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Autore: Anna Santarello

Reportage. L’odissea degli afghani “traditi”: bloccati al confine Usa o sfruttati

avvenire.it 23 giugno 2023

La triste storia di Hasib: già collaboratore degli americani a Kabul, fuggito in Brasile, poi arrivato dal Messico e bloccato in Texas dalle leggi di Biden. Ma i repubblicani “usano” quelli come lui

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La chiamano la Ellis Island del Sud. Come l’isola di fronte a New York, la chiesa del Sacro Cuore di El Paso è diventato un porto sicuro per migliaia di immigrati che fuggono dalla miseria e dalla violenza per cercare un futuro migliore negli Stati Uniti. Ma c’è una grossa differenza rispetto agli italiani, ai polacchi e agli irlandesi che approdavano nei pressi della Statua della Libertà all’inizio del secolo scorso.

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I curdi processeranno i 10mila foreign fighter Isis ignorati dall’Occidente. “Nostra inazione rischia di creare generazioni di terroristi”

ilfattoquotidiano.it  Futura D’Aprile  18 giugno 2023

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Sono passati quattro anni dalla caduta dello Stato islamico, ma più di 10mila combattenti stranieri sono ancora rinchiusi nelle carceri e nei campi del Rojava, regione a maggioranza curda nel Nord-Est della Siria, in attesa di essere processati.

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Da Kabul. Una radio per le donne afghane

avvenire.it 21 giugno 2023

Sostenuta dall’Unesco, Radio Begum continuare a fornire programmi educativi a donne e ragazze alle quali il governo dei talebani vieta di frequentare la scuola

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E’ una storia di resilienza quella che inizia nel marzo 2021 con la nascita di Radio Begum, l’unica stazione radio in Afghanistan interamente gestita da donne e per le donne. Una storia che prosegue ancora oggi, grazie all’impegno di Hamida Aman, una giornalista afghana e alla sua organizzazione, la Begum Organization for Women (BOW), che riceve il sostegno dell’Unesco.

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L’odio dei Talebani per le donne è fondamentale per il loro potere

Aspettare un cambiamento in Afghanistan è come aspettare Godot

O’Donnell-Lynne, Foreign Policy, 21 giugno 2023

afghan womenL’odio sta perseguitando le donne dell’Afghanistan, spingendole sempre più nell’oscurità, mentre i leader mondiali sembrano ignorare la terribile verità che gli sforzi dei Talebani per far scomparire metà della popolazione sono fondamentali per il loro mantenimento del potere.

I leader talebani affermano che le loro politiche misogine sono radicate nella religione, nella tradizione e nel rispetto per le donne. Dicono ai funzionari occidentali che le restrizioni di tipo carcerario saranno presto alleggerite, per poi inasprirle ulteriormente. Per le donne isolate, brutalizzate e disperate, l’Afghanistan è diventato il luogo in cui nessuno può sentirle urlare.

Il relatore speciale dell’ONU sull’Afghanistan, Richard Bennett, ha pubblicato venerdì un altro rapporto devastante e ha chiesto nuovamente ai Talebani di rispettare gli obblighi di protezione dei diritti umani e agli Stati membri dell’ONU di garantire che “la situazione dei diritti umani di donne e ragazze in Afghanistan sia al centro di tutte le decisioni politiche e dell’impegno” con i Talebani. Le organizzazioni per i diritti umani hanno riferito ampiamente sulle atrocità dei Talebani, descrivendo le pratiche contro le donne come “crimini contro l’umanità”, “apartheid di genere”, “guerra alle donne” e “femminicidio”.

Le donne afghane non usano questo linguaggio. Raccontano di stupri di gruppo e di essere state picchiate sul seno e sui genitali in modo da non poter mostrare le ferite. Raccontano di come i loro stupratori abbiano urinato loro in faccia e di molto, molto peggio. Raccontano di parenti rapite in schiavitù sessuale per servire come “mogli” talebane, o uccise dalla “polizia del vizio e della virtù” per aver opposto resistenza, i cui corpi sono stati trovati ai bordi delle strade o appesi agli alberi. Nelle interviste rilasciate a “Foreign Policy”, le donne hanno dichiarato che rivelare la propria identità sarebbe stata una condanna a morte.

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Comunicato del consiglio esecutivo della Regione di Al-Jazira e dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est:

 UIKI Onlus <info.uikionlus@gmail.com> 21 giugno 2023

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“Alla luce della politica di attacco sistematico in corso da parte dello Stato di occupazione turco nelle regioni della Siria del Nord-Est, siamo profondamente dispiaciuti di informarvi che martedì 20 giugno 2023, un’auto di proprietà del Consiglio del Cantone di Qamişlo è stata attaccata a tradimento dai droni dell’occupazione turca.

Questo atto vile ha causato la tragica perdita di tre membri, tra cui la co-presidente Yusra Darwish e il vice-presidente Leman Shweish del Consiglio del Cantone di Qamişlo, nonché del loro autista, Furat Touma. Il copresidente Kabi Shamoun ha riportato ferite durante l’incidente.

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I talebani emanano editti soffocanti per donne e ragazze in Afghanistan: dicono esperti delle Nazioni Unite

ohchr.org 19 giugno 2023

bandiera us 1 510x626 copy copyGINEVRA (19 giugno 2023) – Gli editti implacabili emessi dai talebani da quando hanno preso il potere in Afghanistan nell’agosto 2021 hanno gravemente limitato i diritti delle donne e delle ragazze e soffocato ogni dimensione della loro vita, hanno detto oggi gli esperti delle Nazioni Unite*.

“Le donne e le ragazze in Afghanistan stanno vivendo una grave discriminazione che può equivalere a persecuzione di genere – un crimine contro l’umanità – ed essere caratterizzata come apartheid di genere, poiché le autorità di fatto sembrano governare con la discriminazione sistemica con l’intenzione di sottoporre donne e ragazze al dominio totale”, hanno detto gli esperti.

In una relazione congiunta del relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan e del gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze presentata oggi al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, gli esperti, Richard Bennett e Dorothy Estrada-Tanck, hanno affermato che la difficile situazione delle donne e delle ragazze nel paese è stata la peggiore a livello globale. La relazione invita le autorità di fatto a rispettare e ripristinare i diritti umani delle donne e delle ragazze ed esorta una maggiore attenzione della comunità internazionale e delle Nazioni Unite sulla diffusa discriminazione contro le donne e le ragazze in Afghanistan.

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Apartheid di genere e Onu

Esperti delle Nazioni Unite affermano che l”apartheid di genere” in atto in Afghanistan dovrebbe essere etichettato come crimine internazionale

Damilola Banjo, Passblue, 21 giugno 2023

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La frase “apartheid di genere” è usata in un nuovo rapporto delle Nazioni Unite che descrive le continue gravi violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan. L’obiettivo dell’uso del termine, affermano gli esperti che hanno scritto il rapporto, è rendere tale discriminazione un crimine internazionale. Nella loro indagine sugli effetti delle repressioni dei diritti nel paese, gli esperti hanno affermato di essere “profondamente preoccupati per come la persecuzione di genere si sta verificando in Afghanistan sotto il dominio delle autorità de facto”.

Denominare gli abusi di genere dei talebani come apartheid “mette in evidenza che altri Stati e attori e la comunità internazionale in generale hanno il dovere di intraprendere azioni efficaci per porre fine alla pratica, come è stato fatto per porre fine all’apartheid razziale nell’Africa meridionale”, dichiarano gli specialisti delle Nazioni Unite nel loro rapporto. 

Non è la prima volta che gli specialisti e il personale delle Nazioni Unite usano pubblicamente il termine “apartheid” in riferimento all’Afghanistan, ma fino ad ora non c’è stato un vero e proprio piano espresso apertamente su come applicarlo al diritto internazionale.

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L’Unicef discute con i talebani, che intanto creano le ‘scuole per il jihad’

Asia News, 16 giugno 2023  

Il Fondo delle Nazioni unite per l’infanziamadrasse starebbe decidendo come lasciare i programmi educativi in mano alle nuove autorità locali. Nel frattempo però il funzionario a capo degli istituti religiosi del Paese ha annunciato che in un anno sono sorte alcune madrase jihadiste in almeno cinque province. 

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Kurdistan: ancora una “morte piccina” e ingiusta

Osservatorio repressione – 9 giugno 2023, di Gianni Sartori

ciao mæ ‘nin l’eredítaë
l’è ascusa
‘nte sta çittaë
ch’a brûxa ch’a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a.

Così cantava De André in Sidùn, pensando ai bambini palestinesi e libanesi.

Oggi come oggi, probabilmente, dedicherebbe queste parole anche a tanti bambini curdi.

Anche al piccolo Erdem Aşkan, di cinque anni. Morto non sotto le bombe al fosforo, ma per un “normale” incidente stradale, uno come tanti.

Ma comunque – per le modalità e per gli eventi successivi – organico al clima di repressione genocida che nella Turchia di Erdogan si abbatte quotidianamente sulla popolazione curda. Minori compresi.

L’incidente si era verificato sulla strada per Van nella provincia di Hakkari (Bakur, Kurdistan del Nord sotto amministrazione turca) quando un veicolo blindato dell’esercito aveva investito Erdem Aşkan, un bambino di cinque anni. Alla guida del mezzo un sergente turco (qualificato come “esperto” e identificato solo con le iniziali A.K.P.) della Gendarmeria del distretto di Yüksekova. Per l’impatto il piccolo veniva proiettato a oltre cinquanta metri ed era deceduto. Tuttavia, invece di soccorrerlo, il militare aveva puntato la sua arma contro le persone che avevano assistito al dramma per allontanarsi immediatamente.

Sottoposto in un primo momento al fermo di polizia, dopo l’interrogatorio (nonostante la gravità del suo comportamento sul luogo dell’incidente) veniva rimesso in libertà se pur “condizionale”. Come massima restrizione, gli veniva ritirata la patente.

Un episodio che riporta all’ordine del giorno la questione della sicurezza sulle strade del Bakur, percorse quotidianamente (e in genere ad alta velocità) da migliaia di veicoli militari, in buona parte blindati.

Stando ai dati forniti da TIHV (Fondazione dei diritti dell’Uomo della Turchia) tra il 2018 e il 2022 almeno una ventina di persone (di cui una metà bambini) sono morte per essere state investite da tali mezzi. Oltre una cinquantina i feriti gravi (di cui almeno quindici sotto i 18 anni).

TIHV denuncia inoltre che per i responsabili degli incidenti (militari o poliziotti) praticamente non esistono sanzioni penali.

Rimane invece dietro le sbarre il giornalista curdo Abdurrahman Gök, “reo” di aver fotografato (e pubblicato l’immagine) un giovane curdo ucciso dalla polizia durante il Newroz del 21 marzo 2017. Non solo. Non gli vengono concesse visite e anche una sua lettera ad un altro giornalista è stata confiscata in questi giorni.

Forse perché vi era scritto che “questa lettera verrà completata quando sarà garantita la libertà di espressione”.

Destino assai diverso quello di un altro curdo, Hakan Fidan, già ministro dei servizi segreti turchi (MIT) sospettato di essere responsabile della morte e del sequestro di centinaia di curdi e altri oppositori in varie parti del pianeta.

Forse come riconoscimento per la sua esperienza a livello internazionale, Erdogan lo ha piazzato a capo del ministero degli affari esteri.

Tra i suoi precedenti, nel 2014 per giustificare un attacco militare in Siria (contro i curdi del Rojava, ça va sans dire) avrebbe detto (e pare scritto anche su YouTube, poi cancellato) che “Se fosse necessario potrei inviare quattro persone in Siria per lanciare una decina di granate contro la Turchia”.

Evidentemente nascere curdi non è una garanzia. Si può diventare un collaborazionista, un “ascaro” anche ai danni del proprio stesso popolo.

Di origini curde anche l’ex ministro delle Finanze Mehmet Simsek, attuale ministro dell’economia. In passato aveva goduto di una certa notorietà affermando che “le donne che lavorano sono la causa principale della disoccupazione”.

Ma oltre ad arruolare nei suoi ministeri questi – e altri come Cevdet Yılmaz – personaggi di origine curda, Erdogan ha portato in Parlamento vari esponenti di HUDAPAR, partito conosciuto come gli Hezbollah curdi (presumibilmente manovrati dai servizi e utilizzati per disgregare il movimento curdo in generale e quello delle donne curde in particolare).