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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, i talebani vietano i parchi pubblici di Kabul alle donne

Fanpage.it Davide Falcioni 10 novembre 2022 

Alle donne di Kabul è stato imposto il divieto di frequentare parchi e giardini pubblici con la scusa che in questi luoghi non verrebbero rispettate i presunti precetti del Corano.

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Aumentano in Afghanistan le discriminazioni e le limitazioni alla libertà: alle donne di Kabul, infatti, è stato imposto il divieto di frequentare parchi e giardini pubblici con la scusa che in questi luoghi non verrebbero rispettate i presunti precetti del Corano.

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«TEMPO DI SPERANZA»: LIBERARE ÖCALAN

Labottegadelbarbieri.org  Laura Schrader  A seguire una nota della “bottega” 7 novembre

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Tempo di speranza. Campagna per la liberazione di Abdullah Öcalan

Abdullah Öcalan (chiamato Apo, zio e Serok, salvatore) per milioni di kurdi è la speranza, l’ispirazione, la voce che guida nella difesa dell’identità e della vita. Ricordate le immagini della vittoria contro l’Isis? Alle spalle delle combattenti kurde che festeggiano la conquista di Raqqa l’ ultima roccaforte dello Sato Islamico, c’é un grande ritratto di Ocalan. Oggi nelle rivolte scaturite dall’ assassinio di Jina (Mahsa) Amini e che vanno ben oltre alla protesta contro l’hijab, sventolano bandiere con la sua immagine. 

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La dignità delle donne kurde

Comune-info – Benvenuti ovunque – 3 novembre 2022, di Aldo Morrone  BENVENUTI OVUNQUE

Aldo Morrone, medico del mondo, scrive a proposito del suo viaggio nel Kurdistan iracheno, tra gli sfollati e i rifugiati di Ashti, Arbat e Tazade. Qui migliaia di persone ormai vivono da anni, soprattutto donne e bambini che hanno conosciuto l’orrore della guerra e del genocidio, “

Guardo con commozione e tenerezza i tentativi di dare colore e vita alle loro baracche, alle loro tende, disegnando scene di vita per non perdere la speranza di tornare nelle loro case e ai loro affetti…. Disegni per insegnare a non ammalarsi…

È terribile e doloroso pensare che la lotta contro la guerra in Ucraina non riesca ad allargarsi contro tutte le guerre: quelle immortalate dalle grandi agenzie giornalistiche e quelle in gran parte ignorate o dimenticate come accade per il Tigray, la Siria, lo Yemen, il Myanmar, l’Afghanistan…”

Io vado, madre.
Se non torno, sarò fiore di questa montagna,
frammento di terra per un mondo più grande di questo.
Io vado, madre.
Se non torno,il corpo esploderà là dove si torturae lo spirito flagellerà, come l’uragano, tutte le porte.Io vado… madre…
Se non torno, la mia anima sarà parola…per tutti i poeti”
Abdulla Goran (1904 – 1962)

Tornare nel Kurdistan iracheno è sempre una grande emozione. Insieme con Soran, presidente dell’Istituto Kurdo, siamo qui per continuare la collaborazione clinico-scientifica con i medici e tutto il personale sanitario di questo straordinario Paese. Il popolo kurdo ha inventato l’arte di resistere. Di resistere a tutto, anche a chi ha disegnato con il righello e senza cervello confini assurdi che hanno diviso un intero popolo tra frontiere turche, iraniane, irachene e siriane. Malgrado la promessa del Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, la comunità internazionale si è sempre rifiutata di dare loro uno Stato.

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Kabul: cresciuta di quasi un terzo la coltivazione dell’oppio

AsiaNews – 3 novembre 2022  

oppio_2022_copy.jpgSecondo le Nazioni unite il raccolto di quest’anno può essere convertito in 380 tonnellate di eroina. I guadagni per i contadini nell’ultimo anno sono triplicati, ma non si sono tradotti in un automatico aumento del potere d’acquisto a causa della crisi economica e umanitaria. Proprio l’annuncio del divieto di coltivazione da parte dei talebani (scarsamente attuato) ha fatto aumentare i prezzi.

Kabul (AsiaNews) – La coltivazione di papaveri da oppio – principale ingrediente per la produzione di eroina – è cresciuta di quasi un terzo dalla presa di potere dei talebani ad agosto 2021, nonostante un divieto imposto dalle autorità de facto dell’Emirato islamico ad aprile di quest’anno. Al contrario, è stato proprio l’annuncio del divieto a far quasi raddoppiare i prezzi e costringere i coltivatori – attanagliati dalla crisi economica e umanitaria del Paese, come il resto della popolazione – a sottrarre i campi alla coltivazione di grano a favore di quella di papavero.

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La silenziosa resistenza delle donne costruisce l’Afghanistan del futuro

Con questo contributo a cura di Gabriella Gagliardo, presidente del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda), si inaugura una collaborazione tra Cisda e Altreconomia  un appuntamento fisso mensile per tenere la luce accesa sull’Afghanistan

Altreconomia – 1 ottobre 2022 n.252, di Gabriella Gagliardo  

altraeconomia1Nonostante la repressione dei talebani, l’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane garantisce assistenza sanitaria e la distribuzione di alimenti nei villaggi più poveri. Costruendo reti e relazioni, il vero motore di ogni rivoluzione culturale

Che cosa significa organizzare la resistenza in un Paese riconsegnato agli aguzzini talebani dopo vent’anni di occupazione occidentale? Per un’organizzazione di donne costretta a rimanere in clandestinità anche durante gli ultimi venti anni di cosiddetta democrazia, la strategia è ben rodata: si tratta di costruire un tessuto di relazioni sociali che sfuggano al potere di turno, attraverso la solidarietà e l’esercizio attivo di empowerment delle donne, a cominciare da quelle escluse da ogni diritto.

È con questa chiave che vanno lette le iniziative dell’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane (Rawa) che, anche in queste condizioni impossibili, continua a essere ben presente ed efficace dove nessuna organizzazione di soccorso internazionale riesce ad arrivare: le aree più remote del Paese, mai toccate dalle briciole dei mille miliardi di dollari spesi dagli ex occupanti per mostrare quel miglioramento delle condizioni di vita a giustificazione della missione militare. 

L’attività umanitaria di Rawa, che va dall’assistenza sanitaria di base alla distribuzione di alimenti e generi di prima necessità, è qualitativamente ben diversa da quanto una qualsiasi organizzazione non profit potrebbe organizzare. Svolgere queste missioni implica un alto grado di consapevolezza politica in chi affronta il rischio di violare i decreti o le leggi non scritte, ma ugualmente efficaci del precedente regime fondamentalista a tutela occidentale, e grande competenza nel muoversi in clandestinità salvaguardando l’incolumità degli attivisti. 

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“Ci vorrà tempo ma il cambiamento per le donne afghane arriverà”

Con i contributi del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda) Altreconomia vuole mantenere un appuntamento fisso sulla rivista e su altreconomia.it per tenere una luce accesa sull’Afghanistan

Altreconomia, n. 253 – 1 novembre 2022 – di Cristiana Cella

1 copyMentre i governi (occidentali e non solo) sostengono i vari gruppi armati presenti nel Paese, l’associazione Rawa continua a lavorare per creare una nuova consapevolezza politica. Il racconto di una delle attiviste

Ci incontriamo con Maryam, alle quattro del mattino, Kabul è ancora vuota e buia, lucida di pioggia. Ci aspetta una lunga giornata. Viaggiamo per ore tra le montagne, infagottate in abiti neri che ci nascondono, sulle strade polverose del suo Paese per scoprire piccole realtà preziose nel deserto di pietre e di ingiustizia che circonda le donne. Lungo il percorso troviamo spazi di libertà, impegno, speranza e un’attività costante e combattiva. Un lavoro tenace, che continua da quarant’anni anche ora sotto i Talebani. Era il novembre 2019. 

Le cose sono diventate più difficili, adesso. Ma il lavoro, per le donne della Revolutionary association of the women of Afghanistan (Rawa) non si ferma e Maryam (nome di fantasia) ce lo racconta, qui, in Italia. Il cammino che l’ha portata in Europa a ottobre non è stato facile né privo di rischi. È venuta qui per essere la voce delle donne sprofondate nel silenzio dei Talebani. Per mostrare a tutti noi che in quel Paese, dimenticato dai media e dai governi occidentali, le donne vivono una condizione infernale ma ognuna di loro combatte per mantenere viva la propria dignità. Una particolare forza di resistenza, anche all’orrore.

Difficile immaginare un futuro per l’Afghanistan. Quali sono le pedine e i giocatori in campo?
MR L’analisi è complicata e ancor di più le previsioni. Ai destini dell’Afghanistan sono intrecciati quelli di molti governi esteri e ciascuno di loro sta lavorando per i propri interessi e per contrastare i rivali. Cina e Russia si avvicinano ai Talebani per proteggere i loro affari economici e gli Usa non lo possono permettere. Così, attraverso i loro servizi segreti, sostengono lo Stato islamico (Isis) e altri gruppi di fascisti religiosi. Anche i Paesi confinanti, come Iran e Pakistan, fanno lo stesso da sempre sostenendo e usando i terroristi. Altri li accolgono con tutti gli onori come la Turchia. La divisione interna dei Talebani facilita il compito delle intelligence straniere, a caccia delle pedine più convenienti. Finché i terroristi saranno sostenuti dall’estero con denaro, armi e complicità, non saranno sconfitti. Quello che è sicuro è che i civili saranno le vittime e i fondamentalisti i vincitori. È un film che abbiamo già visto.

2 copyIn Occidente si parla di resistenza armata, di opposizione ai Talebani. Chi sono?
MR La cosiddetta “resistenza” è formata da gruppi che conosciamo bene, fondamentalisti quanto i Talebani -come l’Alleanza del Nord- che hanno commesso crimini di guerra contro la popolazione nei decenni passati. Non sono diversi da chi governa oggi a Kabul, hanno solo un buon maquillage e un po’ di cultura, ma sono altrettanto oscurantisti e feroci soprattutto contro le donne. Anche il giovane Massud, che vuole essere un eroe nazionale come il padre (Ahmad Shāh Massud, assassinato nel 2001, ndr) è un burattino degli americani. Fa parte del loro gioco che, da una parte, lascia il Paese ai Talebani e li rifornisce di materiale bellico, e dall’altra sostiene personaggi come Massud, presentandolo come l’unico argine ai nuovi padroni. Puntano su due cavalli, come abbiamo già visto negli scorsi vent’anni.

Un gioco che potrebbe finire male.
MR Se i governi occidentali continuano ad armare e sostenere questi gruppi per usarli uno contro l’altro per i propri fini e bilanciare le loro influenze possiamo aspettarci una guerra civile su base etnica, come negli anni Novanta. Non vogliono liberare il Paese, vogliono solo una condivisione del potere con i Talebani. Massud all’inizio aveva trattato: aveva chiesto il 50% dei posti nel governo per i suoi. E quando ha ricevuto un rifiuto dai Talebani, ha detto che si sarebbe accontentato anche del 30%.

“Finché questi terroristi saranno sostenuti dall’estero con denaro, armi e complicità, non saranno sconfitti. Quello che è sicuro è che i civili saranno le vittime”

La nuova guardia dei war lords che si spendono in Occidente ha anche un progetto politico preciso? Quale?
MR Si tratta di un progetto federale che si propone di dividere l’Afghanistan secondo le diverse etnie. Le influenze straniere si sono concentrate su un territorio specifico o su una particolare etnia. Ognuno, protettori stranieri e gruppi fondamentalisti, avrebbe così la sua zona di influenza e il suo regno personale.

Un Afghanistan fatto a pezzi, lontano dai vostri scopi, immagino.
MR Sì, molto lontano. Noi non possiamo accettare questa prospettiva e siamo molto preoccupate. Rawa ha sempre combattuto per conquistare la giustizia sociale per tutti gli afghani, per annullare le divisioni etniche, che portano solo ad altri conflitti e rendono il Paese sempre più debole. Del resto quaranta o cinquant’anni fa l’appartenenza etnica non era importante. Adesso l’Afghanistan sta diventando una casa sicura per tutti i gruppi terroristi. 

Ma la popolazione non ci sta, le giovani donne trovano il coraggio di scendere per le strade, sfidando le rappresaglie. Alzano cartelli per reclamare i loro diritti, allo studio, al lavoro, alla libertà, alla vita. Gli stessi slogan delle loro sorelle iraniane e delle donne in lotta in tutto il mondo. Quanto è diffusa l’opposizione ai Talebani?
MR Ovunque. Anche nelle zone più arretrate e conservatrici la gente vuole godere dei minimi standard umanitari, sono richieste di base, istruzione, salute, lavoro. Ormai hanno capito che non possono aspettarsi niente di tutto ciò dai Talebani. La sicurezza promessa non c’è, gli attentati continuano, le persone muoiono di fame e non possono lavorare. È insopportabile per chiunque. 

Un sentimento di sfida, fatto di gesti semplici: così la piccola resistenza si nasconde nelle pieghe del quotidiano, nell’ombra della dignità ferita. Come si manifesta?
MR Con la musica ad esempio. È molto importante per noi, specialmente quella tradizionale. Alcuni musicisti sono stati arrestati e uccisi ma la gente continua a suonare dentro le case, in segreto. Quando riesci a sentirla ti apre il cuore alla speranza. Ragazze e ragazzi non hanno rinunciato ai loro interessi. Si riuniscono in piccoli gruppi leggono, dipingono, suonano, non si lasciano abbrutire. Ci sono giovani donne che hanno il coraggio di uscire tra loro e senza uomini, indossando solo un velo, senza burqa o hijab nero. 

E poi ci sono le ragazze che frequentano le scuole segrete di Rawa. Rischiano, si impegnano e imparano, acquisendo armi per il futuro. Qual ruolo hanno i social media?
MR Sono diventati importanti, anche se pericolosi: è necessario proteggersi, essere attenti a nascondere le proprie tracce. Sono un luogo dove la gente può dire che cosa pensa, mostrare la propria rabbia contro i Talebani, coinvolgere gli altri. Quando il ministro dell’Educazione talebano ha dichiarato che sono le famiglie afghane a non voler mandare a scuola le bambine, è nata spontaneamente una campagna sui social media che si è diffusa molto velocemente. Piccoli messaggi e slogan a favore dell’istruzione delle donne che si sono diffusi in tutto il Paese, in qualsiasi provincia e tra le persone di tutte le etnie.

Il rischio è alto, soprattutto per il lavoro di Rawa. Quali sono gli ostacoli?
MR Anche un piccolo evento, diventa un miracolo. È complicato portare persone sotto lo stesso tetto, non insospettire i vicini, non far sentire le proprie voci da fuori, preparare un piano, una scusa plausibile per la riunione, nel caso in cui i Talebani facessero irruzione. Viaggiare per seguire i nostri progetti nelle province, è difficile: i check points talebani sono ovunque e controllano tutto. Come sempre, ci muoviamo con un basso profilo e molta cautela. 

Il racconto delle messinscene che le attiviste di Rawa sono costrette a recitare per ingannare i Talebani è sorprendente. Non possiamo raccontarlo, per ovvi motivi di sicurezza. Ma come fate a portare avanti le vostre attività in queste condizioni?
MR Abbiamo una lunga esperienza della clandestinità, maturata in decenni di lavoro e di sopravvivenza, anche sotto i Talebani, e una solida rete di relazioni e sostenitori. E poi c’è l’esperienza delle lotte delle altre donne e degli altri uomini che, accanto a noi e prima di noi, hanno resistito all’oppressione. 

La vostra battaglia si combatte anche nella mente delle donne, è così?
MR Molte donne pensano che non ci sia niente da fare, che la vita prigioniera che stanno vivendo sia il loro destino e che non possano fare altro se non ricorrere a quella atavica e spaventosa forza di sopportazione che fa parte della loro storia. La rassegnazione è il nemico più insidioso. Lo scopo del nostro lavoro -in questo momento in gran parte di soccorso alle prime e più urgenti necessità- è quello di creare una nuova consapevolezza politica, la fiducia e la certezza di poter cambiare le cose. Cerchiamo di spiegare che ognuna di loro può fare qualcosa. Che la politica -di cui non vogliono occuparsi- è importante e che se il governo cambiasse anche molti aspetti della loro vita quotidiana potrebbero mutare. Che potrebbero godere dei diritti che spettano loro, che la vita che fanno si può e si deve trasformare, un passo alla volta. Ci vorrà molto tempo ma il cambiamento ci sarà. E ci sarà solo se le donne ci crederanno.  

 

CONTINUA LA CAMPAGNA PER I DIRITTI DELLE DONNE AFGHANEDa quando il Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane (Cisda) e Large movements hanno lanciato la campagna #StandUpWithAfghanWomen con la Coalizione euro-afghana per la democrazia e la laicità, in molti e molte, tra persone e organizzazioni, si sono uniti per sostenere le forze laiche e progressiste afghane che conducono in clandestinità una resistenza tenace contro tutti i fondamentalismi e le ingerenze straniere. “La condizione delle donne di altri Paesi ci riguarda da vicino, perché dal riconoscimento dei diritti di tutte dipende anche il rispetto dei nostri, che sono periodicamente messi in discussione”, spiega Virna Gioiellieri,  coordinatrice della Commissione pari opportunità del Comune di Imola, annunciando l’adesione istituzionale a #StandUpWithAfghanWomen. 

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Con la Commissione di Imola, hanno aderito alla Campagna anche altre 50 organizzazioni della società civile, a cui si aggiungono circa 2.400 firme di privati cittadini raccolte online e nel corso dei primi eventi pubblici organizzati delle associazioni aderenti  in Val Pellice (TO), a Varese e a Milano. Le organizzazioni della società civile possono sostenere campagna e petizione inviando la propria adesione attraverso il form su standupwithafghanwomen.eu. Mentre i singoli cittadini, di qualunque nazionalità, possono firmare online su standupwithafghanwomen/change.org.
Per informazioni: standupwithafghanwomen.eu e retecisda@gmail.com.

Altreconomia è media partner di #StandUpWithAfghanWomen affinché anche altre associazioni e istituzioni si uniscano alla campagna.

“L’Occidente sta legittimando i Taliban”

Salto Gespräche – 30 ottobre 2022 – di Elisa Brunelli  rawa copy

La lotta delle donne afghane contro il fondamentalismo e le ingerenze straniere. L’intervista a un’attivista della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan.

A un anno e mezzo dal ritorno al potere dei Talebani, l’Afghanistan rappresenta la testimonianza più drammatica del fallimento delle violente politiche coloniali ai danni di una terra ricchissima e complessa che mai nessuna tra le forze occupanti che si sono alternate nel corso dei decenni è mai riuscita a comprendere.

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La lunga e dura lotta delle donne afghane per il diritto al divorzio

Le donne afghane hanno lottato a lungo per ottenere il diritto al divorzio ma da quando i Talebani sono tornati al potere l’anno scorso la situazione è peggiorata

Ruchi Kumar, Orooj Hakimi, AlJazeera, 20 ottobre 2022

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Dopo anni di abusi da parte del marito, l’anno scorso Bano, 32 anni, ha trovato il coraggio di chiedere il divorzio nel nord-est dell’Afghanistan.

“Per quattro anni mi ha picchiata ogni giorno e violentata ogni notte”, ha raccontato ad Al Jazeera, chiedendo che il suo nome venisse cambiato perché si nascondeva dal suo abusatore. “Se facevo resistenza, mi picchiava di più”.

“Mi umiliava e insultava perché non riuscivo a rimanere incinta”, ha raccontato la donna. “Quando il medico ci disse che era lui ad aver bisogno di trattamenti per la fertilità, tornò a casa e mi prese a calci tra le gambe, incolpandomi di essere sterile”.

Proprio quando il caso di Bano era previsto per un’udienza in tribunale nella provincia di Takhar, il governo è crollato nell’agosto 2021 e i Talebani sono tornati al potere.

“I giudici non c’erano più, gli avvocati non c’erano più e con l’aiuto dei Talebani mio marito mi ha costretto a tornare a casa sua, minacciando di uccidere la mia famiglia se non l’avessi fatto”, ha raccontato la donna.

Dopo la loro presa di potere, i Talebani hanno smantellato il sistema giudiziario esistente, hanno nominato i loro giudici e hanno implementato la loro versione della legge islamica.

“Non ci sono più avvocati donna e nessuno dei giudici donna è stato autorizzato a tornare al lavoro”, ha detto Marzia, giudice donna prima della presa di potere dei Talebani. Anche lei si sta nascondendo.

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Non voltarsi dall’altra parte

Il Consiglio della Regione Toscana consegna il Pegaso d’argento all’associazione afghana RAWA

Regione Toscana, Met, 20 ottobre 2022

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“Non avremo mai un punto di contatto con il regime talebano”. Con queste parole il presidente Antonio Mazzeo ha concluso il suo incontro con Maryam Rawi la rappresentante dell’associazione RAWA (Revolutionary Association of Women of Afghanistan), che ha ricevuto dalle mani del presidente dell’Assemblea legislativa il Pegaso d’argento. Un incontro fortemente voluto dal Consiglio regionale che ha visto la partecipazione del presidente della commissione per le Politiche europee Francesco Gazzetti e la presidente della commissione regionale per le Pari opportunità Francesca Basanieri. Ad accompagnare Maryam Rawi la rappresentante del Cisda, il coordinamento italiano per il sostegno delle donne afghane, Debora Picchi.

“Il racconto di Maryam ci segna – ha spiegato Mazzeo – ci chiede di non voltarci dall’altra parte e ci invita a sostenere le comunità afgane, specialmente le donne, che vengono martoriate e a cui i talebani hanno tolto ogni tipo di diritto. RAWA è un’associazione che si impegna per scolarizzare le donne, per dargli più cultura. Perché come dico sempre: dove c’è cultura, c’è libertà. I popoli a cui viene tolta la cultura perdono la libertà. Le donne in Afghanistan, come in Iran, vivono sottomesse, senza diritti, non possono lavorare e curarsi. Tutto questo è riportare quei paesi al Medioevo”.

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Afghanistan. Le donne che protestano raccontano

In un report di Human Rights Watch gli ex detenuti descrivono le torture e i maltrattamenti subiti dalle loro famiglie

HRW, reliefweb, 20 ottobre 2022

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Tre donne afghane detenute per aver protestato contro gli abusi dei Talebani hanno descritto torture e altri gravi maltrattamenti durante la detenzione, ha dichiarato oggi Human Rights Watch.

Le donne hanno detto di essere state detenute ingiustamente insieme alle loro famiglie, compresi i bambini piccoli. Hanno subito minacce, percosse, condizioni di detenzione pericolose, negazione del giusto processo, condizioni di rilascio abusive e altri abusi. Le autorità hanno aggredito e somministrato scosse elettriche ai parenti maschi detenuti. La descrizione delle esperienze vissute dalle donne getta luce sul trattamento riservato dai Talebani alle donne manifestanti detenute e sugli sforzi compiuti dai Talebani per mettere a tacere il movimento di protesta.

“È difficile sopravvalutare l’incredibile coraggio di queste e di altre donne afghane che protestano contro gli abusi dei Talebani”, ha dichiarato Heather Barr, direttore associato per i diritti delle donne di Human Rights Watch. “Le storie di queste donne dimostrano quanto i Talebani si sentano profondamente minacciati dalle loro attività e quanto brutalmente si spingano oltre per cercare di metterle a tacere”.

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