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Autore: Anna Santarello

Turchia, terza presidenza per Erdoğan

Erdoğan è ancora presidente della Turchia. Sulla voglia di cambiamento ha prevalso il timore di perdere quella guida consolidata che il sultano offre da un ventennio

Enrico Campofreda, Blog, 28 maggio 2023

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Erdoğan è ancora presidente della Turchia. Lui dice di tutti i turchi, ma un po’ meno della metà degli elettori non lo pensa. Hanno votato per il suo antagonista Kemal Kılıçdaroğlu. Eppure la sterzata ipernazionalista degli ultimi giorni di propaganda per il ballottaggio, che ha caratterizzato più quest’ultimo che il presidente uscente, con accordi per incamerare i due milioni e mezzo dei voti xenofobi della coppia Oğan-Özdağ, è stata equamente divisa fra Erdoğan che percepiva i consensi del primo, e Kılıçdaroğlu che calamitava quelli del secondo. Un milione e rotti ciascuno e la distanza fra i competitori è rimasta invariata a quattro punti di percentuale, com’era accaduto nel primo turno.

Il Consiglio Elettorale Supremo andrà a puntualizzare le percentuali definitive che stasera incoronano Baba Tayyip per la terza volta e, eğer Tanrı isterse, fino al 2028. 52,07% per lui, 47,93% per colui che resta presidente solo del partito repubblicano. L’elezione del centenario fa di Erdoğan il padre assoluto della nuova patria turca, nazionalista e islamica, molto più di quanto l’avesse forgiata Atatürk. Da oggi l’epiteto ‘sultano’ usato a mo’ di scherno dagli avversari e per indicarne il desiderio di dominio, diventa una qualifica reale e più una virtù che un vizio.

Certo, fra i sovrani dell’Impero c’è chi ha conservato il potere più a lungo: trentasei anni Orhan, il guerriero (dal 1326 al 1362), trenta Mehmed II, il conquistatore (dal 1451 al 1481) e successivamente Solimano, il magnifico che rimase sul trono per 42 anni (1520-1566). Ma quelli che potranno essere i ventisei anni di Erdoğan, sempre se Allah vorrà, hanno un valore quasi secolare. Poiché la nazione che lo mise anche in galera per aver rivendicato l’orgoglio d’una militanza islamica da poter proporre alla luce del sole, rappresenta tuttora, e dopo le tante vicissitudini di cui è stato protagonista, un collante per una maggioranza della popolazione che non è più quella da lui presa per mano alla fine degli anni Novanta, prima come sindaco di Istanbul, poi come premier. La nazione è cambiata, cresciuta, anche nelle aree anatoliche per lungo tempo arretrate. Ha conosciuto un’estensione del benessere soggettivo e collettivo. Ha anche vissuto fasi tragiche con attentati interni da parte di quei gruppi jihadisti, che si presume il leader dell’Akp avesse sostenuto nella prima fase della guerra civile siriana. 

Ha conosciuto il soffocamento, partito da Istanbul e seguito in grandi città, del movimento giovanile di protesta per la ristrutturazione al Gezi park. E poi il blocco del processo di pacificazione col leader kurdo Öcalan e la conseguente repressione rivolta alla popolazione del sud-est correlata a una ripresa di guerriglia del Pkk; una repressione che ha ricadute sul Partito Democratico dei Popoli con l’arresto di parecchi parlamentari accusati di sostegno del terrorismo. E ancora: lo scontro con l’ex alleato Fethullah Gülen, a detta del governo organizzatore con la confraternita Hizmet del tentato golpe nel 2016, cui sono seguite decine di migliaia di epurazioni fra le file di militari, poliziotti, docenti, magistrati, dipendenti pubblici e privati. Una stretta autoritaria che ha colpito testate d’opposizione, la libertà di stampa e di pensiero di giornalisti, intellettuali, artisti. All’epoca verso costoro il partito repubblicano non s’è mostrato così solidale come alcuni oppositori marxisti e progressisti si sarebbero aspettati. Gli accordi con cui Dimirtaş e colleghi hanno indirizzato il voto su Kılıçdaroğlu sono stati una scommessa obbligata per l’impossibilità di presentare un proprio candidato di peso, che in ogni caso avrebbe scontato un ruolo di minoranza, corposa ma minoritaria rispetto al voto nazionale. Del resto il ‘Tavolo dei sei’ era coalizzato unicamente sulla caduta di  Erdoğan, un fattore che polarizza, tanto da metterlo seriamente in difficoltà davanti agli ulteriori problemi della nazione: l’emergenza post terremoto e quella inflattiva. Ma l’alleanza risultava limitata sul proprio programma interno (contrastare il caro vita e riformare il presidenzialismo) e ancor più sul fronte internazionale. Qui il pur contraddittorio personalismo del presidente uscente ha offerto alla Turchia un ruolo di primo piano nelle aree di crisi geopolitiche. Dunque sulla voglia di cambiamento ha prevalso il timore di perdere quella guida consolidata che il sultano offre da un ventennio. Kılıçdaroğlu, passato in una manciata di giorni da uomo d’una promettente primavera turca a sostenitore di rimpatri razzisti, è parso un opportunista che stordiva le speranze progressiste.

Makhmour sotto assedio, Unhcr in silenzio

Dinamo press, 25 maggio 2023, di Baran Qamişlo Dinamo press 25 maggio 23

Il 20 maggio 2023 l’esercito iracheno si è presentato all’alba alle porte di Makhmour, cittadina di profughi curdi in un pezzo di deserto tra Erbil, Mosul e Kirkuk. L’UNCHR è tutore del campo. Makhmour è una di quei posti come Şengal e il Rojava che ha combattuto contro ISIS e che ora si trova sotto pressione da parte del governo Turco e in dialogo con le autorità irachene per mettere fine all’assedio del campo

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Afghanistan: indagare i talebani per il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere

Rapporto di Amnesty International e della Commissione internazionale dei giuristi 

AMNESTY INTERNATIONAL Italia, 26 maggio 2023

Le gravi limitazioni e l’illegale repressione dei diritti delle donne e delle bambine da parte dei talebani in Afghanistan devono essere indagate come possibili crimini di diritto internazionale, tra i quali il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.

È quanto hanno dichiarato oggi Amnesty International e la Commissione internazionale dei giuristi, in un rapporto intitolato “La guerra dei talebani contro le donne: il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere in Afghanistan”.

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ALLUVIONI IN AFGHANISTAN, ALMENO 6 MORTI E 100 CASE DISTRUTTE

Ticinonews, 24 maggio 2023  

Dopo il ritorno al potere dei talebani,Alluvioni gli enormi afflussi di aiuti si sono però prosciugati. Le Ong e le Nazioni Unite infatti sono state soggette a enormi restrizioni da parte del governo talebano sull’impiego delle donne afghane.

Sei persone, tra cui tre donne ed un bambino, sono state uccise nell’Afghanistan centrale a causa delle forti inondazioni scatenate da violente piogge. Lo ha reso noto Abdul Wahid Hamas, portavoce del governatore talebano della provincia centrale di Ghor, aggiungendo che più di 100 case e circa 200 ettari di terreno agricolo sono stati distrutti.

La provincia di Ghor è stata anche l’epicentro di una prolungata siccità negli ultimi anni, che ha esacerbato una crisi umanitaria in atto dal crollo del governo sostenuto dagli Stati Uniti nel 2021. Dopo il ritorno al potere dei talebani, gli enormi afflussi di aiuti si sono però prosciugati. Le Ong e le Nazioni Unite infatti sono state soggette a enormi restrizioni da parte del governo talebano sull’impiego delle donne afghane.

Iran e Afghanistan, conflitto per l’acqua. Gli islamisti si contendono il fiume Helmand

Pressenza,24 maggio 2023,  Associazione per i Popoli Minacciati Fiume Helmand

Il regime islamista sciita dell’Iran e quello islamista sunnita dei Talebani in Afghanistan non si contendono solo l’influenza nella regione, ma anche l’acqua. Questo conflitto di lunga data per i diritti sulle acque di confine del fiume Helmand mostra come l’acqua sia usata come mezzo di pressione e come le minoranze siano strumentalizzate.

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La situazione delle donne in Afghanistan è sempre più critica

EURACTIV, 18 maggio 2023, di Sofia Stuart Leeson  EURACTIV 18 05 23  

Il progetto Afghan Witness ha raccolto prove documentate del deterioramento dei diritti delle donne in Afghanistan. Sebbene il sostegno e la condanna dei talebani da parte dell’UE siano un passo importante nella giusta direzione, non è però abbastanza.

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Afghanistan: Equiza (Unicef), “è una crisi dei bambini. Quasi 16 milioni si svegliano e si addormentano affamati”

La situazione in Afghanistan è sempre più grave e a farne le spese è come sempre la parte più fragile del paese i bambini e le donne. Ormai l’Afghanistan è un paese dimenticato dai media.

L’Ancora online, 22 maggio 2023, di Simone Incicco

“In tutto l’Afghanistan, ci sono quasi 16 milioni di bambini e bambine che si svegliano affamati. Vanno a letto affamati. Non hanno acqua pulita per dissetarsi. O coperte morbide in cui dormire. Sono ormai troppo abituati a lavorare in casa, per strada, nei campi, nelle miniere e nei negozi. In troppi vivono nella paura di subire violenze o matrimoni precoci.

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UNICEF: I bambini sopportano il peso maggiore della crisi in Afghanistan

Circa il 90% della popolazione in Afghanistan è sull’orlo della povertà “e i bambini ne sopportano il peso”, ha detto giovedì a New York il rappresentante del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) nel paese, Fran Equiza. 

UN News, Aiuto Umanitario, 18 maggio 2023

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