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Autore: Anna Santarello

Wikileaks svela la “vera” guerra in Afghanistan – Casa Bianca: “Minacciata sicurezza nazionale”

Da Repubblica – 26.7.2010

guerraIl portale Internet ha rivelato alcune informazioni riservate relative al conflitto. Il consigliere Usa per la sicurezza: “Possono mettere a rischio la vita degli americani e dei nostri alleati”. Il Pakistan respinge le accuse. Karzai: “Nulla di nuovo”

WASHINGTON – È la più grande fuga di notizie della storia militare americana: notizie che parlano di civili morti e di cui non si è saputo nulla, di un’unità segreta incaricata di ‘uccidere o fermare’ qualsiasi talebano anche senza processo, delle basi di partenza in Nevada dei droni Reaper (aerei senza piloti), della collaborazione tra i servizi segreti pakistani (Isi) e i talebani. Questo e molto di più, sugli archivi segreti della guerra in Afghanistan, è svelato da Wikileaks – il portale Internet creato per pubblicare documenti riservati – al New York Times, al Guardian e al Der Spiegel. E subito la Casa Bianca ha espresso una ‘dura condanna’ per la diffusione di informazioni che possono minacciare la sicurezza del Paese e degli alleati. I tre organi di stampa che hanno accettato di pubblicare le informazioni lo hanno fatto, hanno spiegato, perché i dati sarebbero stati diffusi su Internet: “La maggior parte delle relazioni è rappresentata da documenti di routine banali, ma molti hanno un impatto rilevante su una guerra che dura quasi da nove anni”, ha detto il New York Times, mentre il britannico Guardian afferma che i documenti, che rivelano il numero crescente di civili uccisi dalle forze della coalizione e dai talebani, “danno un’immagine devastante della guerra e del suo stato di fallimento in Afghanistan”.

Sei anni di guerra. Il periodo considerato va dal gennaio 2004 al dicembre 2009, sia sotto l’amministrazione Bush che quella Obama per un totale di 92 mila rapporti del Pentagono; una quantità enorme di documenti da cui emerge un’immagine devastante di quello che è realmente successo in Afghanistan: le truppe che hanno ucciso centinaia di civili in scontri che non sono mai emersi, gli attacchi dei talebani che hanno rafforzato la Nato e stanno alimentando la guerriglia nei vicini Pakistan e Iran. E la conclusione è amara: “Dopo aver speso 300 miliardi di dollari in Afghanistan, gli studenti coranici sono più forti ora di quanto non lo fossero nel 2001”.

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La corruzione in Afghanistan

Alcuni brevi estratti – interviste a cittadini afghani – dal report 2010 di UNODC

“Vendiamo vari tipi di merce in queste strade. Il capo della polizia di questa zona ha incaricato una persona affinché raccolga soldi da noi e li consegni a lui”.

“L’ufficio comunale che si occupa delle licenze è un altro luogo corrotto. I funzionari pretendono circa $ 18.000 dai commercianti che vogliono iniziare una nuova attività”.

“I capi della polizia prendono una percentuale da ogni busta paga dei loro subordinati”.

“Per approvare la costruzione dell’edificio, il sindaco ha distribuito appezzamenti di terreno a vari membri della sua famiglia e ha preteso diversi negozi situati nelle zone commerciali”.

“Davanti ad ogni palazzo del governo ci sono persone conosciute come ‘impiegati su commissione’. Avvicinano la gente dicendo che possono risolvere ogni tipo di problema in breve tempo, poi stabiliscono il prezzo. Se, ad esempio, ti serve il passaporto, o la patente di guida, o devi pagare tasse o diritti doganali, ti possono far avere in pochi giorni tutto quello che di solito, passando attraverso i canali ufficiali, ci mette settimane ad arrivare. Ovviamente, i soldi che ricevono vengono suddivisi con le persone che lavorano nei vari uffici”.

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Dichiarazione del Movimento delle Donne Afghane – Primo consiglio di Donne per la conferenza di Kabul – 17/18 luglio 2010

Afghan Women’s Movement from First Women’s Council to the Kabul Conference
17-18, July, 2010
Kabul Serena Hotel
Conference Statement

We, the delegates of the Afghan Women’s Movement from First Women’s Council to Kabul Conference, welcome the Afghan Government’s efforts for an Afghan-led action plan for improved governance, economic and social development, and security. We acknowledge the progress in the area of women’s rights in the last eight years, and appreciate the support of the international community and Islamic Republic of Afghanistan in this regard. We believe that only a transparent, open, and inclusive participatory process of women and men can help the government in reaching its goal of creating an accountable and efficient structure in deliverance of good governance and development of a flourishing democracy.

The purpose of this conference is to bring a joint and collective voice of Afghan women that seems to be excluded from the grand Kabul Conference which is taking place on July 20, 2010. We, the women from different provinces, have come together to solidify our voices at the capital of the country. We call on the Afghan government and international interlocutors to address women’s needs and concerns according to the priorities that were set by Afghanistan National Development Strategy (ANDS), Afghan Constitution (2004), National Action Plan for Women (NAPWA) at the center of the Kabul conference.

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Non c’è giustizia in Afghanistan

Da Global Post – 13/07/2010

bambino burquaGENEVA, Switzerland — President Barack Obama describes the departure of Gen. Stanley McChrystal from the command of U.S. and coalition troops in Afghanistan as a change in personnel, not policy. But Gen. David Petraeus is unlikely to succeed if Afghan policy stays the same and persists in ignoring the ramifications of a long list of injustices that continue to pile up in Afghanistan.

Afghans have little confidence that they will ever obtain justice under the current regime in Kabul. The absence of justice is a key driver of instability that is largely ignored by the major players. However, the justice deficit is well understood and exploited by the Taliban. A growing surge of disillusionment with the Karzai regime, and its international backers, can be traced to a long list of injustices that are systemic as well as systematic.

Injustices are built into a political system that rewards abusive power-holders whether in or outside government. Examples include a parliament that is dominated by warlords thanks to an electoral system that works to the advantage of those with cash, influence and a history of thuggish behavior.

Private security companies that help maintain the supply line for NATO troops are, effectively, a law unto themselves. Funded by U.S. and other taxpayers, they buy-off insurgents to secure unhindered passage and profit greatly from a $2 billion industry. They thrive on lawlessness and insecurity.

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Afghanistan, occupazione a oltranza

Da Peace Reporter – 20/07/2010

KarzaiLe truppe d’occupazione della Nato rimarranno in Afghanistan a oltranza, anche dopo il 2014, data entro la quale la condotta delle operazioni di combattimento potrebbe essere affidata alle forze armate locali. Nel frattempo i governi occidentali daranno a Karzai 600 milioni di euro per ‘comprare’ la resa di 36mila combattenti della resistenza afgana (circa 17mila euro a testa), più 5 miliardi di euro all’anno sul cui impiego il corrotto governo di Kabul avrà carta bianca (il pizzo che la Nato deve pagare per garantirsi la fedeltà dei politici e dei signori della guerra e della droga afgani).

Questo, in soldoni, il risultato venuto fuori della conferenza internazionale sull’Afghanistan tenutasi oggi a Kabul, a cui hanno presenziato 70 rappresentanti e ministri degli Esteri stranieri, capeggiati dal segretario di Stato, Hillary Clinton. Per l’Italia c’era il capo della Farnesina, Franco Frattini.
Una conferenza-lampo (durata solo quattro ore) e super blindata (Kabul è chiusa al traffico da ieri) per il timore di attacchi talebani.

I delegati stranieri hanno formalmente approvato il ‘piano di transizione’ proposto dal presidente Karzai (in realtà preparato nelle scorse settimane dai vertici Usa e Nato).
Il piano prevede il passaggio della guida e della conduzione delle operazioni militari dalle forze Nato a quelle afgane entro i prossimi quattro anni. Un passaggio di consegne che dovrebbe iniziare nella seconda metà del 2011 (quando l’esercito afgano avrà raggiunto le 170mila unità e la polizia afgana le 134mila) nelle province più sicure, per poi estendersi gradualmente a tutte le 34 province entro la fine del 2014.

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Intervista a Selay Ghaffar, direttrice di Hawca – Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan

A cura di Antonella Vicini

È una donna giovane e bella, Selay Ghaffar. È afghana, di etnia pashtun, ed è impegnata da anni, fin da ragazzina, nella difesa dei diritti dei suoi connazionali. Ora dirige l’Hawca, «Humanitarian assistance for women and children of Afghanistan», un’associazione che dal 1999 sta portando avanti una serie di progetti finalizzati all’inserimento delle donne nel processo di ricostruzione e di sviluppo del Paese.
Ed è per questo che dopo la laurea a Islamabad, dove era rifugiata con la sua famiglia, è tornata nella sua Kabul.

A capo di una delegazione composta da altre sette rappresentanti della società civile, Selay era a Londra durante la Conferenza sull’Afghanistan per seguire le sorti di una guerra che non sembra essere mai finita e la cui soluzione pare risiedere, ora, nella strategia di «reconciliation» e «reintegration» dei talebani moderati nelle istituzioni.
Riconciliazione e re-integrazione: due parole che per lei e le altre sue connazionali hanno un suono stridente e doloroso, che riapre ferite non ancora sanate.
«Prima di tutto bisognerebbe domandarsi: chi sono i talebani moderati? Come si può distinguere il moderato da quello estremista? Come ci si può fidare di loro?», si chiede, parlando velocemente, senza rabbia, ma con un’enfasi e una decisione che fanno trapelare una certa emotività.
«Non crediamo assolutamente in una possibilità di reintegrazione o di poter siglare un accordo con questo tipo di persone. E non vogliamo che le donne rappresentino una merce di scambio. Siamo sicure che portare di nuovo questa gente brutale al potere, pagandoli per questo, procurerà altra sofferenza alle donne e le costringerà di nuovo a casa. Questa non è una reale strategia politica».

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Schiave del sesso in Iraq e Afghanistan: nuovo scandalo per i contractors americani

Da La Repubblica – 19/7/2010

NEW YORK– La bambina irachena di dodici anni costretta a prostituirsi nel seminterrato di Bagdad mentre le guardie private americane fanno una colletta di pochi dollari e si mettono in fila. Le ragazze reclutate nell’est dell’Europa con la promessa di un lavoro come colf a Dubai e poi da lì dirottate e segregate nel cuore dell’Iraq. Le cameriere dei ristoranti cinesi di Kabul che dietro le lanterne rosse nascondono il segreto che conoscono tutti. L’ultimo orrore delle “guerre gemelle” che Barack Obama ha ereditato da George W. Bush ha il volto delle donne sfruttate nel nome di quell’altro idolo che divide l’altare con il denaro: il sesso. Ma otto anni dopo l’avvio della guerra al terrore il bilancio in questa battaglia è ancora più magro di quello raccolto dal Tigri a Kandahar: zero su zero.

Gli ordini del presidente erano roboanti come i proclami della vittoria che non arrivava. E’ severamente proibito a contractors o impiegati del governo di rendersi responsabili di traffici sessuali nelle zone di guerra. Chiunque si renda responsabile di traffici sessuali verrà sospeso dall’incarico. Chi verrà sorpreso in traffici sessuali verrà denunciato alle autorità. I risultati? “Non c’è neppure un processo aperto” dice l’ex detective di Human Rights Watch, Martina Venderberg. “Insomma non c’è volontà di far rispettare la legge”.

La vergogna è stata scoperchiata da un’inchiesta del Center for Public Integrity ripresa ieri dal Washington Post. E ancora una sotto accusa sono finiti i contractors della ex-Blackwater: il gruppo privato già tristemente famoso per le stragi di civili in Iraq. L’azienda gode di così cattiva fama che per tornare a lavorare oggi ha cambiato marchio e si chiama Xe Service. Racconta un’ex guardia che non vuole rivelare il nome per paura di rappresaglie: ho visto io stesso guardie più anziane raccogliere soldi mentre ragazzine irachene, tra cui bambine di 12 e 13 anni, si prostituivano. La guardia dice anche di aver riportato tutto al suo superiore ma che “nessun provvedimento è stato preso: mi rattrista anche parlarne”.

Non si rattrista affatto il portavoce dell’ex Blackwater, Stacy De Luke, che al Washington Post nega “con forza queste accuse anonime e senza prove: la politica dell’azienda vieta i traffici umani”. Ci mancherebbe.

Il caso delle lavoratrici dell’est che pensano di volare su Dubai e finiscono in Iraq è stato invece scoperto da una giornalista freelance. Qui l’organizzazione era molto più accurata. Un vero traffico organizzato da sub-contractors che lavorano per l’Esercito e per l’Exchange Service dell’Aeronautica: nome che dovrebbe indicare l’ufficio che si occupa di organizzare la ristorazione ma che evidentemente si occupa anche di altro. Appena atterrate le poverette vengono private del passaporto. C’è anche un prezzo per il riscatto: 1100 dollari. Una cifra enorme visto che si prostituiscono per pochi dollari.

La fabbrica del sesso è ancora più solida in Afghanistan. Qui già quattro anni fa un centinaio di cinesi furono liberate in una serie di blitz che invece dei Taliban colpirono i bordelli. Ma il traffico è continuato. Con l'”acquisto” di una donna per ventimila dollari un manager della ArmorGroup, l’azienda che fino a poco tempo fa si occupava della sicurezza dell’ambasciata americana a Kabul, si vantava di poter organizzare un traffico redditizio. L’inchiesta partita da una soffiata è arrivata ai piani alti dell’Fbi. Ma qui si è fermata.

I federali sostengono di non avere mezzi sufficienti. Nelle zone di guerra sono schierati una quarantina di agenti ma già hanno il loro bel daffare a occuparsi di truffe e corruzione. Ma gli attivisti dei diritti umani hanno un’altra spiegazione: la verità è che le autorità preferiscono chiudere un occhio. Dice Christopher H. Smith, un deputato autore di una legge antitraffico, per la cronaca repubblicano: com’è possibile tollerare che questa gente possa sfruttare le donne con i soldi che noi paghiamo? Ecco un’altra eredità di cui Obama dovrà occuparsi.

(19 luglio 2010)

Basta con vuote promesse: gli Afghani vogliono vedere azioni concrete

Oxfam – 19.7.2010

Oxfam.org

No more empty promises: Afghans want to see real action now
The Kabul Conference must be a turning point not another wasted opportunity, says international aid agency Oxfam on the eve of the event.
Tomorrow marks the ninth international conference on Afghanistan in nearly as many years. In a new paper, published today, Oxfam says previous high-profile conferences promised much but achieved little.
Oxfam today calls on the world leaders attending the Kabul Conference to tackle the underlying causes of the development and humanitarian crises unfolding in Afghanistan – and help ordinary people lift themselves out of poverty.
More than $40 billion has been spent on aid to Afghanistan over the past nine years, yet millions of Afghans still live in poverty. The security situation is worse than at any point since the fall of the Taliban, and donors are increasing focused on short cuts and military-led approaches.
The United States, for example, has significantly decreased their funding for humanitarian activities, while US funding for “hearts and minds” activities has increased over 2500 percent.
Oxfam’s Head of Advocacy in Afghanistan Ashley Jackson said: “Many Afghans are tired of conferences where ministers from all over the world talk about the future of their country with nothing changing on the ground.
“Afghans want jobs. They want to feel safe when they walk down the street.
They want doctors in their hospitals and decent teachers in their schools.
Now is the time for action – not more empty pledges and rhetoric. The needs of ordinary Afghans must be put first.”
The paper, called Promises Promises, says Afghans are increasingly on the front lines of the conflict. According to the UN, assassinations of community leaders, government workers, and other civilians now average one per day.
While many Afghans are desperate for peace, current reintegration plans threaten to be the latest in a long line of quick fixes. The program, due to be endorsed at the Kabul Conference, barely mentions how genuine grievances will be addressed, and many fear these plans will grant impunity without addressing the crimes of the past.
The international community hopes for “a new social contract” between the Afghan Government and its people. But Oxfam fears that ordinary people could end up on the sidelines, rather than at the heart of this new contract.
“Holding yet another one-day conference is not the way to solve the long-term problems facing Afghanistan. It creates the illusion of action but it is actually what happens after the conference that matters most.
“We’re deeply concerned that far too many troop contributing countries are looking for ways to get their troops out rather than looking at the root causes of the conflict and poverty,” Jackson said.
Many Afghans say they want corruption to be tackled as an urgent priority, yet not a single high-level official has been investigated and successfully tried for corruption
As one Afghan civil servant said: “Donors should monitor each penny so the government can’t get away with corruption.
An Afghan journalist said: “We’ve had nine conferences. We know what Karzai’s speech will be. We know what the donors will do. And we know nothing will come of it. Where is the action on the ground? What do these promises amount to?”
An Afghan government employee said: “Look at the previous conferences and the problems they were supposed to address but did not: political structures and low civilian and military capacity. We need real solutions and the international community needs to be tough. They have to set realistic benchmarks and make sure that they are
followed.”
A UN official said: “It seems as though the international community has made a to-do list of all of the promises from the London conference, and are just ticking the boxes to make sure they have something to show for it. But they’re not asking whether these objectives are the right ones, how well these so-called reforms are working or whether it’s actually bringing about any desired outcomes.”
Oxfam has worked in Afghanistan for over twenty years. We work in 20 of the country’s 34 provinces directly with communities as well as with local partners on programmes, which include water and sanitation work, health promotion, income generation, peace-building, women’s rights, and conflict-resolution.
The international confederation of Oxfam [http://www.oxfam.org] is a group of independent non-governmental organisations from Australia, Belgium, Canada, France, Germany, Hong Kong, India, Ireland, Italy, Japan, Mexico, the Netherlands, New Zealand, Quebec, Spain, the UK and the US.

Scandalo Afghanistan

Il Fatto quotidiano
Alessio Pisanò 14/7/2010
Tra il 70 e l’80% degli aiuti umanitari si perde in rivoli di corruzione
Sotto accusa non sono le autorità afgane, ma le organizzazioni internazionali che gestiscono gli aiuti.
Dove vanno a finire i miliardi di dollari di aiuti umanitari all’Afghanistan? Tra il 70 e l’80% finiscono in mani diverse da quelle afgane, almeno secondo Pino Arlacchi, eurodeputato Idv membro della commissione Affari esteri e direttore, dal 1997 al 2002, del programma antidroga ed anticrimine dell’ONU.

Rischia di diventare uno scandalo di proporzioni gigantesche quello degli aiuti all’Afghanistan, viste le cifre di cui si parla: dai 23 ai 27 miliardi di dollari di aiuti stanziati scomparsi nel nulla. Sotto accusa non la corruzione delle autorità afgane ma le organizzazioni internazionali che gestiscono gli aiuti: ONU, ONG varie, Banca Mondiale, Banche regionali per lo sviluppo e così via. Questo si legge nel rapporto “Nuova strategia dell’Afghanistan” del quale Arlacchi è relatore al Parlamento europeo. Secondo il ministro delle finanze del governo Karzai, Omar Zakhilwal, tra il 2002 e il 2009 l’Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di aiuti, ma solo il 6% sono passati nelle mani del Governo del Paese. I restanti 34 milioni sono stati veicolati da associazioni internazionali, soprattutto, per quanto riguarda gli stanziamenti USA (5 miliardi di dollari l’anno), da cinque grandi “contractor” americani che ne hanno gestito il 60% del totale. E qui, secondo Arlacchi, si aprirebbe la voragine: tra sprechi, costi di intermediazione e di auto-protezione eccessivi, sovra fatturazione e corruzione se ne sarebbe andato tra il 70 e l’80 degli aiuti totali. Solo per gli stipendi si spende circa 250-500mila dollari all’anno, riferisce Agency Coordinating Body for Afghan Relief (ACBAR). Ma facciamo due conti: al costo di applicazione di un qualsiasi programma di sviluppo nel Paese va aggiunto il 5-15% di sovrapprezzo medio; poi il 15-30% per la protezione del personale, degli edifici e dei mezzi del programma stesso; infine, a questo 30-50% vanno aggiunti i costi di subappalto dei progetti, i super stipendi e le super consulenze inutili, le spese eccessive dei capi delle agenzie e dei manager dei progetti, le fatture gonfiate dei fornitori di beni e servizi che hanno sede nei Paesi donatori. Ed ecco che il costo per la realizzazione, ad esempio, di una scuola può lievitare da 3 a 10 volte, arrivando a costare invece di 100mila ben 1 milione di euro. Cifre da capogiro ma che, secondo Arlacchi, vengono corroborate da valutazioni fatte da altri esponenti del governo afgano e da esperti indipendenti. La conferma delle parole di Arlacchi sembra venire dalla recente decisione degli USA di bloccare lo stanziamento di 5 miliardi di dollari in seguito ad indiscrezioni circa il trasferimento off-shore di ingenti somme di denaro appartenenti agli aiuti umanitari. L’Unione europea, di riflesso, ha annunciato proprio ieri il blocco di 200 milioni di euro destinato all’Afghanistan previa ulteriori accertamenti su come i soldi sono stati spesi fino adesso . Fortunatamente gli esperti dicono che gli sprechi dei fondi europei sono attenuati dal fatto che il 50% (invece che il 10% degli USA) viene allocato tramite Trust Funds multilaterali il cui indice di sicurezza è molto più alto (circa l’80%). A tutto ciò va aggiunta l’immancabile corruzione, che secondo Integrity Watch Afghanistan è costata 1 miliardo di dollari solo nel 2009, il doppio del 2006. “Ma attenzione a non prendere la corruzione locale come capro espiatorio – avverte Arlacchi – visto che dal Governo di Kabul passano solo il 15% degli aiuti totali. Anche attribuendo alla corruzione locale un’incidenza del 50%, infatti, non si supera il 7,5% del volume complessivo della spesa finora effettuata in Afghanistan”. Il problema, ancora una volta, sembrerebbe la mancanza di trasparenza nella spesa degli aiuti, soprattutto da parte delle organizzazioni straniere. L‘Afghanistan Compact, il piano di aiuti deciso a Bohn nel 2006, presenta 77 prezzi di riferimento per il governo afgano ma nessuno per i donatori. Per questo Arlacchi chiede di ricalibrare i controlli internazionali, a partire dai dai fondi europei, mettendo a punto un sistema di monitoraggio dati e spese sulla falsa riga di quanto è stato recentemente fatto negli USA con l‘Ispettorato generale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar), anche se non un ritardo di 9 anni. E poi affidare la gestione degli aiuti umanitari direttamente agli afgani. Secondo uno studio condotto sul campo tra il 2005 e il 2006 dall’associazione Peace Dividend Trust, la spesa diretta delle autorità locali è quattro volte più efficace delle grandi organizzazioni internazionali.

Adesso spetta all’UE pronunciarsi su come viene speso il miliardo di aiuti umanitari annui stanziato dai 27 Paesi membri. Della questione, oltre alla commissione Affari stranieri del Parlamento europeo, si occuperà anche quella sul controllo dei bilanci presieduta da Luigi de Magistris, che ha indirizzato alcune precise domande alla Commissione europea circa l’attuale gestione dei fondi UE in Afghanistan. Nel frattempo la situazione del Paese è al collasso: l’Afghanistan è 177esimo posto (su 178) nella classifica Human Development Reports, e si stima che oltre metà della sua popolazione sia sotto la soglia della povertà. Secondo la CIA World Factbook, l’aspettativa di vita in Afghanistan è passata da 46.6 del 2002 a 44.4 nel 2009, e il PIL pro capite diminuito del 25% dal 2004 al 2009.

Afghanistan: allarme corruzione, dal 2007 usciti 3,3 miliardi di euro

(AGI/AFP) – Londra, 6 lug. – Il governo afghano stima che negli ultimi tre anni e mezzo almeno 4,2 miliardi di dollari (3,3, miliardi di euro) in contanti sono stati trasferiti all’estero partendo dall’aeroporto di Kabul. Il nuovo allarme corruzione arriva dal Times, che ha citato una lettera inviata dal ministro delle Finanze, Omar Zakhilwal, alla deputata Usa Nita Lowey, che sovrintende agli aiuti per l’Afghanistan. Il dato fornito da Zakhilwal nella missiva datata 30 giugno e’ ancora piu’ alto di quello emerso da un’inchiesta del Wall Street Journal che nei giorni scorsi aveva parlato di piu’ di tre miliardi di dollari portati all’estero attraverso principale scalo afghano negli ultimi tre anni da funzionari governativi con le valigette piene di contanti. Dopo quell’articolo la Lowey aveva bloccato un pacchetto di aiuti per 3,9 miliardi di dollari per l’Afghanistan. “Non versero’ un centesimo per gli aiuti fin quando non saro’ fiduciosa che il denaro dei contribuenti americani non va a riempire le tasche di funzionari governativi corrotti, signori della droga e terroristi”, ha spiegato la presidente della Commissione Usa per la Cooperazione. (AGI) .