
I nostri Amx hanno partecipato anche ad azioni di bombardamento su ‘forze nemiche’: si parla di decine di talebani uccisi dai raid aerei Nato nella zona…
Non è che ogni volta che usiamo questi assetti aerei facciamo un comunicato stampa. Quel che è certo è che i nostri aerei sono impiegati osservando rigidamente le norme internazionali e nazionali, quindi senza conseguenze sulla popolazione civile.

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“Adultera” lapidata, le donne di Kabul in piazza

Repubblica, 12 luglio 2012 – per vedere le foto clicca qui

174058040 57e06e78 ea0c 4416 a2c7 579405eddceeVogliono giustizia le donne di Kabul. A centinaia sono scese oggi nelle strade della capitale afgana a sostegno delle vittime di abusi e violenza e per rivendicare la tutela dei diritti della popolazione femminile.
Le attiviste, insieme a qualche dozzina di uomini, hanno sfilato con cartelli e striscioni per la città, in segno di protesta per la recente esecuzione di una giovane ventiduenne accusata di adulterio, uccisa pubblicamente dal marito tradito con una raffica di proiettili. Nel corteo c’erano donne a volto scoperto, donne con il burka e donne sfigurate con l’acido.

Insultare come arma dei talebani

Viewpoint online, 6/07/2012, n.108 di Sahar Saba

La maggior parte degli afghani non teme tanto la brutalità dei talebani quanto i loro insulti.

Durante il regime dei talebani i miei genitori si trasferirono in Afghanistan insieme a due dei miei fratelli, lasciando il resto della famiglia in un campo profughi a Peshawar. Erano membri di un’organizzazione clandestina progressista e ripresero a militare nella resistenza clandestina. Uno dei miei fratelli, che studiava a Rawalpindi, visitò i miei genitori durante le vacanze estive. Come la maggior parte degli adolescenti, aveva i capelli lunghi.  Durante il regime talebano, ai ragazzi giovani non era permesso di farsi crescere i capelli. Eppure, nonostante gli avvertimenti di mio padre, mio fratello rifiutò di tagliarsi capelli. Era orgoglioso dei suoi capelli lunghi. “Sto solo qualche giorno, non mi individueranno”, rispose.

La mia famiglia viveva in un sobborgo in cui sia i Talebani che la polizia si recavano raramente. Ma la sfortuna volle che mio fratello un giorno fu avvistato da una squadra di talebani che arrivò nel quartiere. Urlarono a mio fratello imprecando per i suoi capelli lunghi e gli ordinarono di fermarsi. Terrorizzato, mio fratello decise di fuggire. Poiché conosceva le strade, riuscì a tornare a casa sano e salvo.

Tuttavia, mio fratello era stato visto correre e la gente, forse minacciata, rivelò dove si trovava. Nel giro di un’ora i talebani  arrivarono a casa nostra e chiesero di perquisire la casa.

Mio padre non era in casa. Mia madre si ergeva coraggiosamente davanti alla porta, dicendo loro che avrebbe fatto resistenza. Un altro fratello di quasi 18 anni presente alla scena, all’idea che i talebani potessero arrestare mia madre, disse: “Dal momento che mio fratello non è in casa, potete punire me per il suo crimine”.

I talebani furono d’accordo e gli rasarono la testa per la strada. Per anni, mio fratello ha vissuto con il trauma di quell’insulto pubblico.

Fu allora che mi resi conto che i talebani usavano l’insulto come una potente arma pubblica. Sia la stampa che le organizzazioni dei diritti umani spesso riportano vari tipi di punizione pubblica: per il furto è l’amputazione, per l’adulterio è la lapidazione a morte, per lo spaccio di droga è  essere sepolti vivi sotto un muro, per l’immodestia sono le frustate. Il Talibena è ritratto come brutale, assurdo, colpevole di oscurantismo e di oppressione nei confronti delle donne.

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Choc in Afghanistan: a Kabul l’ospedale militare degli orrori

Milano, 9 luglio, sul sito TMnews il filmato di denuncia
Due generali statunitensi avrebbero ritardato un’ispezione medica.

(TMNews) – Un nuovo scandalo in Afghanistan coinvolge due generali statunitensi. Questa volta sotto accusa è un ospedale militare di Kabul dove soldati afgani feriti muoiono di fame, giacciono in letti sudici con piaghe aperte e infette e gli vengono negati farmaci contro il dolore.

Il tutto in una struttura che gli Stati Uniti hanno finanziato con oltre 100 milioni di dollari.La denuncia è partita dal colonnello medico statunitense, Schuyler Geller, che per un anno ha addestrato lo staff medico dell’ospedale.”Pazienti, spiega Geller, che muoiono di fame perché non possono comprarsi il cibo, che devono corrompere il personale per ottenere pasti e farmaci. Ci sono stati anche dei pestaggi quando i feriti si lamentavano per il trattamento”.
Il Pentagono non contesta queste drammatiche realtà ma sottolinea che le condizioni sono radicalmente cambiate dopo un’ispezione. Ma Geller, in un rapporto inviato al Congresso dichiara che due alti ufficiali americani, il generale William Caldwell e il suo vice Gary Patton nel 2010 posticiparono l’ispezione perché preoccupati delle ricadute politiche per l’amministrazione nell’imminenti elezioni di medio termine in America. E infatti, all’insaputa della Casa Bianca, l’ispezione venne organizzata dopo il turno elettorale.La commissione d’inchiesta della Camera, guidata dal Jason Chaffetz sta indagando sul comportamento dei due generali”
È un’accusa molto grave. E non viene da un ufficiale superiore solo. Abbiamo una serie di responsabili sanitari che si sono fatti avanti per confermare le accuse”.

Afghanistan, il coraggio di Lal Bibi

E Il Mensile, 7/07/ 2012, di Enrico Piovesana
 

lalbibi 150x150Grandi cambiamenti sociali nascono spesso da coraggiose scelte individuali.
La decisione di una ragazza afgana di denunciare i poliziotti che l’hanno rapita, torturata e violentata, potrebbe innescare uno storico cambiamento nella condizione delle donne in Afghanistan.

Lal Bibi, 18 anni, è la figlia più giovane di una famiglia di pastori kuchi: tribù nomade pashtun che vive in tendopoli sparpagliate per il Paese e continuamente in movimento. Lo scorso 17 maggio, mentre mungeva le pecore in un accampamento alle porte di Kunduz, alcuni uomini appartenenti alla Polizia locale afgana (Alp) – milizia paramilitare addestrata dalle forze speciali americane – l’hanno portata via con la forza dopo aver immobilizzato il padre e la madre.

Il rapimento è stato ordinato dal comandante dell’unità locale dell’Alp, Muhammad Ishaq Nezaami per vendicare lo ‘sgarro’ subìto dal fratello del suo vice: dopo aver promesso in sposa sua figlia, lo sposo – un lontano cugino di Lal Bibi – non aveva pagato il prezzo della sposa sparendo dalla circolazione.

Per cinque giorni, la giovane kuchi è stata incatenata a una parete, picchiata e stuprata da cinque miliziani.
Una volta rilasciata, i medici dell’ospedale di Kunduz hanno confermato le violenze raccontate dalla ragazza. Contrariamente alla traduzione pashtun, che prevede che i genitori uccidano la figlia violentata in quanto ‘disonorata’ o che la vittima si tolga la vita, Lal Bibi ha deciso di denunciare i suoi aguzzini, costringendo le autorità afgane ad arrestare il comandante Nezaami e i suoi uomini coinvolti nel rapimento e nelle violenze.

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Per i giovani di Kabul la pace si fa con la pace

Osservatorio Iraq, 3/7/2012, di Anna Toro

I ragazzi, circa 150, hanno pregato per i “poveri martiri della guerra” e hanno osservato un minuto di silenzio.
Dopodiché si sono recati nel cortile dell’albergo e hanno piantato un cespuglio di rose, a simboleggiare il fatto che questo non è che l’inizio.
Contro i raid e gli attacchi dell’una e dell’altra parte, talebani, governo e truppe internazionali, un movimento di giovani che “vuole la pace attraverso la pace” sta finalmente nascendo anche a Kabul.

L’attacco all’Hotel sul lago
L’hotel-ristorante Spozhmai si trova sul lago di Qargha, non lontano da Kabul. Si tratta di uno dei luoghi turistici per eccellenza della zona, dove nel weekend centinaia di afghani, comprese donne e bambini, organizzano dei pic-nic o vi si recano a trascorrere brevi vacanze, dimenticando per qualche ora il lavoro, le incombenze quotidiane, e ogni tanto persino la guerra.

Questo fino a dieci giorni fa.
La notte tra il 21 e il 22 giugno, a mezzanotte in punto, un commando di guerriglieri talebani ha fatto irruzione nell’hotel in cui era in corso una festa, prendendo in ostaggio una quarantina di persone e ingaggiando con le forze di sicurezza afghane e internazionali una battaglia durata oltre 12 ore.
I talebani erano in cinque, armati fino ai denti con tanto di bombe a mano e armi pesanti, e a nulla sono serviti i tentativi da parte del personale di sicurezza di contrastarli: tre guardie e un poliziotto hanno perso la vita quasi immediatamente.
Complici anche le tenebre, nemmeno l’intervento delle forze Isaf, che hanno assunto il comando dell’azione di difesa, è riuscito a bloccare subito il commando: lo scontro a fuoco è durato fino all’alba e solo verso mezzogiorno le forze internazionali hanno finalmente ripreso il controllo totale dell’hotel-ristorante.
Non senza aver pagato un alto prezzo in termini di vite umane: 26 i morti, tra cui i 5 talebani responsabili dell’attacco e, come abbiamo visto, ben 12 civili che si trovavano nell’albergo, tra ospiti e personale di servizio.

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Intervista a Staffan De Mistura: “A Kabul, aiuti in cambio di diritti”

L’Unità, 1 Luglio 2012 di Cristiana Cella
Le valigie sono di nuovo pronte, Staffan De Mistura è appena tornato da Kabul e si accinge a ripartire per la Conferenza internazionale di Tokyo, che si apre l’8 luglio, ultima in agenda sul futuro dell’Afghanistan, dove porterà, con tutta la determinazione di cui è capace, la posizione italiana sulla delicata fase della transizione. Tra nuove e vecchie nubi nei cieli sopra le montagne dell’Hindukush, il gioco dell’India e del Pakistan, il farsi avanti della Cina e la guerra ancora presente, a bassa intensità, si prepara il ritiro dei contingenti lsaf, compreso quello italiano, come da calendario.
Alla conferenza di Kabul, del 14 giugno scorso, il presidente afghano Hamid Karzai ha ringraziato i cinesi per i loro ingenti investimenti minerari e petroliferi nel bacino dell’Amu Darya. Qual è il gioco della Cina in Afghanistan e quale sarà dopo la partenza delle truppe Nato?
«La Cina è evidentemente interessata all’Afghanistan e rimarrà coinvolta nel Paese per questioni di sicurezza e commerciali. La frontiera cinese e quella afghana coincidono per un piccolo pezzo ma è un pezzo molto sensibile».
Per la ribellione degli uiguri e degli altri gruppi musulmani?
«Esattamente. E quindi non ha alcun interesse ad avere vicino uno Stato destabilizzato e in più ultra islamico che li appoggi. Ma sarà una presenza economico-commerciale. Vedo un gioco abile, attento a non apparire intrusivo, discreto, come ha fatto finora. Hanno capito che in Afghanistan non conviene entrare diversamente».
Infatti per gli occidentali, adesso, il problema è uscire. Il processo dl transizione va avanti. Lei pensa che il governo Karzal sarà in grado, nel 2014, di gestire la sicurezza dei Paese?
«In tutte le zone nelle quali la transizione è già avvenuta non c’è stata la guerra civile, non c’è stato il colpo di mano, non sono cadute in mano ai talebani. Da una parte perché gli stessi talebani hanno interesse a vederci partire. Dall’altra perché, con l’uscita di scena dei militari stranieri, viene a cadere la ragion d’essere della ribellione talebana, il più forte argomento a loro favore nell’opinione pubblica afghana».
Ma il territorio afghano è diviso tra tribù e vari Warlords che non sembrano affatto d’accordo tra loro. Quale soluzione vede?
«Le diverse autorità locali cominciano a fare accordi di non ingerenza reciproca, dei compromessi, mantenendo ognuno la propria zona d’influenza. É quello che succederà al momento dell’uscita delle truppe internazionali. É una soluzione impropria, imperfetta, ma è una “soluzione afghana” e quindi possibile. E in questa ottica, se ci sarà un accordo con i talebani, che anche gli Usa vogliono, anche un esercito di 300mila uomini iper armati non sarà più necessario».
Gli accordi con i talebani in Qatar, però, sembrano fermi.
«No, non è così. Si stanno portando avanti in modi diversi. Ci sono vari canali per le trattative».
Alla conferenza sull’Afghanistan a Tokyo di cosa si discuterà?
«Tokyo ha una valenza speciale perché è l’ultima grande conferenza prevista fino al 2014. Diventa quindi importante in termini conclusivi. Si parlerà dei temi dello sviluppo e dell’economia».
Karzai si aspetta 4 miliardi ranno. Cosa risponderà l’Italia?
«Ci sono due condizioni fondamentali ai finanziamenti, su cui io premerò molto: la lotta alla corruzione e il rispetto dei diritti delle donne. Vediamo la prima. Lo scandalo di Kabul Bank non è stato risolto, gli episodi di corruzione rimangono impuniti e si sentono troppe voci sugli affari della famiglia di Karzai. Questa conferenza si chiamerà: the mutual accountability, si stabiliranno obblighi reciproci, cioè, anche da parte del governo afghano. É semplice: o cambiano le cose o non daremo più un soldo. Come negli altri Paesi, gli italiani stanno facendo enormi sacrifici, non possiamo sprecare nemmeno un euro. Dopo 12 anni, in cui la comunità internazionale ha messo in questa operazione un trilione di dollari e, nel nostro caso, purtroppo, 51 morti, abbiamo tutto il diritto di pretenderlo».
Con quale cifra dovrà contribuire l’Italia?
«Stiamo valutando adesso. Per l’addestramento e il sostegno dell’esercito afghano fino all’uscita, ad ora sono 120 milioni l’anno. Ma si dovrà valutare l’entità dell’esercito realmente necessario».
E sullo sviluppo del Paese?
«Ci sarà un investimento ma va ancora valutata la cifra, che dovrà essere, secondo me, aumentata rispetto a quella per l’addestramento».
Veniamo alla seconda condizione, ai diritti calpestati delle donne. Lei, come rappresentante dell’Onu, ha già affrontato questo tema con il governo afghano, con quali reazioni?
«Quando si cerca di marcare il terreno con forza, la risposta in genere è questa: “Noi abbiamo il diritto di avere la nostra cultura e la nostra religione. E se vi immischiate vuol dire che siete qui per fare una crociata”. Ma, da parte nostra, abbiamo il diritto di negare qualsiasi finanziamento se non dimostreranno, non solo di stabilizzare, ma di migliorare la condizione delle donne».
L’Afghanistan ha firmato impegni internazionali sul diritti delle donne, come la legge contro la violenza, che non rispetta. Anzi, le ultime disposizioni di Karzai in questo campo vanno In senso contrario. Come possiamo sperare che un governo, formato in gran parte da fondamentalisti, applichi la Costituzione e le leggi che proteggono i diritti delle donne?
«Infatti sarebbe ingenuo pensarlo. Soprattutto perché alla fine dovranno fare un compromesso con i talebani e il timore delle donne afghane, che io condivido, è che sia fatto sulla loro pelle. Non ho la chiave per risolvere questo problema però so, per averlo sperimentato quando ero rappresentante dell’Onu, che condizionare gli aiuti economici è un sistema efficace. Finora non è stato usato ma adesso lo faremo. Devono capire che facciamo sul serio».
Fare pressioni sul governo non è l’unico fronte della battaglia per il rispetto del diritti. Lei ha parlato spesso di sostegno alle forze democratiche afghane. È sempre una priorità?
«Certamente. La società civile è una forza attiva e importante per la democrazia che va aiutata».
Che incontra, però, continui ostacoli. Giorni fa il governo ha messo fuori legge e indagato il partito Laico e democratico Hambastagi (Solidarietà) che ha manifestato contro i criminali di guerra tuttora al governo. Anche condannare il dissenso è una violazione di diritti.
«Lei ha ragione, lo penso anch’io. Lo ripeto: sul tema dei diritti il governo afghano dovrà cambiare strada. La società civile è il futuro dell’Afghanistan e va sostenuta ad ogni costo»

La nostra lotta per un Afghanistan libero, pacifico e non fondamentalista – Bolzano – 3 luglio 2012-

MARTEDÌ 3 LUGLIO
ore 18 – LUB Atrio dell´Aula Magna nell´ambito della mostra “100 quadri in attesa di documenti”
LA NOSTRA LOTTA PER UN AFGHANISTAN LIBERO, PACIFICO E NON FONDAMENTALISTA
Testimonianza di due donne afghane: Shafiqa Mohammed Kabir e Aria Mohammed Kazem

10 giorni per 10 anni: le iniziative per il decennale del Centro Pace

PROGETTO AQUILONE – PIADENA: accoglienza temporanea di bambini afghani

Amici di Emmaus PIADENA Gruppo Donne 8 marzo Piadena

Progetto Aquilone 2

Progetto di accoglienza temporanea di bambine/i provenienti dall’Afghanistan


Il progetto prevede di accogliere presso famiglie piadenesi per un periodo di 8 settimane (da gennaio a marzo) bambini/e provenienti da case-famiglia gestite dall’associazione afgana A.F.C.E.C.O. (Afghan Child Education and Care Organization) per offrire loro un’opportunità di crescita personale e conoscenza culturale in un contesto sereno e lontano dalla conflittualità ancora oggi presente in Afghanistan.

Il progetto prevede l’essenziale collaborazione con la Scuola, con le associazioni e i gruppi sportivi consentendo alle bambine/i di frequentare la scuola, di partecipare ad attività sportive e ricreative, di conoscere aspetti storico-culturali del nostro paese

Da alcuni anni questa esperienza viene realizzata a S. Giuliano Milanese dall’associazione Liberi Pensieri e grazie alle sinergie che si sono costruite nel temp quest’anno hanno ospitato 12 ragazze/i.

Nel 2009 Amici di Emmaus e Donne 8 marzo hanno invitato l’associazione, i ragazzi e le famiglie di S. Giuliano ad incontrare i ragazzi della scuola media di Piadena: sono rimasti con noi per una giornata e il risultato è stato un bilancio positivo di conoscenza reciproca e di scambio.

Quest’anno altri ragazzi afgani hanno incontrato la terza media e l’amministrazione comunale di Torre de’ Picenardi, l’associazione e la comunità di Emmaus in un incontro pubblico

Da questa piccola storia di incontri è nata la necessità di provare ad esportare anche a Piadena questa bella esperienza di S. Giulian

L’idea di Liberi Pensieri è nata e cresciuta in continua collaborazione con A.F.C.E.C.O.: risultati e miglioramenti ne sono il frutto.

Le bambine/i, al termine del periodo in Italia, ritornano alla loro vita quotidiana, nelle case-famiglia di Kabul, con maggiore sicurezza e con un bagaglio formativo che li stimola a proseguire nella loro formazione ed a investire nel futuro con speranza ed entusiasmo.

L’obiettivo non è sradicarli dal loro Paese, è molto importante e necessario che essi possano sentirsi impegnati e motivati perché il loro paese, l’Afghanistan, prosperi e diventi un luogo di pace e di vita serena per i suoi abitanti. Per questo la possibilità di trascorrere un periodo in Italia, in situazioni di positiva accoglienza, può consentire di rinforzare i sentimenti di appartenenza alla loro terra e di poter diventare protagonisti nella costruzione di un futuro migliore

Il progetto si articola in:

  • affido temporaneo di bambine/i della case-famiglia a famiglie residenti nel territorio di Piadena
  • formazione e crescita armonica nel percorso evolutivo e nell’istruzione
  • sviluppo di conoscenza e approfondimento della cultura e della lingua italiana in una visione multietnica e multiculturale
  • offerta di opportunità di svago, ricreazione, animazione ed attività sportive
  • sostegno economico a distanza delle bambine/i residenti nelle case-famiglia

La presenza nel territorio permetterà ai cittadini piadenesi di venire a contatto e di conoscere popoli e culture diverse, di accrescere sensibilità e di esprimere solidarietà concreta in un più ampio lavoro di costruzione e realizzazione della pace nel mondo.

Il governo di Hamid Karzai sotto i riflettori per trattative sul petrolio con una società gestita dal cugino.

Di Ben Farmer, Kabul & Dean Nelson – Nuova Delhi,  da RAWA NEWS

Gli attivisti contro la corruzione e i diplomatici hanno criticato il governo di Hamid Karzai per aver assegnato un appalto petrolifero da 3 miliardi di dollari ad una società gestita da un cugino, a suo tempo incarcerato negli Stati Uniti per traffico di droga.

La Watan Oil and Gas, controllata da Rashid e Rateb Popal, noti cugini del Presidente Karzai, ha vinto il contratto per l’estrazione di petrolio in una joint venture con una società statale cinese. Tuttavia, i suddetti cugini sono accusati di aver utilizzato fondi statunitensi, tramite altre società da loro gestite, per pagare la protezione a comandanti talebani.
Il contratto, della durata di 25 anni, permette alla Watan e alla China National Petroleum Company l’accesso a circa 160 milioni di barili di petrolio proveniente da tre aree del Nord Afghanistan.
La gran quantità di risorse minerali, petrolifere e di gas stimata in Afghanistan potrebbe far ben sperare che un giorno il Paese riesca ad essere autonomo e a non dipendere più da aiuti esterni.
L’affare petrolifero realizzato nel bacino di Amu Darya è stato considerato un modello per ulteriori futuri contratti di combustibile fossile, ma i diplomatici e gli attivisti sono ora preoccupati che sia solo un primo annuncio della lottizzazione delle risorse dell’Afghanistan.
La scelta di affidare l’appalto al gruppo controllato ai cugini del Presidente Karzai, che hanno passato circa 9 anni in carcere a New York per traffici di droga, è stata decisamente allarmante.
In un’intervista al Daily Telegraph, un ex diplomatico che ha lavorato a lungo a Kabul afferma: “Tutti speravamo disperatamente che i soldati britannici morissero per una causa più nobile che aiutare il cugino narcotrafficante di Karzai a vendere gas afghano ai Cinesi”.
Un’altra delle società gestite dai cugini, la Watan Risk Management, si occupa della sicurezza nella fornitura di convogli ed è stata al centro di un’indagine al Congresso USA sulle società  che pagano ai Talebani milioni di dollari per la protezione durante i vari percorsi.
Dall’indagine emerge che i fratelli utilizzavano un signore della guerra per ottenere protezione e sicurezza, il quale pagava presumibilmente ai Talebani milioni di dollari. Questo “affare” è diventato così una delle maggiori entrate dei ribelli.
I fratelli hanno negato di aver comprato i Talebani, tuttavia le autorità hanno tentato di bloccare ulteriori contratti con loro.
“Il fatto che la Watan continui ad ottenere appalti nonostante tutte le dichiarazioni negative nei suoi confronti, è preoccupante” afferma Juman Jubba, ricercatore afghano di Global Witness, che conduce campagne contro la corruzione legata a scavi ed estrazioni.
“Durante il percorso di assegnazione degli appalti, è fondamentale prendere in considerazione la storia e il curriculum delle società concorrenti. Inoltre, le motivazioni per l’assegnazione di ogni appalto dovrebbero essere rese pubbliche”.
L’appalto è stato assegnato lo scorso dicembre, ma nelle ultime settimane è stato sottoposto ad un ulteriore scrutinio, in quanto considerato una potenziale fonte di violenza nell’Afghanistan settentrionale.
Sembra inoltre che si sia innescata una competizione legata ai benefici derivanti dall’estrazione di petrolio fra il governo di Karzai e il Generale Abdul Rashid Dostum, il potente Uzbeko che controlla l’area.
All’inizio di giugno, il Consiglio Afghano per la Sicurezza Nazionale ha accusato il Generale Dostum di tradimento per aver cercato di impossessarsi della trattativa, affermando che voleva estorcere denaro ai Cinesi.
Il suo portavoce ha dichiarato che Dostum aveva solo chiesto che venissero impiegati guardie e lavoratori locali e non della Watan.
La Watan e i Cinesi hanno promesso di produrre 150.000 barili di petrolio entro la fine di quest’anno.
Gli osservatori affermano che,  grazie alle ottime condizioni offerte, hanno vinto l’appalto superando altre tre società.
Javed Noorani, ricercatore di Integrity Watch Afghanistan, dichiara che l’offerta è stata minuziosamente controllata dai consulenti statunitensi e che i Cinesi hanno proposto un “affare eccellente” e cioè pagare il 15% delle royalty, promettendo a Kabul dal 50 al 70% dei profitti.
Assicurandosi il contratto con condizioni così favorevoli per il governo afghano, i Cinesi hanno ora ottime possibilità di impossessarsi delle più grosse aree afghane, che possono fornire circa
1.6 miliardi di barili di petrolio e gas.