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Autore: Anna Santarello

Che cosa non ha funzionato per le donne afghane?

Quando ebbe inizio l’invasione dell’Afghanistan nel 2001, era convisione diffusa che l’immagine delle donne afghane coperte dal burqa sarebbe diventata cosa del passato. Non è andata così.

Women Guardian 150x150I diritti delle donne sono stati un argomento fondamentale per giustificare la guerra in Afghanistan. Vi ricordate quando Cherie Blair e Laura Bush unirono le loro forze per sostenere la giustezza per l’invasione del paese nel 2001? Improvvisamente in Occidente nacque una forte e appassionata preoccupazione per la condizione delle donne in Afghanistan; ci furono film, libri e documentari sull’alta percentuale di mortalità materna, sulle ragazze date in sposa giovanissime e sul basso livello di alfabetizzazione delle donne. Si impose l’assunto che sarebbe stata sufficiente un’invasione affinché le donne si potessero spontaneamente sollevare e si sbarazzassero del loro burqa.

Ma i cambiamenti sono avvenuti in modo più lento di quanto ci si aspettasse. Nel corso degli anni, i giornalisti sono rimasti sorpresi di constatare che il numero di burqa nelle strade di Kabul non diminuiva così velocemente come ci si era previsto. Oggi, nel decimo anniversario dell’invasione del 7 ottobre 2001, si può vedere ciò che è stato realmente raggiunto per le donne afghane e ciò che invece ha fallito. E sempre più ci si rende conto che i recenti sviluppi stanno cancellando i primi successi e che, a soli tre anni e mezzo dal previsto ritiro delle forze della colazione internazionale, il tempo per fare qualcosa sta finendo.

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Il CISDA ricorda il giudice Antonio Cassese

Apprendiamo con grande dolore la notizia della scomparsa del giudice Antonio Cassese, la notte del 22 ottobre, all’età di 74 anni.
È stato presidente del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, primo presidente del Tribunale speciale per il Libano e ha dedicato la vita a combattere contro ogni violazione dei diritti fondamentali delle persone.
Antonio Cassese è stato persona di grandissima levatura ma sempre aperta all’ascolto: contattato dal CISDA per avere consigli su come agire nella difficile situazione di violazione dei diritti umani e crimini di guerra in Afghanistan fu subito disponibile a fornirci consigli e assistenza. Ogni incontro con lui è stato per noi momento di grande arricchimento, oltre che un grandissimo onore. Si deve a lui, oltre che ad altri autorevoli consulenti e giuristi internazionali, un importante impulso al lavoro del SAAJS, Social Afghan Association of Justice Seekers.

Afghanistan, escalation continua

di Enrico Piovesana – PeaceReporter

58601 300x236Un rapporto dell’Anso mostra come il prolungarsi della guerra non porti un miglioramento della sicurezza ma solo una progressiva intensificazione del conflitto

L’Anso (Afghanistan Ngo Safety Office), organizzazione internazionale che si occupa della sicurezza delle Ong in Afghanistan creata dall’Ufficio umanitario della Commissione europea (Echo), dalla Cooperazione svizzera (Sdc) e dal ministero degli Esteri norvegese, ha appena pubblicato un rapporto che dipinge una situazione di continua escalation della guerra in Afghanistan.

“Il numero degli attacchi sferrati dai gruppi armati d’opposizione (Aog) sono cresciuti del 24 per cento rispetto allo scorso anno, in linea con il trend di crescita degli ultimi cinque anni”.
Il grafico annesso mostra quasi 12mila attacchi nei primi nove mesi del 2011, contro i 9mila dello stesso periodo dello scorso anno, i 5.800 del 2009, i 3.800 del 2008 e 2.500 del 2007.

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La piazza indignata vista con gli occhi di un afgano

di Enrico Campofreda –  Terranews
MNB SRequestManager.exe1 3 300x192CONFLITTI. Parla Mohammed Sameer membro del partito afgano Hambastagi ieri alla manifestazione italiana: «Gli effetti della crisi forse accelereranno il ritiro delle vostre truppe».
Sohammed Sameer, che viene dal Paese della guerra, ha guardato, fotografato, commentato il corteo dei nostri indignati. Medico e membro del partito afgano Hambastagi è in questi giorni a Roma per contatti politici con alcuni parlamentari italiani dell’opposizione. Racconta a Terra di aver avuto notizie delle proteste e soprattutto delle profonde difficoltà economiche dell’Occidente. «Accanto ai gravissimi problemi che abbiamo in casa, – ci dice durante la manifestazione di Roma – il nostro partito segue la situazione internazionale. Da oltre un anno osserviamo gli effetti della crisi, sappiamo di tracolli di Borse, licenziamenti di lavoratori, assenza di futuro per i giovani. Certo da noi c’è lo spettro della morte quotidiana…»
Crede che gli effetti della crisi potranno incidere su un rientro delle truppe dall’Afghanistan?
Lo spero. Sapere che da voi si tagliano i fondi per la sanità e non quelli per la missione Isaf è una spiacevole notizia. Negli Usa la situazione non è migliore. Al di là dell’ipotetico ritiro nel 2014 sappiamo che c’è un progetto americano di conservare a lungo basi militari perché il nostro resta un territorio geopoliticamente strategico. Non si deve dimenticare quanto gli Stati Uniti stiano incentivando le componenti guerrafondaie, tutte le componenti da quei Signori della Guerra che siedono anche nel governo, agli stessi talebani. Ultimamente lo stesso Karzai ha rivelato di trasporti di milizie della guerriglia talebana dal Sud del Paese verso Mazar-i-Sharif con elicotteri dell’Alleanza atlantica.

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PROSSIME INIZIATIVE PER L’AFGHANISTAN: Eventi nel decennale dell’inizio dei bombardamenti USA – NATO

8 ottobre 2001

Nel decimo anniversario dei bombardamenti USA/NATO sull´Afghanistan, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia il bilancio fallimentare della missione internazionale in Afghanistan.
Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese, lo stesso governo rifinanzia la missione italiana in Afghanistan (con il solo voto contrario dell´IDV) che nel primo semestre 2011 ha previsto una spesa di 410 milioni di euro e una presenza di 4.350 truppe.
Il CISDA, raccogliendo la voce delle forze democratiche dell’Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall’Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento Afghano.

Lunedì 17 ottobre 2011 – h. 20.45 – Villa Casati – Via Mazzini 9 – Cologno Monzese (MI)

“I movimenti democratici in Afghanistan”: INCONTRO CON DR. SAMEER del Solidarity Party of Afghanistan – a cura del CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane in collaborazione con la Cooperativa Sociale MiMoPo e con il patrocinio del Comune di Cologno Monzese

Martedì 18 ottobre 2011 – h. 21.00 – presso “Luogo Comune” – Piazza Alfieri – San Giuliano Milanese (MI)

A cura dell’Associazione Liberi Pensieri: “Il futuro dell’Afghanistan, dalla guerra alla pace e alla democrazia” – Incontro con Dr. Sameer – portavoce del Solidarity Party of Afghanistan

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MESSAGGIO DI SOLIDARITY PARTY OF AFGHANISTAN PER IL DECENNALE DELL’INIZIO DELL’OCCUPAZIONE

Hambastagi – 7 ottobre 2011

VITTORIA PER LA LOTTA DEL NOSTRO POPOLO CONTRO GLI INVASORI E I LORO SERVI FONDAMENTALISTI!

La data di oggi, 7 ottobre, segna la decade dell’inizio dell’invasione in Afghanistan da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, un’invasione molto simile a quella dell’Unione Sovietica che inizò in quell’oscuro 27 dicembre 1979. Gli Stati Uniti, seguendo le orme dei Sovietici, hanno utilizzato la loro massiccia macchina propagandistica per preparare mentalmente la gente di tutto il mondo a questa invasione e per convincere abilmente più di 40 nazioni ad invadere il nostro paese, sotto il falso vessillo di “guerra al terrorismo”, “ricostruzione”, “democrazia”, “diritti umani” e così via. Nel giro di poche settimane, gli USA e i loro alleati destituirono il regime medievale talebano imponendo al nostro popolo il governo più corrotto e anti-umanitario del mondo.

Nelle ultime quattro decadi, il terrorismo e il fondamentalismo islamico, fenomeni disumani, sono stati nutriti a dismisura dalle politiche e dai programmi a volte segreti e a volte palesi degli USA, che hanno distrutto la popolazione afghana con la loro esplosione di ignoranza, crimini e barbarie contaminando anche molti altri paesi. Il governo degli USA ha spianato la strada alla rovina dell’Afghanistan, fornendo sostegno finanziario e militare a bande di fondamentalisti criminali.

Dieci anni fa, gli USA dichiararono di aver imparato dagli errori commessi nel passato e che non avrebbero più alimentato alcun fondamentalismo. In realtà, utilizzando come scusa la “guerra al terrorismo”, negli ultimi dieci anni hanno sostenuto assassini le cui mani sono sporche del sangue della nostra gente. Gli USA e i loro alleati hanno collocato i personaggi più detestati dal popolo nel loro governo fantoccio e in quella che viene definita “opposizione”, e hanno permesso a questi traditori di saccheggiare e opprimere la nostra gente. Di fatto, quest’ultima decade ha continuato a vedere crimini e tradimenti commessi dall’occidente. Gli USA non vogliono recidere i legami con i fondamentalisti e i terroristi poiché hanno verificato che questa gente venduta e xenofoba può facilmente auto-schiavizzarsi in cambio di dollari e potere e sacrificare gli interessi della propria nazione per obbedire agli ordini dei padroni. Anche i Talebani e i gruppi di Hezb-e-Islami, che apparentemente seguono i loro maestri jihadi pakistani invocando preghiere contro l’America, stanno collaborando con gli USA dietro le quinte. I loro membri più importanti detengono posizioni chiave all’interno del governo fantoccio di Karzai, totalmente succube delle forze di occupazione.

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Afghanistan: torture nel carcere italiano

Da: L’Espresso Repubblica – di Gianluca Di Feo

Un rapporto dell’Onu accusa: in Afghanistan, nella prigione costruita e finanziata dal governo di Roma, e dove finiscono i presunti talebani catturati dal nostro contingente, ci sono «prove schiaccianti» di trattamenti inumani

jpg 2163520 300x147Torture sistematiche sui detenuti del penitenziario afghano di Herat: quello finanziato dagli italiani, quello dove finiscono i presunti talebani o criminali catturati dalle nostre truppe.

L’accusa viene da un monumentale dossier delle Nazioni Unite appena pubblicato, che esamina la situazione dei reclusi in tutto l’Afghanistan. Un documento che dovrebbe far riflettere sui compromessi accettati dal nostro governo nella missione che dovrebbe portare ‘la civiltà’ alle popolazioni afghane.

L’inchiesta dell’Onu si concentra sulle persone custodite dai servizi di sicurezza di Kabul, chiamati National directorate of security o in sigla Nds. I quattro reclusi catturati dalla polizia nazionale, Anp, infatti non hanno nulla da denunciare. Invece dei dodici uomini affidati agli agenti speciali, ben nove parlano di maltrattamenti che arrivano fino alla tortura: tra loro c’è anche un ragazzo di sedici anni.

La delegazione dell’Unama – l’organismo Onu che vigila sulla rinascita dell’Afghanistan – scrive che ci sono «prove schiaccianti che gli agenti del Nds sistematicamente torturano i detenuti per ottenere informazioni e, possibilmente, confessioni».

Cosa c’entra l’Italia? Il carcere in questione è stato ristrutturato e potenziato con i nostri soldi. Donazioni del ministero della Difesa sono state usate per costruire una centrale di videosorveglianza e ripulire i locali: il comandante regionale delle carceri è fotografato accanto al generale italiano mentre inaugura le nuove strutture regalate dal nostro paese nel 2010. Ma soprattutto molti di quei detenuti sono stati catturati dalle nostre truppe e poi consegnati alle autorità afghane.

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Kabul: Autumn Human Rights Film Festival

Da: LA STAMPA.IT

Jafar Panahi può anche essere rinchiuso all’interno di una prigione iraniana, ma il suo film è in circolazione in Afghanistan. Lo scorso dicembre il famoso regista neorealista iraniano è stato condannato a sei anni di reclusione per il suo presunto ruolo nelle proteste contro le elezioni presidenziali del 2009. I film di Panahi sono vietati nella sua stessa patria, ma la pellicola “Accordion” — un interessante corto riguardante due giovani artisti di strada a cui viene confiscata la fisarmonica, che poi scoprono essere utilizzata dal loro oppressore proprio per guadagnarci sopra — è riuscita a superare il confine per essere presentata all’inaugurazione dell’Autumn Human Rights Film Festival, svoltosi a Kabul dal primo al sette ottobre scorso. Questa pagina su Facebook contiene foto e aggiornamenti.Il festival diventerà una vetrina annuale per i film che vengono soppressi altrove nella regione, o almeno così sperano i registi afghani. “Per quanto nel mondo vengano organizzati 33 festival del cinema per i diritti umani, in questa zona non ce ne sono. Il Bahrain avrebbe dovuto ospitarne uno, ma è stato cancellato in seguito alle proteste partite in primavera”, racconta il regista e direttore del festival Malek Shafi.

Shafi aggiunge che la risposta internazionale è stata incoraggiante. I film in concorso sono circa 200, di cui 50 provenienti da 18 Paesi sono in concorso per essere premiati. I tre vincitori afghani della categoria nazionale, avranno la possibilità di produrre un nuovo film sotto la supervisione dello staff del BASA Film, l’Afghanistan Cinema Club che co-organizza l’evento. Al di là di voci delle nazioni confinanti, vi sono film provenienti da Canada, Liberia, Francia, Arabia Saudita, Svezia e Stati Uniti.

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L’Unità: Progetto Vite Preziose

Da L’Unità

IL SUCCESSO DEL NOSTRO PROGETTO

1580664178 300x250Tutte le 12 donne afghane di cui abbiamo raccontato le storie sono state sponsorizzate dai nostri lettori. Un risultato che ci rende fieri della sensibilità e della solidarietà di chi ci legge. Anche Homa ha trovato l’aiuto di Giovanna e potrà prima di tutto curarsi e ritrovare un po’ di speranza per il suo futuro e quello di sua figlia.
I programmi di sostegno sono cominciati durante l’estate e le donne, adesso, sanno che possono contare su persone lontane, pronte a dar loro una mano. Non credo che se lo sarebbero mai aspettato e già questa è per loro una sorpresa straordinaria. Le operatrici di Hawca, quotidianamente impegnate nel lavoro sul campo, ci manderanno un report sugli interventi avviati per ogni donna sponsorizzata.

Per quelle che risiedono fuori Kabul, i tempi sono un po’ più lunghi, non ci si muove facilmente. Soprattutto sono iniziate le cure mediche per i casi più urgenti. Poi, pian piano, cercheranno di districare il complesso intreccio di abusi cui queste donne sono sottoposte. Per chi vive ancora nella famiglia del marito, il denaro verrà convertito da Hawca in medicine, visite, cure, strumenti di lavoro. Questo per evitare che mariti, cognati e suoceri ne approfittino. Gli sponsor continuano a scriverci, ecco, dunque, le storie di altre donne che hanno bisogno di sostegno.

Afghanistan: la guerra infinita

Da MEDARABNEWS

FOTO2 133 AfghanistanSe un mese fa il decimo anniversario dell’11 settembre era stato ricordato da imponenti celebrazioni accompagnate da una vasta e partecipe copertura mediatica, il compimento del decimo anno dall’inizio della guerra in Afghanistan, venerdì scorso, è invece passato quasi sotto silenzio.

Lo scorso 11 settembre l’America, pur vivendo ormai in una fase completamente diversa dal 2001, con priorità e preoccupazioni totalmente mutate, era stata riportata forzosamente, dal clamore dei mezzi di informazione e dalla retorica di Stato, al clima di dolore e di paura generato dal crollo delle torri gemelle.

E’ stato invece ben inferiore negli Stati Uniti il numero di coloro che, la settimana passata, hanno voluto riflettere sulle conseguenze di quel tragico evento, e sulle implicazioni e i significati di una guerra enormemente costosa e devastante, che a dieci anni dal suo inizio è ben lontana dall’essersi conclusa.

Ma, se un certo dibattito si è comunque registrato sulla carta stampata americana in occasione di questo secondo anniversario, il silenzio è invece stato pressoché totale in Europa – e soprattutto in Italia – sebbene l’informazione del vecchio continente avesse dato in precedenza ampio spazio alle commemorazioni dell’11 settembre, e sebbene i paesi europei continuino ad essere pienamente impegnati nella guerra afghana.

UN TRAGICO BILANCIO PER L’AMERICA…

L’operazione “Enduring Freedom” – inizialmente chiamata “Infinite Justice”, con una scelta ancora più infelice da parte dell’allora presidente americano George W. Bush – non ha portato giustizia né libertà in Afghanistan, ma solo una guerra senza fine, e incalcolabile sofferenza e distruzione.

L’obiettivo dichiarato di quello che è ormai divenuto il conflitto più lungo mai combattuto dagli Stati Uniti era quello di rovesciare il governo dei Talebani e smantellare al-Qaeda, allo stesso tempo mostrando “alla popolazione oppressa dell’Afghanistan… la generosità dell’America”, secondo le parole dello stesso Bush.

Ma a dieci anni dall’inizio dell’invasione militare, sebbene Bin Laden sia stato infine ucciso all’inizio di maggio (in un’operazione delle forze speciali USA che ha avuto il sapore di una vendetta, più che di un atto di giustizia, e che ha lasciato uno strascico di ombre e perplessità), i Talebani sono da tempo tornati prepotentemente alla ribalta, e l’Afghanistan continua ad essere uno Stato fallito.

Più di 2.700 soldati della coalizione occidentale sono morti in Afghanistan (di cui 1.780 americani; sono invece 45 i militari italiani caduti), e il numero annuale delle vittime è cresciuto progressivamente. Per non parlare poi delle vittime afghane, solitamente dimenticate in questo tipo di statistiche: solo fra i civili, oltre 8.000 afghani sono rimasti uccisi negli ultimi quattro anni, con un bilancio che continua ad impennarsi su base annuale.

I costi di questa guerra, sommati a quelli del conflitto iracheno, sono stati spaventosi per l’America: secondo l’Eisenhower Research Project, tenendo conto delle spese a lungo termine, i due conflitti sono destinati a raggiungere un costo di almeno 3.200 miliardi di dollari allo stato attuale. Secondo la stessa ricerca, il costo annuale di queste guerre per il contribuente americano, pari a circa 130 miliardi di dollari, sarebbe sufficiente a creare quasi due milioni di posti di lavoro in America nel settore dell’istruzione, della sanità e dell’edilizia.

Bin Laden è stato ucciso, è vero, ma ha realmente perso?

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