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Autore: Anna Santarello

IMPUNITÀ, MILIZIE E LA POLIZIA LOCALE AFGHANA

In Afghanistan i gruppi armati stanno proliferando. Dieci anni dopo l’invasione dell’Afghanistan guidata dagli USA in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001, l’insorgenza guidata dai Talebani risulta intensificata in molte parti del paese. Come risposta, il governo afghano e i suoi sostenitori internazionali, all’interno di una strategia di disimpegno internazionale, stanno potenziando l’esercito nazionale e la polizia in tempi velocissimi. Il governo ha riattivato diversi gruppi armati irregolari, in particolare nel Nord. Sono state anche create centinaia di piccole nuove milizie, guidate da potenti figure locali e a volte dalle comunità stesse, per rispondere alla situazione di progressivo deterioramento della sicurezza in molte parti del paese. Le forze armate internazionali che operano in Afghanistan lavorano in stretta collaborazione con queste milizie, molte delle quali sono state accusate di violazioni dei diritti umani.
Per decenni, gli afghani hanno patito gravi violazioni dei diritti umani per mano delle milizie locali, che includevano una varietà di gruppi irregolari: dai gruppi armati al comando di leader tribali alle imprese private per la sicurezza; dalle bande criminali ai gruppi di ribelli organizzati.  La parola afghana che maggiornamente si avvicina al temine “milizia” è arbaki. Questa parola indica anche le forze irregolari create dai vecchi programmi governativi. Milizie di ogni tipo hanno commesso sanguinose vendette tribali, assassini mirati, traffici illegali ed estorsioni. Frequenti sono anche gli stupri di donne, ragazze e bambini.
Di solito, le milizie sono controllate da uomini descritti come potenti locali o signori della guerra – tipicamente, vecchi comandanti mujahideen che hanno costruito il loro potere durante la guerra santa (jihad) di resistenza contro i Sovietici – che godono di una rete di protezione estesa fin nel cuore del governo locale e nazionale.
Le milizie irregolari hanno portato molti afghani ad allontanarsi dal governo centrale e in alcune zone hanno contribuito all’espansione dell’insorgenza armata; in un classico circolo vizioso, l’intensificarsi della guerriglia ha provocato un aumento dell’appoggio del governo alle milizie.
Per esempio, la provincia di Kunduz nel nordest dell’Afghanistan, di gran lunga una delle regioni più sicure del paese, ora pullula di milizie armate. L’aumento delle milizie in questa zona è dovuto alla risposta locale al rapido deterioramento della sicurezza determinato dai Talebani e altri gruppi armati che a partire dal 2008 si sono introdotti nella provincia occupandone aree significative.
Ma l’aumento delle milizie è anche frutto di una precisa politica del Direttorato Nazionale per la Sicurezza (National Directorate of Security, NDS), che ha ridato vita a milizie dei decenni precedenti, principalmente attraverso le reti di Shura-e Nazar (“Consiglio di Supervisione” del Nord, un tempo guidato da Ahmed Shah Masood) e di Jamiat-i Islami. Il NDS ha fornito denaro e armi senza alcun controllo sui requisiti per ottenerli. Grazie ai legami di potere con ufficiali di alto grado delle forze di sicurezza locali e del governo centrale, questi gruppi agiscono nell’impunità.
Nella provincia di Kunduz il dilagare delle milizie e la loro crescita di potere sono diventati perniciosi. Human Rights Watch ha raccolto numerose denunce di violazioni dei diritti umani compiute da milizie nella provincia di Kunduz, che includono uccisioni, stupri, pestaggi ed estorsioni. In molti casi, non è stata intrapresa alcuna azione legale contro i responsabili di questi crimini. Per esempio, nel distretto di Khanabad, nell’agosto 2010, una milizia ha ucciso un giovane che non voleva unirsi al gruppo. Il locale rappresentante del sistema giudiziario si è rifiutato di predisporre alcun arresto, perché il comandante della milizia aveva legami con il capo della polizia locale e con un potente della regione, Mir Alam, che gestisce gruppi armati illegali.
In questa situazione complessa, ora gli Stati Uniti e il governo afghano stanno fornendo armamenti militari, addestramento e salario a migliaia di uomini reclutati in una nuova forza armata organizzata a livello di comunità: la Polizia Locale Afghana (Afghan Local Police, ALP).
Creata per ordine degli USA e finanziata dagli USA, la Polizia Locale Afghana è ufficialmente destinata a “garantire la sicurezza alle comunità locali e impedire le infiltrazioni di gruppi insorgenti nelle aree rurali”.  E’ formalmente concepita per supportare le forze armate per la sicurezza nazionale fornendo protezione a livello di comunità di villaggio, ma senza potere di coercizione. Di fatto, viene vista dagli USA come un modo per fare fronte al gravoso impegno di passare il controllo della sicurezza al governo afghano entro il 2014, mantenendo la stabilità nelle parti remote del paese.
Mentre creavano la Polizia Locale Afghana, il governo afghano e gli USA dicevano di avere imparato la lezione dal passato e che questa volta sarebbe stato diverso. I loro sostenitori sottolineano in particolare ciò che viene descritto come misure rigorose per coinvolgere le comunità locali nella scelta e nel controllo delle reclute, insieme a sforzi per evitare di accrescere il potere di milizie preesistenti e alla attenta supervisione di speciali forze operative USA sopra la maggior parte delle nuove formazioni della Polizia Locale Afghana.
Se pure questi intenti sono lodevoli, quando sono state create le unità della Polizia Locale Afghana non è tuttavia stato fatto abbastanza per controllare le condizioni che avevano permesso alle vecchie milizie sostenute dai passati governi di commettere crimini nell’impunità, aggirando così il mandato delle comunità e minando alla radice l’obiettivo di garantire una diffusa sicurezza. Di fatto, molti afghani hanno rivelato a Human Rights Watch che è ben difficile distinguere questa nuova forza d’ordine dalle arbakai (il plurale di arbaki, milizia).
Il costante ricorso alle milizie come rimedio rapido per la sicurezza suggerisce una mancanza di comprensione di quanto può essere violenta e oppressiva anche una piccola milizia, quando opera senza il necessario controllo e commette crimini nell’impunità.
Nel momento in cui le milizie si abbandono a stupri, assassini, ruberie e intimidazioni, e non c’è un ricorso neanche minimo alla giustizia da parte delle vittime, la creazione delle milizie non diminuisce l’insicurezza; anzi, la crea.
[…] Mettendo in luce il fallimento dell’attuale programma di sicurezza e i casi di abusi commessi dalle unità della Polizia Locale Afghana, non intendiamo minimizzare le alte perdite di vite umane e il terrore causato dalle bombe dei Talebani, dagli omicidi mirati, alle esecuzioni e dai rapimenti della popolazione civile, che sono stati documentati in precedenti report di Human Rights Watch. Abbiamo sempre dato largo spazio alla disperazione degli afghani e al loro profondo bisogno di sicurezza. Ma come chiarisce bene questo report, la mancanza di sicurezza non viene solo da elementi “anti-governativi”. La debolezza del potere centrale, la corruzione endemica, le violazioni dei diritti umani e l’impunità delle forze armate sostenute dal governo sono forti incentivi alla ribellione e alla guerriglia, che devono essere affrontati se si vuole che l’Afghanistan conosca sviluppo e vera stabilità.
Human Rights Watch, dal report “Just Don’t Call It a Militia” FARE LINK http://www.hrw.org/node/101507

La vera natura della guerra in Afghanistan

Da: RAWA

“Il vero proposito dell’occupazione”, scrive Joya, “è la possibilità per gli Stati Uniti e i loro alleati di stabilire basi permanenti utili ai loro fini strategici”.

Nel suo libro, “Finchè avrò voce”, Malalai Joya parla del vero proposito dell’occupazione statunitense e delle conseguenze disastrose della guerra.

La guerra in Afghanistan non è la guerra che avremmo dovuto combattere al posto dell’Iraq. Non si tratta di proteggerci dal terrorismo. Non si tratta di sedare l’avanzamento dell’estremismo islamico. Non si tratta di stabilire i diritti delle donne. E decisamente non si tratta di esportare la democrazia. La guerra è parte della scacchiera sulla quale giocano gli Stati Uniti e i loro rivali, nel luogo che gli strateghi hanno già definito come “l’area strategicamente più importante del mondo” – il Medio Oriente. In “Finchè avrò voce”, Malalai Joya – una giovane afgana che ha già servito in parlamento, ha affrontato i signori della guerra e molti tentativi di omicidio mentre combatteva eroicamente per la libertà del suo paese – descrive con precisione la vera natura della guerra e la disastrose conseguenze che ha portato.

 “Il vero proposito” dell’occupazione, scrive, “è la possibilità per gli Stati Uniti e i loro alleati di stabilire basi permanenti utili ai loro fini strategici.” Joya spiega che “l’Asia Centrale è una regione di chiave strategica e gli USA vogliono esservi presenti con le basi permanenti soprattutto per contrastare l’influenza della Cina.” Inoltre “l’Asia Centrale p anche ricca di e risorse petrolifere e di idrocarburi. Una delle ragioni per la quale la NATO vuole rimanere in Afghanistan è per assicurare che l’Occidente abbia un accesso migliore a queste risorse.” Ad esempio “è stato annunciato recentemente che sarà costruito un oleodotto che dal Mar Caspio attraverserà il Turkmenistan e l’Afghanistan per arrivare in Pakistan e India. L’occidente non vuole che queste risorse attraversino l’Iran o la Russia.” Infine, “l’Afghanistan ha ancora molte risorse inesplorate”, come “grandi depositi di rame, ferro e altri materiali nell’Afghanistan orientale.”

Questi fattori rendono assurda la versione statunitense della guerra. Non stiamo cercando di costruire una democrazia o di sconfiggere i Taliban. Al contrario, in linea con secoli di politica estera americana, il nostro governo sta cercando semplicemente di installare un governo complice e di pacificare il paese in modo sufficiente da mantenere “stabilità”. È evidente che l’amministrazione Obama non abbia intenzione di completare il ritiro delle truppe per molti anni a venire. Infatti, è stato recentemente rivelato che il vero ritiro non avverrà fino al 2024.

Joya afferma, “per il nostro popolo, l’idea che gli Americani, con i loro potenti alleati militari, tecnologia e potere, no siano ancora riusciti a sconfiggere questi gruppi dalla mentalità medievale [Taliban, etc…] – facendo finta che questo fosse il vero obiettivo americano – è come un brutto scherzo. Sembra invece che stiano giocando al gatto e al topo, per giustificare la loro presenza militare in Afghanistan”. In realtà “la superpotenza sta usando e occupando il nostro paese nello schema della grande scacchiera. Preferirebbero mantenere la situazione nell’instabilità così da poter rimanere indefinitamente.”

Gli USA sosterranno chiunque fa il loro gioco. Questo spiega il motivo per cui Rumsfeld ha prima di tutto scelto di seguire la “strategia dei signori della guerra”. Lui e gli altri guerrafondai sanno bene a chi si sono affiancati. Quando l’Afghanistan ha steso una bozza della propria costituzione, dopo l’invasione USA (la quale è stata elaborata a porte chiuse e afferma che “nessuna legge può essere contraria al credo e alla direttive sacre dell’Islam”) membri del parlamento includevano, tra i vari pessimi esempi, elementi come Abdul Rasul Sayyaf “colui che per primo ha invitato il terrorista internazionale Osama Bin Laden in Afghanistan negli anni ’80.” Secondo Joya, Sayyaf “ha anche addestrato e consigliato Khalid Sheik Mohammed.”

Joya spiega che “in Afghanistan i cittadini ordinari conoscono molto bene Sayyaf perché le sue milizie hanno saccheggiato e massacrato migliaia di persone a Kabul nei primo anni ’90. Un report UN sul massacro del febbraio ’93 nella Kabul occidentale afferma che Sayyaf avrebbe detto ai suoi uomini ‘non lasciate vivo nessuno – uccideteli tutti’.” Un altro signore della guerra che ora è membro del parlamento e che ha contribuito a stendere la costituzione, è Siddiq Chakari, che “ha scandalosamente giustificato la distruzione di Kabul sulla base che la città era diventata ‘non-islamica’ durante gli anni del governo fantoccio sovietico e quindi aveva bisogno di essere rasa al suolo per essere ricostruita come città islamica.”

Quando Joya ha affrontato Chakari in un dibattito televisivo anni dopo, aveva dichiarato che avrebbe dovuto essere perseguito per crimini di guerra. La risposta di Chakari fu illuminante. Affermò: “invece di assegnarci medaglie all’onore come Ronald Regan, tu vuoi perseguirci.” Le verità sconcertante è che l’America spinse la crescita dell’estremismo religioso che oggi infetta la regione. “Fino agli anni ‘70” scrive Joya, “gli estremisti che adesso hanno tutto questo potere per applicare politiche contro le donne – con la loro interpretazione sbagliata dell’Islam a giustificazione – erano solo figure marginali. Il famoso signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar per esempio, era una forza screditata in quel periodo, conosciuto per aver attaccato donne senza velo all’Università di Kabul bruciandolo anche con l’acido. E’ stata la scelta degli USA, Pakistan e Iran di armare queste forze negli anni ’80 – Hekmatyar era uno dei loro favoriti in quel periodo – che ha aiutato a sguinzagliare il fascismo religioso che ha tormentato l’Afghanistan negli ultimi tre decenni.”

Il ruolo americano nell’ascesa del Jihad è decisivo. “E’ difficile misurare il ruolo chiave che gli Stati Uniti hanno svolto nel far crescere questa mentalità violenta e fondamentalista nelle generazioni di giovani afgani. Ma a partire dagli anni ’80, il governo americano ha speso più di 50 milioni di dollari per pubblicare libri di testo, attraverso l’Università del Nebraska cha hanno promosso un’agenda fanatica e militarista. Hanno insegnato ai bambini a contare usando ‘immagini di carro-armati, missili e mine anti-uomo.’ I libri sono stati spediti nell’Afghanistan occupato dai Sovietici per fomentare il jihad contro di loro, ma…hanno costituito il cuore dei curricula del sistema d’istruzione afgano per molto tempo dopo la sconfitta dei Sovietici. ‘Addirittura i Taliban hanno usato i testi prodotti in America.’ Dopo il ritiro dei Taliban, USAID ha continuato ad inviare testi in Afghanistan, dove i fondamentalisti continuano a utilizzarli per trasmettere un’immagine violenta dell’Islam.”

Il legame americano con l’Islam militare in Afghanistan ha continuato anche successivamente. Dopo aver armato e addestrato i discussi gruppi negli anni ’80 e aver lasciato il paese andare allo sfascio nelle mani dei mostri creati nei primi anni ’90, l’America ha sostenuto i Taliban.  Proprio così. Joya afferma: “per anni gli Stati Uniti hanno corteggiato i Taliban, ignorando le loro crudeltà, mentre cercavano di raggiungere un compromesso con loro per la realizzazione, tramite Unocal, di un condotto energetico che attraversasse l’Afghanistan.” Inoltre, “solo nel maggio 2001, gli Stati Uniti hanno ricompensato i Taliban con 43 milioni di dollari per aver controllato i raccolti di papavero” chiudendo un occhio “su cosa stava succedendo nei campi di addestramento terroristici lungo il confine col Pakistan.”

E oggi, d’accordo a quanto afferma Joya, gli Stati Uniti continuano a sostenere i Talebani, i cui rappresentanti risiedono anche nel parlamento afghano. Il punto focale è dare potere a quelli definiti “i nostri Talebani” o “i buoni Talebani”, cioè coloro che sono al servizio degli interessi americani. Joya spiega che l’attuale governo afghano “non è solo una fotocopia di quello talebano” ma che “alcune delle figure prominenti del regime precedente sono state riciclate e attualmente detengono posizioni di potere”.

Questo ci fa riflettere sui motivi per cui gli Americani hanno cercato di negoziare con i Talebani. Joya afferma che nel marzo 2008 gli elicotteri della NATO lasciarono tre grossi container pieni di cibo, armi e munizioni a un comandante talebano del distretto di Arghandab nella provincia di Zabul, fatto che sollevò molte domande fra la popolazione afghana circa possibili contatti segreti con i Talebani. Joya aggiunge che “la gente di Farah ha visto contatti simili tra le squadre provinciali di ricostruzione statunitensi e i comandanti talebani”. “Appare evidente”, afferma Joya, “che il governo USA vuole semplicemente ‘comprare’ qualsiasi gruppo in Afghanistan che obbedisca alle sue direttive”. Di fatto i Talebani, che continuano a combattere contro l’occupazione, hanno aumentato il loro potere, massacrando una quantità enorme di civili e inasprendo i problemi del Paese. Per usare le parole del Mullah Omar: “Si sentono molto sicuri”.

La cosa più importante è che il regime di Karzai che “non potrebbe funzionare senza i finanziamenti degli Stati Uniti e dei suoi alleati”, secondo Joya ha governato con gli stessi metodi brutali usatti dai Talebani negli anni ’90. “E’ impossibile distinguere coloro che si definiscono Talebani dai personaggi che detengono oggi il potere a Kabul. Questi ultimi si presentano come democratici solo per nascondere la loro mentalità talebana”. Inoltre, nel 2007 venne emessa la proposta di legge sulla riconciliazione che garantiva loro l’immunità per i crimini di guerra commessi negli ultimi trent’anni.

La situazione attuale nel territorio afghano è disastrosa, addirittura peggiore di quella del regime talebano. Joya scrive che “secondo l’Organizzazione per il Cibo e l’Agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), il 70% degli Afghani – 18 milioni di persone – vive con meno di due dollari al giorno e soffre di gravi instabilità per mancanza di nutrimento”. Aggiunge che il livello di disoccupazione oscilla tra il 60% e il 90%! Inoltre “la mortalità infantile e materna è fra le più elevate del mondo”. E’ terribile che ogni 28 minuti una donna afghana muoia di parto. La provincia di Badakhshan detiene il livello più elevato di mortalità materna del mondo – 6.500 morti ogni 100.000 nascite, 123 volte maggiore di quella degli Stati Uniti”.

Come se non bastasse, molte delle madri che sopravvivono sono costrette a vendere i loro bambini in cambio di cibo. L’aspettativa di vita della popolazione afghana è di soli 45 anni e l’80% delle donne è analfabeta.

L’unico sistema educativo esistente è il “lavaggio del cervello” fondamentalista. “Nel dicembre 2008, una ricerca effettuata da Afghanistan Independent Human Right Commission (AIHRC) evidenziava che solo il 5% delle ragazze e l’11% dei ragazzi poteva proseguire gli studi fino al 12° livello”. Il solo fatto di recarsi a scuola è estremamente pericoloso: “Nel novembre 2008, a Kandahar 8 ragazze sono state aggredite con acido da un uomo in moto mentre si recavano a scuola”.

Inoltre, la qualità della vita infantile è orribile. Joya scrive che secondo quanto dichiarato dal Ministero del Lavoro, Affari Sociali, Martiri e Disabili, più di sei milioni di bambini nel Paese sono sottoposti a traffici di contrabbando, rapimenti, lavoro minorile e mancanza di educazione. A causa dell’estrema povertà, molti bambini sono costretti a lasciare la scuola e a fare lavori duri e pesanti per aiutare la famiglia. Secondo uno studio di AIHRC, il 60% delle famiglie intervistate ammette che più della metà dei loro figli svolge questo tipo di lavori. Joya afferma che negli ultimi anni, i rapimenti e la violenza sessuale nei confronti dei bambini sono visibilmente aumentati. Questi fatti hanno spinto Radhika Coomaraswamy, rappresentante delle NazioniUnite che si occupa di bambini e di conflitti armati, a dichiarare: “Non vedo altri paesi al mondo in cui i bambini soffrano più che in Afghanistan”.

Non esiste autorità giudiziaria a cui le vittime possano appellarsi, poiché l’Afghanistan è un territorio governato da forze brutali. All’inizio del 2008 “il 70% dell’Afghanistan era senza legge. Il governo afghano era in grado di controllare solo il 30% del Paese; nelle aree dominate dai Talebani e dai signori della guerra non esistevano leggi”. Joya afferma che il report del 2008 della Trasparenza Internazionale sulla Corruzione Globale colloca l’Afghanistan al 172° posto su 180 Paesi per il dilagare della corruzione. Un altro studio delle Nazioni Unite riporta che “ogni anno in Afghanistan si pagano tangenti che vanno dai 100 ai 250 milioni di dollari”, il che equivale “alla metà del budget nazionale del 2006 per lo sviluppo”. Sempre secondo quanto afferma Joya, le Organizzazioni Non Governative (ONG) hanno rubato miliardi.

Attualmente l’Afghanistan viene definito “un terreno fertile per il narco-traffico”. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, dal 2001 la produzione di eroina ha avuto un’impennata del 4.000%. Joya dichiara che “attualmente il 93% della fornitura mondiale di oppio, la materia prima da cui si ricava l’eroina, proviene dall’Afghanistan”. Per aggiungere orrore su orrore, “quando le coltivazioni dei piccoli agricoltori falliscono, questi ultimi sono spesso costretti a pagare i loro debiti vendendo le proprie figlie – definite ‘spose da oppio’ – in matrimoni con signori della guerra e signori della droga”. Il commercio dell’oppio ha finanziato anche i Talebani: solo nel 2008 ha fornito loro circa 500 milioni di dollari.

Ancora una volta, questa miseria è causata dagli Stati Uniti. Joya scrive che “l’oppio è il regalo della guerra fredda all’Afghanistan”. “Mentre sosteneva i Mujhaeddin durante la resistenza contro l’invasione sovietica, la CIA creava coltivazioni di oppio nelle zone di frontiera afghane e pakistane. Ci sono dichiarazioni che affermano che nel 1981 il Presidente Reagan approvò un programma finalizzato ad indebolire le forze militari sovietiche in Afghanistan cercando di renderle dipendenti da droghe illegali. Secondo quanto riportato, alcuni agenti della CIA erano direttamente coinvolti in traffici di eroina. Inoltre, la CIA sosteneva i ribelli Mujaheddin narco-trafficanti, scambiando spesso armi con oppio. Si dice che Gulbuddin Hekmatyar, uno dei maggiori signori della droga della regione, utilizzasse la sua rete di traffici con la CIA per finanziare la rivolta”.

Secondo Joya, la NATO non affronterà né risolverà il problema del narco-traffico. “Nel gennaio 2007 Karzai nominò Izatullah Wasifi responsabile della lotta contro la corruzione in Afghanistan. Questo personaggio era un trafficante di droga che passò quasi quattro anni nella prigione di stato del Nevada per aver cercato di vendere eroina a un funzionario della polizia”.

Tuttavia, il quadro piu’ drammatico è il trattamento a cui sono sottoposte le donne, che più di tutti subiscono la brutalità e la mancanza di leggi. Nel suo libro, Joya sottolinea ripetutamente che la situazione attuale delle donne è la stessa terribile situazione dell’epoca talebana. Le donne non hanno diritti. Non possono guidare. Di norma, non possono uscire di casa se non accompagnate da un parente maschio e coperte da un burqa. La legge sembra fatta apposta per cospirare contro di loro, visto che Karzai ha reso legale lo stupro dei mariti nei confronti delle mogli.

Joya afferma che “la situazione delle donne è identica a quella che esisteva nel regime talebano. Per alcuni aspetti, la loro condizione è addirittura peggiorata poiché il numero di suicidi e rapimenti è aumentato, con l’impunità totale in caso di stupri”. Joya riporta alcuni dati decisamente scioccanti: “Secondo una statistica effettuata dal Fondo di Sviluppo per le Donne delle Nazioni Unite (UNIFEM), la violenza colpisce l’80% delle donne afghane e per la maggior parte si tratta di violenza domestica. Inoltre, i matrimoni forzati oscillano fra il 60% e l’80%, con giovani ragazze vendute come merce.

Dichiara inoltre: “Nel mio Paese le donne soffrono del più alto tasso di depressione al mondo e il 25% delle donne afghane subisce violenza sessuale”. Lo stupro genera doppia vergogna nella vittima, che viene spesso rinnegata o addirittura uccisa dalla famiglia per via della macchia irreparabile causata al suo onore. Inoltre, in Afghanistan ci sono almeno un milione e mezzo di vedove  e la prostituzione è in aumento. Per sfuggire a questa miseria molte donne ricorrono al suicidio, spesso auto-immolandosi. Nella prima metà del 2007, 250 donne si sono suicidate. La politica medievale dei Talebani vige tuttora.

Tutto ciò rende decisamente ridicola la campagna propagandistica così ben coordinata dai mass media secondo cui l’America sta cercando di ripristinare i diritti delle donne in Afghanistan. Secondo questa campagna, in Afghanistan esisterebbe la pluralità visto che Joya e altre donne sono state o sono tuttora presenti in parlamento. Tuttavia, ciò che evitano accuratamente di menzionare è che tutte quelle donne in parlamento sono semplici fantocci nelle mani dei signori della guerra e che Joya è stata espulsa e continua a subire minacce di morte per aver chiamato i signori della guerra con il loro nome: criminali.

La copertina della famigerata rivista Time mostra una donna con il viso mutilato e titola: “Cosa accadrebbe se dovessimo lasciare l’Afghanistan?”. Come Joya sottolinea: “Ciò che non viene denunciato è che queste atrocità avvengono proprio mentre gli Stati Uniti occupano l’Afghanistan”. In generale, Joya ritiene che i media occidentali abbiano trasmesso una descrizione non reale del conflitto, sostenendo il governo degli Stati Uniti ed evitando di riportare i dati sulle vittime civili. In particolare, chiede alla popolazione statunitense di “ignorare le notizie trasmesse dalla Fox”.

In Afghanistan, la libertà di parola e la libertà di stampa non esistono. Nel 2007 un giornalista venne condannato a morte, e in seguito la sua pena fu commutata a 23 anni di prigione per aver fatto circolare fra gli amici un articolo che criticava l’Islam. Secondo Joya, “gli attacchi ai giornalisti sono causati sia dai Talebani e dai signori della guerra che dalle autorità governative: Zakia Zaki, una grande giornalista e attivista per i diritti delle donne, venne assassinata nella sua casa”. Per sopravvivere, molti giornalisti devono ricorrere all’auto-censura. “Fare il nome di un signore della guerra può causare problemi e addirittura minacce di morte”. Inoltre, se si scrive un articolo che critica i crimini commessi da Ahmad Shah Massoud, eroe acclamato dall’occidente che fu in realtà una grande minaccia per la popolazione afghana, “il giorno dopo si verrà torturati o uccisi dai signori della guerra dell’Alleanza del Nord”.

La guerra continua ad essere un massacro da tutti i punti di vista. Con l’amministrazione Obama le cose sono peggiorate. Joya spiega che una guerra contro il terrorismo è ridicola. Il terrore è una tattica e non è possibile combattere una tattica. L’unica via d’uscita è sradicare le cause dell’estremismo militante. Su queste basi, non sorprende che la guerra in Afghanistan e la guerra al terrorismo in generale abbiano reso l’America e il mondo intero più pericolosi e molto più vulnerabili.

Secondo Joya, gli attacchi aerei americani hanno ucciso più di 7.000 civili. In molti casi le forze della NATO hanno incidentalmente bombardato edifici in cui si svolgevano matrimoni, uccidendo donne e bambini. Spesso, i portavoce delle forze militari statunitensi negano questi bombardamenti oppure, nei casi in cui ammettono che siano realmente avvenuti, descrivono le vittime come “terroristi”. Dopo un ennesimo massacro, la gente è scesa nelle strade per protestare, ma è stata nuovamente azzittita dalle forze afghane sostenute dagli Stati Uniti.

I rancori e la violenza hanno esacerbato le tensioni tribali etniche e Joya avverte che se questa situazione continuerà, l’intera regione verrà totalmente destabilizzata degenerando velocemente nella completa anarchia.

Secondo Joya e secondo anche altre fonti, attualmente si spendono 100 milioni di dollari al giorno e piu’ di due miliardi di dollari verranno spesi nei prossimi anni per l’occupazione in Afghanistan. Non possiamo accettare che il nostro governo continui questa guerra, disastrosa per tutti ad eccezione di quelle imprese come Lockheed Martin e Xe Services (ex Blackwater), che guadagnano miliardi sulla sofferenza altrui. Non si può permettere che la situazione della popolazione afghana degeneri ancora. Il popolo afghano ha resistito per secoli e ha bisogno del nostro sostegno nella lotta per l’indipendenza da interventi esterni e dai Talebani. L’America non può continuare questa scandalosa occupazione, in particolare quando il 20% della popolazione è disoccupata o sotto-occupata e le nostre infrastrutture si stanno sgretolando.

COMUNICATO DEL CISDA SU BURHANUDDIN RABBANI

Rabbani non era un uomo di pace, non era un eroe, non è un martire.

Burhannudin Rabbani era uno dei peggiori criminali che la storia afghana ricordi.
 Ha cominciato la sua lunga carriera criminale negli anni Ottanta gettando vetriolo in faccia alle studentesse dell’Università di Kabul, insieme al suo “compagno di merenda” Massoud.

Ha commesso genocidi, ha fatto uccidere, stuprare, torturare, bombardare migliaia di civili afghani. Ha distrutto la città di Kabul nella guerra fazionale tra il 1992 e il 1996. Ha continuato, anche in tempi recenti, a guidare la formazione più oscurantista nello scenario politico afghano. Ancora recentemente le sue milizie sono state accusate di rapimenti, stupri e uccisioni di bambine. Nel 2010 il governo di Karzai ha concesso un’amnistia in modo che criminali come lui non potessero mai essere giudicati da un regolare Tribunale Internazionale.

Quando dieci anni fa le truppe USA-NATO hanno occupato il paese, gli afghani avevano grandi aspettative: al primo posto chiedevano giustizia. Chiedevano che i signori della guerra come Rabbani venissero spediti davanti a un Tribunale a rispondere di un trentennio di crimini inenarrabili.
 Ma tutto quello che hanno avuto è la loro legittimazione agli occhi della comunità internazionale.

Ora c’è solo rammarico: nei siti afghani si dice che Rabbani è stato ucciso con le sue stesse armi; che la giustizia doveva arrivare con un Tribunale Internazionale e non per mano di altri assassini come lui.
 Di fronte all’uccisione di un criminale certamente ci si può – anzi ci si deve! – rammaricare di non essere riusciti a processarlo come avrebbe meritato.

Ma la reazione dei media italiani, anche quelli di sinistra, è semplicemente raccapricciante, nella loro neutralità e acquiescenza. Tacere sui crimini compiuti da Rabbani è esserne complici, è non voler vedere la fame di giustizia degli afghani. Continuare sulla strada intrapresa dalle forze USA-NATO, cioè legittimare e lasciare al governo criminali come Rabbani, renderà sempre più intollerabile l’occupazione militare in Afghanistan.

CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane onlus)

Supertalebani

Enrico Piovesana – PeaceReporter
Un pugno di guerriglieri travestiti da donna riesce a penetrare nell’area più sorvegliata di Kabul e tiene in scacco per venti ore centinaia di soldati americani e afgani
C’è chi ha paragonato l’azione talebana a Kabul di ieri con l’attacco dei vietcong a Saigon del 1968 che diede il via alla famosa offensiva del Tet. A parte il fatto che in entrambi i casi sono stati attaccati l’ambasciata Usa e il palazzo presidenziale, le due operazioni appaiono imparagonabili per le loro dimensioni: cinque battaglioni comunisti a Saigon, meno di dieci talebani a Kabul.
Facendo però le debite proporzioni l’analogia appare meno assurda. Se una decina scarsa di guerriglieri è riuscita a penetrare nella zona più sorvegliata della capitale, a colpire gli obiettivi più sensibili e a tenere in scacco per ben venti ore centinaia di soldati appoggiati da elicotteri da guerra, cosa sarebbe accaduto se e l’attacco fosse stato sferrato da cinque battaglioni di talebani?
Nonostante Usa e Nato minimizzino, a nessuno sfugge la gravità di quanto accaduto. Un pugno di guerriglieri travestiti da donna a bordo di un pulmino pieno di armi sono riusciti a penetrare fino ai margini della blindatissima ‘Green Zone’ di Kabul, superando senza problemi tutti i checkpoint disseminati per la città, mentre altri loro compagni attuavano attentati suicidi diversivi in differenti zone della città.
Il commando è poi riuscito a prendere posizione in un edificio in costruzione a ridosso della Zone Verde all’interno del quale, nei giorni precedenti, era stato nascosto un vero e proprio arsenale. Da lassù i talebani hanno comodamente bersagliato per ore l’ambasciata Usa, il quartier generale della Nato, il palazzo presidenziale e la sede dei servizi segreti afgani.
Le immagini dei soldati americani che rispondono al fuoco talebano dall’interno del compound dell’ambasciata Usa, diffuse dalla Nato a scopo propagandistico, ricorda le scena di un film western con il fortino militare di ‘visi pallidi’ assediato da centinaia di indiani. Peccato che gli indiani-talebani che hanno tenuto sotto tiro per venti ore i soldati americani fossero solo cinque. Fossero stati cinquecento avrebbero conquistato Kabul?
“Impossibile preparare ed effettuare una simile operazione senza la collaborazione di qualche simpatizzante all’interno delle forze di sicurezza”, ha dichiarato Mohammed Naim Hamidzai Lalai, presidente del Comitato sicurezza del parlamento.
Anche secondo l’agenzia americana privata d’intelligence Stratfor, “riuscire a fare arrivare in quella zona di Kabul diversi uomini, esplosivi e armi pesanti implica per forza di cose un qualche sostegno da parte delle forze di sicurezza afgane addette alla sorveglianza”.
Visto e considerato che, al di là delle cessione formale delle responsabilità avvenuta a luglio, la gestione della sicurezza di un area sensibile come il centro di Kabul è ancora supervisionata dall’intelligence Usa, qualche ruolo in questa clamorosa vicenda potrebbe averla giocata anch’essa.
Questo piccolo 11 settembre afgano avrà il suo peso nelle trattative in corso tra Kabul e Washington sul mantenimento di basi permanenti Usa in Afghanistan dopo il 2014. Un’eventualità che il consigliere di Karzai alla sicurezza, Rangin Dadfar Spanta, ha ufficializzato per la prima volta al parlamento afgano proprio mentre il commando di supertalebani metteva a ferro e fuoco Kabul. Coincidenze.

Afghanistan: cresce il traffico di bambini

LA STAMPA

La povertà endemica di alcune zone dell’Afghanistan sta costringendo molte famiglie in condizioni di miseria a vendere i propri figli per sopravvivere, segnala Radio Free Afghanistan.

Associazioni a tutela dei diritti umani hanno riferito che nella provincia settentrionale di Jawzjan – una delle regioni meno sviluppate del Paese – questo triste fenomeno è in continuo aumento.

Un rapporto pubblicato nel 2010 dalla ONG Internazionale ‘Save the Children’, dedicata all’abolizione del lavoro minorile nel mondo, rivela che circa il 28% di tutti i bambini tra i 5 e i 15 anni residenti a Jawzjan è stato venduto dai propri genitori o tutori.

Dopo la morte del padre avvenuta otto mesi fa, Farid, 4 anni, è stato venduto a un parente. La madre, nel frattempo risposatasi, ha ricevuto in cambio 12.000 afgani (280 dollari) promettendo che il bambino avrebbe lavorato per lui.

Farid al momento si trova in un letto dell’ospedale pediatrico di Jawzjan con gravi ustioni a braccia e piedi. Completamente ricoperto dalle bende, il bambino urla dal dolore.

“Quando è stato portato in ospedale una settimana fa, le bruciatore sul corpo erano gravemente infette e gonfie,” racconta il Dottor Khalil Hidari, direttore dell’ospedale. “Si trovava in uno stato di malnutrizione e di salute molto precaria.

La nonna di Farid ha dichiarato a Radio Free Liberty che la famiglia non è responsabile del pessimo stato di salute del bambino e ha raccontato che si è procurato le ferite quando ha accidentalmente dato alle fiamme un sacchetto di plastica.

 Ma i medici dell’ospedale sono scettici su questa spiegazione, e addirittura alcuni credono che qualcuno abbia cercato di uccidere Farid perché non era utile e non potevano più permettersi di prendersene cura.

“Purtroppo, molti afghani non sono a conoscenza dei propri diritti, o di quelli di donne e bambini”, afferma Maghferat Samimi, responsabile dell’ufficio provinciale di Jawzjn della Commissione indipendente per i diritti umani. “La violenza che ne deriva è una grossa preoccupazione per tutti noi.”

 Nonostante il Paese abbia firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini, il lavoro minorile in Afghanistan è dilagante; numerose famiglie povere mandano i propri figli ai lavori forzati, li vendono per lo sfruttamento sessuale, o li costringono a matrimoni precoci. Molti dei bambini – alcuni di soli tre anni – vengono oberati di lavoro e sono soggetti a malnutrizione e malattie.

 Purtroppo però il governo afghano, che secondo la convenzione è obbligato a fermare la vendita e il commercio dei minori, non possiede ancora gli strumenti adatti per frenare la tendenza di questo traffico verso il lavoro minorile e non solo.

Afghanistan, attacco contro ambasciate a Kabul: almeno 6 morti

Da PeaceReporter – 13.9.2011

Sarebbe di sei morti e sedici feriti il bilancio provvisorio dell’attacco  dei talebani contro ambasciate e obiettivi governativi a Kabul.

Il ministero dell’Interno di Kabul ha reso noto che le vittime sarebbero quattro poliziotti e due civili

Due attentatori sono stati uccisi negli scontri a fuoco vicino all’ambasciata statunitense, contro la quale i talebani avevano lanciato alcuni razzi. Un terzo è stato colpito sulla strada verso l’aeroporto.

“I diplomatici Usa continueranno a lavorare in Afghanistan” ha dichiarato il segretario di Stato Hillary Clinton aggiungendo che i funzionari “non saranno intimiditi da questi attacchi codardi”.

INTERVISTA DI SONALI KOLHATKAR, CO-DIRETTRICE DI AFGHAN WOMEN’S MISSION, A UNA DONNA DI RAWA (REVOLUTIONARY ASSOCIATION WOMEN OF AFGHANISTAN)

RAWA – Revolutionary Association of the Wome of Afghanistan

Afghan Women’s Mission

Dieci anni fa, quando ci fu l’attacco terroristico dell’11 settembre, io e le mie colleghe di Afghan Women’s Mission assistemmo scioccate e inorridite alla morte di migliaia di persone innocenti. Tuttavia, apprendemmo subito dopo che la ritorsione avrebbe avuto come obiettivo l’Afghanistan e che tutta la popolazione afghana, incluse le donne e l’organizzazione clandestina RAWA che lavorava in solidarietà con loro, sarebbe diventata il bersaglio delle bombe americane.

Il 14 settembre 2001 RAWA emise una dichiarazione dal titolo “La popolazione afghana non ha niente a che fare con Osama e i suoi complici” * (ved. testo tradotto qui di seguito), in cui esprimeva il proprio cordoglio, sottolineando tuttavia che la stessa politica americana aveva portato a tutto ciò.

RAWA si unisce al resto del mondo nell’esprimere il proprio dolore e nel condannare questo atto barbarico di violenza e terrore. RAWA aveva già avvertito gli Stati Uniti che non avrebbero dovuto sostenere questi fondamentalisti islamici infidi, criminali, anti-democratici e contrari ai diritti delle donne. Sia i gruppi Jihadi che i Talebani hanno commesso ogni tipo di crimine efferato contro la nostra gente e non si fanno scrupoli nel commettere tali crimini anche nei confronti della popolazione americana che considerano ‘infedele’. Per poter raggiungere e mantenere il potere, questi barbari criminali sono disposti ad utilizzare qualsiasi mezzo a disposizione”.

Il messaggio di RAWA continuava cercando di dissuadere gli Stati Uniti dal provocare una guerra: “Un ampio e indiscriminato attacco ad un Paese sottoposto a massacri e disastri da più di due decadi non può essere motivo di orgoglio”.

L’11 ottobre, quattro giorni dopo l’inizio dei bombardamenti in Afghanistan, RAWA chiese ancora una volta agli Stati Uniti di fare ciò che era giusto, prevedendo già dettagliatamente il verificarsi della guerra: “La continuazione degli attacchi USA e l’incremento del numero di vittime civili innocenti non sarà solo una buona scusa per il Talebani, ma causerà anche il rafforzamento delle forze fondamentaliste nell’intera regione e in tutto il mondo”.

Un mese più tardi, quando i Talebani vennero velocemente espulsi da Kabul, RAWA si rese conto che gli USA stavano sostituendo i Talebani con i loro “fratelli ideologici”, i signori della guerra dell’Alleanza del Nord. A quel punto, divulgò un altro appello internazionale avvertendo che “l’Alleanza del Nord, per rimanere al potere, avrebbe intensificato in modo drastico i conflitti etnici e religiosi alimentando un’ennesima guerra civile, brutale e infinita”.

Purtroppo, gli avvertimenti di RAWA vennero ignorati e gli ultimi dieci anni hanno visto avverarsi le sue previsioni. La guerra in Afghanistan continua tuttora e non se ne vede la fine, con un governo corrotto e pieno di Talebani e di membri dell’Alleanza del Nord, mentre la popolazione è intrappolata nel conflitto.

In occasione di questo decimo anniversario dell’11 settembre, ho intervistato Reena, una donna di RAWA.

Sonali Kolhatkar: Qual è stata la vostra reazione nell’apprendere degli attacchi terroristici di New York e Washington dieci anni fa? Potevate immaginare che nel giro di un mese gli Stati Uniti avrebbero attaccato l’Afghanistan?

Reena: La nostra prima reazione fu la stessa che ebbe il mondo intero. Eravamo scioccate e molto addolorate per tutte le persone innocenti uccise al World Trade Center. Tuttavia, la reazione che ebbero subito dopo gli Stati Uniti fu piuttosto ovvia per noi. Come sempre è accaduto nella loro storia, sapevamo che invadere altri paesi era la loro politica. Tuttavia, quello che temevamo e contro cui ci siamo battute era che avrebbero messo al potere i vecchi criminali nemici della popolazione afghana, cioè gli uomini dell’Alleanza del Nord, mascherandoli con un apparente “governo democratico”. Questo l’avevamo previsto, come avevamo previsto che un governo simile avrebbe creato condizioni addirittura peggiori di quelle dei Talebani.

Sonali Kolhatkar: Puoi affermare che le forze e l’ideologia manifestatasi l’11 settembre 2001 sono le stesse che attualmente si ripercuotono e opprimono le donne afghane?

Reena: Certo, anche se in modo diverso. Il fondamentalismo è un fenomeno globale che si manifesta in forme diverse in ogni luogo. Tuttavia, ciò che il fondamentalismo provoca alle donne e alla gente quando raggiunge il potere è lo stesso ovunque. Di conseguenza, un fondamentalismo che ha il nome dei Talebani, dei Jihadi, dell’Alleanza del Nord, del governo iraniano o di qualche altro gruppo terrorista in altre parti del mondo, causa gli stessi problemi se collocato al potere nello stesso modo in cui gli Stati Uniti hanno messo al potere i signori della guerra.

Sonali Kolhatkar: Molti Americani non erano al corrente del sostegno che gli Stati Uniti hanno dato alle forze fondamentaliste in Afghanistan e nemmeno dei numerosi combattenti arabi giunti in Afghanistan per combattere l’Unione Sovietica. Qui negli Stati Uniti gli Americani erano stupiti per quanto accaduto l’11 settembre, ma in Afghanistan molta gente non sembrava affatto sorpresa.

Reena: Assolutamente sì. Basta osservare la storia per rendersi conto che questi fatti importanti non ricevono l’attenzione dei media negli Stati Uniti. Ma se si osserva attentamente la storia più recente, emerge chiaramente che la politica americana è sempre stata quella di utilizzare i fondamentalisti per i propri interessi, come è stato fatto trent’anni fa con i Mujhaeddin, come accade attualmente con alcuni gruppi terroristici e come è sempre stato. Leggendo un buon libro di storia, questo si evince chiaramente. Gli USA hanno sempre aiutato i Mujaheddin e i signori della guerra. Ai tempi, l’obiettivo era buttare fuori i Sovietici e mettere i Mujaheddin al potere per poter distribuire ovunque le loro basi e la loro presenza militare; l’unico scopo era perseguire i propri interessi. Gli Stati Uniti sosterranno chiunque, inclusi questi brutali fondamentalisti.

Sonali Kolhatkar: Tramite il suo sito web e altri mezzi di comunicazione, RAWA ha sempre denunciato l’oppressione delle donne da parte dei Talebani. Come avete reagito quando il presidente Bush e sua moglie Laura hanno utilizzato i diritti delle donne come uno dei motivi che giustificavano la guerra in Afghanistan?

Reena: Usare i diritti delle donne è sembrata una cosa ridicola fin dall’inizio. Abbiamo sempre dichiarato che Bush e tutta l’America hanno riportato al potere i signori della guerra dell’Alleanza del Nord. Non faranno mai qualcosa di realmente utile per le donne. Attualmente, come possiamo vedere, la condizione delle donne è peggiorata, ma loro non hanno fatto nulla per aiutarle. Per questo era decisamente ridicolo che il presidente Bush e sua moglie volessero fare qualcosa per aiutare le donne afghane e l’intera popolazione. Se così fosse stato, non avrebbero messo al potere quei criminali. Non avrebbero dato loro così tanto potere. Ci sono molti gruppi democratici in Afghanistan e avrebbero potuto parlare con loro, negoziare con loro. Fin dall’inizio, la cosa più ridicola che potevano fare era riportare quei fondamentalisti al potere utilizzando le donne come una scusa per invadere il Paese. Con questa gente al potere, non le hanno certo aiutate, come si dimostra dopo dieci anni di occupazione con questi signori della guerra in posti strategici.

Sonali Kolhatkar: Quindi, negli ultimi dieci anni passati sotto l’occupazione NATO e degli Stati Uniti, i diritti femminili hanno fatto dei passi indietro, in particolare sulla base delle leggi misogine promulgate dal parlamento afgano e del sistema giudiziario governativo che ha attaccato le donne? Da un punto di vista legale e politico, la situazione attuale è peggiorata rispetto al periodo dell’occupazione talebana o è rimasta la stessa?

Reena: Le leggi di cui parli non ricevono un’attenzione sufficiente e questa è una delle cause che incide molto negativamente sulle donne. Comunque, alla base c’è il fatto che in Afghanistan non esiste un sistema legale o giudiziario. Non c’è nulla che possa proteggere le donne maltrattate, ferite o che hanno bisogno di aiuto. Non c’è un procedimento legale che persegue e porta in tribunale chi ha commesso atti di violenza nei confronti delle donne. L’unico sistema legale esistente viene utilizzato nell’interesse dei signori della guerra che sono al potere. Ad esempio, il parlamento usa il suo potere per far passare queste leggi. Il sistema giudiziario emette sentenze molto controverse che sarebbero conformi alla legge della Sharia… Non ci sono leggi o, se ci sono, sono nelle mani di questi signori della guerra che le rigirano e le utilizzano a loro beneficio, in base alla loro misogina mentalità, contro le donne. Di conseguenza, non esiste protezione né giustizia per le donne in Afghanistan.

Sonali Kolhatkar: Dopo dieci anni dall’11 settembre c’è ancora molta ignoranza sull’Afghanistan. Anche se ormai la guerra in Afghanistan è la più lunga di tutte le guerre della storia degli Stati Uniti, continua ad esserci molta ignoranza. Che cosa consiglia agli Americani in merito alla guerra e a come educare meglio loro stessi?

Reena: La gente dovrebbe consultare il sito web di RAWA, www.rawa.org, e leggere le nostre notizie sempre aggiornate sulla situazione in Afghanistan e sulle cose terribili che accadono alle donne. In merito a ciò che la gente americana può fare, ribadisco quanto abbiamo sempre affermato e cioè che dovrebbe chiedere il ritiro delle truppe, poiché la presenza militare non ha in nessun modo aiutato la popolazione afghana. Questi dieci anni lo hanno dimostrato chiaramente. Inoltre, come ho detto prima, esistono gruppi realmente democratici in Afghanistan che possono aiutare davvero la gente. Tuttavia, le basi e le truppe militari statunitensi non sono qui per questo. Questi signori della guerra devono essere disarmati e rimossi dal potere, dopodiché forse potremo cominciare a parlare di un Afghanistan migliore e dei diritti delle donne.

COMUNICATO DI RAWA (REVOLUTIONARY ASSOCIAZION WOMEN OF AFGHANISTAN) DEL 14 SETTEMBRE 2001

La popolazione afghana non ha niente a che fare con Osama e i suoi complici

L’11 settembre 2001 il mondo intero era allibito per gli attacchi terroristici agli Stati Uniti. RAWA si unisce al resto del mondo nell’esprimere il proprio dolore e nel condannare questo atto barbarico di violenza e terrore. RAWA aveva già avvertito gli Stati Uniti che non avrebbero dovuto sostenere questi fondamentalisti islamici infidi, criminali, anti-democratici e contrari ai diritti delle donne. Sia i gruppi Jihadi che i Talebani hanno commesso ogni tipo di crimine efferato contro la nostra gente e non si fanno scrupoli nel commettere tali crimini anche nei confronti della popolazione americana che considerano “infedele”. Per poter raggiungere e mantenere il potere, questi barbari criminali sono disposti ad utilizzare qualsiasi mezzo a disposizione.

Tuttavia, dobbiamo affermare che proprio il governo degli Stati Uniti ha sostenuto il dittatore pakistano Gen Zia-ul Haq nella costruzione di migliaia di scuole religiose che hanno fatto crescere il germe dei Talebani. Nello stesso modo, come è chiaro a tutti, Osama Bin Laden è stato il beniamino della CIA. Ma la cosa più dolorosa è che i governanti americani non hanno tratto nessun insegnamento dalla loro politica che ha sostenuto il fondamentalismo nel nostro Paese, e stanno tuttora sostenendo questo o quel gruppo o leader fondamentalista. Noi riteniamo che qualsiasi tipo di supporto ai fondamentalisti talebani o jihadi calpesti ogni valore democratico nonché i diritti delle donne e i diritti umani.

Visto che è ormai chiaro che i sospetti sugli attacchi terroristici si focalizzano al di fuori degli Stati Uniti, si riconferma la nostra affermazione che i terroristi fondamentalisti avrebbero divorato i loro creatori.

Il governo degli Stati Uniti dovrebbe considerare qual è la radice di questo terribile evento, che non è stato il primo e non sarà nemmeno l’ultimo. Gli Stati Uniti dovrebbero smettere una volta per tutte di supportare i terroristi afghani e i loro sostenitori.

Ora che i Talebani e Osama sono i principali sospettati di questi attacchi criminali, gli Stati Uniti sottoporranno l’Afghanistan ad un attacco militare simile a quello del 1998 in cui hanno ucciso migliaia di Afghani innocenti per i crimini commessi dai Talebani e da Osama? Gli Stati Uniti ritengono veramente che attraverso questi attacchi che causeranno migliaia di vittime povere ed innocenti, saranno in grado di estirpare la radice del terrorismo? Non considerano che, al contrario, il terrorismo si allargherà su più ampia scala? Dal nostro punto di vista, un ampio e indiscriminato attacco ad un Paese sottoposto a massacri e disastri da più di due decadi non può essere motivo di orgoglio. Non riteniamo che un simile attacco sia l’espressione della volontà della popolazione americana.

Il governo degli Stati Uniti e il suo popolo dovrebbero rendersi conto che c’è una grande differenza tra la povera e devastata gente afghana e i terroristi e criminali Jihadi e Talebani.

Pur esprimendo nuovamente la nostra solidarietà e il nostro profondo dolore per la gente degli Stati Uniti, riteniamo che attaccare l’Afghanistan e uccidere la sua popolazione già fortemente provata e indigente non diminuirà in alcun modo la pena degli Americani. Speriamo sinceramente che il grande popolo americano possa differenziare la gente afghana da un pugno di terroristi fondamentalisti. I nostri cuori sono accanto a quelli degli Statunitensi.

Basta con il terrorismo!

E – il mensile: Ombre Rosse

Settembre 2011
E – il mensile, Enrico Piovesana
Dieci anni dopo l’11 Settembre e la caduta del regime talebano, una nuova generazione sta insorgendo dalle macerie di un paese imprigionato nel suo passato, impugnando la bandiera di un futuro che oggi sembra ancora utopistico e irrangiungibile, ma che già prende vita nei pensieri e nelle azioni quotidiane di un numero sempre maggiore di giovani.

le ragazze di AFCECO vincono il torneo di Calcio a Kabul

Comunicato di AFCECO, 6/9/2011
Questa settimana la squadra di calcio delle ragazze AFCECO hanno disputato il torneo FIFA annuale, promosso dalla squadra nazionale di calcio femminile Afghana, che ha visto incontrarsi sedici squadre provenienti da scuole dell’area di Kabul. Durante tutto il torneo le ragazze dell’orfanotrofio di Mehan hanno segnato solo un gol nei tempi regolamentari. Alla fine dei tempi regolamentari il punteggio era di 1 a 1 e Mehan ha vinto con 4 tiri in porta contro 3 delle avversarie.

Le ragazze della squadra hanno dichiarato: “Possiamo essere campionesse”, e ora si può dire che lo sono diventate! Dire che è stata una vittoria sentita è un eufemismo. Le ragazze hanno giocato con intensità, determinazione e intelligenza. Hanno giocato come una squadra. Nessuna è stata superstar, passavano la palla e difendevano il campo come gli era stato insegnato dal loro allenatore durante tutto l’anno. Ogni giocatrice ha ricevuto una medaglia e la squadra ha portato a casa alcuni palloni da calcio e un nuovo trofeo di considerevoli dimensioni, forse il primo di tanti! Le giocatrici sono state ricevute all’orfanotrofio di Mehan da tutti gli altri bambini e dallo staff di AFCECO con petali di rosa volanti e lacrime di gioia. Siamo tutti molto orgogliosi delle nostre ragazze.

Spesso noi di AFCECO ricordiamo al mondo il significato che questo programma ha significato per la vita delle ragazze. Sono state risollevate da una condizione in cui veniva rifiutato il loro stesso valore come esseri umani, e ora hanno una solida esperienza delle proprie potenzialità individuali. Inoltre si rendono conto di essere diventate un esempio per tutti gli altri afgani. Il fatto che sono state viste da migliaia di cittadini di Kabul tramite la televisione invia un messaggio di enorme portata per la gente ovunque, in particolare per le altre ragazze. Dobbiamo ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto questo programma, Richar Riess in particolare per la sua significativa sponsorizzazione del programma di calcio.

Attualmente siamo alla ricerca di modi per ottenere un lotto di terreno da utilizzare come campo di gioco permanente per le ragazze AFCECO e per la squadra nazionale. Ciò è vitale per poter garantire la durata del nostro programma perché attualmente pochi campi sono disponibili e non a lungo termine.

Clicca qui per vedere le foto della squadra di AFCECO

Blog di Ian Pounds

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Reportage dall’Afghanistan: intervista a Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale

L’ortopedico Alberto Cairo (Croce Rossa) si trova nel Paese martoriato dalla guerra da 20 anni
Alberto Cairo racconta sorridendo che il giorno più brutto della settimana è stato quando uno dei nuovi impiegati informatici gli ha dato settant’anni.  Lui ne ha 58, di cui 20 passati a Kabul per seguire, per incarico del Comitato della Croce Rossa Internazionale, il programma ortopedico nato nel 1988 per aiutare le vittime delle mine.
Ora è un centro con quasi 340 impiegati tutti disabili (viene definita la discriminazione positiva), ex assistiti, produce in loco le protesi ed ha tagliato da poco il traguardo dei 100.000 pazienti registrati.
Trapela dal viso di Cairo in effetti un po’ di stanchezza, ma il dinamismo è quello noto così pure l’ironia con cui cerca di alleggerire il quadro a tinte foschissime dell’Afghanistan attuale.
“Vedo un Paese sfiduciato, che non crede più nel governo, corrotto fino al midollo, e tantomeno nell’Occidente, che dopo dieci anni è ancora in guerra e non ha certo portato affrancamento dalla povertà e tantomeno democrazia.
Poi la violenza dei gruppi armati sta conoscendo il suo periodo di maggior recrudescenza e sono i civili a farne le spese”.

Concorda con le forti affermazioni di Stocker Reto, capo della delegazione ICRC in Afghanistan, secondo cui la situazione nel paese può essere definita la peggiore degli ultimi trent’anni e che per gli aiuti umanitari è ormai impossibile raggiungere alcuni distretti?

Purtroppo è così: se un’organizzazione si avvale delle forze armate allora può arrivare in un dato posto, arriva con i soldati e se ne va con i soldati, ma non viene comunque vista bene dalla maggior parte della gente delle campagne, che percepisce l’aiuto in ogni caso come qualcosa che ti viene portato con le armi e senza che si crei un reale legame, una continuità, con le persone.
Chi, come noi o come Emergency, tiene le distanze da questo, non riesce più nemmeno ad avvicinarsi ai villaggi.
Anche nel Nord del Paese, prima relativamente tranquillo, la proliferazione e la frammentazione dei gruppi armati ci impedisce di arrivare.
Far visite o sostenere programmi è troppo pericoloso, non ci sono più garanzie: fino a qualche tempo fa si sapeva almeno con chi si doveva andare a parlare per farsi accettare: i due o tre commanders che gestivano il potere nella zona, oggi non si riesce più a fare nemmeno quello perché questi figuri cambiano di continuo e non si sa più chi è che cosa.
Purtroppo ci sono zone, a sud di Kabul, dove avevamo pazienti che stavano seguendo un programma, in cui non andiamo più.

A che cosa è dovuta questa involuzione?

C’è un generale malcontento: chiunque non è soddisfatto diventa un oppositore e si creano tanti piccoli gruppi, ormai difficili da identificare.
La responsabilità maggiore dell’instabilità ce l’ha comunque il debole e corrotto potere centrale, con la cui indifferenza per il bene pubblico ci scontriamo anche noi.
Basti pensare che non solo non fa niente per sostenere il centro, ma ci fa pagare una bolletta di energia elettrica così salata come se invece di operare gratuitamente fossimo una fabbrica a scopo di lucro.
Qualche tempo fa, poi, dopo che abbiamo segnalato che si accumulava acqua in strada fuori dall’ospedale, avendo scoperto che si trattava di un tubo che perdeva, invece di intervenire, ci hanno direttamente chiuso i rubinetti… per fortuna abbiamo un pozzo…Diciamo che la disabilità non è mai una priorità.

Com’è in generale la situazione Sanitaria del paese?

Ci sono ospedali governativi e cliniche private, ma il fatto è che chiunque può aprire qualcosa, non ci sono impegni formali da prendere. Comunque la preparazione del personale è di basso livello e soprattutto è un sistema triste, senza comprensione per i pazienti: se paghi bene, altrimenti, anche se stai male, te ne devi andare.

A dieci anni dall’intervento militare Nato, qual è il bilancio che può fare dal suo osservatorio?

In base a quanto sento e vedo, direi che l’Occidente non sta aiutando l’Afghanistan a diventare adulto: arrivato in massa dieci anni fa, non ha mantenuto le promesse: la guerra continua, anzi per certi aspetti peggiora; la povertà non è certo diminuita e basta dare un’occhiata in giro per rendersene conto; la democrazia è un concetto disincarnato.
Adesso sostengono di voler togliere il disturbo, ma non credo che lo vogliano e di sicuro non possono: lo stato afghano è una creatura troppo fragile e troppi sono gli interessi in gioco dal punto di vista politico, economico e strategico.